Descartes (1596-1650) Opere: Regulae ad directione ingenii e

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Descartes (1596-1650)
Opere: Regulae ad directione ingenii e Discorso sul metodo
Unità della ragione: "tutte le diverse scienze non sono altro che la sapienza umana la quale rimane
sempre una e identica per quanto si applichi a differenti oggetti, né riceve da questi maggior
distinzione di quanto ne riceva la luce del sole dalla diversità delle cose che illumina".
L'unica sapienza umana, cui tutte le scienze si riconducono, è chiamata bona mens è nello stesso
tempo la saggezza per cui l'uomo si orienta nella vita e la ragione per cui decide del vero e del
falso. E' un principio insieme teoretico e pratico, che è la sostanza stessa dell'uomo. Questa sostanza
è unica e universale.
Il primo frutto della ragione è la scienza e in particolare la matematica, sulla quale fonda la scoperta
del metodo. La ragione non si identifica interamente con il suo metodo, ma investe anche la natura
degli elementi su cui il metodo verte; questi elementi sono razionali solo nella misura in cui
posseggono chiarezza ed evidenza.
La filosofia come scienza rigorosamente concettuale.
La ragione è autoreferente e senza limiti.
Il mondo (res exstesa) presenta un rigido meccanismo/un ordine necessario.
Mentre l''uomo (res cogitans) in quanto sostanza pensante è libero. La ragione umana è libertà e
come tale potenza assoluta di dominio sulla stessa sostanza estesa.
Occorre un metodo che sia fondato sull'unità e la semplicità della ragione umana e che quindi sia
applicabile a tutti i domini del sapere e a tutte le arti. La scoperta e la giustificazione di questo
metodo è il primo scopo dell'attività speculativa di Cartesio.
Il metodo segue quello del procedimento matematico. Cartesio definisce il metodo come l'insieme
di regole certe e facili.
Quattro regole: 1. evidenzia (l'atto con cui lo spirito raggiunge l'evidenza è l'intuito, è l'atto
puramente razionale col quale la mente coglie il suo proprio concetto e diviene trasparente a se
stessa); , 2. analisi (dividere ciascuna delle difficoltà da esaminare nel maggior numero di parti
possibili), 3. sintesi (condurre i miei pensieri per ordine, cominciando dagli oggetti più semplici e
più facili a conoscersi), 4. enumerazione/revisione (fare dappertutto enumerazioni così complete e
revisioni così generali da essere sicuro di non omettere nulla).
Il fondamento di tale metodo è nel dubbio, che si estende ad ogni cosa e diventa assolutamente
universale. Ma proprio nel carattere radicale di questo dubbio si presenta il principio di una prima
certezza: l' Io penso, il cogito pensante.
La proposizione io penso dunque sono è la sola assolutamente vera perché il dubbio stesso la
riconferma.
Dal dubbio iperbolico all'evidenza del cogito, quale trasparenza assoluta. L'io è l'evidenza della sua
propria esistenza.
Per la filosofia cartesiana ci sono tre tipologie di idee: innate (in me); avventizie (fuori di me),
fattizie (create da me).
Idea di Dio quale esistente e ultima garanzia del criterio dell'evidenza.
Esistenza di Dio dimostrata con la prova ontologica di S. Anselmo. Dio come Autore delle verità
geometriche e dell'ordine del mondo.
Tre sostanze: pensante e estesa { rimando alla realtà di Dio per esistere
divina {non ha bisogno di altra realtà per esistere
L'unione tra anima e corpo accade nel cervello e precisamente nella ghiandola pineale.
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La concezione del tempo.
il tempo è la misura di un movimento colto da un'anima ed è perciò interiore pur essendo nella
materia.
Rispetto ad Agostino ed alla sua concezione di un tempo vivente, la sua risulta una teoria
dell'istante e della cesura.
"Quando due corpi si muovono uno lentamente, l'altro celeremente per un'ora, non calcoliamo un
tempo maggiore nell'uno che nell'altro, sebbene ci sia molto più movimento. Ma per misurare la
durata di tutte le cose, la compariamo con la durata di quei movimenti massimi e massimamente
uniformi dai quali gli anni e i giorni; e questa durata la chiamiamo tempo"
Pascal (1623-1662)
Opera: I pensieri
Razionalismo non esteso alla morale.
Riconosce alla ragione cartesiana dei limiti:
- nell'esperienza e nell'indeducibilità dei principi.
La ragione è giuda dell'uomo, è però debole e incerta.
Esiste un chiaro antagonismo tra ragione e cuore: spirito di geometria e spirito di finezza.
Il pensiero è la sola dignità dell'uomo.
