Author: G. Francesco Tartarelli E-mail: [email protected] Documentario: 15 minuti nella vita dell’elettrone Clip del documentario Da 14:36 a 17:36 Regista: Luis Mariano Sesé Sánchez, José Antonio Tarazaga Blanco Produzione: UNED (Spain) Scientific level – Spiegazione per insegnanti Dopo la scoperta dell’elettrone (J. J. Thomson, 1897), si dedusse subito che gli elettroni sono contenuti negli atomi. Gli elettroni hanno una carica negativa. Tuttavia, dato che gli atomi sono generalmente neutri (a meno che non siano ionizzati), essi devono includere anche una carica positiva. Ci sono voluti parecchi anni e parecchi risultati sperimentali per capire come le cariche positive e negative sono distribuite all’interno di un atomo e infine capire la struttura degli atomi. Un grosso passo avanti in questi studi fu fatto grazie al lavoro di Ernest Rutherford e collaboratori nel periodo che va dal 1906 al 1913. Nel 1896 Henri Becquerel aveva scoperto che l’uranio e’ radioattivo, cioe’ che e’ instabile e che emette radiazione. La radiazione fu chiamata “raggi alfa” e fu piu’ tardi riconosciuta come nuclei di elio (due protoni e due neutroni). Studi sulla radioattivita’ continuarono ad essere sviluppati da Marie and Pierre Currie, Frederick Soddy e Ernest Rutherford. Furono Rutherford e Soddy che stabilirono che la radioattivita’ involve un cambiamento in massa e numero atomico di un elemento con l’emissione di radiazione di tre tipi: alfa (nuclei di elio), beta (elettroni) e gamma (fotoni energetici). Nel 1906 Rutherford stava studiando l’urto di particelle alfa (generate da un tubo contenente un altro materiale radioattivo: radon) attraverso sottili (circa 4 m di spessore, non abbastanza per fermare le particelle alfa) fogli di metallo (oro, argento), osservando l’allargamento del fascio su uno schermo fosforescente. Come era atteso, si osservava un piccolo angolo di deviazione del fascio con la maggior parte delle particelle che attraversavano il foglio diritte (in dipendenza dallo spessore e dal materiale del foglio). Tuttavia, nel 1909, due collaboratori di Rutherford, Hans Geiger e Ernest Marsden osservarono in un esperimento di questo tipo che in alcune occasioni le particelle alfa venivano deviate con un angolo di piu’ di 90o (cioe’ erano deviate all’indietro). Questo era un risultato inaspettato e sorprendente. L’urto tra le particelle alfa e il bersaglio e’ un urto Coulombiano: questo significa che e’ dovuto alle forze di Coulomb tra le particelle alfa cariche e le cariche all’interno degli atomi del bersaglio. A quel tempo si pensava che l’atomo seguisse il modello di Thomson che considerava l’atomo come una sfera di carica positiva uniforme nella quale erano inseriti gli elettroni negativi (come uvetta in un panettone). Le piccole deflessioni delle traiettorie delle particelle alfa che si osservavano comunemente erano spiegate come il risultato di tante piccoli urti tra il fascio incidente e le cariche atomiche. Questo modello, tuttavia, non poteva spiegare la frequenza di deviazioni a grande angolo osservate, anche sommando tanti urti particella-atomo. Rutherford mostro’ che la maniera di interpretare i dati era di immaginare l’atomo come fatto da una piccola regione di spazio (il nucleo) dove praticamente tutta la massa dell’atomo e’ concentrata e che porta una carica positiva, circondato dagli elettroni che si muovono attorno al nucleo. Le deflessioni a grande angolo erano spiegate come la repulsione delle particelle alfa dal nucleo. Questo e’ piu’ o meno quello che succede in urti tra palle da biliardo. Se si lancia una palla contro un’altra palla della stessa massa che e’ a riposo, non c’e’ maniera che la palla incidente sia deviata di piu’ di 90o. Bisogna avere una palla bersaglio con una massa molto maggiore di quella incidente per avere una deviazione cosi’ grande. Usando questo modello Rutherford derivo’ l’espressione matematica della sezione d’urto per un tale urto e riusci’ a riprodurre con succeso i dati ottenuti da Geiger e Marsden. 