Silvia Piconese, una protagonista nel canto e nella ricerca

VITA DI RICERCATORE
Immunologia dei tumori
In questo articolo:
giovani ricercatori
immunologia dei tumori
linfociti T reg
Silvia Piconese,
una protagonista nel canto
e nella ricerca
Partita dalla Puglia per fare l’università a
Milano, la giovane ricercatrice è ora a Roma,
dove sta terminando i suoi studi sulle cellule
immunitarie coinvolte nella difesa antitumorale
a cura di FABIO TURONE
al Salento a Roma, passando per le nebbie di Milano:
la ragazza che da piccola
frequentava la scuola dalle
suore e alla domenica cantava come soprano solista nel coro della
Cattedrale della natìa Otranto non si accontenta di essere diventata
una ricercatrice di punta dell’AIRC. Adesso conta di rafforzare il legame con il fidanzato
cardiochirurgo – conosciuto
sui banchi del liceo – trasformandolo anche in un sodalizio scientifico: “Finalmente
negli ultimi tempi facciamo
vita di coppia, anche se stiamo
insieme da dodici anni” racconta Silvia Piconese. “Spesso
alla sera ci raccontiamo che
cosa abbiamo fatto nella giornata. Cristian, che dopo la laurea in medicina porta avanti la
specializzazione in cardiochirurgia, e io, che faccio esperimenti in laboratorio sull’immunologia
dei tumori, scopriamo che il punto di
vista dell’altro può alle volte fornire una
chiave di interpretazione nuova”.
D
La giovane
scienziata
segue AIRC
in tutte
le sue
iniziative
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Non a caso le vengono subito in
mente i nomi di Laurence Zitvogel e
Guido Kroemer, una coppia di scienziati francesi di spicco, marito e moglie,
che hanno contribuito a scrivere la storia dell’immunologia dei tumori, cioè
proprio l’ambito di ricerca in cui Silvia
si è cimentata con grande successo.
Dalla genetica
all’immunologia
“La mia tesi per la laurea magistrale in
biotecnologie mediche, presa nel 2004 all’Università di Milano, ha analizzato la suscettibilità genetica al tumore del polmone. Studiavo all’Istituto nazionale tumori
(INT) con Tommaso Dragani e Giacomo
Manenti, e furono alcune affascinanti lezioni di Antonio Siccardi, immunologo
molecolare, a far scoppiare in me un profondo interesse per l’immunologia, e poi
per l’immunoterapia dei tumori”.
Una passione che è stata coltivata grazie all’incontro con la figura che la giovane scienziata salentina cita in continuazione con riconoscenza: “Devo moltissimo a Mario Paolo Colombo, con il quale,
all’INT prima, e poi nella struttura di-
staccata chiamata Amadeo Lab, ho studiato per il dottorato di ricerca. Il laboratorio di Colombo è probabilmente il migliore per lo studio dell’immunologia su
modelli sperimentali” spiega con trasporto. “Non solo ho potuto imparare
moltissimo, ma grazie alla sua generosità ho anche avuto occasione di firmare
insieme a lui articoli su riviste molto importanti, come Nature Reviews Cancer,
Blood, Immunity e altre, in cui il mio
nome è pubblicato col massimo risalto.
Il finanziamento My first AIRC grant
l’ho ottenuto mentre lavoravo con lui”.
Pendolare per studio
L’oggetto principale della sua ricerca
sono particolari cellule del sistema immunitario, coinvolte nei processi grazie ai
quali il tumore riesce a eludere la sorveglianza dei sistemi di difesa e ad attecchire nell’organismo.
“In particolare mi sono occupata di
caratterizzare i meccanismi attraverso
cui il tumore induce la crescita delle
cellule T regolatorie (T reg), un tipo di
linfociti T in grado di sopprimere la risposta immunitaria antitumorale” spiega. “Ho indagato il meccanismo d’azione di un anticorpo che stimola un recettore importante collegato all’azione
delle cellule T reg osservando, in un
modello sperimentale, come questo anticorpo induce il rigetto del tumore”.