"Gli uomini non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l'ignoranza, hanno creduto meglio per
essere felici, di non pensarci". Tale è il principio di quello che Pascal chiama divertimento, cioè
l'atteggiamento che rifugge dalla considerazione della propria condizione e cerca n tutti i modi di
distrarsi da essa mediante le occupazioni incessanti della vita quotidiana.
Ma il riconoscimento della propria finitudine, della propria miseria è l'inizio di una ricerca dolorosa
che lo porta alla fede. La fede è per Pascal un atteggiamento totale che impegna tutti gli aspetti
dell'uomo, fin nella loro radice. Il problema della ricerca è quello di realizzare la fede, anzi di
realizzarsi nella fede e mediante la fede.
Ora chi scommette sull'esistenza di Dio, se guadagna guadagna tutto, se perde non perde niente.
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Tempo:
La filosofia pascaliana è incentrata su una dialettica tra "eternità" e "tempo". Essa assume un
fondamentale aspetto "kairologico", nel senso che nella storia della salvezza - ciò dipende la storia
ecclesiologica, nella quale l'eternità è la destinazione finale della Chiesa - è centrale il tempo
"discriminante" (kairos) dell'Incarnazione.
Spinoza (1632-1677)
Opere: De intellectus emendatione, Ethica ordine geometrico demonstrata
Riprende il cartesianesimo rivolgendolo all'ambito morale/politico/religioso.
Il problema del metodo è conoscenza riflessa o idea dell'idea.
Riconduce la natura dell'uomo all'ordine necessario del cosmo. Necessità e libertà si identificano.
È ristabilita l'unità dell'essere. Unico significato di sostanza. Unità neoplatonica: nulla può esistere
fuori da Dio e nulla può esistere se non come un modo di Dio. Tutto deriva da Dio in virtù delle
sole leggi della sua natura e la libertà dell'azione divina consiste precisamente nella sua necessità,
cioè nella sua perfetta conformità con la natura divina. Tutto è necessità.
Ogni cosa esistente è quindi un modo, cioè una manifestazione di Dio. Natura naturante è la
sostanza stessa, cioè Dio, nella sua essenza infinita; natura naturata sono i modi cioè le
manifestazioni singole dell'essenza divina.
L'ordine necessario del tutto è un ordine geometrico: dalla sostanza divina i singoli modi
scaturiscono così come scaturiscono dalla geometria i singoli teoremi, i corollari, i lemmi.
La ragione è una ragione necessaria.
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Tempo:
Concetto di eternità connesso con quello di immutabilità. L'eternità di Dio: "poiché nell'eterno non
si dà nè quando, nè prima, nè dopo, dalla sola perfezione di Dio segue che Dio non può e non ha
mai potuto decretare altro; cioè Dio non è mai stato senza i suoi decreti e non può essere senza di
essi".
Dunque l'eternità è fuori dalle determinazioni temporali.
Ma se Parmenide abolisce il passato e il futuro come predicati dell'essere, che è un etreno presente,
Spinoza, almeno in questo passo, esprime l'eternità dell'onnipotenza di Dio con un passato e un
futuro, ma solo a livello linguistico.
Lo scorrere del tempo: è solo una illusione tipica della condizione umana causata dalla visione
parziale dell'essere.
Leibniz (1646-1716)
Discorso di metafisica: teorizza l’esistenza di un ordine libero e spontaneamente organizzato,
contrapposto all’ordine necessario e determinato della filosofia di Baruch Spinoza. L’ordine pensato
da Leibniz nasce infatti da una scelta operata da Dio tra i vari ordini possibili dell’universo che
risulta quindi essere la migliore, anche in virtù della possibilità stessa della scelta intrinseca
all’ordine. Leibniz vuole quindi dimostrare che può esservi un ordine che non debba
necessariamente implicare una necessità logica a priori, ma che possa essere desunta aposteriori. Le
verità possibili possono essere pertanto per Leibniz di due tipi: le verità di ragione e le verità di
fatto.
- Le verità di ragione ripetono, nel predicato, ciò che è stato espresso nel soggetto e sono fondate sul
principio di non contraddizione e sul principio di identità. Le verità di ragione sono innate in quanto
non derivano dall’esperienza e delineano il mondo della pura possibilità.
- Le verità di fatto sono quelle che riguardano la realtà, sono contingenti e fondate sul principio di
ragion sufficiente. Parlare di ragion sufficiente significa però sottendere il concetto di causa finale,
secodno l’impostazione teleologica della filosofia di Leibniz: infatti se Dio ha voluto creare il
migliore dei mondi possibili è evidente che vi è un fine a fondamento di ogni scelta.
