Se il ginocchio fa male Confronto con le nuove frontiere della chirurgia ortopedica, che non sempre predilige il bisturi / 02.05.2017 di Maria Grazia Buletti «Il futuro sta sulle ginocchia degli dei», «La gamba fa quel che vuole il ginocchio» e «Per stare in piedi occorre saper stare in ginocchio» sono solo alcune delle perle di saggezza popolare (l’ultima ben testimonia le esigenze professionali del prete Oreste Benzi) che dimostrano come le ginocchia sono fra le articolazioni più sollecitate del nostro corpo. Secondo una statistica della Suva, proprio ginocchia e caviglie sono fra le articolazioni più soggette a un grande numero di traumi, siano essi di sportivi o semplicemente di persone comuni. «Più andiamo in periferia, e più le articolazioni del nostro corpo diventano complesse per l’enorme mobilità che sono chiamate a offrire», così esordisce il dottor Christian Candrian, uno dei vice primario dell’Unità di ortopedia e traumatologia dell’Ospedale regionale di Lugano (sede Italiano) che incontriamo, insieme al suo omologo dottor Paolo Gaffurini, per parlare delle patologie che interessano le ginocchia, dell’approccio diagnostico, terapeutico e delle nuove tecniche chirurgiche, se e quando la chirurgia si rende necessaria. Emerge che il bisturi è una scelta che si pone raramente, solo al termine di un percorso diagnostico – terapeutico conservativo. Siamo nell’ambito di una branca iperspecialistica della chirurgia, quella dell’ortopedia, che studia l’apparato locomotore e le sue patologie, i cui medici ortopedici sono specializzati nella diagnosi e nel trattamento sia chirurgico sia non chirurgico dei problemi del sistema locomotore che comprende ossa, articolazioni, legamenti, tendini, muscoli e nervi (oltre ai tessuti molli che li rivestono). Parlare di queste patologie con gli specialisti Gaffurini e Candrian non significa però affrontare necessariamente gli aspetti chirurgici, anzi: «Di norma, quando il ginocchio fa male non bisogna rivolgersi immediatamente al chirurgo ortopedico: il medico di famiglia è la figura di riferimento ideale per affrontare la problematica che sarà valutata per l’intensità del dolore stesso, dall’eventuale evento traumatico e quant’altro». Candrian identifica le lesioni del ginocchio «in due tipi: quelle traumatiche (semmai con fratture), e i processi degenerativi, compresi quelli cartilaginei». Ci possiamo dunque trovare dinanzi a lesioni di menisco, legamento crociato anteriore, legamenti collaterali («lesioni spesso associate ad attività di sport di impatto come calcio, sci, stop and go» e concomitanti lesioni cartilaginee traumatiche, soprattutto nei pazienti molto giovani»). Mentre nel campo delle lesioni degenerative andiamo verso il deterioramento dei tessuti: «Con o senza un trauma, la cartilagine si deteriora generando un’artrosi (ndr: consumo cartilagineo) in cui l’attrito fra le ossa genera dolore». Alcuni elementi di ordine multifattoriale chiudono la carrellata sulle possibili cause dei dolori alle ginocchia: predisposizione famigliare, morfologico (ginocchia valghe o vare in cui il consumo cartilagineo è irregolare), insieme all’artrosi femoro-rotulea in caso di sovrappeso. Gli specialisti ribadiscono che sovente il miglior trattamento terapeutico è quello conservativo. «Per agire chirurgicamente ci deve essere una chiara indicazione e, ad esempio, la lesione del menisco oggi ha pochi presupposti chirurgici, perché i risultati dimostrano che chi si fa operare può incappare in un esito peggiore rispetto a quello della terapia conservativa a lungo termine», dice Gaffurini che pone l’accento sull’importanza del rapporto di fiducia fra medico e paziente e parla dell’approccio perseguito dal chirurgo ortopedico chiamato a individuare il migliore risultato terapeutico per ciascun paziente. «Non operiamo una radiografia o una risonanza magnetica (RMI), ma decidiamo di intervenire, solo se del caso, sul paziente con i suoi sintomi», spiega. Ed evidenzia l’innegabile importanza della diagnosi clinica da parte dello specialista: «L’eventuale indicazione per ulteriori esami si pone solo in funzione di una diagnosi che non dà adito a una possibile terapia conservativa». Egli ribadisce: «Per decidere di operare ci deve essere un’indicazione assolutamente precisa, i cui esami diagnostici annessi devono servire allo specialista unicamente per valutarne la complessità». Dal canto suo, Candrian sottolinea l’importanza della responsabilizzazione del paziente nelle decisioni: «Egli ha spesso aspettative che non corrispondono al procedere e vede nell’intervento chirurgico “la” soluzione a tutti i mali». Certo, vi sono casi in cui è necessario intervenire, spiega Gaffurini: «Un’artrite settica (ndr: infezione del ginocchio) va operata perché evidentemente il paziente rischierebbe di sviluppare una setticemia; abbiamo l’ortopedia traumatologica che contempla situazioni come la sindrome compartimentale in cui un muscolo si gonfia sempre di più e ciò comporta un’indicazione chirurgica assoluta». Quando l’intervento si rivela risolutivo parliamo di protesi o trapianto di cartilagine? È la domanda che poniamo al dottor Candrian, il quale ci spiega, in sintesi, i progressi chirurgici inerenti i trapianti cartilaginei che hanno il potenziale di risparmiare l’intervento protetico totale e di alleviare i sintomi nel corto e medio termine: «È possibile agire su una lesione isolata in cui la cartilagine non è tutta compromessa, con una riparazione cartilaginea attraverso differenti possibili modi d’azione». Uno di questi implica la coltivazione in laboratorio di tessuto del paziente stesso («prelevato con biopsia al ginocchio o dal naso»), tessuto coltivato in laboratorio e poi trapiantato nel ginocchio o in altre articolazioni dove le cellule moltiplicatesi rigenerano un tessuto simile a quello della cartilagine: «Si tratta del trapianto autologo cartilagineo, ma abbiamo a disposizione altri tipi di metodiche con cui intervenire su pazienti che, malgrado la terapia conservativa, sono rimasti sintomatici». Movimento adeguato alla propria condizione ed età, qualità di vita, non essere in sovrappeso sono elementi consigliati dagli specialisti a titolo preventivo. Nell’ambito dell’imminente creazione del polo di riferimento dell’Unità di ortopedia e traumatologia dell’Ospedale Regionale di Lugano (che avrà sede principalmente all’Ospedale Italiano), il team multidisciplinare degli specialisti capitanato dai nostri interlocutori propone un ciclo di conferenze pubbliche (entrata libera) il cui primo appuntamento è: Nuove frontiere della rigenerazione cartilaginea del ginocchio, giovedì 11 maggio 2017, alle 18.00 presso l’Auditorio dell’Università della Svizzera italiana di Lugano.