Quando tradurre non basta: la transcreation della

Quando tradurre non basta: la transcreation della pubblicità1
In un business legato a doppio filo allo sviluppo tecnologico quale è quello della traduzione,
alcuni ambiti ancora resistono agli attacchi di CAT tools, machine translation e tutti quei software
che, se da un lato contribuiscono ad aumentare la capacità produttiva del traduttore, dall’altro
sembrano legittimare le richieste di sconto da parte dei committenti. Si tratta del settore
pubblicitario, nel quale la traduzione vera e propria mostra tutti i suoi limiti e si evolve in
qualcosa di più complesso: la transcreation, un servizio a metà strada tra la traduzione e il
copywriting.
Quando un’azienda lancia una campagna pubblicitaria a livello mondiale, si trova a dover
soddisfare due esigenze contrastanti: mantenere il senso e il tono del messaggio originario nelle
varie lingue, e al contempo comunicare in un modo che “funzioni” nel paese di destinazione.
Pertanto la pubblicità non viene semplicemente tradotta, ma riscritta a partire dal copy originario
(il testo pubblicitario sorgente), rispettando il brief fornito dal cliente o dall’agenzia
(informazioni sul marchio e sul prodotto, oltre che sulla campagna pubblicitaria) e tenendo
presente il mercato e la cultura locale.
Un equilibrismo non facile, che richiede innanzitutto notevoli doti creative e comunicative, in
quanto la “traduzione” (le virgolette sono d’obbligo, e tra poco vedremo perché) deve avere la
stessa incisività dell’originale. Pensiamo alla famosa tagline “Haribo macht Kinder froh und
Erwachsene ebenso”. Una frase tutto sommato semplice sotto il profilo linguistico, ma
estremamente efficace per la sua musicalità. Come tradurla in italiano? “Haribo fa felici i bambini
e anche gli adulti”? Questa traduzione è corretta, ma in italiano suona scialba e poco coinvolgente,
quindi non adatta a un marchio associato all’idea di gioia e divertimento. “Haribo è una bontà che
si gusta ad ogni età”, invece, ha tutto un altro sapore, perché comunica lo stesso messaggio
dell’originale con l’orecchiabilità della filastrocca.
Ma non basta. Nella transcreation il traduttore ha una libertà sconfinata, perché traduce concetti
a prescindere dalle singole parole utilizzate nel testo sorgente. Tuttavia, proprio perché la stessa
frase potrebbe essere resa in mille modi diversi, il rischio è che la fantasia porti il traduttore
eccessivamente lontano dai “binari” del brief. Bisogna quindi saper controllare la propria
inventiva per adattarla a quanto richiesto esplicitamente a livello di messaggio chiave, obiettivi e
tono. Preziosa è anche la capacità di “sintonizzarsi” velocemente sulle frequenze del cliente: nella
transcreation i gusti e le preferenze personali giocano un ruolo imprescindibile, nel bene e nel
male. Il committente potrebbe non essere subito soddisfatto del testo ricevuto e potrebbe
pertanto richiedere proposte alternative.
Infine, bisogna sempre chiedersi quale effetto potrebbero avere le nostre parole sul mercato
locale. Il messaggio pubblicitario è facilmente comprensibile per il pubblico di riferimento? È
vicino alla cultura di destinazione? È appropriato o potrebbe risultare sgradevole per qualche
motivo? Questo tema diventa cruciale nel naming: Toyota ha dovuto cambiare il nome di un’auto
da MR2 a MR, perché nei mercati francofoni la pronuncia di MR2 era pericolosamente simile a
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Articolo originariamente scritto per il blog Kommunika, pubblicato il 24 settembre 2012
quella di merde. In Germania Vicks Vaporub ora si chiama Wick, perché Vicks veniva pronunciato
“ficks”, voce del volgare verbo ficken (copulare). E la lista di esempi potrebbe continuare.
Com’è evidente, la figura del transcreator è più vicina a quella del consulente che a quella del
traduttore: un professionista che aiuta i clienti ad attuare le loro strategie pubblicitarie e di
marketing sul suo territorio, perché è profondamente radicato nella cultura locale e quindi sa
cosa può funzionare e cosa rischia di diventare un flop. Il suo ruolo è importante quanto quello
del copywriter originario, e non è un caso che nei paesi di lingua inglese la transcreation sia
spesso considerata copywriting a tutti gli effetti, anche in presenza di testi sorgente da cui partire.
Uno dei rari casi in cui autore e traduttore sono posti sullo stesso piano.
Claudia Benetello