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Progetto di sperimentazione e recupero
di produzioni agricole ed agroalimentari
Granturco
Testi a cura di:
Antonella Petrini, Michele Piccinini,
Donatella Fuselli, Marino Antonelli (CERMIS)
Paolo Valoti (ISC – CRA)
Giordano Angeletti (ASSAM)
Istituto Sperimentale
per la Cerealicoltura - CRA
Sez. di Bergamo
Progetto finanziato dal GAL SIBILLA nell’ambito dell’iniziativa comunitaria LEADER PLUS
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Si ringraziano
per la collaborazione nella realizzazione del progetto:
• Accademia Georgica di Treia
• Agenzia per i Servizi nel Settore Agroalimentare delle Marche (ASSAM)
• Comune di Fiuminata
• CRAB Centro di Riferimento per l’agricoltura biologica – Prov. Di Torino
• Dip. di Scienze Sociali - Facoltà di Economia – Università Politacnica delle Marche
• Facoltà di Agraria - Università Politecnica delle Marche
• Fondazione Giustiniani Bandini
• Gruppo tecnico del PAS (Progetto Agricoltura Sostenibile del Parco Nazionale dei Monti Sibillini)
• Istituto Nazionale di Economia Agraria sede regionale delle Marche
• Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura - Istituto del CRA - Sezione di Bergamo (ISC-CRA)
• La Salvia srl
• Marco Monetti
per la collaborazione nell’attività di divulgazione:
• Confederazione Italiana Agricoltori Macerata
• Copagri Confederazione Produttori Agricoli Macerata
• Federazione Provinciale Coltivatori Diretti Macerata
• Unione Provinciale Agricoltori Macerata
La presente pubblicazione è distribuita
gratuitamente a quanti ne faranno richiesta a:
CERMIS
Centro Ricerche e Sperimentazione
per il Miglioramento Vegetale “N. Strampelli”
Via Abbadia di Fiastra, 3
62029 TOLENTINO (MC)
tel. e fax 0733.203437
[email protected] - www.cermis.it
Grafica e stampa
Scocco&Gabrielli
Finito di stampare nel mese di aprile 2005
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PRESENTAZIONE
A partire dalla seconda metà del ventesimo secolo, molte specie di interesse agrario, un tempo ampiamente coltivate ed utilizzate per l’alimentazione umana, hanno subito una progressiva contrazione della diffusione che
le sta portando all’estinzione. Tra le tante le cause che hanno contribuito al
minor utilizzo di queste colture vanno ricordate: l’evoluzione dello stato
sociale, il cambiamento delle abitudini alimentari, la mancanza di standard
per le pratiche colturali, la globalizzazione dei mercati e l’omologazione
delle produzioni.
Queste piante, attualmente definite “minori” e quasi dimenticate, hanno
permesso l’evoluzione dell’agricoltura e da loro dipende la nostra sopravvivenza. La perdita di diversità genetica contribuisce direttamente anche ad un
appiattimento culturale che comporta una graduale scomparsa di tradizioni
popolari, usi e costumi associati a tutte quelle colture ormai in disuso.
La necessità di salvaguardare queste risorse genetiche e la maggiore attenzione dei consumatori verso un’alimentazione più salubre, genuina e tradizionale sta orientando il mercato verso la riscoperta di prodotti tipici. Oltre
alla garanzia di qualità, infatti, il consumatore è sempre più interessato ad
altri elementi che differenzino il prodotto e che dimostrino i legami con la
tradizione, la storia e la cultura di determinate aree geografiche. Promuovere
la ricerca, la raccolta e la caratterizzazione di alcune specie e varietà locali consente quindi la conservazione e la valorizzazione sia delle colture caratteristiche di un territorio che del patrimonio storico-culturale ad esse legato.
Sulla base di questi presupposti il GAL Sibilla, nell’ambito dell’iniziativa
comunitaria LEADER PLUS, ha affidato al CERMIS - Centro Ricerche e
Sperimentazione per il Miglioramento Vegetale “N. Strampelli” la realizzazione del progetto “Sperimentazione e recupero di produzioni agricole ed
agroalimentari”. L’obiettivo principale è quello di tutelare la biodiversità e,
contemporaneamente, valorizzare l’economia di settori e di aree marginali
penalizzate dai processi di globalizzazione dei mercati e di omologazione delle
produzioni attraverso:
• il recupero di quattro specie agrarie: mais da polenta, miglio, roveja e
fagiolo;
• la ricerca degli usi e delle tradizioni locali a queste associate;
• la valutazione delle caratteristiche agronomiche, nutrizionali ed economiche;
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• la revisione delle tecniche colturali impiegate, con un’eventuale introduzione di pratiche agronomiche che ne esaltano le caratteristiche organolettiche e salutistiche;
• il rilancio della coltivazione favorendo la conservazione delle varietà e
popolazioni in situ.
I risultati di questo progetto, realizzato nel biennio 2003-2004, sono riassunti in quattro opuscoli dove sono illustrati tutti gli aspetti studiati per singola specie.
Aspetti valutati per singola coltura:
STORICI (legame con gli usi e le tradizioni del territorio)
AGRONOMICI (vocazionalità dell’area e tecnica colturale)
AMBIENTALI (coltivazioni con metodi a basso impatto e biologici)
NUTRIZIONALI (proprietà qualitative e salutistiche)
ECONOMICI (trasformazione, promozione e vendita del prodotto)
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IL GRANTURCO O MAIS DA POLENTA
INTRODUZIONE
Il mais (Zea Mays), originario dell’America centrale, è noto in Italia anche
con i nomi di granoturco, granturco, granone, frumentone, formentone,
grano siciliano, melica, ecc..
In Europa fu introdotto nel 1492, subito dopo la scoperta dell’America, ma
il suo vero successo avvenne nel XVIII secolo quando si diffuse con decisione nell’alimentazione umana diventando, per circa due secoli, l’alimento
principale della popolazione rurale e meno abbiente. Nelle Marche era coltivato ovunque con la tecnica dei “tre campi”, uno a mais e due a frumento,
con gli spazi marginali occupati dai filari di vite maritata ad alberi vivi.
Questa formula corrispondeva esattamente alle esigenze della piccola proprietà dell’epoca, permettendo di ottenere il prodotto con cui pagare i tributi o da dare al proprietario del terreno nel caso della mezzadria (in grano) e
quanto serve per una, seppur minima, alimentazione dell’intera famiglia
sotto forma di pane o polenta. Attualmente la coltivazione del mais si è particolarmente evoluta, soprattutto attraverso un’incessante attività di miglioramento genetico che ha innescato quel fenomeno chiamato “rivoluzione
verde”, e che ha portato alla progressiva sostituzione delle vecchie varietà
vitree, usate prevalentemente per l’alimentazione umana, con i nuovi ibridi
di mais dentato coltivati per uso zootecnico e industriale. Ciò ha permesso
un notevole aumento della produzione ad ettaro ma ha anche causato la quasi
totale scomparsa del mais dalle aree marginali non irrigue, dove sono ottenibili rese modeste e incostanti, localizzando la produzione nelle zone più vocate e fertili.
Nel panorama mondiale attuale il mais è il terzo cereale dopo frumento e
riso per diffusione, se si considerano le superfici coltivate, ma occupa il primo
posto per quantità prodotte. I maggiori produttori mondiali sono gli Stati
Uniti seguiti dalla Cina e dall’Europa; Francia e Italia sono i primi produttori europei e, insieme, concentrano quasi i 2/3 delle superfici e delle produzioni comunitarie. Per quanto riguarda gli impieghi nell’Unione Europea,
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l’80% del mais è destinato ad alimentazione zootecnica, sia come trinciato
che come componente del mangime, il 10% alla trasformazione industriale e
solo l’8% per il consumo umano. In Italia la trasformazione industriale (principalmente produzione di amido) è quasi inesistente ed il consumo umano
ridotto per cui la percentuale impiegata per l’alimentazione del bestiame sale
al 93%.
