G It Diabetol Metab 2015;35:1-7 Rassegna L’approccio personalizzato al trattamento dell’iperglicemia oggi RIASSUNTO F. Giorgino Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Università degli Studi di Bari, Bari Corrispondenza: prof. Francesco Giorgino, Dipartimento dell’Emergenza e dei Trapianti di Organi, Sezione di Medicina Interna, Endocrinologia, Andrologia e Malattie Metaboliche, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, piazza Giulio Cesare 11, 70124 Bari e-mail: [email protected] G It Diabetol Metab 2015;35:1-7 Pervenuto in Redazione il 15-02-2015 Accettato per la pubblicazione il 16-02-2015 Parole chiave: diabete di tipo 2, fenotipo, terapia farmacologica, comorbilità Key words: type 2 diabetes, phenotype, drug therapy, comorbidities La terapia del paziente con diabete di tipo 2 si è recentemente arricchita di nuovi elementi che consentono di effettuare la gestione e correzione dell’iperglicemia in maniera personalizzata. Questa novità deriva dalla constatazione che esiste una notevole eterogeneità genetica, fisiopatologica e clinica dei pazienti e che sono d’altra parte disponibili svariate classi di farmaci ipoglicemizzanti o anti-iperglicemici, che agiscono con meccanismi di azione differenti e possono essere associati a specifici eventi avversi. L’analisi delle caratteristiche cliniche del paziente, con particolare riferimento alle sue comorbilità e alle specifiche alterazioni del pattern glicemico, rappresentano oggi uno strumento da cui non si può prescindere per una corretta selezione della terapia farmacologica e per la sua implementazione nella pratica clinica. SUMMARY Personally tailoring the treatment of hyperglycemia today The treatment of patients with type 2 diabetes has recently gained some new features that enable physicians to manage patients and correct hyperglycemia on a more “personal” basis. We now understand more about the considerable genetic, pathophysiological and clinical differences between patients, and in addition we have available various classes of hypoglycemic or anti-hyperglycemic drugs, with different mechanisms of action and potential specific adverse effects. Detailed analysis of each patient’s clinical characteristics, particularly his/her comorbidities and the individual specific alterations in glycemic patterns, add up to a picture today that cannot be ignored when selecting the most appropriate drug(s) and implementing the therapy in clinical practice. Si discute da tempo su quale possa essere l’approccio terapeutico più corretto nei confronti del paziente con diabete di tipo 2. L’approccio globale e più corretto prevede che venga posta attenzione a vari obiettivi terapeutici, che includono non solo la riduzione dei livelli di emoglobina glicata (HbA1c), attraverso la correzione della glicemia a digiuno e postprandiale, 2 F. Giorgino ma anche il controllo di fattori di rischio cardiovascolare (pressione arteriosa, lipidi, fumo, microalbuminuria) con la finalità di prevenire le complicanze microvascolari e di ridurre gli eventi cardiovascolari e la mortalità. Per il controllo dell’iperglicemia, le più importanti società scientifiche internazionali, già a partire dal 2006(1-3), hanno espresso raccomandazioni sulla necessità di ottenere e mantenere la glicemia il più vicino possibile ai valori dei soggetti non diabetici evitando l’ipoglicemia, iniziando il trattamento con metformina insieme all’intervento sullo stile di vita sin dal momento della prima osservazione del paziente, aggiungendo poi gli altri farmaci ipoglicemizzanti, inclusa l’insulina, con la finalità di mantenere i livelli di HbA1c al di sotto del target del 7%. Più recentemente, tuttavia, le raccomandazioni delle società scientifiche, in particolare quelle dell’American Diabetes Association (ADA) e della European Association for the Study of Diabetes (EASD), hanno sottolineato l’opportunità di individualizzare il più possibile l’approccio terapeutico definendo i target terapeutici, in