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D’Ambrosio Angela
UNITA’ DIDATTICA
LA METAFISICA DI LEIBNIZ
Destinatari
Studenti del quarto anno di liceo scientifico
Finalità
Promuovere l’attenzione ai temi della metafisica seicentesca.
Tempi
3 ore
Requisiti
Conoscenza della metafisica di Cartesio e di Spinoza
Obiettivi di conoscenza
L’ordine della realtà proposto da Leibniz : l’universo monadistico.
Obiettivi di competenza
Capacità di comprensione e interpretazione del testo filosofico
Utilizzo della terminologia specifica.
Obiettivi di capacità
Analisi delle interrelazioni tra l’opera leibniziana e i pensatori che si sono occupati
delle stesse questioni.
Attitudine a problematizzare, a formulare domande e a dilatare il campo delle
prospettive.
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Strumenti
Manuale: Nicola Abbagnano e Giovanni Foriero, Filosofi e Filosofie nella storia
Mugnai, Introduzione alla filosofia di Leibniz, Einaudi
Vittorio Mathieu, Introduzione a Leibniz, Laterza
Metodo
Lezione frontale e dialogata.
Verifiche
Verifica scritta: ( test con domande variamente formulate)
CONTENUTO
La filosofia di Leibniz si fonda sul tentativo di conciliare i risultati della rivoluzione scientifica con
la tradizione filosofica, in particolare nel sistema leibniziano si è voluto conciliare meccanicismo e
finalismo, materialismo e spiritualismo, scienza e metafisica, filosofia dei moderni e filosofia degli
antichi. Leibniz occupa una posizione centrale nella storia del razionalismo moderno
La materia per Cartesio era la res exstensa, cioè era estensione e questo implicava la sua divisione
all’infinito. L. accetta la teoria cartesiana della divisione all’infinito della materia. Infatti, alla
costituzione atomica della materia, Leibniz rinunciò quando giunse a formulare quella che egli
chiama una delle sue grandi massime, cioè la legge della continuità: il principio che “la natura non
fa mai salti”. Per questo principio si deve ammettere che per passare dal piccolo al grande e
viceversa si deve passare attraverso infiniti gradi intermedi è che per conseguenza il processo di
divisione della materia non può fermarsi a elementi indivisibili come sarebbero gli atomi ma deve
procedere all’infinito. Infatti gli atomi di materia dice Leibniz sono contrari alla ragione perché
sono composti di parti e quindi anch’essi divisibili all’infinito. Ora il problema per L. è stabilire
cosa dia vera unità a queste infinite parti di materia, dato che il concetto di atomo si è dimostrato
autocontraddittorio. L. si accorse che non è possibile trovare i principi di una vera unità nella sola
materia perchè essa è collezione di parti. L. riterrà indispensabile postulare l’esistenza di qualcosa
di non materiale, di un elemento unitario che tiene insieme le parti materiali altrimenti disperse, allo
stesso modo che un magnete raccoglie intorno a sè la limatura di ferro.
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Infatti L. contesta a Cartesio di aver fatto della materia un principio metafisico. La massa estesa per