Diffusione della coltivazione del mais nel mondo
Area d'origine
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Aree di coltivazione
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CENNI STORICI
ORIGINI
La patria di origine del mais è stata per un lungo periodo controversa, ma
poi si è definitivamente accertato che proviene dall’America Centrale, e più
in particolare dalla regione compresa tra il Messico e l’Honduras. Parte della
confusione è da attribuire al fatto che Linneo, nella sua classificazione, le
diede la denominazione botanica
latina di “Zea mays” malgrado questa
fosse già presente nei testi classici latini e greci. Infatti, nel IV libro
dell’Odissea, Omero accenna due
volte ad un cereale chiamato “zea”,
nome che si ritrova anche presso i
latini per indicare un grano “primus
antiquis Latio cibus”. Linneo probabilmente sapeva che Omero e Plinio
con il loro “Zea” intendevano qualche cosa di diverso dal mais (il farro),
ma con molta probabilità lo volle
classificare allo stesso modo in quanto anche questa pianta poteva essere
definita “pianta della vita” (in greco
“zao” significa vivere e “mayze”
pane). Un’altra causa è da attibuirsi ad una delle denominazioni più diffusa
per questa pianta: grano-turco. Ma anche questo equivoco è facilmente spiegabile: nel Cinquecento, epoca in cui il mais si diffondeva in Europa, in
molti paesi l’indicazione di “turco” aveva il significato generico di “forestiero”
o “straniero”, e non era diffusa la distinzione tra Indie Occidentali (America)
e Indie Orientali (Asia dominata in gran parte dai Turchi). Si è anche parlato molto di un’antica opera cinese intitolata Phenthsao-Kang-mou, in cui si
trova descritta e raffigurata la pianta del mais, ma poi è stato dimostrato che
l’opera risale alla fine del XVI secolo, mentre i Portoghesi arrivarono alle
spiagge della Cina fin dal 1516. Quindi il mais americano poteva essere stato
importato 60 a 80 anni prima della pubblicazione del suddetto libro.
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MITI E LEGGENDE DEL “NUOVO MONDO”
In America Centrale la coltivazione del mais era sicuramente praticata da diversi millenni
prima dell’arrivo di Cristofolo Colombo. E’ stato, infatti, dimostrato che questa pianta,
grazie alla semplicità di conservazione e trasporto dei suoi semi, rappresentò uno degli elementi strategici dell’espansione demografica e culturale di Aztechi, Maya e Incas. Tutte
queste popolazioni precolombiane, infatti, si nutrivano prevalentemente di mais e lo veneravano come un dio. Ancora oggi, a Oaxaca in Messico, si svolge una delle principali feste
della cultura preispanica in onore di Centlocihuatl, divinità del mais, e di Xilonen, dea del
mais tenero chiamato anche jilote.
Ma il mais non era coltivato solo nell’America Centrale, indagini successive dimostrarono
che esso rappresentava un alimento fondamentale anche per numerose tribù seminomadi
sia del Nord che del Sudamerica.
Sull’origine di questa pianta considerata sacra sono state elaborate, dai popoli che lo veneravano come l’espressione del Sole, del Mondo e dell’Uomo, tante teorie e leggende. La
tradizione Maya racconta che la creazione dell’uomo fu realizzata in tre tentativi: il primo
uomo, creato con l’argilla, fu distrutto da una inondazione, il secondo perì sotto una grande pioggia poiché era fatto di legno, mentre il terzo, fatto di mais, è il nostro progenitore.
Il calendario azteco consacrava il quarto dei diciotto mesi di cui era composto al culto del
mais, e per l’occasione si ornavano case e altari. Nell’ottavo mese aveva luogo una festa
solenne per onorare la dea del mais novello, mentre nel diciottesimo, periodo in cui il mais
veniva raccolto, tutta la popolazione si abbandonava ad una gioiosa ubriacatura come previsto dal cerimoniale ufficiale.
Per i pellerossa Penobscot il mais era un dono di Prima Madre, associabile alla nostra Eva
anche se nata in modo più poetico. Per l’esattezza era la sua carne, come il tabacco era nato
dalla sue ossa ed era il suo respiro. In breve: Prima Madre, mandata da Grande Mistero di
Lassù, partorì molti figli che erano solo cacciatori, quando le prede finirono e tutti stavano per morire di fame, lei convinse l’innamoratissimo marito, associabile al nostro Adamo,
ad ucciderla seguendo un preciso rituale. Sette lune dopo nascevano il mais e il tabacco.
Nei Caraibi spettava esclusivamente alle donne il compito di seminarlo, mentre in Perù se
ne ricava tuttora una bevanda alcolica chiamata chica che gli indigeni offrivano in omaggio al dio Sole durante le cerimonie religiose.
DIFFUSIONE
Dopo numerose discussioni è stato accertato che, come affermava il De
Candolle nel 1836, “il mais è originario di America e non è stato introdotto nel
mondo antico che dopo la scoperta del nuovo”.
Infatti, conosciuto ed utilizzato da millenni dagli indigeni americani, il
mais arrivò per la prima volta in Europa nel 1493-94 grazie a Cristoforo
Colombo e i suoi collaboratori, che in una ricognizione effettuata all’interno
dell’isola di Cuba per primi scoprirono l’esistenza di questo sconosciuto
cereale chiamato mahiz che era “di buonissimo sapore …pesto in polenta”.
Ma la diffusione del mais in Europa non avvenne automaticamente infatti i
semi che vennero importati non ebbero subito una grandissima fortuna.
Trent’anni dopo la scoperta dell’America troviamo il mais coltivato solo in
Andalusia dai Moriscos (gli ultimi arabi rimasti dopo la loro sconfitta) e solo per
l’allevamento del bestiame. Gli spagnoli portarono il mais in Sicilia, a Palermo,
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ma anche qui non fu molto apprezzato e venne impiegato come pianta ornamentale. Solo dalla metà del XVI secolo, grazie all’arrivo di varietà provenienti da
zone andine e dagli altopiani messicani più adatte alle nostre condizioni climatiche e meno sensibili al fotoperiodo, arrivo ad essere coltivato in pieno campo.
Nello stesso periodo il mais divenne l’alimento principale delle classi rurali e
povere sostituendo altri cereali meno produttivi (sorgo, miglio, grano saraceno).
L’enciclopedia Treccani conferma che nel 1554 nel Polesine si coltivava il
granturco, mentre uno dei primi documenti storici su questa coltivazione risalente al 1632 proviene dal Bergamasco e riferisce del primo campo di “melgotto” seminato proprio nel territorio di Gandino. In Friuli addirittura vantano di
aver iniziato a confezionare polenta con la farina gialla verso il 1550 – 1555.
Malgrado la partenza molto lenta, anche a causa dello scetticismo di alcuni
agronomi dell’epoca (V. Tanara in “L’economia del cittadino in villa” scrive: Da
noi poco si pratica, perché volendo terreno grassissimo in luogo di questo, forsi con
miglior conseglio, nel terreno grasso poniamo la canapa), la coltura del mais si
espanse a tutta l’Italia ed anche in Europa per gran parte del secolo XIX; successivamente essa conobbe un forte declino causato dalle profonde trasformazioni sociali ed economiche, e del relativo regime alimentare. Dopo la seconda
guerra mondiale, più precisamente intorno agli anni ’50, ha inizio una nuova
era per questa coltura grazie al rapido affermarsi delle nuove varietà ibride provenienti dagli Stati Uniti. Con esse e con i progressi ottenuti nel campo dell’agronomia, meccanizzazione, fertilizzazione e difesa fitosanitaria, il mais è divenuto un simbolo di progresso e prosperità. Contemporaneamente è però cambiato il suo ruolo: da cibo basilare per l’uomo ad alimento per i suoi animali.
Infatti, migliorando il tenore di vita, nei paesi industrializzati l’alimentazione si
è indirizzata verso alimenti proteici di origine animale (carne, uova, latte), il
consumo diretto di proteine vegetali (pane, pasta) è rimasto pressochè costante mentre è diminuito l’uso di polenta e pane di mais.
UTILIZZAZIONE
Il grande successo che il mais ha registrato in Italia nei secoli XVIII e XIX
è strettamente legato alla possibilità di integrare, e molto spesso sostituire,
il frumento nell’alimentazione della popolazione più povera, sia sotto
forma di polenta che come sfarinato per la produzione di pane. Nel
XIX secolo, la proporzione fra farina di frumento e farina di mais
all’interno della dieta poteva essere presa come un indice di benessere: se le famiglie agiate mangiavano esclusivamente pane bianco, scendendo nella scala sociale, era possibile osservare un
aumento della proporzione di farina di mais. Nei ceti sociali più
bassi, si arrivava ad aggiungere alla già povera farina di mais sfarinati diversi, come quello di fave, di ceci, e addirittura di ghiande.