Il principio di ragion sufficiente serve anche a Leibniz come ponte per uno dei principali concetti
alla base della sua filosofia: la sostanza individuale. Infatti, se nelle verità di fatto il predicato non è
identico al soggetto, è pur vero che nel soggetto deve esserci la ragion sufficiente del predicato.
Questo soggetto, che deve esser reale o esistente, è quello che Leibniz identifica con la sostanza
individuale. L’uomo non può avere una conoscenza completa della sostanza individuale, ma solo
quella determinata dall’esperienza, mentre Dio “la cui conoscenza è perfetta, è in grado di scorgere
nella nozione di ogni sostanza la ragione sufficiente di tutti i suoi predicati”.
Dio e la monadologia
La sostanza individuale è l’entità costitutiva dell’ordine contingente ed è quindi necessario che
anche i corpi fisici abbiano una forma sostanziale analoga alla sostanza individuale. Con il concetto
di monade (dal greco monas, “uno, unico, singolo”), Leibniz riesce finalmente ad estendere il
discorso sull’ordine contingente anche al mondo fisico, oltre che a quello spirituale.
Ma cos’è una monade? Si tratta di una sostanza semplice, priva di parti, inestesa, indivisibile ed
eterna. Le monadi sono tutte diverse tra loro per il principio di identità degli indiscernibili 2, che
implica che in natura non vi siano due esseri identici. Le monadi sono mondi chiusi - Leibniz li dice
“privi di finestre” - e pertanto non possono subire influenza reciproca o la modifica indotta
dall’esterno; le monadi sono una sorta di atomi psichici che, pur essendo chiusi in se stessi, sono
legati tra di loro in quanto tutti sono aspetti del mondo. Tipica di ogni monade è l’attività
rappresentativa. Le monadi rappresentano quindi l’intero universo in generale e distintamente il
corpo di cui costituiscono la potenza attiva, o entelechia. L’attività delle monadi si sviluppa in due
momenti: la percezione e l’appetizione, ovverossia il tendere da una percezione a un’altra. Leibniz,
criticando la teoria della coscienza di Cartesio, afferma che vi è una distinzione tra “percezione”,
tipica delle monadi più semplici (che operano quindi in maniera inconscia), e “appercezione”, che
definisce la consapevolezza della percezione, ed è caratteristica dello spirito (detto anche anima
ragionevole). Il grado delle percezioni delle monadi è ciò che determina il loro grado di perfezione,
al cui apice si trova ovviamente Dio, monade delle monadi che rappresenta tutti i punti di vista
possibili, di cui le singole monadi sono solo uno determinato.
La materia stessa, per Leibniz, risulta quindi essere un aggregato di monadi: infatti essa è
infinitamente divisibile, ma i suoi elementi ultimi sono questi punti metafisici. Leibniz suddivide
così la materia in materia prima e materia seconda. Con materia prima Leibniz si riferisce alla forza
di inerzia insita nella monade; la materia seconda è invece la materia in senso stretto, l’aggregato di
monadi, che quindi forma anche il corpo di uomini e animali, tenuto insieme dall’anima, o monade
dominante. Pur non essendovi una vera e propria diversità tra le monadi del corpo e l’anima, ma
solo una differenza di gradi, esse seguono delle leggi indipendenti: leggi meccaniche per le monadi
e leggi finalistiche per l’anima.
Il problema del rapporto tra anima e corpo si configura quindi per Leibniz come problema di
comunicazione reciproca tra monadi. Leibniz prospetta tre soluzioni:
1) Quella della filosofia volgare, che ammette l’influenza reciproca tra anima e corpo ma che così
facendo si scontra con il carattere di incomunicabilità delle monadi.
2) Quella del sistema delle cause occasionali, che introduce unDeus ex machina che mantenga
l’armonia, ma in questo modo si scontra in un fatto naturale in cui Dio non deve intervenire più che
negli altri fatti della natura.
3) Quella della dottrina dell’armonia prestabilità - ovvero, la soluzione sostenuta da Leibniz secondo la quale anima e corpo, pur seguendo leggi differenti, seguono un accorto stabilito da Dio
nell’atto stesso di stabilire le leggi. La loro armonia è stata quindi prestabilita da Dio nella creazione
e il corpo organico risulta essere una macchina divina, non direttamente influenzata da atti
spirituali.
Tempo:
Il tempo è soggettivo. Fenomeno fondato su effettive relazioni. Fondato sul fatto che le cose si
succedono. È un'idea che l'uomo ricava da tale successione.
Hobbes (1588-16799
Ragione come funzione di previsione.