1 Consideriamo l’atomo piu’ semplice, l’atomo d’idrogeno. Il nucleo e’ fatto da una singola particella che porta una carica positiva, il protone. Se consideriamo il raggio della carica del protone otteniamo un valore dell’ordine di 10-15 m = 1 fm. La massa del protone e’ circa 900 MeV. L’atomo d’idrogeno ha un solo elettrone che occupa uno spazio che ha un raggio di circa mezzo Angstrom (1 Angstrom = 10-10 m) attorno al nucleo. L’elettrone e’ una particella elementare: non ha una struttura interna, e’ puntiforme ed ha una massa di 0.5 MeV. E’ chiaro da questi numeri che la massa dell’atomo d’idrogeno e’ la massa del nucleo mentre la dimensione dell’atomo e’ determinata dal raggio al quale possiamo ancora trovare la carica dell’elettrone. Questo significa che l’atomo e’ praticamente vuoto dato che la dimensione del nucleo e’ un fattore 105 piu’ piccola della dimensione dell’atomo. Queste ultime considerazioni sono vere anche per atomi piu’ pesanti, cioe’ atomi con un maggior numero di protoni (ed elettroni). Tuttavia, l’atomo d’idrogeno e’ particolare nel senso che tutti gli altri atomi hanno il nucleo fatto non solo da protoni ma anche da neutroni. I neutroni non portano carica elettrica e hanno una massa molto vicina a quella dei protoni. Come sono distribuiti gli elettroni attorno al nucleo? Una delle teorie piu’ di successo e’ stata quella proposta da Niels Bohr nel 1915. Essa assumeva che gli elettroni ruotavano attorno al nucleo in orbite circolari. Per la sua somiglianza col sistema solare era anche chiamato “modello planetario” dell’atomo. Tuttavia ci sono chiare differenze. Prima di tutto le orbite negli atomi non sono piane e inoltre la forza che tiene l’elettrone nella sua orbita non e’ la forza gravitazionale ma la forza attrattiva di Coulomb tra il nucleo e gli elettroni. Ma c’e’ anche una differenza molto piu’ eclatante. Consideriamo l’atomo d’idrogeno come esempio dato che e’ molto semplice. Quello che fu scoperto da Bohr studiando gli spettri atomici e’ che l’atomo non puo’ assumere ogni valore di energia: puo’ assumere solo valori discreti. Si dice che l’energia e’ quantizzata. Questo implica che sono permesse solo orbite di determinati raggi. Le energie dell’elettrone sono date dalla formula: E=-13.6 eV/n2 dove n e’ un numero intero. Il livello di energia piu’ basso (n=1, raggio piu’ vicino al nucleo) corrisponde allo stato fondamentale dell’idrogeno e ha una energia di E=-13.6 eV. Il livello successivo ha un’energia di 3.4 eV (primo livello eccitato) e cosi’ via. All’aumentare del numero quantico n i livelli di energia diventano sempre piu’ vicini. Le vere energie sono leggermente modificate da una serie di piccoli effetti: effetti spin-orbita, Lamb shift e la struttura iperfine. Gli atomi possono fare transizioni tra livelli energetici permessi. Per andare da uno stato di energia piu’ bassa E1 ad uno degli stati di energia superiore, diciamo E2, l’atomo deve assorbire fotoni con una energia corrispondente alla differenza in energia tra i due livelli energetici: h=E1-E2, dove h e’ la costante di Planck e e’ la frequenza del fotone. Viceversa gli atomi emettono un fotone per andare da un livello di energia piu’ elevato ad uno piu’ basso. Per l’atomo d’idrogeno, l’energia 13.6 eV e’ anche chiamata potenziale di ionizzazione dell’idrogeno. Questo significa che se forniamo questa energia all’atomo d’idrogeno, l’elettrone non e’ piu’ legato al nucleo. Questo significa che l’atomo d’idrogeno e’ ionizzato. Nonostante il suo successo iniziale, tuttavia, il modello di Bohr (e successive modifiche) ha problemi nello spiegare le piccole correzioni di energia prima ricordate e anche gli spettri degli atomi con molti elettroni. Il problema e’ dovuto al fatto che particelle come elettroni o protoni sono oggetti quantistici e il loro comportamento all’interno di un atomo obbedisce alle leggi della meccanica quantistica. In questo senso il modello di Bohr era un modello ibrido: incorporava alcuni concetti nuovi come la quantizzazione dell’energia ma usava ancora concetti classici per descrivere il moto degli elettroni all’interno dell’atomo. Basandoci sulla relazion di de Broglie p=h/, dobbiamo assumere che le particelle hanno anche una natura ondulatoria (e viceversa). Se possiamo trascurare questi effetti per gli oggetti comuni, non possiamo farlo per gli elettroni all’interno degli atomi. Una delle conseguenze piu’ importanti e’ che dobbiamo abbandonare l’idea di un elettrone come una particella localizzata descritta in meccanica classica, per esempio, da un vettore posizione e pensarlo