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Questa pianta diede la possibilità a gran parte della popolazione di uscire
dalla stretta dipendenza dai cereali tradizionali, non solo dal grano che in
molti casi era una sorta di miraggio, quanto da orzo, miglio, grano saraceno, segale e panico che troneggiavano nelle mense rurali, sia sotto forma di
pani che di polente. Il mais riuscì a sconfiggere la piaga della fame e delle
carestie, ma nello stesso tempo mise in luce problemi relativi alle difese
sanitarie dell’organismo. Infatti, non essendo un alimento ad alto contenuto proteico e carente in vitamina PP e triptofano (un importante aminoacido), l’uso quotidiano conduceva alla patologia della pellagra, caratterizzata da lesioni cutanee e da disturbi mentali e dell’apparato digerente.
L’elemento scatenante di questa malattia in Italia, a differenza di molte altre
nazioni europee, è stato il fatto che il mais veniva consumato sotto forma
di polenta, senza sale e senza altri condimenti che potessero rialzarne il
valore nutritivo dal punto di vista proteico e vitaminico. Inoltre, il processo di bollitura necessario per la trasformazione della farina di granoturco in
polenta, liberava e disperdeva anche quella minima quantità di vitamina PP
in essa contenuta. Risulta inoltre importante precisare che il mais non è l’esclusivo elemento scatenante della pellagra, e la motivazione della sua
ampia diffusione può essere tranquillamente ricondotta ad uno stato degenerato dell’alimentazione dell’epoca, basato per lunghi periodi dell’anno,
su un numero troppo ristretto di prodotti dotati di un bassissimo valore
nutritivo. Bisogna inoltre dire che gli stessi alimenti, reinseriti in una dieta
più ricca e bilanciata, come quella che oggi siamo abituati ad avere, non
causerebbero alcuna malattia anzi apporterebbero dei benefici.
Nel 1900, ma in particolare dopo la seconda guerra mondiale, si è assistito
ad un aumento di benessere che, iniziato nelle città, si è portato velocemente anche nelle campagne. Lo sviluppo economico ed il benessere hanno spinto la popolazione ad abbandonare tutta quella serie di alimenti “poveri”, in
primis il mais da polenta, in favore di alimenti più “ricchi”, come il frumento, fino ad allora ad appannaggio delle classi sociali medio-alte. Un altro
grande mutamento avvenuto in quegli anni ha portato all’introduzione nella
dieta di quantità maggiori di alimenti di origine animale (carne, latte, uova),
spostando la destinazione del mais dall’alimentazione umana a quella zootecnica. I grandi progressi effettuati dalla genetica hanno condotto all’introduzione e successiva ampia diffusione di nuove varietà ibride di mais, più
produttive e meglio adattate all’alimentazione animale. Questo fattore biologico, unito alle innumerevoli innovazioni agronomiche e tecnologiche, ha
portato alla semplificazione e meccanizzazione di numerose operazioni colturali, rendendo possibile una straordinaria crescita delle produzioni maidicole, ma anche a dare la definitiva “spallata” alle vecchie varietà di mais che,
oltre ad essere poco produttive, erano più suscettibili alle fitopatie, poco meccanizzabili e quindi richiedevano livelli troppo elevati di manodopera.
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Queste sono alcune delle motivazioni che hanno spinto l’agricoltore italiano all’abbandono delle varietà tradizionali di mais da polenta. Oggi, il
rinnovato interesse verso la riscoperta della tipicità e della qualità delle produzioni alimentari, hanno stimolato l’attenzione per le varietà tradizionali di
mais, dando impulso ad una loro possibile reintroduzione, come coltivazioni di nicchia o biologiche, e realizzare produzioni agricole capaci di offrire
un segno di distinzione alimentare e un simbolo della nostra storia e delle
nostre origini.
LA POLENTA
La polenta è quasi certamente il più antico cibo “confezionato” dall’uomo e sicuramente il
primo non carneo preparato usando il fuoco. Nel mesolitico già si nutrivano di polente di
cereali frantumati con le pietre e cotte in acqua riscaldata mediante sassi roventi. Anche al
tempo dei romani i cereali allora conosciuti (farro, orzo, frumento, segale, avena, miglio)
erano consumati prevalentemente sotto forma di polenta o plus come la chiamavano i latini che, in funzione della farina e del condimento utilizzati nella preparazione, assumeva
denominazioni differenti: puls punica, plus julia, puls fabata.
Con la diffusione del frumento e la scoperta della lievitazione, l’alimento fondamentale per
l’uomo divenne il pane, ma siccome non tutti i cereali potevano essere panificati e, a causa
delle frequenti carestie, il frumento era spesso insufficiente a soddisfare le esigienze alimentari di tutta la popolazione, i più poveri continuarono a nutrirsi principalmente di
polenta. Si trattava però sempre di polente bianche, realizzate con le farine più svariate (es.
farro, miglio, panico, grano saraceno, veccia, piselli), perchè per avere in Europa la polenta gialla, preparata con farina di mais, bisognerà attendere la scoperta dell’America. L’arrivo
di questo cereale nel XVI secolo risolse gli enormi problemi alimentari che fino a quel
momento avevano afflitto le popolazioni rurali e, per un paio di secoli, divenne il principe incontrastato della tavola dei più poveri. Da allora il binomio polenta e mais divenne
indissolubile e persistente fino ai giorni nostri.
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IL MAIS NELLE MARCHE
I DOCUMENTI
Nell’Italia Centrale la coltura del mais arrivò ancora più tardi, infatti, nel
1600 si mangiava ancora polenta fatta con farina bianca. Ne fa fede un’ecloga bellissima composta da un prelato di Urbino (Bernardo Baldi 1553-1617)
e intitolata “Celeo e l’orto”. Particolarmente colorita è la descrizione della
preparazione della polenta dalla quale si capisce chiaramente che non si tratta di farina di mais: “Celeo mette il caldaio stagnato sul fuoco col trepiedi; lo
splendore (del caldaio) vinceva l’argento; quando l’acqua gli parve tiepida mise
il sale; mentre l’acqua bolliva fece passare il tesoro di Cerere, che aveva ridotto in
bianca polvere nel molino; prese una grossa forma di grasso formaggio e la tritò
col forato ed aspro ferro; cominciò a sgorgare la farina purgata nel caldaio con la
destra; con la sinistra dimenava l’acqua col legno; poi mischiava con le due mani
perché il bianco e molle corpo iniziò a diventare pallido e duro…”.
Un’altra conferma di questa situazione è data dall’analisi delle relazioni
redatte da tutti i monasteri marchigiani, per ordine di Innocenzo X nel 1650,
effettuata da R. Cicconi in “Insediamenti agostiniani nelle Marche dei XVII
secolo” dove emerge che in quell’anno il mais era coltivato solo nel monastero di Ancona (Il monastero possiede …. terre lavorative…..quali terre rende un
anno per l’altro per la parte domenicale rubbia di grano……Item rubbia 4 in
circa di gran turco a ragione di tre paoli la coppa importarebbe scudi 9 e baiocchi 60). Il mais, nelle Marche, conquistò uno spazio esteso e generalizzato
nell’alimentazione solo durante i lunghi anni di carestia che dal 1763 al 1766
flagellarono duramente lo Stato Pontificio, come percepirono chiaramente i
contemporanei (G. Fiorilli e G. Caradonna in Alli cardinali capi d’ordine,
Veroli 23 aprile 1768) e lo Stato stesso che dal 1768 estese anche a questo
genere il dazio sul macinato.
L’inizio del XIX secolo: Annali dell’Agricoltura del Regno d’Italia
Un’importante fonte di informazioni che ci permette di comprendere la
reale condizione della popolazione rurale marchigiana alla fine del XVIII
secolo sono gli “Annali dell’Agricoltura del Regno d’Italia” pubblicati nei
primi anni del 1800 da Filippo Re. Cinque sono gli autori (Miotti, Spadoni,
Valeriani, Moreschini e Brignoli) che descrivono il territorio marchigiano, e
tutti mettono in risalto l’importanza del mais sia all’interno degli avvicendamenti colturali che nell’alimentazione di tutti i giorni.