Linguaggio: uomo animale simbolico
Addizione e sottrazione di nomi.
Processo causale: dimostrazione a posteriori.
I corpi sono i soli oggetti possibili della ragione. Materialismo.
Uomo formato di emozioni e sensazioni.
Contratto sociale per salvaguardarsi dallo stato di guerra.
Opera: Leviathan
LOCKE ( 1632-1704)
RAGIONE ED ESPERIENZA:Per Locke la ragione non è uguale e unica in tutti gli uomini, e non è
infallibile perché ha poche idee, oscure e che non si possono concatenare in ragionamenti. Essa
deve ricavare idee e principi dall’esperienza sempre ricca di limiti e condizioni. La ragione (anche
se debole e imperfetta) è l’unica guida che ha l’uomo e Locke vuole estendere il suo campo a tutto
ciò che interessa l’uomo stesso (politica, morale, religione). Gli venne in mente che, prima di
immergersi in indagini sulla natura, bisognasse esaminare le capacità dell’uomo e vedere quali
oggetti il suo intelletto fosse capace di considerare. Fu quindi con Locke che nacque la prima
indagine critica della filosofia moderna ( diretta quindi a stabilire le effettive possibilità umane con i
relativi limiti).
Questi limiti sono propri dell’uomo perché propri della sua ragione, in quanto essa deve far i conti
con l’esperienza. L’esperienza fornisce alla ragione il materiale che essa adopera, cioè le idee
semplici, che essa poi rielabora e combina al fine di formare idee complesse e ragionamenti, ma in
questo compito è sempre controllata dall’esperienza che impedisce all’uomo di avventurarsi in
problemi al di la delle sue capacità.
LE IDEE SEMPLICI E LA PASSIVITA’ DELLA MENTE: Locke parte (come Cartesio) dal fatto
che l’oggetto della nostra conoscenza siano le idee: perciò pensare e avere idee sono la stessa cosa.
Esse derivano dalla passività della ragione nei confronti della realtà, realtà che può essere esterna o
interna (le cose naturali o il suo spirito), e che darà luogo rispettivamente a idee di sensazione e di
riflessione. Cosi come per Cartesio avere un’idea significa percepirla, esserne cosciente, anche per
Locke, e di ciò si avvale nella critica alle idee innate: esse per esistere dovrebbero venir pensate, ma
pensate da tutti, compresi bambini, idioti e selvaggi, ma siccome essi non pensano a questo genere
di idee in loro non esistono e non possono quindi esser considerate innate.
La nostra conoscenza è fatta di idee, le idee derivano dall’esperienza, quindi l’analisi della nostra
conoscenza dovrà portare a una classificazione di tutte le idee fornite dall’esperienza. La
conoscenza umana è il risultato della ricombinazione ed elaborazione di idee semplici (fornite alla
ragione dalla sensazione e dalla riflessione) in idee complesse. Il limite dell’intelletto umano sta
nella sua dipendenza dall’esperienza: esso non potrà mai creare delle nuove idee semplici, senza
riceverle dall’esperienza.
Analizzando le idee semplici di sensazione, Locke distingue la sensazione stessa dalla qualità della
cosa che la produce in noi (cioè ogni idea o sensazione è la copia di una qualità oggettiva). Egli
chiama qualità primarie quelle oggettive, e qualità secondarie quelle soggettive.
L’ATTIVITA’ DELLA MENTE E LE IDEE: Lo spirito nel ricevere le idee è passivo, diventa
attivo al momento della loro rielaborazione, che si conclude con la formazione di idee complesse o
generali.
Le idee complesse si riducono a tre categorie: di modo, di sostanza, e di relazione. Quelle di modo
non esistono di per se, ma sono manifestazioni di una sostanza (triangolo, gratitudine, delitto);
quelle di sostanza esistono di per se (uomo, piombo pecora); e infine quelle di relazione sono
confronti di varie idee fra loro.
Per quanto riguarda le idee complesse di sostanza spesso l’uomo scambia le idee semplici unite in
idee semplici singole, e siccome non è facile concepire come possa esistere un’idea semplice di per
se, le conferisce un substratum, un sostrato che è appunto la sostanza, che supera la testimonianza
dell’esperienza. L’idea alla quale diamo in nome di sostanza non è altro che un supposto, ma
sconosciuto, sostegno delle qualità effettivamente esistenti.
La sostanza corporea è il sostrato delle qualità sensibili, la sostanza spirituale è il sostrato delle
attività dello spirito.