L. non basta da sola per spiegare i processi naturali perché la natura è intrinsecamente dinamicità.
Prima dell’estensione nei corpi c’è la forza infusa dal suo autore. In questo si vede l’intenzione
antimeccanicistica di L. che vuole riportare la vita nella materia. Quindi se devo spiegare il
molteplice e devo avere un’unità che non può essere materiale,
allora devo prendere in
considerazione un altro atomo che non sia materiale ma sia formale. Infatti L. parla (nel nuovo
sistema) di atomo formale, cioè riprende il concetto di atomo, come ciò che è indivisibile, e lo porta
ad un piano ontologico diverso dalla materia, cioè alla forma intesa in senso aristotelico come
qualcosa di distinto dalla materia ma operante in essa. In seguito egli cessò di vedere nell’estensione
e nel movimento, che erano gli elementi della fisica cartesiana, gli elementi originari del mondo
fisico, e vide l’elemento originario nella forza. La sostanza non poteva in nessun caso identificarsi
con l’estensione indefinitamente divisibile dei cartesiani. Ciò accadde quando si convinse che il
principio affermato da Cartesio della immutabilità della quantità di movimento era falso e che
bisognava sostituirlo col principio della conservazione della forza o azione motrice. La legge di
conservazione che Cartesio aveva scoperto indicando nella quantità di moto (mv) la grandezza che
rimarrebbe costante nei fenomeni d’urto, va riferita in realtà alla forza viva o energia cinetica. Per
L. ciò che rimane costante nei corpi non è la quantità di movimento ma la quantità di azione motrice
o forza viva la quale è pari al prodotto della massa per il quadrato della velocità. Questa prospettiva
ha conseguenze molto rilevanti non solo per la fisica ma anche per la filosofia. Questa
modificazione della formula ha un’importante implicazione metafisica. Il prodotto della mv è un
fenomeno, come il moto che si sviluppa interamente nello spazio e si offre fino in fondo alla nostra
esperienza. Ma se noi eleviamo al quadrato la velocità, troviamo qualcosa che non si riduce più a
mutamento di posizione nello spazio: troviamo una forza i cui effetti si fanno sentire sul piano
fenomenico ma che non è un fenomeno essa stessa. Questa forza è indispensabile per costruire una
teoria fisica soddisfacente ma è chiaro che il fenomeno fisico rinvia a una radice non più puramente
fisica e fenomenica, ma a qualcosa di metafisico. La forza è un entità metafisica di cui nel
fenomeno si incontrano gli effetti, es. l’accelerazione del moto. Il concetto di forza serve a L. per
oltrepassare il meccanicismo nella spiegazione dei fenomeni naturali. L. ammette che nella natura
tutto avviene meccanicamente, ma nello stesso tempo ritiene che i principi stessi della meccanica e
le leggi stesse del movimento nascono da qualcosa di superiore che non è un principio fisico ma un
principio metafisico. La forza è appunto questo superiore principio metafisico che fonda le leggi
stesse della fisica. L’elemento ultimo della natura, riconosciuto nella forza, gli si rivela di natura
spirituale. Così l’ultimo risultato della fisica di L. è la risoluzione della realtà fisica in una realtà
incorporea. La forza si rivela di natura spirituale. Contro il dualismo della metafisica di Descartes e
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contro la sua limitata concezione meccanicistica della fisica, Leibniz fece valere un nuovo concetto
di sostanza come "forza viva", centro di forza e di energia spirituale, che egli chiamò "monade".
Inoltre, contro il monismo della filosofia di Spinoza, che riduceva tutte le manifestazioni
dell'universo all'unica sostanza divina, egli fece valere sia il principio della pluralità dei singoli
centri sostanziali o monadi, sia il principio della personalità di Dio. L'universo appare così costituito
da innumerevoli "monadi" o atomi spirituali (sostanze semplici e inestese), disposte in un ordine
con al vertice la monade suprema o Dio.
Monade deriva dal greco monas e significa unità o ciò che è uno. Le caratteristiche della monade
vengono elencate nella monadologia. La monade è un atomo spirituale, una sostanza semplice senza
parti è quindi priva di estensione o di figura ed è indivisibile. Come tale non si può disgregare ed è
eterna: solo Dio può crearla o annullarla.
I caratteri della monade sono la semplicità,
l’autosufficienza e l’unicità. Ogni monade è diversa dall’altra non vi sono in natura due esseri
perfettamente uguali, per quanto due esseri possano sembrare simili ci sarà almeno una differenza
interiore tra loro. L. insiste su questo principio che egli chiama “identità degli indiscernibili che
consiste nell’affermare appunto che tra due cose esiste sempre una differenza interna che fa sì che
in natura non esistano due cose perfettamente uguali. In quanto sostanze semplici e immateriali le
monadi non possono influenzarsi a vicenda, ma esistono come altrettanti mondi chiusi, privi di
finestre attraverso cui possa uscire o entrare qualcosa. Ogni monade rappresenta un microcosmo
individuale, rispecchiando l'universo secondo gradi di perfezione crescente e sviluppandosi
indipendentemente da tutte le altre monadi.