Il grant AIRC le ha permesso di approfondire queste ricerche, obbligandola
però a rinviare il trasferimento a Roma e
la convivenza con il fidanzato: “Cristian e
io ci conoscevamo dai tempi del liceo
scientifico, che ho frequentato a Maglie, a
16 chilometri da Otranto. Ogni mattina
prendevo il treno – con carrozze vecchissime, su una linea ferroviaria i cui binari
passavano in mezzo agli uliveti – insieme
a mia sorella Marina, più piccola di due
anni, che andava al classico”.
Per i genitori, entrambi di origine contadina ma convinti sostenitori delle ambizioni delle figlie, lo studio era la priorità,
accompagnata però dalla massima libertà
nella scelta dell’indirizzo: “Sono sempre
stata la prima della classe, non solo nelle
materie scientifiche” confessa con un sorriso, quasi prendendosi in giro da sola.
“Anche l’esperienza dalle suore, dell’Ordine delle maestre pie Filippini, la ricordo
con serenità, sebbene mi sia capitato di riparlarne a distanza di anni con compagni
di classe che ancora ricordavano con terrore i ceffoni ricevuti!”
Formazione on stage
Lo studio assiduo e il pendolarismo
non le impedivano di frequentare il coro
della Cattedrale, in cui cantava come soprano eseguendo anche dei brani da solista: “Credo che per la mia formazione
siano stati molto importanti sia i concerti in pubblico sia le recite organizzate
dalle suore, e poi l’esperienza di laboratorio teatrale portata avanti negli ultimi
due anni del liceo: mi hanno dato molta
sicurezza quando mi sono trovata ai congressi scientifici a dover descrivere i miei
primi lavori” racconta.
L’estate era dedicata all’azienda di famiglia, che il papà Mario aveva riconvertito in parte in agriturismo: “Io e mia sorella aiutavamo lui e mia madre Maddalena a gestire l’attività, e questo ci ha permesso di mantenerci e pagare gli studi a
Milano, soprattutto da quando mio papà
è mancato, nel 2001”.
Alla fine del liceo, infatti, Silvia sente
il bisogno di esplorare nuovi orizzonti:
“Dopo la maturità, il 90 per cento dei
miei compagni ha lasciato il paese, perché noi leccesi siamo gente che ha voglia
di conoscere il mondo”.
L’arrivo nel capoluogo lombardo non
è stato dei più semplici: “Milano non
l’ho amata tanto” racconta con una
punta di rammarico. “È una città difficile, in cui ho trovato freddezza e persino
atteggiamenti un po’ razzisti”. Il passaggio dalla vita in famiglia alla camera in
condivisione con studenti conosciuti attraverso un annuncio fu traumatico: “È
stato un vero shock, anche perché
avevo sottovalutato l’idea di andar via
da casa, ma alla fine è stato molto importante per me”. Andava in università,
alla Bicocca, in bicicletta, e spesso restava più del necessario in laboratorio,
anche perché a casa non c’era nessuno
ad aspettarla: “Certe sere, dopo il laboratorio, si andava a prendere l’aperitivo o
la pizza tutti insieme”.
Ogni tanto – ogni volta che era pos-
Silvia Piconese studia un sottotipo di
cellule immunitarie, i linfociti T
regolatori, che in caso di tumore
bloccano gli attacchi da parte di altri
elementi del nostro sistema di difesa.
Quando un tumore attacca un tessuto,
infatti, produce un ambiente favorevole
alla propria crescita attraverso l’invio di
segnali, sotto forma di sostanze
mediatrici, alle cellule immunitarie per
volgere la loro azione a proprio favore.
Analizzando i geni coinvolti in questo
processo, Piconese ha scoperto quelli
che, se manipolati attraverso farmaci
biologici come anticorpi mirati o
attraverso altre terapie, possono
cambiare l’atteggiamento dei linfociti T
regolatori nei confronti della malattia.
Come fanno le
cellule tumorali
a ingannare
le difese?