Per quanto riguarda le idee complesse di relazione, l’intelletto procede sempre al di là delle cose
singole, considerandole nei rapporti con cui stanno insieme alle altre, dando luogo così a relazioni e
nomi relativi. Le idee di relazione più importanti sono quelle di causa ed effetto, di identità e
diversità (se prendiamo in considerazione l’identità di una persona: essa è la coscienza che
accompagna gli stati o i pensieri interni: il fatto che l’uomo oltre che percepire, percepisca di
percepire, significa che la coscienza di se stesso lo accompagna in tutte le sensazioni o percezioni).
L’identità di una persona è la sua coscienza: il fondamento della sua unità di persona.
Le idee generali sono segni delle cose particolari, e i nomi generali sono segni delle idee generali.
Ad esempio l’idea di uomo: non esiste l’uomo per eccellenza ma esiste solamente come rapporto di
somiglianza fra cose particolari. Alle idee generali non corrisponde una realtà generale o universale
ma un rapporto tra le cose particolari ed esistenti. Non esiste realtà universale di uomo, il nome e
l’idea di uomo sono segni conferiti a tutte quelle idee particolari che noi, osservandone i caratteri
comuni, classifichiamo come “uomo”. Il nostro intelletto poi classifica come “uomo” tutte le idee
che si possono ricondurre per somiglianza. Ricapitolando: “Uomo” (=idea generale) è una parola
(=segno) che descrive un gruppo di individui con caratteristiche comuni (=cose particolari).
LA CONOSCENZA E LE SUE FORME: L’esperienza fornisce alla ragione il materiale per la
nostra conoscenza, e perciò essa non è la conoscenza in sé. La conoscenza, secondo Locke, ha a che
fare con le idee, ma non coincide con esse perché è la percezione di accordo o disaccordo fra varie
idee. Come tale essa può essere intuitiva o dimostrativa.
La conoscenza è intuitiva quando esprime accordo o disaccordo immediato fra due idee, in virtù di
esse stesse, senza bisogno di idee intermediarie (il fatto che è il bianco non sia nero o che tre è più
di due sono entrambi concetti immediati). Questa è la più chiara e certa forma di conoscenza
possibile per l’uomo, fondamento di ogni altra certezza.
La conoscenza può essere invece dimostrativa quando esprime l’accordo o il disaccordo di due idee
apparentemente lontane tra loro, per collegare le quali c’è bisogno di un idea intermediaria, detta
prova. Essa è una catena di conoscenza intuitive, perché per dimostrare la relazione di due idee
lontane bisogna sfruttare due idee intermediarie in rapporto intuitivo fra loro. Ma dato che spesso le
prove sono numerose si rischia di incorrere in parecchi errori, perciò la conoscenza dimostrativa è
meno certa di quella intuitiva.
Ma esiste un altro tipo di conoscenza: quella delle cose esistenti al di fuori delle idee. Finora,
riducendo la conoscenza alla percezione di accordi o disaccordi tra idee, non si è considerato il fatto
che essa è vera solamente se esiste conformità tra le idee e le cose reali, conformità che non si può
verificare se si pretende di conoscere le cose reali tramite le idee.
Ci sono tre ordini di realtà: Io, Dio e le Cose, di cui noi abbiamo la certezza rispettivamente per
intuizione, dimostrazione e sensazione.
Io: “io penso, ragiono, dubito” Quindi intuisco la mia esistenza e non ne posso dubitare;
Dio: Se qualcosa esiste, vuol dire che è stato prodotto da qualcosa, e, non potendo risalire
all’infinito, si deve ammettere un essere eterno che ha prodotto ogni cosa. Fonte di ogni potenza e
intelligenza (onnipotente e onnisciente).
Mondo: L’uomo non può conoscere le cose che lo circondano se non grazie alla sensazione attuale.
Il solo fatto che noi riceviamo attualmente un’idea dall’esterno significa che qualcosa fuori di noi
esiste e ci provoca delle sensazioni. Secondo Locke basta quindi la certezza che ciò che produce
una sensazione in noi esiste, per essere sicuri che essa esista davvero in una realtà esterna. Difatti le
nostra facoltà non ci possono ingannare a questo punto e una fiducia in esse è indispensabile.
Locke in realtà conferma questa certezza con ragioni supplementari: 1)Le idee ci mancano quando
manca l’organo di senso adeguato; 2) Le idee sono prodotte nel nostro spirito senza la nostra
approvazione: provengono quindi da qualcosa di esterno e non da noi; 3) Esse sono prodotte in noi
con piacere o dolore, ma quando le ricordiamo non percepiamo niente: perché è l’oggetto esterno
che crea in noi queste sensazioni; 4) I sensi si fanno testimonianza reciproca.
