La monade leibniziana (1.5) (di Giuseppe Rinaldi) Leibniz (1646-1716) appartiene alla corrente razionalista e fu autore di una delle più interessanti metafisiche del secondo Seicento. La metafisica leibniziana è incentrata intorno alla nozione di “monade”. Il termine “monade” significa all’incirca “elemento unitario”; la monade è per Leibniz l’elemento ultimo, costitutivo di tutta la realtà. Questa nozione è analoga, sebbene alternativa, alla nozione di atomo o di corpuscolo. Leibniz l’ha elaborata proprio in contrapposizione al meccanicismo cartesiano. Il termine monade non è tuttavia leibniziano; era stato introdotto da Giordano Bruno che intendeva la monade come il minimo, ovvero come l’unità minima indivisibile che costituiva tutte le cose. Leibniz ha introdotto questo termine nel 1696, anche se il concetto corrispondente era stato elaborato in precedenza. Per comprendere il concetto di monade occorre tener conto del fatto che Leibniz è stato anche un grande logico e matematico1. La sua dottrina delle monadi è stata elaborata anche in relazione ai suoi interessi logico - matematici. …-=O=-… Cosa sono le monadi? Per chi conosce Cartesio, non sarà difficile comprendere immediatamente il principio fondamentale della metafisica leibniziana: occorre immaginare una metafisica in cui non esista il dualismo tra res cogitans e res extensa e in cui esista solo ed esclusivamente la res cogitans. Tutta la realtà ci apparirà dunque come costituita esclusivamente di tanti soggetti unitari che si fondano da sé, di tanti io penso, cartesianamente intesi. Tuttavia, avendo eliminato l’estensione, questa molteplicità di soggetti unitari non sarà collocata in nessun luogo: si pensi a un insieme di punti privi di dimensione fisica. Queste sostanze pensanti, invece di essere poste in relazione con una sostanza corporea per costituire un individuo (secondo la metafora cartesiana del “fantasma dentro la macchina”), si rappresentano idealmente la loro stessa corporeità (e la loro stessa collocazione in un mondo esterno) come fosse un loro attributo. Le monadi sono dunque sostanze logiche2, più o meno autoconsapevoli, prive di parti materiali e di estensione; in quanto prive di estensione esse sono anche indivisibili3. Le monadi sono in numero infinito, sono state create da Dio e sono in linea di principio eterne. Solo Dio può crearle o, eventualmente, annullarle. Merita una riflessione la caratteristica delle monadi di essere autoconsapevoli. Ciascuna monade può essere concepita come una “mente” a sé stante, ovvero come un soggetto logico (essendo le monadi di natura logica, la loro attività sarà di natura logica!) dotato di alcune tipiche facoltà della res cogitans, come ad esempio l’autocoscienza4, la rappresentazione e la concettualizzazione. Tuttavia, non facendo parte di una res extensa, tutto ciò che viene rappresentato e concettualizzato dalla monade logica, sia come mondo interno che come mondo esterno alla monade, è sempre una auto rappresentazione della monade stessa (si pensi al soggetto cartesiano dove tutte le idee ivi contenute siano un prodotto del soggetto stesso!). Le autorappresentazioni delle monadi non sono tuttavia dei 1 E’ celebre la sua disputa con Newton intorno alla priorità dell’invenzione del calcolo infinitesimale. Già nella sua Metafisica Aristotele si chiedeva se fosse possibile l’esistenza di una forma pura, separata dalla materia. Ebbene, la forma aristotelica separata può essere concepita come una sostanza logica. Le idee di Platone possono essere considerate come sostanze puramente logiche. 3 Devono essere prive di parti e di estensione perchè non sono materiali: solo la materia potrebbe essere estesa e divisibile. Si possono immaginare come tanti punti geometrici euclidei che – come è noto – sono senza dimensioni. Può stupire che nel sistema leibniziano non sia prevista la materia: per Leibniz la materia è una proprietà apparente di monadi che sono opache, poco spirituali (vedi oltre). 4 L’autocoscienza della monade viene chiamata da Leibniz appercezione, ovvero la consapevolezza della propria attività percettiva (o rappresentativa). 