La monade consta di due attività fondamentali che sono la percezione e l’appetizione. L’appetizione
è l’intenzionalità, cioè è la capacità di proiettarsi nel mondo per soddisfare i propri bisogni. La
percezione è l’attività rappresentativa cioè il modo in cui si percepisce il mondo. Le monadi si
differenziano tra loro per il grado di perfezione delle loro percezioni, cioè le loro percezioni
possono essere più chiare o più confuse. C’è una differenza fondamentale tra Dio e le monadi
create in quanto queste rappresentano il mondo da un solo punto di vista mentre Dio si rappresenta
il mondo proprio attraverso le monadi da tutti i punti di vista possibili, per questo Dio può essere
definito la monade di tutte le monadi. Questo da luogo ad una gerarchia tra le monadi.
La percezione o attività rappresentativa, attribuita da L. a tutte le monadi, non deve essere confusa
con la vita cosciente, ossia non si deve confondere il percepire con la consapevolezza di percepire.
Consapevolezza che L. denomina appercezione e che si riferisce solo a quelle monadi più elevate
che sono le anime in senso stretto. Ma anche nella nostra anima esistono per L. delle percezione di
cui non siamo del tutto coscienti. Inoltre le percezioni delle monadi create sono sempre in una
qualche misura confuse simili a quelle percezioni che si hanno per es. in uno stato di sonno. Le
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monadi pure e semplici sono quelle che posseggono soltanto percezioni confuse, le monadi degli
animali sono fornite di memoria e le anime degli uomini sono fornite di ragione. Ma anche la
materia è costituita di monadi. Essa non è veramente né sostanza corporea né sostanza spirituale ma
piuttosto un’aggragto di sostanza spirituali. Proprio per questo è infinitamente divisibile, ma i suoi
elementi ultimi non hanno niente di corporeo, sono atomi di sostanza o punti metafisici. La materia
intesa come aggregato di monadi L. la chiama materia seconda, mentre per materia prima intende la
potenza passiva, la forza d’inerzia o di resistenza (in un corpo forza che si oppone alla penetrazione
di un altro corpo,cioè è una ripugnanza al moto), che costituisce la monade insieme alla forza attiva
che è la vera e propria forza intesa come tendenza all’azione.
La realtà per L. si compone di due tipi di corpi:
1. meri aggregati privi di un’unità sostanziale come i mucchi di pietre (corpi inorganici)
2. aggregati dotati di un’unità sostanziale che lui chiama Sostanze corporee (corpi organici)
Le sostanze corporee sono sostanze composte da un aggregato non unitario che costituisce il corpo
e da una sostanza semplice che conferisce loro unità. Ciò che tiene insieme l’aggregato di monadi è
una monade dominante che conferisce alle sostanze semplici unità. La monade dominante resta
estrinseca alla colonia di monadi dominate che costituiscono propriamente il corpo. Mentre per
Cartesio mente e corpo avevano una natura completamente diversa, per L. sono solo modi diversi di
presentarsi dei medesimi ingredienti poiché sia la mente sia il corpo sono fatti di monadi. Il corpo
degli uomini e degli animali è materia seconda cioè aggregato di monadi. Questo aggregato è tenute
insieme e dominato da una monade superiore che è l’anima vera e propria o monade dominante.