Queste ragioni valgono fin quando perdura la sensazione ricevuta, quando l’oggetto non è più
testimoniato dai sensi la certezza della sua esistenza muta in semplice probabilità. È ragionevole
supporre che le cose e gli uomini continuino ad esistere anche se non sono più verificati dai sensi,
ma è solo una probabilità. Accanto al dominio della conoscenza certa (per intuizione, dimostrazione
e sensazione), c’è il dominio della conoscenza probabile, molto più esteso. La conoscenza probabile
è quella per cui si afferma la verità a la falsità di una proposizione, non per evidenza, ma per
conformità con l’esperienza.
Conoscenza certa e probabile sono il dominio della ragione. La ragione si distingue dalla fede. La
fede è fondata sulla rivelazione, e la ragione è il suo criterio (solo essa può giudicare l’attendibilità
o il valore della rivelazione). La fede non interferisce con la ragione, ma può condurla dove non può
arrivare da sola.
BERKELEY ( 1685 – 1753)
Opere: Saggio di una nuova teoria della visione
Trattato sui principi della conoscenza umana
1. Contro le idee astratte: il nominalismo radicale
La causa principale degli errori e delle incertezze che si incontrano in filosofia è la credenza che il
nostro spirito possieda la capacità di formarsi idee astratte. Ma le idee astratte non sono che idee
particolari (l'idea dell'estensione è sempre un particolare oggetto,...) assunte come segni di un
gruppo di altre idee particolari tra loro affini.
2. L'immaterialismo: Esse est percipi
I soli oggetti della conoscenza umana sono le idee, le cose sono collezioni di idee che per esistere
hanno bisogno di essere percepite. L'esistenza è un'astrazione illegittima, l'oggetto e la percezione
sono la stessa cosa e non possono essere astratti l'uno dall'altra. Quindi non esiste la materia, un
oggetto è soltanto un'idea, l'unica sostanza reale è lo spirito che percepisce le idee. Tutte le qualità
sono secondarie e non possono sussistere al di fuori di uno spirito. L'esistenza di un eventuale
substrato materiale delle qualità sensibili è assolutamente indimostrabile. Le idee sono prodotte in
noi sa uno Spirito superiore (Dio) secondo regole fisse (le leggi naturali).
3. Gli spiriti e lo Spirito infinito
Le idee, i sogni sono solo le immagini delle idee che noi chiamiamo cose reali. Quando le cose non
sono percepite da noi, lo sono da Dio. L'esistenza della materia è il principale fondamento
dell'ateismo, una volta bandita la materia non si può che ricorrere a Dio. Lo studio della natura
acquisisce così un significato religioso: le leggi naturali sono il linguaggio attraverso cui Dio scopre
a noi i suoi attributi e ci guida verso la felicità. L'immaterialismo giustifica il teismo e l'immortalità
dell'anima. Noi abbiamo solo una nozione del nostro spirito in quanto diversa dalle idee che
costituiscono il mondo naturale. Gli altri spiriti ci sono conosciuti attraverso le idee che producono
in noi, mediatamente e indirettamente. Gran parte delle idee ci rivelano direttamente l'azione di Dio
come Spirito unico, infinito e perfetto. L'esistenza di Dio è più evidente di quella degli uomini.
Il progetto enciclopedico di Wolff
Wolff è dell'avviso che il procedimento scientifico maggiormente rigoroso sia quello consistente
nell'analisi a priori dei concetti; ma sostiene che pure le osservazioni e l'esperienza sono in grado di
fondare dottrine scientifiche: si danno dunque scienze razionali e scienze empiriche. D'altra parte, si
impone un'ulteriore distinzione: tra teoria e pratica, cioè tra conoscere e fare: da qui le scienze
teoriche e le scienze pratiche.
Sulla base di questi due criteri distintivi, Wolff elabora — con sullo sfondo la filosofia di Cartesio,
ma soprattutto il pensiero di Leibniz — una vera e propria enciclopedia del sapere completa in tutte
le sue parti.
Le scienze si suddividono in: 1) scienze razionali teoriche; 2) scienze razionali pratiche; 3) scienze
empiriche teoriche; 4) scienze empiriche pratiche.
1 Le scienze razionali teoriche:
a l'ontologia
b la cosmologia
c la psicologia razionale
d la teologia naturale.
2 Le scienze razionali pratiche:
a la filosofia pratica
b il diritto naturale
e la politica
d l'economia.
3 Le scienze empiriche teoriche:
a la psicologia empirica
b la teleologia
c la fisica dogmatica.
4 Le scienze empiriche pratiche:
a le discipline tecniche
b la fisica sperimentale.