particolare i target glicemici, in base alle caratteristiche del paziente. Inoltre, la scelta dei farmaci ipoglicemizzanti va effettuata in base a un’attenta valutazione delle loro caratteristiche, anche in riferimento agli eventi avversi, e della loro compatibilità con specifiche comorbilità e fattori di rischio per la salute eventualmente presenti nel paziente(4,5). Si è affermata così anche in diabetologia, così come in altre discipline, la medicina “personalizzata”, intendendo per questo termine un approccio terapeutico incentrato sul paziente e sulle sue esigenze. Target glicemici e outcome vascolari Non va dimenticato che una spinta fondamentale alla personalizzazione dell’approccio terapeutico si è avuta in seguito alla conoscenza dei risultati degli studi di intervento con outcome cardiovascolare, gli studi ACCORD, VADT e ADVANCE(6-8), e dal confronto con quanto osservato in precedenza nello studio UKPDS. La lezione che deriva da questi studi è, infatti, che trattare l’iperglicemia in modo aggressivo non rappresenta un approccio vincente in tutti i pazienti e in riferimento a tutti gli outcome, microvascolari e macrovascolari. Se è vero che la correzione dell’iperglicemia generalmente comporta un beneficio sulla prevenzione dell’incidenza e della progressione della retinopatia e della nefropatia diabetica, per quanto attiene alla prevenzione degli eventi cardiovascolari e della mortalità per cause cardiovascolari, occorre considerare alcuni fattori aggiuntivi(9). Il rapporto tra il controllo dell’iperglicemia e gli outcome cardiovascolari nel diabete di tipo 2 è infatti non del tutto definito. Gli studi ACCORD, ADVANCE e VADT non hanno mostrato alcun effetto benefico del controllo intensivo della glicemia sugli endpoint cardiovascolari primari nella popolazione complessiva dei pazienti con diabete di tipo 2. Tuttavia, l’analisi dei sottogruppi ha fornito evidenze che il potenziale effetto benefico dipende in gran parte dalle caratteristiche dei pazienti, tra cui l’età, la durata del diabete, il livello di controllo dell’iperglicemia nel periodo precedente, la presenza di malattia cardiovascolare, e il rischio di ipoglicemia. Il vantaggio del controllo intensivo dell’iperglicemia anche sugli endpoint cardiovascolari potrebbe essere infatti evidente se fossero oggetto del trattamento intensivo soggetti più giovani, con breve durata di malattia, con aspettativa di vita relativamente lunga, con livelli di HbA1c abitualmente inferiori a 8,0%, senza malattia cardiovascolare, senza rischio di ipoglicemia o da ipoglicemia, e che una volta esposti al trattamento intensivo mostrano una riduzione soddisfacente dei livelli di HbA1c. In particolare, i vantaggi potrebbero essere più evidenti se si utilizzassero farmaci non associati al rischio di eventi ipoglicemici e con effetti favorevoli sui fattori di rischio cardiovascolari (pressione arteriosa, peso corporeo, infiammazione) e sulle cellule dell’apparato cardiovascolare (endotelio, miocardiociti)(9). Approccio terapeutico basato sulla patogenesi del diabete o su approcci di tipo farmacogenetico Nella scelta della terapia finalizzata alla correzione dell’iperglicemia si può immaginare un approccio basato sulla identificazione dei meccanismi di malattia (patogenesi) e sull’uso di farmaci in grado di correggere le principali alterazioni fisiopatologiche presenti nel singolo paziente (Fig. 1). Come è noto, i fattori patogenetici chiave del diabete di tipo 2 sono l’insulino-resistenza e la disfunzione beta-cellulare; essi precedono e predicono il diabete e sono anche i meccanismi su cui agiscono molti dei farmaci ipoglicemizzanti. La metformina ha dimostrato di ridurre la produzione epatica di glucosio, anche attraverso un aumento dell’insulino-sensibilità epatica(10). Tuttavia, sono i tiazolidinedioni l’unica classe di farmaci in grado di agire direttamente sulla correzione della insulino-resistenza nel diabete di tipo 2(11,12). Per quanto riguarda la disfunzione secretoria