la terapia farmacologica della depressione in età evolutiva: luci ed

Aprile-Giugno 2013 • Vol. 41 • N. 170 • Pp. 69-73
Adolescentologia
La terapia farmacologica della depressione
in età evolutiva: luci ed ombre
Gabriele Masi, Chiara Pfanner, Francesca Liboni
IRCCS Stella Maris per la Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, Calambrone (Pisa)
Riassunto
La depressione colpisce l’1-2% dei bambini, e fino al 4-6% degli adolescenti, e se non adeguatamente trattata, comporta un aumentato rischio di suicidio, tentato o completato, cronicizzazione o ricaduta, con negative conseguenze a lungo termine. La psicoterapia è il trattamento di elezione nei quadri
depressivi meno gravi, ma può essere scarsamente efficace nelle forme più gravi. La farmacoterapia può essere valutata nella depressione moderata che
non ha risposto a psicoterapia ed interventi psicosociali, o nella depressione grave. L’uso di antidepressivi in età evolutiva è andato aumentando negli
anni ’90, ma più recentemente la possibilità che essi possano favorire l’emergere di ideazione o comportamento suicidario in corso del trattamento ha
suscitato legittimi timori. Scopo di questa revisione è valutare i dati sull’efficacia della farmacoterapia nella depressione in età evolutiva, e di esaminare i
dati sul rischio di suicidalità nel corso del trattamento. I dati disponibili suggeriscono che alcuni farmaci antidepressivi inibitori selettivi della ricaptazione
della serotonina (SSRI), in particolare la fluoxetina (l’unico con indicazione in scheda tecnica per l’età evolutiva), sono più efficaci del placebo sui sintomi
depressivi, che tale effetto è maggiore negli adolescenti rispetto ai bambini, e nelle forme moderate e gravi rispetto alle forme meno gravi. L’aumento del
rischio di suicidalità in adolescenza, anche se modesto, è riportato in tutti gli studi controllati, anche se i dati epidemiologici non confermano un rapporto
diretto tra antidepressivi e suicidi completati. In sintesi, un uso degli antidepressivi prudente e attentamente monitorato può rappresentare una possibile
opzione terapeutica nella depressione di entità moderata o grave, ma non nelle forme lievi. Tale intervento deve prevedere l’integrazione con interventi
psicoterapici, familiari ed ambientali.
Summary
Major Depressive Disorder affects 1 to 2% of children and 4 to 6% of adolescents. When untreated, MDD leads to a high immediate and subsequent suicide
risk, long-term chronicity and poor psychosocial outcome. Psychotherapy can be effective in mild and moderate depression, but it may be poorly effective in
severe depression. Pharmacotherapy should be considered in moderate depression that does not respond to psychotherapy, or in severe depression. The use
of antidepressants has markedly increased during the ’90s, but in recent years, it has decreased in relation to concerns regarding the emergence of suicidality
during antidepressant treatment. Aim of this review is to explore the efficacy of antidepressants in children and adolescents depression, as well as the emergent
risk of suicidality during treatment. When data from controlled studies are pooled, there is evidence that some Selective Serotonin Reuptake Inhibitors (SSRIs),
namely fluoxetine, can improve adolescent depression better than placebo. Efficacy is higher in adolescents than in children, and in the moderate or severe than
in mild depression. The increased risk of suicidality in adolescents is weak, but consistent across most studies, although epidemiological studies do not support
a relationship between use of antidepressants and suicide rate. In summary, a cautious and well monitored use of antidepressant medications, combined with
other psychotherapeutic or psychosocial interventions, is a possible option in moderate to severe, but not in mild depression.