D’accordo con i cartesiani egli riconosce impossibile che una sostanza materiale possa agire sullo
spirito e viceversa, dato che ogni sostanza è un modo a sé. L. ammette che il corpo e l’anima
seguono leggi indipendenti. I corpi agiscono secondo leggi meccaniche le anime invece secondo le
leggi della finalità. E non c’è modo di concepire l’azione del corpo sull’anima o dell’anima sul
corpo giacchè non si può spiegare in nessun modo come le variazioni corporee, cioè le leggi
meccaniche facciano nascere una percezione o come dalla percezione possa derivare un
cambiamento di velocità o di direzione nei corpi. Bisogna concludere quindi che l’anima e il corpo
seguono ognuno la sua legge separatamente, senza che le leggi corporee siano turbate dalle azioni
dell’anima o che i corpi trovino finestre per far entrare nell’anima il loro flusso. Nasce allora il
problema di intendere l’accordo dell’anima con il corpo. Il problema del raccordo tra anima e corpo
si identifica con il problema di specificare il rapporto tra la monade dominate e il complesso di
monadi ad essa subordinate, e in questo viene ad inserirsi il problema più generale della
comunicazione reciproca fra le monadi che costituiscono l’universo dato che tutte le monadi sono
perfettamente chiuse in se stesse e senza la possibilità di comunicare direttamente l’una con l’altra.
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L. per evitare l’incomunicabilià che ne deriverebbe fa ricorso al concetto dell’armonia prestabilita
intesa come corrispondenza tra le monadi. Le monadi sono come tante diverse vedute di una
medesima città e come tali si accordano insieme a costituire la veduta totale e complessiva
dell’universo che si trova pienamente espressa nella monade suprema che è Dio. Secondo la
soluzione dell’armonia prestabilita l’anima e il corpo seguono le proprie leggi ma il loro accordo è
stato stabilito preventivamente da Dio quando ha stabilito queste stesse leggi. Il corpo seguendo le
proprie leggi meccaniche e l’anima seguendo la propria interna spontaneità sono ad ogni istante in
armonia, questa armonia è stata stabilita da Dio all’atto della creazione. Una soluzione simile era
stata dai dagli occasionalisti i quali sostenevano che non è il corpo la causa delle sensazioni né la
volontà la causa dei movimenti corporei, ma è Dio che direttamente
produce nell’anima la
sensazione in occasione di una volizione dell’Anima, l’unica vera causa è Dio: ciò che accade
nell’anima o nel corpo e solo un’occasione della causalità divina. L. non accetta questa posizione
dato che nella soluzione occasionalista Dio doveva intervenire continuamente per generare via via
gli eventi, e per far corrispondere lo stato dei corpi a quello delle anime, così come farebbe un
cattivo orologiaio costretto a regolare continuamente i propri orologi l’uno sull’altro. Questo
sistema ha, secondo L., il torto di introdurre un Deus ex machina in un fatto naturale e ordinario.
Per la teoria dell’armonia prestabiliti invece Dio non deve intervenire continuamente, perché
l’accordo è stato già stabilito nell’atto della creazione. Il Dio di L. ha costruito i due orologi con
tanta arte e perfezione da essere sempre in accordo per il futuro.
L’acquisizione di questa visione segna per L. la raggiunta possibilità di estendere al mondo fisico il
suo concetto di ordine contingente e di unificare perciò il mondo fisico e il mondo spirituale in un
ordine universale libero.
Quest’ordine è il frutto della libera scelta di Dio. Dio è colui che tra i vari mondi possibili ha scelto
il migliore o più perfetto. L’ordine che L. ritrova in questo mondo, proprio perché è il frutto di una
libera scelta, è spontaneamente organizzato e quindi libero e non geometricamente determinato e
quindi necessario come quello di Spinoza.. Dio come essere assolutamente perfetto “non può” che
agire in maniera massimamente perfetta. Il “non può” non implica necessità assoluta ma l’atto della
volontà di Dio che ha liberamente scelto in conformità della sua natura perfetta. Questa è la ragion
sufficiente dell’esistenza del mondo reale. Il principio di ragion sufficiente implica la causa finale,
se Dio ha creato questo mondo, perché è il migliore possibile, egli ha agito in vista di un fine; e
questo fine è la vera causa della sua scelta. La ragion sufficiente per L. inclina senza necessitare:
essa spiega ciò che accade in modo infallibile e certo, e tuttavia senza necessità, perchè il contrario
di ciò che accade è sempre possibile. Una volta che Dio ha creato il nostro mondo seguendo il
decreto di scegliere il migliore dei mondi possibili, una volta che l’ordine del mondo è stato creato
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da Dio, nulla più può accadere al di fuori di esso. Infatti dice L. che di solito noi siamo portati a
dividere le azioni divine in ordinarie e straordinarie, ma questa distinzione non è corretta perché
Dio, una volta scelto e creato il mondo, non fa nulla fuori dall’ordine stabilito nell’atto della
creazione. Non è possibile modificare ciò che è stato stabilito in quest’ordine, questo vale per Dio
stesso. Una volta che è stata stabilita l’Armonia, tutto accade secondo essa e Dio non può più
intervenire nel mondo. Nulla accade di casuale nel mondo, tutto è riconducibile ad una causa. Nel
momento in cui Dio mette insieme i possibili in modo da concepire il progetto di un mondo, potrà
scegliere la composizione che garantisce il massimo di armonia, ma una volta effettuata la
composizione, il grado di armonia intrinseco a quel mondo è indipendente da Dio.