delle beta-cellule, le sulfoniluree, insulino-secretagoghi classici, aumentano la secrezione basale di insulina in pazienti con diabete di tipo 2, ma hanno un effetto meno marcato sulla secrezione stimolata dal glucosio. Altre classi di farmaci insulino-secretagoghi sembrano avere effetti più fisiologici. Infatti, sia con gli agonisti del recettore GLP-1 sia con gli inibitori della dipeptidil-peptidasi-4 (DPP-4) si ha un netto incremento sia della prima sia della seconda fase di secrezione insulinica e in maniera dipendente dai livelli della glicemia(13,14). La classe degli inibitori delle alfa-glucosidasi intestinali rallenta l’assorbimento dei carboidrati a livello intestinale. A breve, verranno introdotti anche in Italia farmaci, inibitori del co-trasportatore sodio-glucosio a livello del tubulo renale (SGLT-2), denominati gliflozine, che sono in grado di migliorare il controllo metabolico del paziente con diabete di tipo 2 correggendo l’iperglicemia attraverso un aumento della glicosuria. A tutt’oggi, però, non è semplice individuare le alterazioni fisiopatologiche presenti nel singolo paziente diabetico, almeno nel setting della comune pratica clinica e, di conseguenza, un approccio terapeutico basato su questo tipo di valutazione, sebbene teoricamente possibile(15), diventa di difficile attuazione. Forse l’unica classe di farmaci che 3 L’approccio personalizzato al trattamento dell’iperglicemia oggi potrebbe consentire un approccio terapeutico “patogenetico” è rappresentata dai tiazolidinedioni. Il pioglitazone corregge la resistenza insulinica a livello del muscolo scheletrico e potrebbe essere utilizzato con maggiore successo in quei pazienti caratterizzati da più spiccata insulino-resistenza per la presenza di obesità viscerale. I polimorfismi genetici di un singolo nucleotide (SNP) modulano l’efficacia dei farmaci e i loro effetti collaterali. Un esempio efficace di come la farmacogenetica può essere rilevante nel trattamento dell’iperglicemia è rappresentato dal diabete monogenico neonatale in cui è presente una mutazione del gene che codifica per la proteina Kir6.2. In questi pazienti, la terapia con sulfoniluree, che agiscono sulla proteina alterata, risulta più efficace della stessa terapia insulinica(16). Purtroppo, però, nel diabete di tipo 2 l’effetto della componente genetica, così come fino a oggi è stata studiata, influenza solo modestamente la variabilità della risposta al farmaco. Una recente revisione della letteratura ha suddiviso gli studi di farmacogenetica riguardanti la terapia orale dell’iperglicemia sulla base della funzione del gene identificato come modulatore degli effetti del farmaco(17). In conclusione, le evidenze a oggi disponibili dimostrano che la farmacogenetica è in grado di spiegare solo una proporzione della varianza interindividuale della risposta al farmaco e quindi non può essere attualmente utilizzata per la scelta della terapia migliore nel singolo paziente. Approccio terapeutico basato sul fenotipo clinico Nella scelta della terapia si può individuare un approccio basato sul fenotipo del paziente, approccio su cui è basato in parte l’algoritmo terapeutico proposto dall’ADA e dall’EASD(4,5). Nell’analisi del fenotipo del paziente e nella definizione degli obiettivi della terapia, va in prima istanza considerata la possibilità che lo sforzo terapeutico venga rivolto al paziente sbagliato, con caratteristiche cliniche tali da non permettere una risposta ottimale ai farmaci o, addirittura, tali da rispondere all’impiego dei farmaci con un eccesso di rischio. Il documento approntato dagli esperti ADA/EASD sulla terapia dell’iperglicemia incentrata sul paziente si focalizza, per la prima volta, su alcuni specifici fenotipi, prendendo in considerazione parametri relativi a età, peso, obesità, diabete autoimmune, diabete monogenico. È noto che i meccanismi patogenetici alla base del diabete sono eterogenei e complessi e che è auspicabile cercare di associare più farmaci con