Introduzione
Il disturbo depressivo è caratterizzato da un persistente e pervasivo
abbassamento del tono dell’umore, con irritabilità, perdita di interesse o piacere in gran parte delle attività, associato ad altri sintomi
quali alterazioni dell’appetito e del sonno, calo di energia, difficoltà
di memoria e concentrazione, sentimenti di indegnità e di colpa, ricorrenti pensieri di morte, con grave impatto sul funzionamento sociale e scolastico (Masi et al., 1998). Tale condizione può coinvolgere
l’1-2% dei bambini e fino al 4-6% degli adolescenti, con tendenza al
miglioramento nella gran parte dei casi, in genere dopo diversi mesi,
ma con rischio di cronicizzazione, possibili conseguenze negative
sul piano funzionale, frequenti ricadute, nel 40% entro 2 anni e fino
al 70% entro 5 anni, almeno nelle forme più gravi (Masi et al., 1998).
Trattamenti efficaci per la depressione dell’età evolutiva sono sia di
tipo psicoterapeutico che farmacologico, anche se non sono ancora
del tutto chiari i predittori di risposta per ciascuno di questi interventi, e per la loro combinazione. Resta il fatto che una depressione
non trattata in modo adeguato è un importante fattore di rischio per
tentativo di suicidio, cronicizzazione e compromissione funzionale a
lungo termine (Fombonne et al., 2001).
L’efficacia dei trattamenti psicoterapeutici è confermata da diver-
si studi controllati e meta-analisi, che indicano come l’efficacia sia
maggiore nelle forme di gravità lieve o moderata (62% di responders
contro il 36% nella lista di attesa) (Harrington et al., 1998; Compton
et al., 2004; Weisz et al., 2006), ma la gravità della depressione appare il predittore più importante di scarsa risposta (Harrington et al.,
1998; Compton et al., 2004; Weisz et al., 2006), e che nelle forme
di depressione adolescenziale più grave la sola psicoterapia appare
scarsamente efficace (TADS Team, 2004).
Nell’ambito degli interventi farmacologici, i farmaci di prima scelta
sono gli Inibitori Selettivi della Ricaptazione della Serotonina (Selective Serotonine Reuptake Inhibitors o SSRI). L’ente regolatorio
europeo per i farmaci, l’European Medicines Agency (EMA) e l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) hanno approvato la fluoxetina per il
trattamento della depressione di entità moderata o grave in soggetti
di età superiore a 8 anni, che non abbiano risposto a 4-6 sedute di
psicoterapia. L’uso degli antidepressivi in età evolutiva, nella pratica
clinica generalmente limitato a soggetti adolescenti, è andato aumentando nel corso degli anni ’90, ma in anni più recenti il loro uso
è andato calando, per il timore che essi possano favorire ideazione
o comportamento suicidario nel corso del trattamenti (Olfson et al.,
2006). In questa review valuteremo i dati utili per un corretto bilan-
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G. Masi, C. Pfanner, F. Liboni
cio tra efficacia clinica e rischi, in particolare quello relativo alla suicidalità. Tali dati derivano da un’analisi critica della letteratura sulla
base dei dati di tutti gli studi randomizzati e controllati, in doppio cieco contro placebo, pubblicati su riviste recensite su PubMed e riferiti
esclusivamente a soggetti di età inferiore a 17 anni con diagnosi di
Depressione Maggiore. I dati relativi al rischio di suicidalità in corso
di trattamento con antidepressivi si riferiscono ad una analisi critica
di studi e meta-analisi che includono soggetti trattati con farmaci
antidepressivi, ed in cui sono disponibili informazioni specifiche su
soggetti in età evolutiva.
Farmacoterapia: i dati di efficacia
Studi randomizzati, controllati contro placebo
Una trattazione completa dei dati di efficacia degli SSRI è stata
recentemente riportata in una revisione critica (Masi et al., 2010).