2 1 sogni solipsistici: ciascuna monade si rappresenta e pensa, dal suo particolare punto di vista, tutte le altre monadi5. Dal punto di vista ontologico, le monadi sono “centri di forza” (Leibniz, a differenza di altri filosofi del suo tempo, ammette e usa la nozione di forza o, come diremmo noi oggi, di energia). Le monadi sono soggetti attivi (l’attività delle monadi è stata concepita da Leibniz come una specie di energia) e sono caratterizzate dalla percezione (nei confronti delle altre monadi) e dall’appetizione (volontà). …-=O=-… Se non sono collocate nello spazio e nel tempo, se non sono materiali, cosa differenzia le monadi tra loro? In geometria sappiamo che, per definizione, il punto non ha dimensione. Potremmo dunque concludere genericamente che tutti i punti sono tra loro uguali. Se poi tutti i punti fossero assolutamente uguali, se non esistesse cioè nessuna differenza, neppure di collocazione nello spazio, allora tutti i punti sarebbero lo stesso punto. Lo stesso ragionamento si può fare con le monadi. Se le monadi logiche fossero tutte perfettamente uguali tra loro, ci sarebbe una sola monade. Poiché la realtà è indubitabilmente plurale, ciò significa che ci devono essere delle differenze tra le monadi. Ciascuna monade è caratterizzata dal complesso delle differenze qualitative (attributi) che la rendono tale6, cioè ben individuata, rispetto alle altre monadi (questo principio viene detto il principium individuationis leibniziano). Ogni monade, in base alle differenze logiche che la caratterizzano, costituisce dunque un punto di vista sul mondo, il che è lo stesso che dire che ogni monade è tutto l’insieme del mondo, ma considerato da un determinato punto di vista. Esistono tipi diversi di monadi. Data la loro complessità qualitativa, le monadi hanno infiniti gradi di distinzioni (complessi di differenze o gradi di complessità). Ci sono quelle che hanno minori differenze (attributi) rispetto alle altre (minore complessità), altre hanno maggiori differenze (attributi) rispetto alle altre (hanno maggiore complessità). Quindi tra le monadi viene a crearsi una gerarchia di complessità: le monadi meno complesse (come dice Leibniz, più opache) possono venir rappresentate, dalle monadi più complesse, sotto l’apparenza della materia7 (per Leibniz è la materia seconda; la materia prima è la potenzialità pura); quelle fornite di facoltà superiori come la memoria costituiscono gli esseri animati sensibili (animali), quelle fornite anche di ragione sono gli spiriti umani. …-=O=-… Allora, in base a quanto abbiamo detto finora, possiamo stabilire, seguendo Leibniz, quanto segue: -le monadi sono infinite di numero; -le monadi sono costituite di sostanza logica e non di materia; non si collocano nello spazio e nel tempo; -le monadi sono soggetti logici attivi, analoghi a menti in grado di produrre al proprio interno delle rappresentazioni di altre monadi; - quella che noi consideriamo volgarmente materia, altro non è se non la nostra (in quanto monadi) soggettiva rappresentazione di altre monadi più opache (la materia è dunque una nostra rappresentazione soggettiva); 5 Se ciascuna monade pensasse solo sé stessa, sarebbe più o meno corrispondente al Dio aristotelico che era “pensiero di pensiero”. Occorre comunque avere ben chiaro che le monadi non percepiscono le altre monadi attraverso organi di senso: la percezione, la rappresentazione, il pensiero per le monadi sono funzioni puramente logiche. 6 In termini logici, ciascuna monade è caratterizzata dal complesso dei suoi attributi: per conoscere la monade Alessandro, dovremmo elencare tutti, ma proprio tutti gli attributi (non importa se temporali, spaziali, fisici, intellettuali, morali…) di Alessandro. 7 La materia dunque altro non è se non un complesso di proprietà apparenti (colore, suono, durezza, superficie, …) mediante cui una monade può essere rappresentata da altre monadi. 2 -le monadi sono dunque degli universi “chiusi” in sé stessi, chiusi verso l’esterno (perché non esiste l’esterno!); ciascuna monade è un universo perché è un punto di vista particolare (dovuto alle sue specifiche differenze rispetto alle altre); -le monadi rappresentano logicamente (cioè rispecchiano, pensano) le altre monadi (stabilendo così una fitta rete di relazioni per così dire “incrociate”); in sostanza avremo tanti universi chiusi, non coincidenti per via delle loro specifiche differenze, che rappresentano dentro di sé una immagine di tutto il resto, una immagine non completa a causa della diversa forza rappresentativa; -le monadi differiscono per la loro “forza” intrinseca, ovvero per la loro capacità rappresentativa; -una sola monade è in grado di rappresentare perfettamente, con chiarezza, tutte le altre monadi: questa monade è Dio; -rispetto a Dio le altre monadi sono “menti” dotate di inferiore forza o capacità rappresentativa; esistono quindi monadi diverse, a seconda della loro forza di rappresentazione; -ciascun