meccanismo di azione complementare, possibilmente in grado di intercettare le varie componenti fisiopatologiche della malattia. Se un approccio terapeutico di tipo “patogenetico” potrebbe considerare le alterazioni cellulari e molecolari a livello di specifici tessuti e organi e se un approccio di tipo “farmacogenetico” potrebbe considerare le varianti genetiche presenti nel singolo individuo, l’approccio terapeutico basato sul fenotipo dovrebbe tener conto delle caratteristiche cliniche del paziente, prendendo in considerazione non solo i benefici della terapia, ma anche gli eventuali effetti collaterali (Fig. 1). Caratteristiche cliniche Terapia basata su fenotipo • Effetti clicemici e non glicemici • Effetti indesiderati Comorbilità Iperglicemia Disfunzione d’organo Terapia patogenetica Alterazioni cellulari e molecolari Terapia farmacogenetica Alterazioni genetiche Figura 1 Possibili approcci al trattamento dell’iperglicemia nel diabete di tipo 2. Si possono individuare numerosi parametri, che rientrano nella definizione del fenotipo, in grado di influenzare la risposta alla terapia con farmaci ipoglicemizzanti o anti-iperglicemici (Fig. 2): a) parametri che definiscono il controllo glicometabolico (il livello di emoglobina glicata di partenza, la prevalente iperglicemia a digiuno o postprandiale, il rischio di andare incontro a eventi ipoglicemici, la velocità di progressione dell’iperglicemia); b) parametri relativi alle caratteristiche cliniche del paziente (la durata del diabete, l’età, la fragilità, il rischio derivante da episodi ipoglicemici, il fenotipo sovrappeso/obeso, la presenza di sindrome metabolica); c) presenza di specifiche comorbilità (l’insufficienza renale, epatica e cardiaca; la malattia cardiovascolare); d) presenza di problematiche neuropsicologiche (la disfunzione cognitiva, le alterazioni nelle capacità motorie, la ridotta compliance e aderenza); e) presenza di autoimmunità beta-cellulare (come nel diabete autoimmune dell’adulto o LADA) o di diabete monogenico. È tuttavia da osservare come non vi siano molti studi clinici che, in pazienti con caratteristiche cliniche specifiche o in presenza di definite alterazioni biochimiche, abbiano confrontato direttamente tra loro due o più farmaci in riferimento alla loro efficacia e sicurezza. È noto che i pazienti diabetici di tipo 2 con autoimmunità betacellulare (pazienti con LADA, identificati da anticorpi anti-GAD) progrediscono più rapidamente con la severità dell’iperglicemia e nella maggior parte dei casi richiedono l’impiego di terapia insulinica entro 6 anni dalla diagnosi(18). Peraltro, questa attitudine può essere accentuata se gli anticorpi anti-GAD sono presenti ad alto titolo(19). A tale proposito, si è evidenziato che la proporzione di pazienti affetti da LADA che manifestano un’insulino-dipendenza è inferiore se alla diagnosi viene instaurata la terapia insulinica rispetto alla terapia con sulfoniluree(20). In una metanalisi degli studi effettuati, in cui si 4 F. Giorgino Caratteristiche cliniche generali • Durata del diabete • Età e aspettativa di vita • Fragilità • Rischio da ipoglicemia • Sovrappeso/obesità • Sindrome metabolica Pattern delle alterazioni glicemiche • Livello di HbA1c alla presentazione • Velocità di progressione dell’iperglicemia • Iperglicemia a digiuno • Iperglicemia postprandiale • Escursione glicemica prandiale • Frequenza di ipoglicemie • Variabilità glicemica Comorbilità specifiche • CHD/CVD • Insufficienca cardiaca • Insufficienza epatica, NAFLD/NASH • Insufficienza renale, CKD Problematiche neuropsicologiche • Compliance e aderenza • Disfunzione cognitiva • Alterazioni nelle capacità motorie Meccanisimi specifici di malattia • Autoimmunità beta-cellulare (es. LADA) • Diabete monogenico (es. MODY) è analizzato quale endpoint finale il livello di HbA1c, è stato anche osservato un certo effetto della terapia insulinica precoce su questo parametro(21). La classe farmacologica dei tiazolidinedioni mostra