Da tali dati emerge che la sola fluoxetina è sostenuta da tre studi
controllati che ne confermano l’efficacia (Emslie et al., 1997, 2002;
March et al., 2004). L’efficacia della sertralina è molto meno documentata, in quanto due studi controllati paralleli hanno raggiunto
la significatività clinica solo se combinati l’uno con l’altro (Wagner
et al., 2003). La superiorità del citalopram sul placebo è sostenuta
da uno studio (Wagner et al., 2004), ma non da un secondo (Von
Knorring et al., 2006), mentre in un più recente studio controllato e
limitato ad adolescenti l’escitalopram è risultato efficace e ben tollerato (Emslie et al., 2009), confermando un precedente studio in cui il
farmaco era risultato efficace negli adolescenti ma non nei bambini
(Wagner et al., 2006). La paroxetina è risultata efficace solo in alcuni
dei criteri secondari di risposta in un solo studio (Keller et al., 2001),
mentre due studi sono stati negativi (Emslie et al., 2006; Berard et
al., 2006), e quindi non appare sostenuta da evidenze empiriche. Tra
gli antidepressivi non SSRI, la venlafaxina (che agisce potenziando
sia la trasmissione serotonergica che quella noradrenergica), è risultata in due studi più efficace del placebo solo negli adolescenti (1217 anni), ma non nei bambini prepuberi (Emslie et al., 2007), mentre
in un terzo studio è risultata un’alternativa ugualmente efficace rispetto ad un SSRI in adolescenti che non avevano risposto in modo
sufficiente ad un primo trattamento con un SSRI (Brent et al., 2008).
In sintesi i dati da studi randomizzati e controllati in doppio cieco
contro placebo supportano la superiorità della fluoxetina come farmaco di prima scelta, mentre conferme più deboli sostengono sertralina, citaloproam, escitalopram, e, limitatamente all’adolescenza,
venlafaxina (Masi et al., 2010).
Meta-analisi
Una prima meta-analisi ha incluso 13 studi controllati con 2910 soggetti, il 61% dei quali è risultato rispondere in modo favorevole, rispetto al 50% dei soggetti trattati con il placebo (Bridge et al., 2007).
Tale differenza, molto modesta, può far sorgere il dubbio se sia legittimo utilizzare farmaci per una superiorità così scarsa. Il problema è
rappresentato essenzialmente dalla elevata risposta al placebo, che è
risultata ad una analisi più approfondita maggiore nei soggetti con depressione di lieve gravità e/o di età inferiore (Bridge et al., 2009). Se si
considera che nella pratica clinica la grande maggioranza dei soggetti
in età evolutiva trattati con farmaci sono adolescenti, e che i soggetti
con depressione lieve non devono ricevere farmaci, l’efficacia della
farmacoterapia della depressione adolescenziale di entità moderata
o grave dovrebbe essere chiaramente superiore rispetto al placebo.
In effetti, nello studio TADS, citato in precedenza, che include appunto
adolescenti di età superiore a 14 anni con depressione moderata o
70
Tabella I.
I farmaci antidepressivi (SSRI) nella depressione infantile.
Vantaggi
Svantaggi
Efficaci nel 50-60% dei pazienti
Non efficaci nel 40-50% dei pazienti
Sicurezza in overdose
Lento inizio di azione
Maggiore efficacia della
psicoterapia nella depressione
adolescenziale grave
Rischio di suicidalità
grave la fluoxetina era efficace nel 61% dei soggetti trattati rispetto
al 35% del placebo (effect size .69 con fluoxetina e .39 con placebo)
(March et al., 2007). Tali dati sono confermati da un’altra meta-analisi
(Usala et al., 2008), che include solo soggetti trattati con SSRI (11
studi e 1169 pazienti), con il massimo della efficacia per la fluoxetina
(OR=2.39), rispetto a sertralina (1.63) e citalopram (1.38), ma con differenze influenzate anche dagli strumenti di valutazione usati.