essere umano (inteso in senso logico - spirituale) è una monade, in grado di rappresentare nella propria mente una immagine non perfetta delle altre monadi; ciò costituisce il “punto di vista” specifico di ciascun essere umano, all’interno del quale cadono parzialmente, come oggetti, altri esseri umani, dotati loro stessi di un loro “punto di vista”; -gli animali, le piante, la materia inorganica sono costituiti di monadi, le quali hanno una ridotta capacità rappresentativa, per cui più che rappresentare esse vengono rappresentate. …-=O=-… Se ciascuna monade rappresenta dentro di sé tutto ciò di cui è capace, ogni monade sarà autonoma, seppure isolata. Sorge allora la domanda circa la coerenza delle autonome rappresentazioni delle diverse monadi. Già Cartesio, ipotizzando solo l’esistenza di due sostanze indipendenti aveva avuto il suo daffare per raccordarle (si ricordi l’ipotesi macchinosa della ghiandola pineale). Leibniz ha ipotizzato l’esistenza di infinite sostanze logiche soggettive autonome, per cui si è trovato anch’egli di fronte al problema del loro raccordo. Onde non cadere nel solipsismo, Leibniz ha postulato una armonia tra le monadi, dovuta a un supremo regolatore: Dio, monade delle monadi, il supremo “orologiaio”, rappresenta e armonizza le monadi tra loro. Una conseguenza di questa concezione è che tutto quel che accade nei rapporti tra le monadi è determinato da Dio (è questa la cosiddetta dottrina della armonia prestabilita). …-=O=-… La metafisica leibniziana va decisamente contro il senso comune secondo cui la realtà sarebbe fatta di oggetti materiali immersi all’interno dello spazio e del tempo. Cosa saranno allora lo spazio e il tempo in un modello di questo genere? Spazio e tempo non hanno nulla a che fare con coordinate spaziali e temporali entro cui si collochino le monadi: sono invece interni ad ogni monade, stanno nella “mente” delle monadi: sono conseguenze dell’attività rappresentativa di ciascuna monade (poiché ciascuna monade rappresenta (pensa) le altre monadi come collocate l’una accanto all’altra in uno spazio, oppure come succedentesi, in un ordine, nel tempo). Dunque spazio e tempo sono le modalità logiche o concettuali attraverso cui le monadi “pensano” o rappresentano le altre monadi. E’ questa la concezione concettualistica dello spazio e del tempo che sarà criticata da Kant nella sua Critica della Ragion Pura. …-=O=-… In che senso Leibniz era un filosofo razionalista? Le monadi individuali sono centri di forza in grado di rispecchiare dentro di sé tutte le altre monadi. Ma questo rispecchiamento è - in un certo senso - proporzionale alla loro forza: alcune monadi saranno dotate di un maggior forza di rappresentazione interna e quindi conterranno un “mondo rappresentato” assai ampio; altre conterranno un “mondo rappresentato” più limitato. Ci saranno monadi più ottuse di altre: una pietra rappresenta un uomo con 3 la sua impenetrabilità, con il suo peso,.. Ci saranno monadi meno ottuse: un uomo ha molti più modi di rappresentarsi la pietra… Esiste tuttavia una sola monade che sia in grado di rispecchiare perfettamente tutte le altre monadi, con tutta la rete di tutte le loro reciproche rappresentazioni interne: questa monade è la monade divina. Solo dalla prospettiva della monade divina si può cogliere la razionalità complessiva dell’architettura cosmica. Dalla prospettiva delle altre monadi inferiori si colgono solo aspetti parziali della razionalità dell’architettura divina. Ne deriva un’importante conseguenza: la razionalità di ciascuna monade sarà sempre e solo locale, sarà cioè, come si dice oggi, una razionalità limitata. Leibniz era convinto che Dio fosse eminentemente razionale, ma che tuttavia la sua razionalità non potesse essere colta pienamente dall’uomo: certe deliberazioni di Dio paiono infatti all’uomo incoerenti o addirittura ingiuste. Questo è il motivo per cui emerge, nella filosofia di Leibniz, la questione della teodicea8, ovvero la questione della “giustizia divina”. Secondo Leibniz, tutto quello che accade è razionale, ma solo rispetto alla razionalità globale della suprema monade divina; l’uomo, con la sua razionalità locale non può comprendere il punto di vista della razionalità globale. Quindi noi viviamo, senza saperlo, nel migliore dei mondi possibili. Questa concezione è stata – come è noto – presa di mira da Voltaire nel suo romanzo Candide. …-=O=-… La filosofia leibniziana venne particolarmente sviluppata da Wolff (1679 - 1754) e divenne assai popolare nelle università