piu’ come un’onda. Per descriverlo, un nuovo 2 concetto deve essere introdotto, quello di “funzione d’onda” . La funzione d’onda di una particella puo’ essere interpretata in maniera tale che il suo modulo quadro da’ la probabilita’ di trovare una particella in un punto dello spazio. Questo e’ un grosso cambiamento rispetto alla meccanica classica: non possiamo dire piu’ dov’e’ “esattamente” una particella. Possiamo solo parlare in termini probabilistici. La funzione d’onda di un sistema e’ determinata da un’equazione proposta da Erwin Schrödinger, che e’ chiamata equazione di Schrödinger. Questa equazione sostituisce le equazioni di Newton della meccanica classica. Per calcolare i livelli energetici dell’atomo d’idrogeno bisogna risolvere l’equazione di Schrödinger per questo sistema, tenendo conto che gli elettroni sono soggetti alla forza di Coulomb dovuta all’interazione col nucleo. Le funzioni d’onda dell’elettrone in un atomo sono chiamate orbitali e, in accordo con quanto gia’ detto, i loro moduli quadri rappresentano la probabilita’ di trovare l’elettrone in un certo punto attorno al nucleo. Gli orbitali prendono il posto delle orbite classiche del modello di Bohr. L’orbitale dello stato fondamentale, quello con energia minima, e’ chiamato 1s; ha una simmetria sferica attorno al nucleo e decresce esponenzialmente con la distanza dal nucleo. Analogamente, per il numero quantico principale successivo n=2, avremo un orbitale chiamato 2s che corrisponde ad una energia piu’ elevata e da’ una probabilita’ maggiore all’elettrone di essere ad una certa distanza dal nucleo. Tuttavia per n=2, appaiono due nuovi numeri quantici: il numero quantico del momento angolare l e il numero quantico m, che corrisponde alla terza componente del momento angolare. Per n=2, e’ permesso solo l=n-1=1. L’orbitale per n=2 e l=1 e’ chiamato orbitale 2p. Questo orbitale non ha simmetria sferica ma consiste di due lobi opposti con una probabilita’ nulla di trovare l’elettrone alla posizione del nucleo. Il terzo numero quantistico ml=-l,0,+l corrisponde alle tre possibili orientazioni dei lobi. In genere un orbitale 2p ha una energia maggiore di un orbitale 2s: tuttavia l’atomo d’idrogeno fa eccezione e i due orbitali hanno la stessa energia. Fino ad ora abbiamo discusso solo l’atomo d’idrogeno per la sua semplicita’. Le cose diventano piu’ complicate per atomi con numeri atomici maggiori a causa dell’aumentato numero di elettroni e anche perche’ gli elettroni cominciano ad interagire l’uno con l’altro. L’elemento successivo all’idrogeno e’ l’elio che ha due elettroni. La semplice idea di mettere entrambi gli elettroni nell’orbitale 1s (e la disposizione e’ indicata come 1s2) per minimizzare l’energia si rivela giusta (a parte una certa distorsione introdotta dalla interazione tra i due elettroni). Tuttavia per continuare ad applicare l’idea di mettere elettroni nell’orbitale di energia piu’ bassa anche ad atomi piu’ pesanti, dobbiamo tenere in conto di un principio generale, il “principio di esclusione di Pauli”. Questo principio afferma che non ci possono essere due elettroni in un atomo con gli stessi numeri quantici. Possiamo mettere due elettroni nello stesso orbitale 1s nell’atomo di elio perche’ c’e’ un ulteriore numero quantico coinvolto, il cosidetto numero quantico di spin che per gli elettroni puo’ essere +½ o - ½ e cosi’ i due elettroni dell’elio hanno spin opposti. Tuttavia quando arriviamo all’elemento successivo nella tavola periodica degli elementi, il litio che ha tre elettroni, il principio di Pauli permettera’ di avere solo due elettroni nell’orbitale 1s e il terzo elettrone deve andare nell’orbitale piu’ energetico successivo che e 2s. Cosi’ la struttura elettronica del litio sara’ 1s22s. Usando argomenti simili si possono costruire le strutture elettroniche di tutti gli elementi. E’ difficile qui sottolineare l’importanza e la generailita’ del principio di Pauli. Senza questo principio le strutture atomiche degli elementi o la conduzione elettrica non sarebbero comprensibili. Il principio tuttavia e’ anche piu’ generale e si applica non solo agli elettroni ma anche a tutte le particelle che hanno spin semi-intero, come protoni e neutroni (e i loro costituenti, i quark). Tutte queste particelle sono chiamate fermioni. 3