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Vincenzo Miotti, professore di
fisica presso il Liceo di Udine, nel
suo scritto “Osservazioni nelle due
Marche di Ancona e Fermo” dice
che i principali prodotti presenti
nella nostra regione erano “il frumento, il gran turco, le fave, il vino, la
seta, il tabacco, l’olio, le pecore e gli
animali porcini”.
Il Dott. Spadoni, professore di
botanica e agricoltura presso il Liceo
di Macerata, in risposta alle domande postegli dal Cav. Filippo Re,
riguardo all’agricoltura che si praticava nel Dipartimento di Macerata,
scrive che “Il grano occupa la metà
delle possessioni. Le cortine vengono
poi seminate a grano per più di due terzi. Parlando dell’altra metà delle possessioni, farò avvertire, che si divide fra il frumentone, i foraggi, i legumi, il lino e
poca canapa…”. Ancora Miotti ci dice che i contadini non seminano mai due
anni consecutivi il grano sopra lo stesso terreno ma lo inseriscono in una
rotazione, generalmente triennale, con mais e fava o prato artificiale.
Valeriani, professore di botanica e agraria presso il Liceo di Fermo, elencando i difetti dell’agricoltura in questo periodo afferma che “si mette troppo formentone. Siccome questo è un genere che si divide in modo più vantaggioso al contadino, e siccome i contadini se ne cibano per circa un mese, quando è sul campo
prima di dividerlo col padrone, … i contadini cercano di metterne quanto più possono”. Successivamente, parlando delle rotazioni, ci dice che in una metà circa
dei terreni era seminato grano, mentre nell’altra mais, foraggi e legumi. Il
Valeriani illustra anche l’andamento delle “esportazioni” che venivano fatte con
l’Abruzzo e con Roma e che in quel periodo si erano di molto ridotte. Secondo
l’autore rimaneva quindi il commercio marittimo e quello effettuato con i territori del Musone. Fra i prodotti “esportati” il Valeriani inserisce il “gran-turco”,
dandoci un’altra testimonianza riguardo alla notevole importanza che questo
aveva assunto nella vita della popolazione rurale dell’epoca.
Facendo riferimento alle forti esigenze in fatto di acqua e di nutrienti da
parte del mais, lo Spadoni ci dice che “finalmente si ha l’avvertenza di non
porre mai il gran-turco nello stesso sito dov’è stato l’anno antecedente” mentre
Moreschini afferma che nel caso della mezzadria “più severi regolamenti
dovrebbero adottarsi dai proprietari dei terreni magri e di poco fondo di questo
distretto, restringendo, quanto è possibile, poiché non sarebbe cosa facile l’abolirla del tutto, la coltura del granturco”.
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Il valore sociale assunto dal mais, come unica fonte di sostentamento per la
popolazione rurale, era talmente elevato che si cercava di produrlo ovunque.
Il Moreschini scrive: ”Si nutrisce la gente di campagna con molto piacere di
granturco…Fornisce il granturco sano e piacevole nutrimento. Se ne giovano gli
abitanti della campagna, e ne formano la parte principale del loro cibo, specialmente nelle annate scarse di grano”.
Il Valeriani inserisce il mais fra le specie di “erbe i cui grani si panificano” e
asserisce che se ne fa polenta. Racconta inoltre, che uno dei problemi principali della coltivazione è la lunghezza del ciclo ed il rischio di arrivare all’inizio dell’inverno con il mais che ancora non ha terminato la maturazione.
Questo pericolo era reso ancora più probabile dalla pessima abitudine dei
contadini di asportare, prima della maturazione, la parte del fusto superiore
alla pannocchia per farne foraggio per gli animali. Per questi motivi, riguardo alle varietà, riporta che il cinquantino è troppo tardivo e quindi non si coltiva. La stessa informazione ci viene data dal Brignoli che aggiunge: “una sola
varietà di maiz ho veduto generalmente coltivata, ed è quella detta dei botanici
Zea mayz semine minori panicula longa”.
La fine del XIX secolo: Inchiesta Jacini
Nel 1877 fu emanata la legge per l’espletamento di una “Inchiesta agraria
e sulle condizioni della classe agricola”, da compiersi in due anni e finanziata con 60.000 lire. Questa indagine, pubblicata nel 1883, divenne nota con
il nome di “Inchiesta Jacini” dal nome del coordinatore e risulta fondamentale per conoscere le abitudini e i tenori di vita della popolazione italiana dell’epoca. Nell’introduzione di tale inchiesta Jacini, dopo aver
fatto notare che: “l’Umbria e le Marche sono due distinte graduazioni di quella scala che prendendo a base il Romano e il
Grossetano, ascende progressivamente fino all’Emilia e alla
Lombardia”, precisa che “nelle Marche la ricchezza è maggiore”, ma “la popolazione che vi dimora non è prospera in rapporto a quello che dovrebbe esserlo” e uno dei principali aspetti che denotano questa mancanza di prosperità è proprio l’alimentazione basata sulla polenta di granturco. Tra gli
aspetti generali positivi dell’agricoltura marchigiana furono
annoverati la mezzadria, che dava la compartecipazione dei
frutti della terra, la grandissima divisione della proprietà e
lo stato di quiete della popolazione rurale. I principali aspetti negativi individuati sono la mancanza di istruzione, di
cultura tecnica e di capitali della gente che popola le colline
marchigiane.
Dai risultati dell’inchiesta nel circondario di Ascoli Piceno,
emerge che il mais continua ad acquistare sempre più impor14
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tanza, infatti, dei 54.000 ettari di seminativo a grano, appena 1.200 ettari si
avvicendano con la canapa, mentre gli altri si alternano semplicemente con il
mais. Per quanto riguarda le varietà coltivate, emerge che quella maggiormente presente è l’agostana a semi gialli mentre solo in alcune località sono
coltivati il nano e il sessantino.
Anche nel circondario di Camerino il mais è, per diffusione, la seconda coltura dopo il grano. Il motivo per il quale questa pianta sia tanto coltivata
anche in areali poco favorevoli è che il mais rappresenta per i contadini un
alimento di utilizzo quasi quotidiano. L’inchiesta ci dice che si è tentato di
introdurlo persino nei monti, ma con insuccesso. Le varietà coltivate in questa zona sono il granturco comune grosso, che viene adottato nei campi più
fertili, e l’ottantino o nano, caratterizzato da un ciclo più breve e per questo
seminato nei terreni più “magri” o in quelli più “grassi” in modo da avere più
tempo per le operazioni di preparazione del letto di semina della coltura successiva che in genere era il frumento.
Nel circondario di Macerata il granoturco è presente con il grano in un
avvicendamento quasi biennale dove, solo saltuariamente, si ha l’introduzione di un prato. Per quanto riguarda le varietà, quelle coltivate sono due: il
giallo spadone e il giallo nano. Gli autori ci riferiscono che la prima è la varietà più conosciuta, essendo presente già da diversi anni, mentre la seconda è
una nuova varietà che, avendo un ciclo più breve garantisce maggiormente il
raccolto e sfrutta meno il terreno, si sta diffondendo molto soprattutto nella
parte più interna del circondario dove queste caratteristiche sono preziose
data la brevità della stagione estiva e la scarsa fertilità dei terreni.
In questo periodo si possono distinguere due tipi di alimentazione: durante i pasti dei ceti sociali più ricchi possiamo ritrovare una grande varietà di
prodotti fra i quali carne di bovino, suino, ovino, nonché pesce e selvaggina
(fringuelli, palombe, tordi, beccacce…); abbondano inoltre vino, acquavite,
aceto, olio e miele; nelle classi sociali più basse invece i pasti quotidiani erano
sempre molto frugali e le “grandi abbuffate” riservate solo al carnevale e alle
principali feste religiose. Questa situazione ci viene ampiamente confermata
dall’Inchiesta Jacini nella quale è scritto che nei territori di Fermo, Camerino
e Macerata, l’alimentazione era costituita principalmente dal mais, che veniva consumato sotto forma di polenta e di crescia. In particolare, per quanto
riguarda il circondario di Macerata, è riferito che l’alimentazione della popolazione agricola è di qualità molto bassa proprio per l’eccedente consumo che
si fa del mais e il bassissimo di carne e vino. Il grano prodotto nel fondo viene
in parte venduto per sopperire ai bisogni e per ricomprare granturco che
viene consumato in un rapporto con il grano che va dal 3:1 al 10:1 nelle
famiglie meno agiate.