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VITA DI RICERCATORE
“
UNA TECNICA
MULTICOLOR
”
a tecnica su cui Silvia Piconese fa
più affidamento per le sue
ricerche si chiama
citofluorimetria: permette di studiare
le cellule estratte dai tessuti – nel suo
caso dai tessuti di fegato malato
provenienti dai pazienti cui è stato
appena trapiantato un fegato sano –
per verificare la presenza e l’attività di
specifici marcatori, che potrebbero
essere associati al tumore. “La tecnica
fornisce dati sia qualitativi sia
quantitativi” spiega “e richiede
macchinari sofisticati e un notevole
addestramento di chi esegue gli
esperimenti”. Con l’uso di sostanze
fluorescenti diverse è possibile
scoprire se sono presenti, e in che
misura sono attivi, diversi marcatori
potenzialmente utili nella terapia. I
campioni che arrivano dai chirurghi
epatici del Policlinico di Roma vengono
prima preparati nella cappa sterile – in
modo da estrarre i tessuti più ricchi di
cellule T reg – e poi analizzati al
citofluorimetro, dove la competenza
acquisita da Silvia Piconese le permette
di studiare contemporaneamente ben
11 “colori”, ovvero parametri biologici
di rilievo. L’applicazione alle cellule
umane delle scoperte effettuate sul
modello sperimentale ha riservato
alcune sorprese, che sono ora la base
per continuare a studiare le cellule T
reg e per riuscire a programmarle in
modo da reclutarle nella battaglia
dall’interno contro il tumore.
L
Silvia Piconese
sibile – passava il
con Vincenzo Barnaba week-end con Crie colleghi
stian, divenuto
nel frattempo il
suo fidanzato, che frequentava l’Accademia Militare a Modena dove studiava medicina. Per vedersi più regolarmente dovranno però aspettare il suo
trasferimento in una base NATO vicino
a Varese. Silvia, che nel frattempo sta
facendo il dottorato di ricerca nel laboratorio di Mario Colombo, riesce a vederlo più spesso.
Il ricongiungimento vero e proprio
avverrà però solo qualche anno più
tardi, e a quel punto
sarà proprio la ricerca finanziata da
AIRC ad avere la
precedenza: “La ricerca è partita nel
2009, e proprio la
volontà di non rallentare la delicata
fase iniziale mi ha spinto a rinviare al
2011 la decisione di trasferirmi a
Roma, dove Cristian aveva iniziato la
scuola di specialità in cardiochirurgia”.
oggi consiglio a tutti gli specializzandi. Avevo preso contatti con un gruppo di Harvard, negli Stati Uniti, ma poi
ho scelto di restare a Milano perché in
quel momento sentivo che la ricerca
stava funzionando talmente bene che
non volevo rischiare di inceppare
qualcosa. Non escludo però di passare
prima o poi un periodo di sei mesi in
qualche laboratorio di punta straniero”. Nel frattempo il laboratorio diretto da Vincenzo Barnaba nel Dipartimento di medicina interna della Facoltà di medicina dell’Università di Roma
le offre il contesto ideale per condurre
i suoi esperimenti su cellule umane
provenienti dal fegato di malati che
subiscono un trapianto d’organo.
Per il futuro sogna dei figli e magari
di tornare a Otranto per portare lì la sua
competenza e le sue ricerche di punta:
“È un sogno, ma in tante – tra cui l’amica Malù Coluccia, ricercatrice AIRC con
cui ho studiato a Milano e che oggi lavora proprio a Lecce, all’Istituto per le nanotecnologie – mi hanno incoraggiato a
pensare che non è impossibile.
Faccia a faccia
con le persone
Nel tempo lasciato libero dal laboratorio e dalla citofluorimetria a 11 colori
(vedi box) si dedica alla lettura di libri e
alle passioni condivise con Cristian, il cinema e il teatro. E più volte l’anno torna
a Otranto, dove in
tanti oggi riconoscono la piccola corista
nella giovane donna
che sul camice bianco espone con fierezza la targhetta di “ricercatrice AIRC” ai banchetti delle azalee: “Uscire dal laboratorio e incontrare
la gente è stata per me un’esperienza
molto forte, e molto importante”. Le domande che arrivano sono spesso difficili, e per una come lei da sempre abituata
a essere la prima della classe significano
rinnovare l’impegno per trovare al più
presto la migliore risposta. Con un pensiero che l’accompagna: “Ripenso a
Mario Colombo, che mi ha insegnato
come fare ricerca senza girare in tondo
ma andando dal punto A al punto B. Un
passo alla volta, ma sempre in avanti”.
Sogna di tornare
a Otranto
dove vive
la sua famiglia
Un giorno
andrò all’estero
L’approdo nella capitale arriva
dopo aver vagliato anche l’opzione di
espatriare: “Nel mio curriculum
manca un’esperienza all’estero, che io