tedesche. Kant ebbe modo di studiare e conoscere approfonditamente le opere di Leibniz e Wolff, che ebbero su di lui una notevole influenza. In particolare, Leibniz si trova sicuramente all’origine del soggettivismo gnoseologico kantiano, ovvero della sua “rivoluzione copernicana”. Conoscendo bene il sistema di Leibniz – Wolff, Kant non deve avere fatto molta fatica a pensare che certe caratteristiche della natura – che noi, in termini di senso comune, consideriamo oggettive ed esterne a noi – fossero invece delle proiezioni del soggetto. La capacità delle monadi logiche di rappresentare, come in tanti universi paralleli, tutte le altre monadi deve avere contribuito senz’altro a spianare la via alla prospettiva soggettivistica. APPENDICE Poiché la dottrina leibniziana delle monadi è piuttosto controintuitiva, proporremo qui di seguito alcuni esempi e/o analogie. facendo riferimento a concetti già apparsi nella storia della filosofia. Esempio 1 – Come è già stato proposto nell’introduzione, per chi conosce la dottrina di Cartesio, non è difficile immaginare cosa sia una monade: occorre scomporre o moltiplicare all’infinito la res cogitans cartesiana; occorre immaginare un’infinità di entità logiche, dotate all’incirca delle stesse caratteristiche della res cogitans cartesiana, ognuna delle quali sarà completamente autonoma. Esse (sebbene non tutte) saranno dotate della facoltà dell’autocoscienza: penso, dunque sono; non avranno alcuna collocazione nello spazio e nel tempo (spazio e tempo per Cartesio erano appartenenti alla “res extensa”), saranno dotate di facoltà rappresentativa interna. L’unica cosa che possono fare tuttavia è rappresentare le loro relazioni con le altre monadi. Esempio 2 - Per chi conosce la dottrina di Parmenide, non sarà difficile immaginare le monadi come derivanti dalla moltiplicazione all’infinito dell’essere di Parmenide. Una molteplicità infinita di entità, ciascuna delle quali è un essere compiuto, chiuso in sé stesso, dove essere e pensare coincidono perfettamente: la monade è in quanto pensa - abbiamo detto che è una mente - e pensa in quanto è. Le 8 Dal greco theós ‘dio’ e díkē “giustizia”, con il significato di “giustificazione di dio”. 4 analogie però finiscono qui, perché l’essere parmenideo era del tutto semplice (privo di proprietà distintive). Esempio 3 – Si può giungere a concepire la monade anche a partire dal Dio di Aristotele. Come si ricorderà il Dio di Aristotele non poteva essere collocato nello spazio e nel tempo, era la pura identità logica, eminentemente semplice, pura forma, pensiero di pensiero. Ebbene, possiamo immaginare la monade come una specie di Dio di Aristotele moltiplicato all’infinito a causa del fatto che ciascuna replica possiede delle proprietà distintive rispetto alle altre. Poiché esistono infinite proprietà distintive, esisteranno infinite monadi diverse (monadi che avessero esattamente le stesse proprietà, sarebbero la stessa monade - ciò vale in base al principio leibniziano della identità degli indiscernibili). Ciascuna monade è quindi un punto di vista, un centro di attività rappresentativa. Essa rappresenta – per come le è consentito dalle proprie caratteristiche specifiche – non solo sé stessa, ma tutte le altre monadi. Ma questa rappresentazione intermonadica non avviene per contatto, ma attraverso l’intelletto divino, attraverso Dio che – monade delle monadi – le crea, le ordina e le rappresenta tutte. Esempio 4 - Per capire la nozione di monade può essere anche assai utile considerare l’iperuranio platonico. Esso era costituito da un numero indeterminato (non infinito) di idee (non materiali, quindi costituite della sostanza di cui sono fatte le idee, ovvero di “sostanza logica”). Ciascuna idea poteva avere (o non avere) delle relazioni con le altre, in tal modo così si costruivano le verità discorsive che il filosofo poteva conoscere attraverso la pratica filosofica della dialettica. Insomma l’iperuranio platonico è analogo a una rete di relazioni tra elementi che sono idee. Compito della filosofia era quello di discernere le relazioni vere da quelle non vere. Immaginiamo ora che ciascuna idea platonica, invece di essere esattamente quella che è, venga considerata come una piccola mente (un “centro di forza”), un soggetto individuale. Ebbene questo soggetto individuale, essendo costituito di “sostanza logica”, sarebbe in grado di pensare egli stesso tutte le proprie relazioni con le altre idee, in altri termini, di “rappresentare” o “rispecchiare” dentro di sé le proprie