Dopo aver detto che Dio ha creato il nostro mondo poiché questo era il migliore possibile, nasce
spontanea per L. l’esigenza di spiegare la presenza del male nel nostro mondo. L. spiega la presenza
del male nel mondo dicendo che questo fa parte dell’ordine stesso del mondo. Infatti egli sottolinea
che Dio non sceglie il male, il male non dipende dalla volontà divina, ma Dio lo permette perché un
dato male verificandosi permette di raggiungere una perfezione maggiore di quella che si sarebbe
raggiunta se questo male non si fosse verificato. Quindi L. non guarda al valore degli eventi nella
particolarità, cioè non guarda se siano mali in sé o beni in sé, essi rientrano in un ordine superiore
che li vedi come tappe per raggiungere la maggiore perfezione possibile.
Per quanto riguarda la vita degli abitanti del mondo questa è regolata dal seguente decreto stabilito
da Dio: “ogni agente razionale, nel migliore dei mondi possibili, agirà perseguendo quello che a lui
apparirà come il proprio bene”. Gli esseri razionali agiscono non in base ad un atto arbitrario della
volontà, bensì in base ad un giudizio relativo a ciò che in un dato momento e sotto date circostanze
appare loro come il proprio bene. Questo non significa che in L. troviamo una visione soggettiva e
relativistica del bene, al contrario L. ritiene che il bene ha un carattere oggettivo indipendente dal
desiderare degli uomini. Il bene, il giusto e come vedremo le idee e le verità non sono create da Dio
mediante un atto della propria volontà ma esistono di per sé. Questi valori sono indipendenti anche
dalla volontà divina (Dio non può cambiare il bene in sé in male e viceversa). Il bene, le leggi della
giustizia e del vivere i società sono incise nell’anima. ( questo rientra nella concezione innatista
della conoscenza). A guidarci nella vita pratica sono delle inclinazioni che nel momento in cui
vengono espresse dall’intelletto assumono la forma di precetti. La morale quindi è innata come
l’aritmetica. Dio e gli uomini scelgono il bene in base ad un giudizio razionale dell’intelletto, ma
questa scelta che è perfetta in Dio, può non esserlo negli uomini; infatti, la determinazione di ciò
che ai singoli uomini appare come bene è soggetta all’errore che il risultato di una valutazione
sbagliata ma comunque è sempre frutto di un giudizio razionale. Responsabile dell’errore è
l’intelletto e non la volontà (contrariamente a Cartesio).