E la logica è la disciplina propedeutica all'intero sistema delle scienze. Sistema che poggia su due
cardini:
a il principio di non contraddizione per il pensiero razionale;
b il principio di ragion sufficiente per il pensiero empirico.
La rilevanza della sistematica wolffiana per la cultura illuministica.
Metodo filosofico coincide con il metodo matematico.
Proposizioni necessarie e proposizioni contingenti (verità di fatto leibniziane).
Il suo è definito un sistema leibniziano-spinoziano.
Mondo come un orologio di cui l'ordine è prodotto da Dio, include il miracolo.
No alla monade, No alla finalità, sì all'ordine necessario. Dì all'armonia prestabilita.
Hume (1711-1776)
Filosofo della natura umana.
La “scienza” della natura umana.
Hume ha il progetto di costruire una “scienza” della natura umana su base sperimentale, cioè vuoledare un'analisi
sistematica delle varie dimensioni che costituiscono la natura umana: dalla ragione alsentimento, dalla morale alla
politica. Per Hume la natura umana è il centro del sapere e quindi èancora più basilare ed urgente rispetto alle altre
scienze. Conoscendo la natura umana possiamorisolvere tutti i problemi che hanno importanza e, spiegando i
princìpi della natura umana, miriamo acostruire un sistema di tutte le scienze. A monte del procedimento di Hume
sta la tendenza empiristicae anti-metafisica: non bisogna tenere in considerazione tutto ciò che non ha a che fare con
le scienze ocon i problemi dell'uomo. La scelta empiristica di Hume finirà per portare ad una forma di
scetticismonella quale le pretese conoscitive della natura umana risultano essere fortemente limitati.
•
Impressioni e idee.
Hume divide le percezioni della mente in 2 classi, che dipendono dal grado di forza e vivacità con cuicolpiscono lo
spirito:1.impressioni: sono le percezioni che penetrano con maggior forza ed evidenza nella
coscienza(sensazioni, passioni ed emozioni);2.idee o pensieri: sono le immagini indebolite delle
impressioni (le idee non possono esisteresenza le impressioni).In altre parole: le impressioni sono le
percezioni immediate, mentre le idee ne sono il ricordo.Il grande limite del pensiero umano sta nel principio secondo
cui: ogni idea deriva dallacorrispondente impressione e non esistono idee o pensieri di cui non si ha avuto
precedentementel'impressione. Infatti l'uomo può comporre le idee tra loro nei modi più svariati e spingersi con
il pensiero in qualsiasi direzione, ma non avrà mai un'altra specie di realtà se non quella delle
sueimpressioni. Hume è rigidamente fedele a questo pensiero.Per spiegare la realtà del mondo e dell'io, Hume ha a
sua disposizione le impressioni, le idee e i lororapporti. Il tentativo di Hume è di chiarire la realtà attraverso i rapporti
con cui si connettono tra loroimpressioni e idee. Questo tentativo però, non può riuscire a trovare il fondamento della
realtà che sista esaminando, ma solo a scomporla nei suoi elementi originari. È inevitabile la conclusione
scettica.Hume nega l'esistenza delle idee astratte(che non hanno caratteri particolari e singoli): esistono solo leidee
particolari che ne richiamano altre simili ad esse. Per spiegare questo richiamo, Hume ricorre al principio dell'
abitudine: quando notiamo una somiglianza tra le idee che differiscono tra loro per altriaspetti (le idee
di diversi uomini, di diversi triangoli), adoperiamo un unico nome per indicarle(uomo,triangolo). Si forma così
l'abitudine di considerare quelle idee, designate con un unico nome,unite tra loro; quindi quel nome risveglierà in noi
l'abitudine di considerare le singole idee unite traloro.
•
Il principio di associazione.
La facoltà di stabilire relazioni tra idee viene definita da Hume “immaginazione”. Questa operaliberamente, ma non
è affidata al caso, infatti c'è sempre una connessione tra le idee che è garantita dauna forza che le attira e che fa si che
la mente passi da un'idea ad un'altra. Questo principio è detto diassociazione. La forza delle idee opera secondo 3
criteri fondamentali:1.somiglianza (un ritratto conduce i nostri pensieri al suo originale);2.contiguità
nel tempo e nello spazio (il ricordo di una stanza di una casa porta al ricordo dellealtre
stanze);3.causalità (una ferita fa pensare al dolore che ne deriva).Per Hume l'associazione sta alla base delle
idee, definite da Locke, complesse. Fra queste idee le più importanti sono quelle di: spazio e tempo,causa ed effetto,
sostanza (corporea o spirituale). A questeidee, Hume non attribuisce consistenza e oggettività, e quindi non
corrispondono ad un'impressione.Spazio e tempo, per Hume, sono delle maniere di sentire le impressioni, ossia delle
maniere in cui leimpressioni si dispongono dinanzi allo spirito. Ad esempio l'idea di tempo nasce dalla
manieracomplessiva con la quale le impressioni si presentano alla nostra mente, ma non c'è l'impressione“tempo”.