un’efficacia terapeutica maggiore in presenza di obesità, in particolare viscerale, individuata da valori più alti di circonferenza vita, come è stato evidenziato da una sottoanalisi dello studio ADOPT(22). A tale proposito, va ricordato che la metformina e i tiazolidinedioni, pur essendo generalmente considerati entrambi indistintamente farmaci “insulino-sensibilizzanti”, esercitano il rispettivo effetto anti-iperglicemico con meccanismi in larga misura differenti. La metformina interferisce con il metabolismo energetico e produce un aumento dei livelli cellulari di AMP con attivazione della AMP chinasi e riduzione successiva della gluconeogenesi; un recente lavoro ha anche dimostrato come questo effetto si possa produrre a seguito della inibizione dell’azione del glucagone a livello epatico(23). D’altra parte, i tiazolidinedioni sono in grado di aumentare la sensibilità insulinica per la loro capacità di ridurre l’accumulo ectopico di trigliceridi e per l’azione antinfiammatoria; questi effetti spiegano la maggiore capacità di questi farmaci di correggere la resistenza insulinica rispetto alla metformina, e anche la loro spiccata efficacia sulla riduzione dell’iperglicemia nei pazienti con diabete di tipo 2 e obesità viscerale(12). Al contrario, la metformina non funziona meglio nel soggetto obeso rispetto al soggetto non obeso, come dimostrato da un ampio studio condotto su una coorte di diabetici del Regno Unito(24), in cui il valore di BMI al baseline non prediceva l’entità di riduzione della HbA1c in seguito al trattamento con metformina. Nel paziente obeso, la perdita di peso può migliorare la risposta alla terapia ipoglicemizzante. Questo aspetto è più evidente se ci si riferisce alla classe degli incretino-mimetici, che come è noto sono in grado di promuovere il calo ponderale. Infatti, in studi condotti con exenatide e liraglutide, i soggetti che riportavano una maggiore perdita di peso conseguivano risultati lievemente migliori in termini di riduzione dei livelli di HbA1c(25,26). Nei pazienti obesi va anche menzionato il ruolo Figura 2 Caratteristiche del fenotipo e meccanismi specifici di malattia che possono influenzare la risposta alla terapia anti-iperglicemica nel diabete di tipo 2. CKD: chronic kidney disease; LADA: latent autoimmune diabetes of adulthood; MODY: maturity onset diabetes of the young; NAFLD: non-alcoholic fatty liver disease; NASH: nonalcoholic steatohepatitis. della chirurgia bariatrica. Due studi recenti(27,28) hanno confrontato direttamente la terapia medica e due tecniche di chirurgia bariatrica in pazienti con diabete di tipo 2 e obesità. In entrambi i casi è stata dimostrata la maggiore efficacia della chirurgia bariatrica rispetto alla terapia medica sui livelli di HbA1c. Se si considera il paziente con diabete di tipo 2 e sindrome metabolica, non va dimenticato che gli incretinomimetici hanno dimostrato di correggere, oltre al peso corporeo, anche altre componenti della sindrome metabolica, quali i livelli di pressione arteriosa e di lipidi circolanti, sia in studi registrativi sia di intervento(29,30). È inoltre disponibile uno studio, condotto fino a 2 anni, sugli effetti favorevoli di liraglutide su queste varie componenti anche in soggetti a rischio di diabete, di cui il 45% con sindrome metabolica(31,32); queste evidenze rappresentano il fondamento per un possibile uso di liraglutide nel trattamento dell’obesità anche in assenza di diabete. Un altro aspetto importante nella valutazione del fenotipo del paziente e della terapia farmacologica per la correzione dell’iperglicemia riguarda i possibili svantaggi delle singole classi di farmaci in categorie specifiche di pazienti. Per esempio, i pazienti anziani con rischio di disidratazione e malnutrizione potrebbero non beneficiare del tutto dell’utilizzo degli incretino-mimetici che, come è noto, producono con una certa frequenza nausea e perdita di peso e possono quindi peggiorare la condizione di disidratazione e