Il numero giornaliero dei pasti e la loro costituzione varia molto in funzione della stagione e quindi delle attività che si debbono svolgere in campagna,
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ma nella generalità dei casi è basata principalmente sulla polenta a pranzo e
le verdure cotte a cena. Nella zona di Cingoli da dicembre a febbraio si fanno
due pasti al giorno di sola polenta; da marzo ad aprile e da settembre a
novembre si consumano tre pasti, al mattino polenta, a pranzo erbe e legumi
o solo pane che spesso è di mais e a cena soltanto polenta; da maggio ad agosto i pasti sono quattro: alle 7,00 polenta, alle 12,00 legumi, erbe e pane, alle
17,30 erbe crude e pane, a cena polenta. Durante i lavori agricoli più pesanti, come la mietitura, il numero dei pasti al giorno poteva anche aumentare,
spesso questi pasti venivano intervallati da spuntini, ma la centralità della
polenta e del pane di mais rimane comunque.
Il XX secolo
Per delineare le ultime fasi di questa storia, non ci siamo basati su un unico
documento bensì una serie di testimonianze, anche orali, molto importanti.
Dalla lettura di un documento, redatto nel 1910 dalla Cattedra Ambulante
di Agricoltura del Circondario di Fermo, emerge che la pellagra era una
malattia molto diffusa anche tra la popolazione della nostra regione. Si tratta di un opuscolo intitolato “Istruzioni popolari sulla pellagra” dove, “stabilito dunque che le cause della pellagra sono molteplici e varie, e precisamente: miseria, trascuranza della igene, cattiva alimentazione per mancanza di mezzi talvolta, ma quasi sempre per una falsa economia, abitazioni mancanti di aria e di
luce, granoturco o pane di granoturco ammuffiti” viene illustrato, oltre alle
informazioni di carattere igenico-sanitario per debellare la malattia, un “concorso a premi” per gli agricoltori che: ..costruiranno case coloniche più comode
ed igeniche…, diminuiranno la coltura del granoturco e ne miglioreranno le
sementi….., costruiranno aie murate, capanne, o copertoni, indispensabili alla
rapida e buona essiccazione del granoturco……
Domenico Pinolini nel 1915, nel suo testo intitolato “Elementi di agricoltura pratica per gli agricoltori della provincia di Macerata”, oltre a descrivere
le più comuni pratiche agronomiche adottate in quel periodo, parlando del
mais, scrive: “Le varietà più coltivate sono quelle a semi gialli, di cui le più
importanti sono: l’agostano, il maggengo, il
quarantino, ecc.”.
Nel 1934, G. Acerbo, nel suo libro “La
economia dei cereali nell’Italia e nel
mondo” illustra in modo approfondito la
produzione ed il consumo anche del granoturco: “Molteplice, pertanto, è la importanza diretta e indiretta del granoturco
nella nostra economia cerealicola…….Si
valuta che circa i 2/3 del granoturco prodotto nel Regno siano impiegati nell’ali16
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mentazione umana; e questo impiego è limitato quasi soltanto alle popolazioni
rurali del Centro e del Nord.”. Sempre nello stesso libro si legge che la superficie destinata a granoturco in Italia è in calo, e che la granella prodotta trova
impiego principalmente nell’alimentazione del bestiame.
Nella nostra provincia, i primi segnali di questo cambiamento, li troviamo
nelle pubblicazioni degli anni ’50. Nel notiziario del Consorzio Agrario della
Provincia di Macerata (“Il Risveglio Agricolo”), pubblicato nel marzo 1954,
ampio spazio è dedicato al mais (“non seminare il granoturco finchè la temperatura non permette di…. lavorare senza giacca”) ed alle peculiarità dei nuovi ibridi riportando i risultati dei campi di orientamento realizzati dall’Ispettorato
Provinciale dell’Agricoltura di Macerata nel 1953. Per il mais sono state realizzate, in diverse località, 2 tipi di prove: “ Campi di orientamento a mais ibrido
in coltura principale asciutta” (vedi foto) e “Campi di orientamento a mais ibrido in coltura principale irrigua”; in entrambi i casi il testimone di riferimento è
rappresentato da una varietà locale di mais denominato “nostrale”.
Anche dai dati della Camera di Commercio, Industria, Artigianato e
Agricoltura di Macerata che riguardano il “Prodotto netto dell’agricoltura” si
evince questa modifica: fino al 1956 si produceva solo “granoturco” denominato “nostrano” mentre nel 1957 compare per la prima volta la voce “granoturco ibrido” che negli anni successivi va rapidamente a sostituire quello
“nostrano”. Leggendo le varie fonti e conversando con gli anziani agricoltori
dell’area dei Sibillini, è stato accertato che la denominazione “nostrano” o
“nostrale” non identifica una varietà ma contraddistingue una tipologia di
prodotti: le vecchie varietà di mais vitrei utilizzati per l’alimentazione umana
dai nuovi ibridi di mais dentato ancora una volta importati dall’America, più
produttivi dei materiali genetici precedenti, particolarmente adatti per sostenere il grande fabbisogno energetico nell’uso zootecnico (sia come trinciato
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integrale che come mangime) e assicurare la materia prima da impiegarsi in
altri prodotti industriali.
Il mais è rimasto quindi un alimento primario della popolazione rurale marchigiana fino alla metà degli anni ’60. In seguito la sua presenza all’interno
della dieta umana si è ridotta fino quasi a scomparire. Quest’abbandono è
stato stimolato dall’aumento del benessere e del tenore di vita, conseguente ai
mutamenti socio-economici di quel periodo, ed ha comportato la graduale e
quasi completa sostituzione della polenta con la pasta e del pane di mais con
quello bianco, preparato con la farina di frumento.
ALIMENTAZIONE E TRADIZIONE
Come già ampiamente illustrato, nelle Marche, fino alla seconda metà del
secolo scorso, la coltivazione del mais e l’uso di polenta nell’alimentazione erano
talmente frequenti, che nacque il blasone regionale “Marchiscià’ magna pulenta”.
La polenta, si mangiava almeno una volta al giorno (Proverbio: “30 dì, 60
polente”), sulla “spianatora”, ovvero sulla tavola dove normalmente si stendeva la pasta. Qui, una volta cotta, veniva rovesciata direttamente da “lu callà’”,
ovvero il caldaio nel quale era stata preparata, stesa e condita nei modi più
disparati, in funzione delle stagioni e delle possibilità: salsicce, costarelle,
cotiche, sangue di maiale, cipolle fritte, fagioli, cavoli, erbe di campo, sarde,
baccalà, stoccafisso, tonno, ecc…. Tutti attingevano direttamente al cibo
comune e spesso, per invogliare i commensali, si poneva al centro della tavola un “premio”, solitamente costituito da una salsiccia o da una costarella di
maiale, che spettava a chi finiva per primo la porzione assegnatagli. In alcune famiglie, come riporta G. Silvetti nel 1915 in “Sulle divisioni del patrimonio delle famiglie coloniche marchigiane”, esisteva un vero e proprio rituale che
si svolgeva tutti i giorni: “al momento della colazione, tutti i famigliari seduti
intorno alla distesa di polenta fumante, parlano sotto voce o ascoltano la parola
del vergaro, seduto in capo alla tavola. Nessuno comincia a mangiare se la vergara non ha distribuito il condimento sopra la polenta e pulita la casseruola che
servì per cuocerla e se non si è seduta vicino al vergaro; essa comincia a tagliare e
servirsi, segue il vergaro e poi tutti gli altri”. Occasionalmente, soprattutto nelle
aree montane, si preparata una polenta più solida detta “pulendò”, che veniva tagliata a fette con il filo, condita e riscaldata in forno o sulla brace.
Nel circondario di Camerino più che la polenta, a colazione si mangiava la
“Crescia de granturco”, vale a dire una focaccia preparata con la farina di mais,
cotta sotto la brace o in forno e farcita preferibilmente con verdure cotte.