In sintesi, questi studi, ed in particolare il TADS, indicano che almeno nel breve termine la fluoxetina è superiore alla psicoterapia
ed al placebo, ma soprattutto se si escludono le depressioni lievi,
e soprattutto negli adolescenti. Che fare però nei soggetti che non
rispondono adeguatamente al primo trattamento con un SSRI come
la fluoxetina? Un altro studio controllato e con finanziamento pubblico, il Treatment of Resistant Depression In Adolescents (TORDIA) ha
esplorato la migliore strategia, confrontando l’efficacia del passaggio ad un secondo SSRI, oppure il ricorso alla venlafaxina, ed in entrambi i casi con o senza aggiunta della psicoterapia (Brente et al.,
2008). Circa il 40% dei soggetti resistenti al primo SSRI risponde alla
seconda strategia, senza significative differenza tra il secondo SSRI
e la venlafaxina, ma la aggiunta della psicoterapia aumenta la possibilità di risposta positiva (fino al 54% dei resistenti al primo SSRI).
Antidepressivi e suicidalità
Antidepressivi e rischio di suicidalità negli studi in età evolutiva
Il concetto di “suicidalità” è molto ampio, includendo i pensieri suicidari, che possono essere vaghi e sporadici o ricorrenti, ed eventualmente associati a progettazione del tentativo), i comportamenti
suicidari, che possono essere atti preparatori senza esito, o possono
evolvere verso veri e propri tentativi di suicidio. I tentativi di suicidio
a loro volta possono essere privi di implicazioni mediche, o presentare implicazioni mediche più e meno gravi, fino ad arrivare ad un
suicidio completato. L’andamento secolare di questi diversi tipi di
suicidalità è diverso, poiché negli ultimi anni si era registrato un calo
dei suicidi, ma non della ideazione suicidaria (Kessler et al., 2005).
L’ideazione suicidarla lifetime e in un anno in adolescenti USA è rispettivamente 30% e 19%, i comportamenti autolesivi sono rispettivamente 13% e 10% (Evans et al., 2005), mentre i suicidi completati
sono sia in USA che in Italia 4-5/100.000. è quindi importante distinguere queste diverse forme di suicidalità, in quanto l’effetto degli
antidepressivi potrebbe essere diverso nelle diverse forme.
Dopo i primi timori su un possibile effetto degli antidepressivi sulla
suicidalità in età evolutiva, nel 2003 le agenzie regolatorie in USA
ed in Europa hanno sollevato timori, confermati dalle analisi della
Division of Drug Risk Evaluation della FDA (Hammad et al., 2006;
Mosholder et al., 2006), che ha valutato 22 studi, di cui 14 sulla depressione, in 2298 bambini ed adolescenti. La suicidalità (in senso
lato, dalla ideazione al comportamento, ma nessun suicidio com-
La terapia farmacologica della depressione in età evolutiva
pletato era riportato nei 24 studi) era presente nel 4% dei soggetti
trattati con farmaci e nel 2% di quelli trattati con placebo. Questi dati
hanno indotto ad inserire nelle schede tecniche degli antidepressivi
una black box, che riporta il rischio di suicidalità in soggetti di età
inferiore a 18 anni (Whittington et al., 2004). Una successiva metaanalisi (Bridge et al., 2007), che include 13 studi e 2910 pazienti, ha
individuato ideazione suicidaria o comportamenti suicidari (nessun
suicidio completato) nel 3% di coloro che avevano ricevuto farmaci
e nel 2% di quelli con placebo. Anche lo studio TADS ha affrontato
il problema della suicidalità e, pur riscontrando una complessiva riduzione della suicidalità tra prima e dopo il trattamento, ha trovato
che il gruppo con maggiore miglioramento era quello che riceveva
psicoterapia associata al farmaco, mentre il gruppo che migliorava
meno era quello che riceveva solo fluoxetina (TADS Team, 2004).
Il predittore di maggiore rischio di suicidalità in questo studio era
la presenza di ideazione suicidaria prima del trattamento, valutata
con uno strumento specifico, ma anche una scarsa risposta al trattamento, con persistenza di sintomi depressivi valutati soggettivamente dai pazienti (Vitiello et al., 2009a). In altri termini, una depressione che non risponde al trattamento è di per sé un fattore di rischio
di comportamenti suicidari, mentre tale rischio non è significativo in
coloro che rispondono positivamente al trattamento.