relazioni con le altre idee. In altri termini, possiamo pensare a un iperuranio platonico dove, entro ciascuna idea, ci sia una rappresentazione di tutte le altre idee. Esempio 5 – La nozione di monade è assai affine alla concezione rinascimentale del microcosmo – macrocosmo. In realtà quella del micro – macrocosmo è una concezione assai più antica del rinascimento e risale addirittura ai filosofi presocratici. Alcuni filosofi presocratici pensavano che la materia fosse divisibile all’infinito. Se la materia era divisibile all’infinito, allora in una fava ci potevano stare tante particelle quante nello stesso cosmo (due cose che sono costituite di un numero infinito di parti, hanno infatti lo stesso numero di parti). I pitagorici per primi avevano formulato la nozione di una corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo. Ogni individuo (considerato come microcosmo) portava impressa dentro di sé la memoria, i segni, della posizione delle sfere celesti nel momento della sua nascita: ciò ne faceva un individuo unico. Conoscendo dunque le posizioni delle stelle (macrocosmo) si potevano conoscere anche le caratteristiche dell’individuo (microcosmo) che fosse nato mentre le stelle erano in quella posizione. Questa antica concezione si trova alla base di tutti gli sviluppi dell’astrologia, fino all’astrologia rinascimentale e oltre. Nel rinascimento le nozioni di microcosmo e macrocosmo vennero ampiamente impiegate da molti filosofi nei loro sistemi (come risulta ad esempio in Nicola da Cues (o Nicola Cusano), oppure in Marsilio Ficino). Non è un caso che nel rinascimento l’astrologia abbia avuto un notevole sviluppo. Anche il tema centrale della religione cristiana, l’incarnazione di Cristo veniva spesso spiegata dai filosofi rinascimentali in termini di microcosmo e macrocosmo. Cristo, il Dio fatto uomo, rappresentava il microcosmo umano per eccellenza, specchio concentrato della potenza del Dio cosmico. L’uomo stesso veniva inteso come microcosmo poiché, pur facendo parte della natura, aveva tuttavia in sé stesso la capacità di conoscere e rappresentare l’intera natura. In sostanza, il microcosmo 5 è contenuto nel macrocosmo, ma nello stesso tempo è in grado di rappresentarlo dentro di sé. E’ il paradosso logico dell’insieme che contiene se stesso come elemento, o dell’elemento dell’insieme che contiene, dentro di sé, l’insieme cui appartiene. Come si noterà, le analogie tra il sistema leibniziano e la dottrina del microcosmo – macrocosmo rinascimentale sono assai marcate. Per Leibniz ogni monade è un soggetto che è un microcosmo, capace di rappresentare (secondo le sue potenzialità, dal suo punto di vista) il macrocosmo, ovvero l’insieme delle altre monadi. Esempio 6 – Una ulteriore utile analogia può provenire dalla matematica cartesiana, ovvero dalla geometria analitica. Come tutti sanno, nella geometria analitica ciascun punto dello spazio euclideo può essere perfettamente individuato attraverso tre coordinate (x, y, z); naturalmente le coordinate hanno un senso in quanto è stata fissata una origine degli assi e in quanto l’origine viene mantenuta costante. Possiamo immaginare (si tratta solo di una analogia!) le monadi come delle menti geometriche ognuna delle quali possieda dentro di sé un sistema autonomo di assi cartesiani (con tanto di origine). Questo significa che ogni monade, sulla base del proprio specifico sistema cartesiano, sarà in grado di individuare e nominare (rappresentare), con il suo sistema di coordinate, tutti i punti del proprio spazio. Questa rappresentazione sarà però caratteristica solo di quella monade. Un’altra monade avrebbe, dentro di sé, un altro suo specifico sistema di coordinate, ovvero un altro specifico punto di vista, irriducibile al precedente, con cui rappresentare tutti i punti dello spazio. Due monadi diverse, in altri termini, saranno portatrici di due diversi sistemi di coordinate, per cui ciascuna monade potrà rappresentarsi i punti dello spazio a suo modo, con una serie più o meno ampia di differenze rispetto alle altre. Estendendo il ragionamento a tutte le infinite monadi, avremo che esse possiederanno altrettanti infiniti sistemi di coordinate. Uno stesso punto (che sarà dunque una monade anch’esso) dunque, sarà rappresentato in modi infinitamente diversi, dalle infinite monadi. La realtà di Leibniz è fatta di un infinito intreccio di rappresentazioni reciproche che avvengono esclusivamente dentro alle monadi, che sono puri punti logici senza dimensioni. Giuseppe Rinaldi Leibniz (1646-1716) 6