Molto diffuso era anche il pane (lo pa’ de granturco), al quale spesso si
aggiungeva, per la gioia dei bambini, dell’uva passa. Il pane veniva sempre
confezionato in casa, ma mentre le famiglie di città mandavano il pane a cuocere in un forno comune, quelle di campagna ne aveva uno privato. I tipi di
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pane che venivano confezionati nelle case marchigiane erano tre: lo “pa’ bianco” fatto con la farina di grano dalle famiglie agiate; lo “pa’ mischino” fatto
con la farina di grano mescolata con quella di granoturco, dalle famiglie di
medie condizioni; lo “pa’ de granturco” fatto dalle famiglie più modeste.
Il pane bianco era preparato una volta la settimana, al massimo ogni dieci
giorni e ogni filone era composto da tre pagnotte. Il vergaro era addetto alla
preparazione del forno portandolo al punto giusto di calore, alla vergara invece spettava il ben più duro compito di confezionare il pane, compito però al
quale collaborava un po’ tutta la famiglia.
Le pannocchie (scartocci), a maturazione latteo-cerosa, erano lessate o arrostite sulla griglia mentre, per rallegrare le lunghe serate invernali, si usava fare direttamente nel camino, i pop-corn o,
come li chiamavano allora, “le monneche”.
Del mais, un po’ come del maiale, non si buttava nulla, infatti tutte
le parti della pianta erano utili: la
parte dello stocco superiore alla
spiga, veniva tagliata prima della
raccolta (cimatura) ed usata per l’alimentazione del bestiame, la porzione basale del culmo e i tutolo
servivano per accendere il forno o il
camino e le bratte (sfoglie) servivano
per confezionare materassi (pagliaricci) o per realizzare borse e cestini.
Il mais, oltre ad essere fonte di
sostentamento grazie alla abbon19
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dante produzione e di grande fatica a causa dei lavori colturali e della raccolta, portava con se anche momenti di gioia e allegria. Lo scartoccia’ era uno di
quei momenti in cui il lavoro svolto in comune, con l’aiuto di persone anche
esterne alla famiglia, era particolarmente gradito dai giovani e non solo. La
scartocciatura avveniva di sera, sull’aia, alla luce di qualche debole lampada
ad olio, seduti sulle pannocchie deposte in cerchio. Ci si sedeva apparentemente a caso, ma gli innamorati, con una scusa o con l’altra, riuscivano ad
avvicinarsi per potersi scambiare parole e sguardi protetti dalla penombra. Si
cantava e si scherzava, c’erano canti d’amore e canti a dispéttu nei quali ad
una frase scherzosa si rispondeva con una frase pungente, scatenando le risa
dei presenti. I canti predominanti erano quelli a vatòccu, eseguiti da un uomo
e da una donna e che richiedevano particolari doti vocali e una notevole esperienza. Alla fine del lavoro, arrivava il sonatore dell’urganittu e ci si preparava a ballare lu sardarellu. I giovani lasciavano ai vecchi il compito di scartocciare le ultime pannocchie e, tra canti, risa e battute scherzose, davano inizio
al pasto costituito dal polentone fatto con la farina nuova. Spesso si faceva
anche lu polendò rencoatu, polenta di granoturco preparata il giorno prima,
fatta a fette e condita con sugo di carne e pomodoro. Le fette erano sistemate a strati, separate da abbondante condimento e poste in un recipiente di terracotta riscaldato sulla carbonella. In questo modo la polenta assorbiva il sugo
e diventava particolarmente appetitosa e saporita. La festa terminava all’alba
quando la vergara ricordava che era veramente tardi, così gli scartocciatori,
con in testa l’organetto, tornavano in corteo alle proprie case dove avrebbero
ricominciato la vita di sempre.
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Il vergaro parlando dirige il difficile lavoro della vergara nel preparare:
LA PULENDA
Mitti du’ frasche, chè ha da varde bè’:
‘mmece’ssi tizzi pare due linderne!
…e l’acqua ha da vuji’ per la pule’!
Po’ vutta la farina, piano, a cerne,
lo sai, le la pulenda se ‘mpallocca,
c’è sulo da vuttalla su la trocca!
Siduti a li sgradi’ de la scaletta
che jo da la cucina ‘rriga all’ara,
tre vardasci, ‘gnidu’ co’ ‘na cuppetta
pe’ starti’ ‘na sargiccia fa cagnara….
Vardasci distinati a tribbula’
pe’ la pulenda e pe’ ‘m-pezzu de pa’!
‘mmo pija la cucchjara e po’ smuscina
ch’io stacco le sargicce e la varbaja
sta in èsole ‘ppiccate, lassù ‘ngima
arde, che non ce ‘rrighi ‘ssa canaja,
po’ falle strùje su ‘na cazzarola
su la vrascia, su ‘n-spìculu d’arola.
A notte non c’è più fume o fulena:
li tizzi è doentati carbonella;
leàtu lu calla’ da la catena,
c’è chi rrembie scalli’ o ‘na callarella.
Sotto la cènnora de lu cami’
rmane’ ‘che luta e tutti va a durmi’.
Smorcia ‘ssu focu e caccia lu calla’
Che, de sicuru, la pulenda è cotta,
mittete lu straccittu su le ma’
che quillu mànnucu se no te scotta!
Vidi de stènnela per bè, gualita
e la sargiccia che scia ve’ spartita!
Comme sull’are andiche, còa la vrascia
ch’è custudita inzino a la matina…
La “Vestale”? ‘na gatta, che se scascia
e tène d’occhju tutta la cucina;
licca quella zambetta e ce se lliscia
lli ‘m-bo dorme ‘m-bo’ veja… ‘ssa ciniscia!
Quanti fiji a magna’ a ‘lla spianatora!
Tutti quandi là ttunno non ce bbocca
cuscì tre frichi va a magna’ de fora….
Tène ‘m-bracciu, la matre, a la più cocca;
Nonnu e nonna sta accanto a lu cami’
chè c’è ‘na confuscio’ a ‘llu tauli’….
Poesia dialettale tratta da:
A li tembi de la sbinnonna
di G. Ciurciola
La polenta, foto tratta dal libro Contadini di M. Spalvieri.
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DESCRIZIONE BOTANICA
Il mais (Zea Mays L.) è una pianta erbacea annuale, appartenente alla grande famiglia delle Graminacee, tribù delle Maydeae.
Non esiste allo stato selvatico ma solo come pianta coltivata,
non è stato ancora stabilito con certezza quale sia stata la sua
evoluzione genetica mentre è sicuro che i suoi parenti più
stretti sono il Teosinte (Euchlaena mexicana) ed il genere
Tripsacom.
La specie è dotata di estrema variabilità per tanti caratteri
morfo-fisiologici, perciò sono state elaborate diverse classificazioni basate principalmente sulle caratteristiche delle
cariossidi e sulla durata del ciclo vegetativo. I caratteri delle
cariossidi permettono di distinguere più sottospecie o varietà botaniche tra cui le più conosciute e coltivate sono:
• MAIS DENTATO (Zea mays spp. indentata) – è il più
produttivo e diffuso per l’alimentazione zootecnica. Si
distingue facilmente perché alla maturazione la cariosside presenta un amido prevalentemente farinoso, e assume una caratteristica in dentatura come la forma di un dente di cavallo.
• MAIS VITREO (Zea mays spp. indurata) – è il più utilizzato per l’alimentazione umana ed avicola. Le cariossidi sono tondeggianti, con endosperma vitreo o semi-vitreo. Quasi tutte le vecchie varietà italiane appartengono a questa specie perché è stata la prima ad essere introdotta in
Europa. Attualmente sono poco diffuse perché hanno un potenziale produttivo inferiore a quello degli ibridi dentati, dovuto al minor numero di
ranghi e per le minori dimensioni del seme. E’ stato comunque dimostrato che la struttura compatta dell’endosperma dà una maggiore resa alla
macinazione, e, fatto ben più importante, può favorire un miglior stato
fitosanitario della cariosside.
• MAIS DOLCE (Zea mays spp. saccharata) – è utilizzato per l’alimentazione umana a maturazione latteo-cerosa come mais da insalata, allo stato
fresco o inscatolato. L’endosperma contiene poco amido e molti zuccheri.
• MAIS DA SCOPPIO (Zea mays spp. everta) – è utilizzato per fare i popcorn. Le cariossidi possono avere la parte superiore (corona) a punta (mais
riso) o a cupola (mais perla), sono molto piccole, vitree e con un elevato
contenuto proteico.