Un elemento di rilievo è che confrontando l’effetto degli antidepressivi sulla suicidalità nelle diverse fasce di età (100.000 pazienti da
372 controllati contro placebo) (Stone et al., 2009) emerge che mentre nei soggetti anziani gli antidepressivi hanno un effetto protettivo su rischio suicidario, e negli adulti un effetto neutro, il rischio di
suicidalità aumenta nettamente nei soggetti più giovani, ed appare
quindi legato a fattori evolutivi, anche se le basi di questa maggiore
suscettibilità alla suicidalità nei più giovani è difficile da spiegare. È
comunque possibile che una parte dei comportamenti suicidari siano legati, oltre che ad un effetto diretto del farmaco, ad una sua non
corretta utilizzazione da parte dei clinici, in particolare in quelle condizioni che possono sembrare depressive, ma che in realtà appartengono all’ambito del disturbo bipolare, caratterizzato da una marcata instabilità dell’umore, in senso depressivo ma anche eccitato
(Masi et al., 2006, 2007, 2012). In questi soggetti la focalizzazione
sulle manifestazioni depressive con scarsa consapevolezza delle
componenti eccitate (euforia e megalomania, ma anche irritabilità,
agitazione, insonnia), può indurre ad incongrue somministrazioni di
antidepressivi, con effetto potenzialmente destabilizzante sull’umore e sul comportamento, con possibile aumento del rischio suicidario
(Masi et al., 2007). Per questo motivo sintomi di eccitazione che
emergano nel corso di un trattamento con antidepressivi dovrebbero
essere attentamente monitorati, ed in caso di loro comparsa indurre
ad una sospensione del trattamento.
Uso degli antidepressivi e suicide-rate in adolescenza
Secondo dati USA, dopo un significativo incremento del suicide rate
nella popolazione generale di adolescenti tra il 1970 e la metà degli
anni ’80, si è osservato un progressivo declino nella maggior parte
dei paesi occidentali negli anni ’90 (McKeown et al., 2006), ma con
una più recente ripresa dopo il 2003. Se si analizza l’andamento
dell’uso degli antidepressivi negli ultimi decenni, si è osservato un
forte incremento nell’uso di SSRI negli ’90, con successiva marcata
riduzione a seguito dei timori sul possibile effetto suicidario degli
antidepressivi successivo al 2003. Alcuni studi epidemiologici hanno
cercato di mettere in rapporto uso di antidepressivi e suicide rate
in bambini ed adolescenti (Olfson et al., 2003). Durante la fase di
aumento dell’uso di antidepressivi (1992-2001), il suicide rate si è
ridotto in USA dal 6,2 al 4,6 per 100,000 abitanti. Ad ogni aumen-
Tabella II
Monitoraggio in corso di terapia con antidepressivi.
Rivedere il paziente dopo 1 settimana, successivamente una volta al
mese nella fase di stabilizzazione, poi almeno una volta ogni 3 mesi
Nelle prime settimane monitorare la possibile attivazione comportamentale (irritabilità, agitazione, insonnia)
In ogni momento monitorare un possibile episodio maniacale
In ogni momento (in particolare nei primi 3 mesi) monitorare la possibile
comparsa di ideazione o comportamento autolesivo
Monitorare almeno ogni 3 mesi frequenza cardiaca, pressione arteriosa,
ogni 6 mesi altezza e peso
to dell’1% dell’uso di antidepressivi ha corrisposto una riduzione di
0,23 suicidi per 100.000 adolescenti ogni anno. Dopo il 2003 e 2004
l’uso di antidepressivi è sceso di circa il 22% sia in USA che in Olanda (Gibbons et al., 2007). In Olanda il suicide rate in adolescenza è
aumentato del 49%, con relazione inversa con la prescrizione di antidepressivi. In USA il suicide rate è aumentato del 14%, il maggiore
incremento annuale dal 1979. Naturalmente questa associazione
inversa tra suicide rate e uso di antidepressivi non deve far pensare
che gli antidepressivi siano un trattamento efficace contro il rischio
di suicidio, ma almeno suggerisce che nella popolazione generale
l’aumento di uso di antidepressivi non si associa ad aumento dei
suicidi completati.