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L. sostiene che Dio è sempre in grado di portare alla luce la ragione che spinge un determinato
agente umano ad agire in un modo invece che in un altro. Questo perché l’anima come le altre
monadi sono gravide del loro avvenire, cioè già dal momento in cui sono state create ci sono in loro
i segni di tutto ciò che gli avverrà, segni che solo Dio è in grado di vedere e di conoscere
compiutamente. In questa prospettiva ogni nostra azione, tutto ciò che faremo e che ci accadrà è già
stabilito. Ovvero anche se gli esseri umani non sono capaci di scorgere la ragione nascosta che
determina l’azione di un dato agente, tuttavia tale ragione esiste e Dio la vede attraverso la nozione
completa che possiede della sostanza individuale. Il concetto completo di una sostanza è una
nozione che contiene tutto ciò che si può predicare con verità di una certa sostanza, cioè tutte le
caratteristiche che competono ad un ente durante la sua esistenza. Per esempio la nozione
individuale di Alessandro Magno include la ragion sufficiente di tutti i predicati che si possono
attribuire a lui con verità , per esempio che egli vinse Dario e Poro, fino a conoscere a priori se egli
morirà di morte naturale o avvelenato. L’uomo che non possiede mai una nozione completa della
sostanza individuale è costretto a desumere dall’esperienza o dalla storia, gli attributi che le si
riferiscono, ma Dio, la cui conoscenza è perfetta è in grado di scorgere nella nozione di ogni
sostanza la ragion sufficiente di tutti i suoi predicati. L. dice che questo non vuol dire che la
sostanza individuale sia necessitata ad agire in un certo modo, Alessandro poteva fare a meno di
vincere Dario, ma in realtà era certissimo che lo avrebbe fatto perché la sua natura era quella e
rispondeva all’ordine generale dell’universo voluto da Dio. Dice L. “se si considera bene la
connessione delle cose, si può dire che nell’anima di Alessandro vi sono in ogni tempo i resti di
tutto ciò che gli è avvenuto e i segni di tutto ciò che gli avverrà, e persino le tracce di tutto ciò che
accade nell’universo, benché spetti solo a Dio conoscerle tutte”. Questa posizione di L. può creare
dei problemi per quanto riguarda la libertà umana. Qualsiasi gesto un individuo compia per L. è
deducibile a priori, questa prospettiva porterebbe a negare la libertà umana. Ogni cosa che accade
ha una ragione e se le azioni umane sono cose che accadono, ogni azione umana ha una ragione,
ogni azione ha una causa. Ogni azione avendo una causa, è determinata. All’interno di questa
prospettiva, gli sforzi di L. si concentrano sul tentativo di rendere compatibile il determinismo con
la libertà. L. cerca di giustificare l’assunto secondo il quale determinismo e libertà sono tra loro
compatibili, operando una distinzione tra necessità assoluta e inclinazione: la conclusione di un
sillogismo segue dalle premesse con necessità logica o assoluta, mentre l’azione di un agente
umano non segue in base alla medesima necessità. L’agente che compie l’azione lo fa
deliberatamente spinto da una sorta d’impulso, ma senza alcuna costrizione, l’agente è solo
inclinato a fare una determinata cosa non necessitato. La sua sarà un’azione contingente e non
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necessaria. Necessario è ciò il cui contrario implica contraddizione e non c’è alcuna contraddizione
nel pensare che l’agente possa agire in maniera diversa. Asserire che la proposizione “Cesare ha
passato il rubiconde” è contingente, significa dunque asserire che indipendentemente dall’ipotesi
dei decreti divini, ovvero in sé, era possibile che Cesare non passasse il Rubiconde. “In sé”
comporta un riferimento implicito all’apparato dei mondi possibili. Solo in quanto non si hanno
possibili non realizzati si hanno eventi contingenti. La tesi che vi sono possibili in sé come possibili
alternative a ciò che esiste, è considerata da L. un vero e proprio baluardo contro qualsiasi forma di
necessitarismo. Quindi nell’ottica leibniziana affermare che l’enunciato “Cesare ha passato il
Rubiconde” è contingente, significa affermare che esiste un mondo possibile nel quale, sotto
differenti decreti divini, in analoghe circostanze
storiche e con le medesime leggi naturali, è vero
l’enunciato “Cesare non ha passato il Rubicone”.
Ma al di là di questa possibilità se ogni cosa acca ha una ragion sufficiente. Il principio di ragion
sufficiente, sul quale è fondato l’ordine del mondo, conduce L. a vedere quest’ordine orientato
secondo il meglio, non è quindi necessitante ma inclinante; la scelta del meglio da parte delle
creature rimane libera e responsabile.