malnutrizione(33). Anche la complessità della procedura di somministrazione del farmaco può nell’anziano rappresentare un limite per il successo della terapia. Se sono poi presenti delle comorbilità, occorrerà prendere in considerazione le singole situazioni patologiche. Il paziente con malattia cardiovascolare potrebbe avvantaggiarsi dell’impiego degli incretino-mimetici, essendo tali farmaci dotati di effetti cardiovascolari favorevoli diretti e indiretti(15); tuttavia, su questa problematica le evidenze disponibili derivano solo da analisi retrospettive di studi di fase 2/3 e non da studi di intervento, che sono in fase di svolgimento. La condizione di 5 L’approccio personalizzato al trattamento dell’iperglicemia oggi epatopatia su base non alcolica (NAFLD/NASH) potrebbe giovarsi dell’uso del pioglitazone, che diminuisce l’accumulo di lipidi a livello epatico, migliorando una parte delle alterazioni istologiche nel fegato. Gli studi a supporto di questo effetto sono però di durata relativamente breve (massimo 12 mesi)(34), e non sono quindi noti gli effetti a lungo termine. Anche per la liraglutide è stato segnalato un effetto favorevole sul grasso epatico e sui livelli di transaminasi, sebbene in questo caso sia mediato dalla perdita di peso e dal miglioramento del controllo glicemico(35). Infine, diversi studi sottolineano i rischi di impiego di alcune specifiche classi di farmaci ipoglicemizzanti nei pazienti con compromissione della funzione renale, per cui l’impiego di questi farmaci andrebbe realizzato considerando attentamente il livello di compromissione del filtrato glomerulare(36). Fenotipo glicemico e scelta della terapia anti-diabete Un elemento che potrebbe aiutare nella scelta del farmaco anti-diabete e nella personalizzazione della terapia è rappresentato dal fenotipo glicemico, un termine che individua l’esistenza di pattern differenti di iperglicemia nei diversi pazienti con diabete di tipo 2. Esistono infatti evidenze che alcuni pazienti presentano una prevalente iperglicemia a digiuno ovvero una prevalente iperglicemia postprandiale(37). È poi noto che i singoli farmaci per il trattamento dell’iperglicemia possono essere classificati anche in base all’esclusiva o prevalente efficacia sulla glicemia a digiuno o sulla glicemia postprandiale (Fig. 3). In un recente studio multicentrico italiano(38), pazienti selezionati per avere una prevalente iperglicemia postprandiale sono stati randomizzati al trattamento con nateglinide o glibenclamide, due secretagoghi beta-cellulari con diversa efficacia sulla glicemia postprandiale. Lo studio ha dimostrato un migliore controllo della glicemia a una o a due ore dopo un pasto misto quando veniva usata la nateglinide rispetto alla glibenclamide, anche se la nateglinide è notoriamente meno potente della glibenclamide nello stimolare la secrezione insulinica. Questo risultato dimostra che è possibile scegliere il farmaco specifico per l’alterazione glicemica prevalente nel paziente. Il ruolo dell’automonitoraggio della glicemia capillare (self-monitoring of blood glucose, SMBG) nel paziente con diabete di tipo 2, in particolare in assenza di terapia con insulina, è stato a lungo dibattuto e continua a essere al centro dell’attenzione della comunità scientifica. Qualche anno fa, alcuni studi di intervento, come per esempio lo studio DiGEM, non erano stati in grado di evidenziare l’utilità del SMBG nel diabete di tipo 2 non trattato con insulina(39) e avevano anche sollevato alcune perplessità relativamente al rapporto tra costi ed efficacia nonché al possibile impatto negativo di questa procedura sulla qualità di vita della persona con diabete(40). Tuttavia, già a partire dal 2009, attraverso un documento contenente specifiche raccomandazioni(41), l’International Diabetes Federation (IDF) ha iniziato a proporre il SMBG come uno strumento della terapia globale del diabete di tipo 2, anche non insulino-trattato, nel senso di intenderlo quale parte integrante di un programma