Trattamento degli adolescenti con depressione che hanno
compiuto un tentativo di suicidio
Un elemento rilevante sul piano clinico è rappresentato dalla gestione clinica di soggetti che hanno commesso un tentativo di suicidio, e che continuano ad essere depressi, quindi a rischio di nuovo
tentativo di suicidio. Uno specifico studio del National Institute of
Health in USA (Treatment of Adolescent Suicide Attempters, TASA)
ha affrontato questo argomento in 124 adolescenti con tentativo
di suicidio negli ultimi 90 giorni (Vitiello et al., 2009a; Brent et al.,
2009). Dei 93 soggetti che hanno effettuato un trattamento intensivo
con farmaci (SSRI e associazione con litio nei non-responders) e
psicoterapia, si è osservata una remissione nel 50% dopo 6 mesi,
ed un miglioramento significativo nel 70%, con una riduzione della
ideazione e dei tentativi di suicidio paragonabile a quella dei soggetti
depressi non suicidari. Questi dati preliminari suggeriscono che una
strategia intensiva combinata, farmacologica e psicoterapeutica,
può rappresentare la prima scelta terapeutica in questi gravissimi
pazienti. Predittori negativi di efficacia sono la gravità (autovalutata)
della depressione, il numero di tentativi di suicidio, la scarsa tempestività dell’intervento, e la presenza di conflitti familiari o abuso
sessuale (Vitiello et al., 2009b).
Conclusioni
I dati dagli studi controllati indicano che gli SSRI possono migliorare la depressione adolescenziale più del placebo, mentre l’efficacia è minore nei bambini. Il trattamento farmacologico dovrebbe essere evitato nelle forme lievi, mentre nelle forme moderate
potrebbe essere considerato in coloro che non hanno risposto in
modo soddisfacente ad una psicoterapia per almeno tre mesi. Il
trattamento farmacologico dovrebbe essere considerato come
prima scelta nelle forme depressive più gravi, associato ad una
psicoterapia, soprattutto in presenza di ideazione suicidarla. L’in-
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G. Masi, C. Pfanner, F. Liboni
tensità della risposta è variabile, ma spesso di intensità moderata,
e può essere significativamente potenziata dal concomitante intervento psicopterapeutico.
Il farmaco con maggior evidenza di efficacia è la fluoxetina, tra l’altro l’unico con indicazione per la depressione moderata o grave in
età evolutiva disponibile in Italia. Nei soggetti che non rispondono
ad un SSRI dopo 4-6 settimane di trattamento può essere utilizzato
un secondo SSRI (sertralina, citalopram, escitalopram) o, in soggetti
adolescenti, la venlafaxina, pur ricordando che tutte queste opzioni
vengono usate al di fuori delle indicazioni della scheda tecnica, quindi off-label. Nelle forme che hanno risposto positivamente alla terapia, il trattamento farmacologico dovrebbe essere mantenuto per
almeno 6-8 mesi, ed un anno in quelle forme che hanno presentato
una risposta più tardiva o meno intensa, o nelle recidive. Il rischio di
comparsa di sintomi di eccitazione nel corso di terapia antidepressiva deve essere attentamente valutato e monitorato, soprattutto in
presenza di familiarità positiva per disturbo bipolare.
Il rischio di suicidalità nel corso del trattamento antidepressivo è
probabilmente debole, ma costantemente riportato nei vari studi e
meta-analisi, e richiede quindi una grande attenzione preliminare ai
trattamenti (in particolare un’attiva esplorazione di ideazione suicidarla o precedenti tentativi di suicidio nel soggetto e/o nei familiari).