L’opera di L. è dunque diretta a giustificare la possibilità di un ordine contingente. Abbiamo visto
che il primo aspetto di questa giustificazione è la dimostrazione che ordine non significa necessità.
La necessità è propria solo del mondo della logica e non del mondo della realtà. Un ordine reale non
è mai necessario. Questa distinzione tra necessario e contingente la ritroviamo anche nella teoria
della conoscenza.
La realtà effettiva è conoscibile attraverso quelle che L. definisce verità di fatto. Queste verità sono
contingenti, per questo non si fondano sul principio di non contraddizione ma sul principio di
ragion sufficiente, ciò vuol dire che il suo contrario è possibile. Queste verità sono valide a
posteriori, quindi sono certe ma non necessarie. (ambito delle verità di fatto sono i fenomeni)
Invece, quelle che L. chiama verità di ragione riguardano il mondo della logica e non concernono la
realtà effettiva. Queste verità sono assolutamente necessarie e autoevidenti. Esse sono identiche,
cioè non fanno che ripetere nel predicato la medesima cosa già espressa nel soggetto, e sono
fondate sul principio d’identità e
di non contraddizione. Esse sono valide a priori e quindi
universali, infatti esse sono valide per qualsiasi intelletto anche per quello divino. (verità logiche e
verità matematiche). Queste verità non possono derivare dall’esperienza e quindi sono innate. Infatti
L. in polemica con Locke difende l’esistenza di idee innate. Tali, abbiamo detto, sono le verità di
ragione, le quali non possono derivare dall’esperienza, in quanto hanno una necessità assoluta che le
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conoscenze empiriche non hanno. Sostenere l’innatismo per L. è una logica conseguenza della sua
teoria delle monadi: l’anima essendo una monade è completamente innata a se stessa, non può
ricevere nulla dall’esterno ma tutto dal suo interno. Queste idee che l’anima possiede non sono
chiare e distinte, cioè pienamente consapevoli, ma oscure e confuse. Queste idee innate sono
piccole percezioni, sono disposizioni che nel processo conoscitivo vengono portate alla luce
attraverso la riflessione. Lo sviluppo della vita psichica si identifica con il far emergere a poco a
poco le idee innate, oscure e confuse, e farle diventare conoscenze chiare e distinte. L. per spiegare
questo processo paragona le idee innate alle venature presenti su un blocco di marmo, queste
possono delineare per esempio la figura di Ercole cosicché bastino pochi colpi di martello per
eliminare il marmo superfluo e far apparire la statua. L’esperienza per L. compie proprio la
funzione del martello: rende attuali quelle idee che prima erano semplici possibilità. Quindi le idee
della nostra mente sono delle strutture e in quanto tali sono immutabili, sono il presupposto della
nostra conoscenza, l’esperienza invece ci fornisce i dati senza i quali le idee resterebbero prive di
utilità. Il materiale di ogni sapere sta rinchiuso e preparato in noi; la scienza generale vuole
semplicemente mostrare la strada, attraverso cui noi possiamo giungere ad acquistare
progressivamente e con metodo rigoroso questo possesso.
Ogni conoscenza consiste quindi nell’illuminazione graduale e nella spiegazione distinta di ciò che
da principio ci è dato soltanto come un caos di impressioni molteplici.
Il compito del conoscere consiste nello scomporre progressivamente ogni verità di fatto offertaci
dall’osservazione, in modo tale che essa si risolva sempre più di fronte a noi nelle sue “ragioni” a
priori.
Nessuna esperienza può introdurre nell’io un qualche contenuto, generale o particolare, che non
possa risultare pienamente comprensibile, partendo dalle condizioni insite nello spirito stesso.
Ciò che noi chiamiamo natura delle cose, non è, in estrema analisi, altro se non la natura dello
spirito e delle sue “idee innate”. Ogni proposizione dell’esperienza non fa che offrirci l’esempio e il
concretizzarsi di un “assioma” necessario. Si può quindi dire “che siano in noi tutte quante le verità,
tanto le originarie quanto le derivate, poichè tutte le idee derivate e tutte le verità, che si deducono
da quelle, risultano dai rapporti sussistenti tra le idee originarie, che sono in noi”. Una
compenetrazione e una sintesi di principi universali della ragione sono per l’appunto ciò che
determina la verità del particolare e del concreto.