di educazione e di gestione terapeutica, utilizzato sia dal medico sia dallo stesso paziente per monitorare l’andamento della malattia e attuare modifiche dello stile di vita e della terapia, inclusa quella farmacologica, per il raggiungimento del migliore controllo glicemico. Questa modalità di concepire il SMBG ha trovato riscontro nella conduzione e conclusione di studi clinici controllati più recenti, che hanno esplorato l’utilità clinica dell’autocontrollo “strutturato”, inteso come un SMBG in cui la rilevazione della glicemia avviene in momenti della giornata prestabiliti, in grado di generare informazioni utili dal punto di vista fisiopatologico e clinico, e in cui viene dato ampio risalto all’interpretazione del dato glicemico da parte sia del paziente sia del medico per arrivare a una modifica del comportamento e/o a una decisione terapeutica clinicamente rilevante. È il caso degli studi STeP(42), ROSES(43), St. Carlos(44) e di altri studi(45,46), in cui l’implementazione del SMBG ha prodotto un beneficio sul controllo glicemico anche nel diabete di tipo 2 non trattato con insulina. Infine, lo studio PRISMA, condotto su oltre 1000 pazienti presso 38 centri di Metformina Insulina basale ++ +++ + + Iperglicemia a digiuno Iperglicemia postprandiale Iperglicemia a digiuno Iperglicemia postprandiale Figura 3 Efficacia di diversi farmaci anti-diabete su glicemia a digiuno e glicemia postprandiale. Iperglicemia a digiuno Iperglicemia postprandiale Insulina Agonisti recettori GLP-1 (short-acting) prandiale Acarbosio Glinidi DPP-4 Inibitori – –/+ + + + ++ ++ ++ +++ +++ Sulfoniluree Pioglitazone SGLT-2 Inibitori Agonisti recettori GLP-1 (long-acting) +/++ ++ +/++ ++ ++ +/++ ++ ++ 6 F. Giorgino diabetologia in Italia, ha dimostrato su una coorte più ampia di pazienti, seguita per maggior tempo (12 mesi), l’utilità dell’analisi della glicemia condotta attraverso un autocontrollo strutturato per la scelta del farmaco anti-diabete e l’impatto favorevole sul controllo glicometabolico(47). Un’importante componente dell’adozione del SMBG strutturato nel gruppo di intervento è stata l’individuazione delle alterazioni della glicemia nei singoli pazienti e l’instaurazione o la modifica della terapia farmacologica (e non) in base alle alterazioni glicemiche prevalenti e alle caratteristiche di efficacia dei singoli farmaci ipoglicemizzanti su parametri quali glicemia a digiuno, glicemia postprandiale e rischio di ipoglicemia; di conseguenza, le modifiche del tipo e della dose dei farmaci ipoglicemizzanti erano basate non solo sulla valutazione dei livelli di HbA1c, ma anche sui risultati del SMBG. Questo approccio ha evidenziato una maggiore riduzione dei livelli di HbA1c nel gruppo di intervento con SMBG strutturato rispetto al gruppo di controllo, in associazione a un maggior numero di modifiche della terapia ipoglicemizzante e senza aumento del peso corporeo (anzi, con maggiore riduzione del peso) o ipoglicemie gravi. Gli scenari futuri, anche quelli della gestione clinica e organizzativa del diabete(48), non potranno non tenere conto di questa prova definitiva dell’utilità ed efficacia clinica dell’analisi del fenotipo glicemico quale ulteriore elemento per la personalizzazione dell’approccio terapeutico nel diabete di tipo 2. Conflitto di interessi Partecipazione a Advisory Boards: AstraZeneca/BMS; Eli Lilly. Attività di consulenza: AstraZeneca/BMS; Boehringer Ingelheim; Lifescan; Merck Sharp & Dohme; Novo Nordisk; Sanofi; Roche Diagnostics. Finanziamento progetti di ricerca: AstraZeneca/BMS; Eli Lilly; Lifescan; Sanofi. Bibliografia 1. Nathan DM, Buse JB, Davidson MB, Heine RJ, Holman RR, Sherwin R et al. Management of hyperglycemia in type 2 diabetes: a consensus algorithm for the initiation and adjustment of therapy: a consensus statement from the American Diabetes Association and the European Association for the Study of Diabetes. Diabetes Care 2006;29:1963-72. 2. 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