Tale rischio è significativamente maggiore nei giovani rispetto agli
adulti, e potrebbe riguardare l’ideazione suicidaria ed i comportamenti autolesivi, mentre maggiori incertezze riguardano il rapporto
tra antidepressivi e suicidi completati. Un predittore di rischio è la
persistenza della depressione, e quindi l’obiettivo della strategia terapeutica dovrebbe essere sempre quello di ridurre la sintomatologia depressiva. Esiste il rischio che il timore di eventi suicidari in
corso di terapia antidepressiva possa portare a non trattare farmacologicamente i soggetti con depressioni più gravi, che sono invece
quelli a maggiore rischio suicidario e con maggiore efficacia della
terapia farmacologica. In questi casi devono essere attentamente
valutati tutti i possibili fattori di rischio suicidario, a partire da precedenti tentativi (il predittore più importante), per arrivare a fattori
clinici (es. il disturbo bipolare, il disturbo borderline di personalità),
l’uso di sostanze, ma anche ovviamente fattori ambientali, familiari
e sociali. Lo studio TASA indica che in questi soggetti la combinazione di un trattamento farmacologico e psicoterapeutico intensivo
aumenta le possibilità non solo di miglioramento, ma anche di remissione clinica.
Naturalmente nei casi di rischio suicidario, ma più in generale in
ogni disturbo depressivo dell’età evolutiva, la complessità della diagnosi, la valutazione della interferenza funzionale, la considerazione
dei possibili disturbi in associazione ed il rischio di viraggio maniacale e di ideazione autolesiva in corso di trattamento con antidepressivi impongono che la definizione della strategia terapeutica, ed
in particolare la indicazione della farmacoterapia siano di spettanza
dello specialista in Neuropsichiatria Infantile, mentre il pediatra potrà utilmente rappresentare un importante presidio nel monitoraggio
medico del trattamento.
Box di orientamento
Cosa si sapeva prima
La depressione maggiore in adolescenza è frequente, tende a recidivare, ed è un fattore importante di rischio per suicidio (tentato o completato), altre
comorbidità psichiatriche, ed interferenza con il successivo sviluppo sociale e scolastico.
Cosa sappiamo adesso
La psicoterapia è l’intervento di prima scelta nelle depressioni non gravi, ma può essere scarsamente efficace come unico intervento nella depressione
grave. Il farmaco con maggiore supporto di efficacia sulla base di studi controllati, e l’unico con indicazione in scheda tecnica per la depressione in età
evolutiva, è la fluoxetina. Dati dagli studi controllati confermano un debole, ma costante aumento del rischio di suicidalità (ideazione suicidaria, condotte
suicidarie) nel corso di trattamenti con antidepressivi in adolescenza.
Quali ricadute sulla pratica clinica
Nelle forme di depressione grave, o nelle forme di intensità moderata che non hanno risposto ad un intervento psicoterapeutico per almeno tre mesi, la
strategia terapeutica più efficace è rappresentata dalla combinazione di psicoterapia e farmacoterapia. Nel corso della farmacoterapia, e in particolare
nei primi tre mesi, deve essere effettuato un attento monitoraggio circa l’emergere di possibili pensieri o condotte suicidarie, in particolare in soggetti
con precedente ideazione autolesiva o con persistenza anche parziale di sintomi depressivi.
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** Un’importante meta-analisi sull’aumentato rischio di suicidalità in trattamento
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* Un’importante meta-analisi sulla efficacia delle psicoterapie in adolescenti
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** Un’attenta valutazione del rapporto rischi-benefici nel trattamento della depressione adolescenziale con antidepressivi.
Corrispondenza
Gabriele Masi, IRCCS Stella Maris, Viale del Tirreno, 331, 56128 Calambrone (Pisa). Tel.: +39 050 886111. Fax: +39 050 886290.
E-mail: [email protected]
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