Il criterio supremo per la verità di un’idea non sta nella concordanza con un oggetto esterno, ma
semplicemente nella forza e nella capacità dell’intelletto stesso. Un concetto è possibile e vero,
senza che il suo contenuto possa mai essere dato nella realtà esterna, in quanto noi possediamo
semplicemente la certezza che esso può costituire, mancando di intima contraddizione, il punto di
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partenza e la fonte dei giudizi validi. Noi peraltro possiamo accertarci compiutamene di questa
possibilità e di questa ricchezza interna di un concetto, solo quando lo facciamo sorgere
costruttivamente davanti a noi. L’atto della costruzione genetica è l’unica garanzia della sicurezza e
della solidità di un determinato concetto. La validità di un concetto complesso è dimostrato dalla
possibilità di scomporlo nelle sue parti costitutive semplici, ciascuna delle quali deve risultare
costruibile e quindi possibile. Per ricostruire la genesi di un concetto occorre un lungo e faticoso
lavoro di analisi concettuale prima che noi possiamo giungere a quegli elementi fondamentali, da
cui deve avere inizio la costruzione sintetica della Conoscenza.
L. è convinto che una qualsiasi proposizione è vera se e solo se il concetto del predicato è
compreso in qualche modo nel concetto del soggetto.
In definitiva possiamo dire che gli oggetti della nostra esperienza non sono altro che costruzioni
della nostra mente. Gli oggetti sono apparenze ben fondate che derivano il loro carattere unitario
dall’attività del nostro intelletto. Per L. non ci sono dei criteri dimostrativi che ci permettono di
dimostrare l’effettiva esistenza della realtà dei fenomeni. In conclusione da un punto do vista
logico-teoretico non è possibile confutare la tesi che viviamo in un sogno continuo ben organizzato,
dal punto di vista pratico non fa alcuna differenza purchè abbiamo modi di orientarci nella
molteplicità delle apparenze. Per condurre la nostra vita. Le esigenza di certezze che abbiamo deve
rivolgersi alle struttura della nostra mente, alle idee, a quello che L. chiama il lume naturale che
consente agli uomini di conoscere le verità necessarie. L’unica certezza che abbiamo è quella che ci
offrono l’intelletto e il giudizio.
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Verifica
Per verificare il raggiungimento degli obbiettivi di conoscenza inserirei nel test le seguenti
domande:
1) Attraverso quali riflessioni Leibniz arriva ad individuare nelle monadi i principi metafisici
che costituiscono la realtà?
2) Che tipo di rapporto ha il Dio di Leibniz con il mondo?
3) Che tipo di ordine Leibniz individua nel mondo? ( Argomenta la tua risposta)
4) Come si concilia determinismo e libero arbitrio nella vita dell’uomo?
5) Movendo da alcune considerazione sulla natura delle monadi spiega perché Leibniz
recupera l’innatismo nella sua teoria della conoscenza?
Per verificare gli obiettivi di competenza presenterei le seguenti domande:
1) Cosa intende Leibin per contingente e cosa per necessario
2) Individua, in occasione di quali questioni, nella filosofia di Leibniz viene fatto riferimento
al principio di non contraddizione e al principio di ragion sufficiente.
3) Quale principio della filosofia leibniziana viene espresso nel seguente brano:“ E’ inoltre
necessario che ciascuna monade sia differente da ogni altra. Nella natura, infatti, non
esistono due esseri che siano perfettamente uguali, e nei quali non sia possibile trovare una
differenza interna, cioè una differenza fondata su una denominazione intrinseca.”( tratto
dalla Monadologia)
Per verificare gli obiettivi di capacità presenterei questa domanda:
Individua e analizza eventuali somiglianze e differenze che hai rintracciato nelle metafisiche di
Cartesio, Spinosa e Leibniz.
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