Proposizioni che concernono relazioni fra idee e proposizioni checoncernono dati di fatto.
Hume distingue tra :1.proposizioni che concernono relazioni fra idee (come le proposizioni
matematiche): si basanosul principio di non contraddizione, quindi è possibile scoprirle con il solo pensiero.
Tali proposizioni sono dette anche analitiche, in quanto il predicato è già implicitamente
contenutonel soggetto, dal quale può venir ricavato per mezzo dell'analisi, quindi la loro validità sta inse stesse.
Queste proposizioni non ci forniscono nuove conoscenze.2.proposizioni che concernono dati di fatto (come
quelle delle scienze naturali): si basanosull'esperienza e possono contraddirsi da sole. Queste proposizioni
possono fornirci nuove conoscenze.In questo modo Hume stabilisce, tra le conoscenze matematiche e le conoscenze
empiriche, unadistinzione di struttura o di qualità.
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L'analisi critica del principio di causa.
Tutti i ragionamenti che riguardano realtà o fatti si fondano sulla relazione di causa ed effetto. Questarelazione può
essere conosciuta soltanto tramite l'esperienza; infatti nessuno, messo di fronte ad unoggetto per lui nuovo, è in grado
di scoprire le sue cause e i suoi effetti senza averli sperimentati.Dopo aver scoperto la connessione causa ed effetto di
un oggetto, quest'ultima rimane soggettiva,infatti causa ed effetto sono 2 fatti interamente diversi , ognuno dei quali
non ha niente in se cherichiami necessariamente l'altro: possiamo immaginare più effetti da una singola causa che
nellanostra mente non sono contraddittori (es. se noi lanciamo una palla da biliardo verso un'altra, possiamo
immaginare che si scontrino e la prima causi il movimento della seconda che era ferma. Manoi
potremmo anche immaginare che entrambe le palle rimangano ferme, o che la prima torni indietroo vada di lato).
L'esperienza ci dice che solo un effetto si verifica (nell'esempio di prima: l'urto mettein movimento la seconda palla),
ma dall'esperienza conosciamo solo le conseguenze di fatti giàsperimentati in passato e non ci dice nulla su quelli
futuri. La connessione di causa ed effetto non potrebbe essere utilizzata come fondamento in nessun
ragionamento futuro perchè, anche dopo che èstata fatta l'esperienza, la connessione tra causa ed effetto
rimane arbitraria. Anche con la conferma dell'esperienza nel passato, non siamo certi che si verifichi nuovamente
quell'effetto, perchè la natura potrebbe cambiare e, poiché non ci sono contraddizioni, potrebbe essere
possibile. Noi sappiamo cheda cause simili ci saranno degli effetti simili, ma questo è una supposizione
dell'esperienza che non ègiustificabile. Quindi è impossibile che argomenti tratti dall'esperienza possano dimostrare
lasimilitudine tra i fatti del passato e quelli del futuro: tutti questi argomenti si basano sullasupposizione della
rassomiglianza. Quindi il legame tra causa ed effetto non può essere dimostratoassolutamente valido, ma l'uomo lo
crede valido: questa validità è puramente soggettiva, e va cercatanel principio dell'abitudine (o costume). L'abitudine
è la ripetizione di un atto qualsiasi che produceuna disposizione a rinnovare lo stesso atto senza che intervenga il
ragionamento(es: il pensiero cheanche domani il sole sorgerà). L'abitudine guida e sorregge la vita quotidiana,
dandoci la sicurezzache il corso della natura non muta ed è quindi possibile regolarsi per il futuro. Senza
l'abitudinesaremo ignoranti su ogni questione, tranne quelle che ci sono immediatamente presenti alla memoriao ai
sensi. L'abitudine spiega la congiunzione che noi stabiliamo tra i fatti, non il fatto che questaconnessione avvenga.
Infatti la congiunzione tra i fatti non è giustificabile. L'abitudine è una giuda infallibile per la pratica della vita, ma
non un principio di giustificazione razionale o filosofico.
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La “credenza” nel mondo esterno e nella identità dell'io
Ogni credenza in realtà o fatti, essendo il risultato dell'abitudine, non è un atto di ragione. Tutta lacredenza della realtà
è così priva di necessità razionale e rientra nel dominio della probabilità.
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