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• MAIS CEROSO (Zea mays spp. ceratina) – ha un forte interesse industriale in quanto produce un amido costituito solo da amilopectina
(mutazione waxy), particolarmente richiesto per la preparazione di cibi
pronti, per l’ottenimento di adesivi e per determinate produzioni farmaceutiche, tessili e cartarie.
Altro criterio di classificazione, basato sulla durata del ciclo vegetativo, li
divide in 9 classi di maturità (da 100 a 900) secondo uno standard fissato nel
1954 dalla F.A.O.. Gli ibridi delle classi inferiori sono i più precoci, quelli
delle superiori i più tardivi. Un’analoga classificazione era adottata anche
prima del 1954 e suddivideva le varietà di mais in maggenghi (molto tardivi), agostani (medio-tardivi), agostanelli (medio), cinquantini (precoci) e
quarantini (molto precoci).
Radice
L’apparato radicale è di tipo fascicolato e costituito da radici primarie e
avventizie. Le radici primarie o seminali hanno origine dall’embrione e non
assumono mai grandi dimensioni perché la loro funzione si esaurisce nei
primi stadi di sviluppo. Le secondarie o avventizie spuntano dai primi nodi
basali del culmo, sotto o anche sopra terra (radici aeree), costituiscono la
massa principale dell’apparato radicale ed hanno funzioni sia nutrizionali che
di ancoraggio. L’apparato radicale del mais può raggiungere facilmente un
metro ed oltre di profondità ma prevalentemente, il suo sviluppo avviene nei
primi quaranta centimetri di terreno.
Fusto
Il fusto, detto stocco, è un culmo robusto ed eretto formato da nodi pieni a
sezione circolare o ellittica, più grossi degli internodi anch’essi pieni di midollo. Il tessuto midollare è costituito da un parenchima attraversato da numerosi
fasci vascolari che funziona come riserva di acqua e sostanze nutritive. Il numero di internodi presenti e la loro lunghezza sono legati a caratteri genetici che
interagiscono con l’ambiente climatico e le condizioni colturali. L’altezza ordinaria dello stocco è di 2,5-3 metri e generalmente non accestisce.
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Foglie
Le foglie, una per nodo, sono disposte alternativamente sui lati dello stocco e composte da tre parti: la guaina, che avvolge il fusto per un lungo tratto, la ligula molto sviluppata e la lamina che ha forma allungata ed acuminata, con nervature sottili e parallele ad una grossa nervatura mediana. Lo
sviluppo della lamina fogliare cambia a seconda
della posizione lungo il fusto, infatti è massima
nella posizione centrale e si riduce verso la base
e verso l’apice. Di grande interesse è il portamento delle foglie, rispetto allo stocco, per
favorire l’intercettazione dell’energia solare e
trasformarla in energia chimica necessari ai processi fotosintetici. Gli ibridi moderni hanno
un’architettura eretta, e quindi una maggiore
efficienza fotosintetica, mentre le varietà tradizionali hanno portamenti delle foglie più
patenti che limitano la penetrazione luminosa
negli strati inferiori delle cotivazioni.
Emissione pennacchio
Emissione spiga
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Infiorescenze
Il mais è una pianta monoica e diclina con
fiori maschili e femminili sulla stessa pianta, ma
in posizioni diverse. L’infiorescenza maschile
chiamata “pennacchio” è un pannicolo terminale costituito da numerose ramificazioni sulle
quali si trovano le spighette da cui fuoriesce il
polline. Ogni spighetta consta di due fiori con
tre stami ciascuno.
L’infiorescenza femminile, detta volgarmente
pannocchia, è una spiga ascellare posta circa a
metà altezza della pianta. Essa è costituita da un
rachide ingrossato detto tutolo sul quale si inseriscono un numero variabile di file di spighette
riunite in coppie (da 8 a 24) e con due fiori di
cui uno solo fertile e provvisto di ovario uniloculare con stilo allungato e filiforme. Poiché
ogni fila può portare fino a 50 fiori, ogni spiga
ha una potenzialità di 700–1000 cariossidi.
Questa potenzialità si riduce notevolmente in
molte delle varietà tradizionali, che appartengono al tipo vitreo e sono caratterizzate da un
numero ridotto di file o ranghi (8-16). La
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forma e le dimensioni della spiga sono molto variabili, le forme più comuni
sono la cilindrica e la conica.
La spiga è portata da un peduncolo di lunghezza varia caratterizzato da
nodi molto ravvicinati, e avvolta da un cartoccio costituito da 8-12 foglie
modificate dette brattee. All’esterno di queste escono gli stili lunghissimi
(barbe o sete) che permettono al granulo pollinico di arrivare fino all’ovulo.
La fecondazione è prevalentemente incrociata o allogama (l’ovolo è fecondato da polline di un’altra pianta) e anemofila (il polline è trasportato dal
vento).
Seme
Il seme del mais è una cariosside (frutto secco indeiscente) disposta in file
allineate o leggermente a spirale lungo tutto il tutolo nella quale possiamo
distinguere: una corona (parte esterna opposta alla punta inserita sul tutolo
dalla cui forma si possono distinguere i mais dentati da quelli vitrei), due
facce (superiore e inferiore) e lo scudetto con l’embrione. Facendo invece una
sezione della cariosside troviamo gli involucri esterni costituiti dal pericarpo
e dal perispema, l’endosperma e l’embrione detto comunemente germe.
L’embrione a sua volta presenta una piumetta custodita dal coleoptile, una
radichetta protetta dalla coleoriza e lo scudetto o scutello ricco di grassi.
L’endosperma è costituito da uno strato aleuronico esterno e da un parenchima amidaceo che a sua volta può essere formato da una parte cornea ricca di
sostanze azotate e da una farinosa quasi esclusivamente formata di amido.
L’amido del mais è generalmente costituito da un 20% di amilosio, costituito da catene lineari, e da un 80% di amilopectina, caratterizzata da catene
ramificate. Forma, dimensioni e colore delle cariossidi possono variare molto:
• il peso dei 1000 semi va da meno di 100 grammi a oltre 1200;
• la forma può essere tondeggiante, schiacciata, infossata, appuntita ecc...;
• il colore è prevalentemente giallo ma esistono anche mais a granella bianca, rossa bruna e violetto.
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CARATTERISTICHE NUTRIZIONALI
La cariosside del mais è essenzialmente composta dall’endosperma (80%) e
dall’embrione(10%), racchiusi in un involucro duro e fibroso chiamato pericarpo e costituito principalmente da cellulosa ed emicellulose. La cariosside
del mais da un buon apporto calorico, infatti, l’endosperma del seme maturo è formato prevalentemente da amido (70-75%) ed in misura minore da
proteine (8-10%). Nell’embrione è raggruppata la maggior parte dei lipidi
racchiusi in corpi oleosi (4-5%).
L’amido di mais è formato da due
tipi di strutture molecolari: l’amilosio, molecola lineare formata da 200 a
2.000 unità di D-glucosio, e l’amilopectina, molecola ramificata di
dimensioni estremamente maggiori,
che può arrivare fino a 200.000 molecole di D-glucosio. La differente morfologia e quindi il diverso comportamento della molecola nei confronti
dei liquidi, è alla base della maggiore
digeribilità che l’amilopectina ha nei
confronti dell’amilosio e del diverso
apprezzamento da parte delle industrie alimentari, farmaceutiche, cartarie e tessili. L’amilosio tende a formare legami d’idrogeno intermolecolari
che, allontanando l’acqua, portano ad
una progressiva insolubilizzazione di
questo elemento a differenza dell’amilopectina che, grazie alle sue ramificazioni e alla sua forma irregolare,
non va incontro a questo tipo di fenomeno.
Le proteine della cariosside del mais
sono distribuite per il 16% nell’embrione, per l’80% nell’endosperma e per
il 4% nei tegumenti. Le proteine contenute nel mais sono di valore biologico inferiore rispetto a quelle degli altri cereali. La dotazione proteica presen26
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te nelle cariossidi del mais, ricca di glutamina, prolina, leucina e alanina,
risulta assolutamente insoddisfacente per la dieta umana e dei monogastrici
in genere in quanto carente soprattutto degli amminoacidi essenziali lisina e
triptofano.
