Quanti pregiudizi contro le crociate

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Quanti pregiudizi contro le crociate
di Franco Cardini – Panorama - 27/04/2014
La condanna di Papa Francesco delle guerre di religione è un monito morale, non un giudizio storico. Ma
sul Medioevo circolano ancora troppe falsità.
Secondo una recente notizia, Papa Francesco, parlando ad alcuni gruppi di giovani, avrebbe «condannato
le crociate», per le quali già Giovanni Paolo II aveva addirittura «chiesto scusa». In realtà, il Santo Padre
è tornato semplicemente a insistere sul suo tema prediletto: la testimonianza nell’umiltà e nella
comprensione, l’inopportunità di affermazioni trionfalistiche della fede a loro volta, in ultima analisi, atto di
violenza simile a quello di chi avrebbe in passato voluto imporla con la forza.
Ma ciò equivale a una sconfessione, se non a una condanna, delle crociate storiche? Il Pontefice parla da
padre, da pastore, non da professore: non fa lezioni di storia. Quel che gli interessa è la sua «rivoluzione
cattolica», l’affermazione del bisogno di una testimonianza cristiana umile e mite nel mondo d’oggi. Egli
pensa al presente: e in funzione di esso invoca lo spirito di mitezza e di amicizia che spinse già Francesco
d ‘Assisi nel 1219-20, appunto durante una crociata, a incontrarsi con il sultano d’Egitto per mostrargli, al
di là dello scontro armato, quale potesse essere l’autentico volto pacifico del Cristianesimo.
Tutto ciò non comporta un giudizio di condanna delle crociate «storiche»: le quali furono comunque
obiettivamente molto diverse da come oggi vengono presentate nel diffuso giudizio comune e in una certa
pubblicistica divulgativa.
Dopo il VII secolo, cristiani e musulmani si erano in effetti spesso scontrati nel Mediterraneo; ma verso l’XI
secolo l’espansione islamica si era andata esaurendo mentre, viceversa, l’Europa era entrata in una nuova
fase d’incremento demografico, di rigoglioso sviluppo economico e commerciale, di espansione militare
verso la Sicilia, la Spagna, l’Africa settentrionale musulmane.
Nel 1095, durante un concilio a Clermont, in Alvernia, Papa Urbano II invitò gli esponenti del turbolento
ceto feudo cavalleresco, che tormentavano l’Europa con le loro guerre private e con le loro razzie, a lasciare
il continente per recarsi semmai come mercenari nell’impero bizantino (che era intento a respingere
l’invasione dei turchi provenienti dall’Asia centrale e islamizzati di fresco). Quei nobili signori sapevano fare
solo la guerra: andassero a farla altrove. L’Europa occidentale aveva infatti bisogno di pace interna per
svilupparsi. Il movimento che ne scaturì, chiamato appunto più tardi «crociata», si affermò tra XI e XIII
secolo attraverso spedizioni armate per la conquista, il mantenimento e poi (dopo una serie di sconfitte,
dalla fine del XII secolo in poi) la riconquista della Terrasanta. L’autorità pontificia assunse gradualmente
la guida del movimento utilizzandolo anche per altri scopi: la cacciata dei «mori» dalla penisola iberica,
l’affermazione della fede cristiana fra le popolazioni slave e baltiche, infine la lotta interna ai suoi nemici
religiosi (gli eretici) e anche politici. Si affermarono così una legislazione, un’amministrazione finanziaria,
una pratica propagandistica, addirittura una letteratura crociate. A partire poi dal Trecento, non si trattò
più di riconquistare la Terrasanta bensì di contenere il pericolo di nuovi invasori turchi, gli Ottomani. Il
movimento crociato si rinnovò e si protrasse fino al secolo XVIII, allorché l’impero ottomano cessò di essere
un pericolo per l’Europa. Le crociate si esaurirono gradualmente, dopo aver più volte mutato volto, con
l’affermarsi della modernità.
Le crociate non erano mai state comunque guerre condotte nel nome del fanatismo religioso. Né possono
essere oggetto di condanna «storica», poiché compito della storia non è né il giudicare, né il condannare,
né l’assolvere, bensì il comprendere razionalmente il senso del passato, le ragioni interne alla sua dinamica.
Contrariamente a un altro luogo comune oggi diffuso, le crociate non allontanarono affatto il mondo
cristiano da quello musulmano: furono anzi parte di un complesso contesto che vide intensificarsi, proprio
nel tempo del loro massimo sviluppo tra XI e XIII secolo, i traffici e gli scambi tanto economici e commerciali
quanto culturali e diplomatici. Dalle terre dell’Islam non ci arrivavano solo le spezie: ci giunsero anche, con
le traduzioni delle opere filosofiche degli antichi greci che avevamo dimenticato, nuove scienze desunte
dalla Persia, dall’India, perfino dalla Cina, come la matematica, l’astronomia, la chimica, la medicina.
Semmai, ci si può chiedere insieme con il grande storico Jacques Le Goff, recentemente venuto a mancare,
se le crociate non furono in fondo inutili: quell’intensa stagione di scambi si sarebbe prodotta comunque:
«L’unico frutto della crociata fu l’albicocca» era una sua impietosa boutade. Lo sono al riguardo meno
pessimista. Ma questa, come direbbe il vecchio Rudyard Kipling, è un’altra storia.
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