La maggior parte dei lipidi presenti nel mais è concentrata nello scutello
embrionale (85%) dove sono depositati in corpi oleosi. I lipidi sono dei trigliceridi costituiti da acidi grassi esterificati con glicerina. Il contenuto lipidico medio si aggira intorno al 4-6% e gli acidi grassi sono rappresentati in
ordine di importanza dal linoleico, oleico, palmitico, stearico e linolenico.
Un’alimentazione basata esclusivamente sul mais è carente di niacina o
Vitamina PP perché una porzione che va dal 50 all’80% di questa vitamina
non può essere assorbita dal corpo umano. Nel mais giallo è abbondante il
contenuto di vitamina A che invece è assente in quello bianco.
Furono anche queste carenze in vitamine e amminoacidi essenziali delle
concause che provocarono, all’inizio del secolo scorso nella popolazione italiana, il diffondersi della pellagra. Di questa malattia non soffrirono i popoli
meso-americani che, facendo bollire il mais in soluzioni alcaline prima di utilizzarlo, rimuovevano parte della buccia dei chicchi, riducendo la mancanza
di lisina e di triptofano e aumentando l’assimilazione della niacina.
Interessante risulta anche notare come queste carenze non siano aumentate
con gli attuali programmi di miglioramento genetico che hanno selezionato
ideotipi di mais con più favorevoli caratteri agronomici della pianta e maggiori
resistenze alle fitopatie, più adatti a massimizzare le rese produttive ed elevare
la qualità intrinseca della
granella ma senza modificare in maniera significativa i contenuti di specifici microelementi ad
alto valore nutrizionale.
Per esempio si può osservare che, mentre gli
odierni ibridi di mais
sono carenti in vitamina
B12, in alcune varietà
tradizionali era presente
in quantità equilibrata.
Anche il tenore in proteine, negli odierni ibridi
oscilla dal 10,6 al 12,6%
invece delle varietà tradizionali variano dall’11,8
al 14,3%.
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TECNICA COLTURALE
Il mais è una pianta da rinnovo a ciclo primaverile-estivo sensibile al freddo, specialmente durante i primi stadi di sviluppo, e con elevate esigenze idriche. Le fasi fenologiche più rilevanti ai fini della coltivazione del cereale sono:
Germinazione-emergenza: fase influenzata dalla temperatura (la germinazione del seme avviene con temperature del terreno uguali o superiori a
12°C) e dalla disponibilità idrica. La germinazione e l’attecchimento della
plantula sono le prime fasi critiche della vita del mais, per questo è importante che avvengano rapidamente perché più i tempi sono lunghi più ci sono
i rischi di perdita dell’energia germinativa, di predazione parassitaria e di
attacchi fungini.
Sviluppo vegetativo: attecchita la plantula, il mais cresce in funzione delle
“unità calore” disponibili, sviluppa il sistema radicale, la struttura fogliare
fino ad avere 20-23 foglie poco prima della fioritura, la formazione della
spiga principale e del pennacchio, per raggiungere lo stadio di diffusione del
polline e dell’emissione degli stili prima di iniziare la fase di riproduzione.
Fioritura: il mais è pianta proterandra, cioè i fiori maschili maturano, e quindi rilasciano il polline alcuni giorni prima di quelli femminili, ma in condizioni di stress idrico o termico questa differenza si può accentuare e causare
la mancata fecondazione degli ultimi fiori femminili per cui la pannocchia
che ne deriva si presenta non completamente granita.
Maturazione: circa sessanta giorni dopo l’impollinazione la cariosside del
mais ha di regola raggiunto il massimo peso secco, e può essere considerata
fisiologicamente matura con la comparsa dello strato nero e un livello di umidità al di sotto del 35%. Questa fase avviene nella stagione autunnale con la
pannocchia rivestita dalle brattee che in alcune varietà si “aprono” per favorire la perdita veloce d’acqua (fast dry down). La granella viene raccolta con
un’umidità variabile dal 20% al 30% e necessita, per la conservazione, di
un’essiccazione artificiale fino a ricondurre l’umidità al 14,0%.
In linea generale un mais da polenta deve essere gestito agronomicamente al
pari di un comune mais per uso zootecnico ad eccezione di alcuni aspetti specifici che conferiscono caratteristiche di qualità al prodotto:
• la raccolta può essere effettuata meccanicamente o manuale in funzione
del prodotto desiderato (granella o spiga). La raccolta meccanica va eseguita con adeguate mietitrebbiatrici o spannochiatrici che non danneggino la granella;
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• l’essiccazione non deve lasciare sul seme odori sgradevoli e bisogna eseguirla
a bassa temperatura per evitare la diffusione del contenuto di olio dal germe
all’endosperma vitreo;
• l’immagazzinamento della granella, in silos o sacchi, deve avvenire dopo
un’adeguata operazione di pulitura da pezzi di granella, semi estranei e
altre impurità, ed essere fatta in ambienti asciutti e ben aerati.
FASI DEL CICLO COLTURALE DEL MAIS
emergenza 2 foglie
4 foglie
8 foglie
12 foglie
emissione
pennacchio
emissione
spiga
maturazione
Avvicendamento
Il mais è considerato una pianta da rinnovo, quindi il suo posto nell’avvicendamento è tradizionalmente prima di un cereale vernino perché quest’ultimo riesce a sfruttare bene i benefici delle lavorazioni profonde e la fertilità
lasciata dalle abbondanti concimazioni che solitamente sono somministrate alla
coltura. Logicamente far precedere nell’avvicendamento una leguminosa
miglioratrice non può che portare giovamento al terreno e alle colture che ne
seguono, sia per l’apporto di nutrienti che si ha attraverso l’azotofissazione che
per la lotta alle infestanti e ai parassiti che ne risulta grandemente semplificata.
Preparazione del terreno
Il mais è una coltura con esigenze idriche elevate che, soprattutto se coltivato in asciutta, si avvantaggia di una diligente sistemazione del terreno. Per
questo la preparazione dei suoli argillosi, tipici del nostro areale, si basa generalmente su una lavorazione a media profondità (35-40 cm), che assicuri la
costituzione di buone riserve idriche nel terreno e che garantisca un ampio e
profondo sviluppo dell’apparato radicale. Nelle terre compatte sarà opportuno eseguire questa lavorazione entro l’autunno, in modo che gli agenti atmosferici svolgano la loro benefica azione sulla struttura del terreno. Alla lavorazione principale seguiranno semplicemente dei lavori complementari di
affinamento delle zolle e di controllo delle infestanti nate.
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Semina
La temperatura minima per avere germinazioni e nascite rapide e regolari è
di 12°C quindi la semina potrà essere realizzata non appena tale temperatura sarà riscontrata nel terreno, a circa 5 cm dalla superficie, che equivale alla
profondità di semina ideale. Il periodo migliore per la semina, che nella
nostra regione si aggira approssimativamente fra la metà e la fine di aprile,
varia in funzione delle temperature medie stagionali della zona, dell’esposizione e della tipologia di terreno (in quelli più sciolti e soleggiati potrà essere anticipata, negli altri posticipata). Ovviamente nel caso di coltura asciutta
è bene non ritardare troppo la semina poiché, potendo la pianta contare solo
sulle limitate riserve idriche del terreno, è di fondamentale importanza anticipare la fase di fioritura che è una delle più critiche.
Per quanto riguarda la densità di semina bisognerà tenere conto del fatto
che spesso la coltura è praticata senza o con ridotte irrigazioni e che le varietà tradizionali hanno uno sviluppo vegetativo contenuto rispetto agli ibridi
attualmente diffusi, quindi sarà opportuno prevedere un investimento di max
5-6 piante per metro quadrato, inferiore a quello delle varietà ibride precoci
o precocissime delle classi FAO 200-300.
Per la semina sono generalmente utilizzate seminatrici di precisione a distribuzione pneumatica che consentono di localizzare anche i concimi ed il
geodisinfestante. La distanza tra le file può variare da 50 a 75 cm in funzione dei cantieri aziendali mentre la profondità oscilla tra i 3 ed i 6 cm a seconda dell’umidità e della struttura del terreno.
Concimazione
Essendo il mais una coltura che svolge il suo ciclo nel periodo primaverileestivo, si avvantaggia della concimazione organica dato che la mineralizzazione, a differenza di quanto accade per le colture autunno-vernine come il
frumento, avviene di pari passo con l’aumento delle temperature, parallelamente con lo sviluppo della pianta e quindi con l’accrescimento delle esigenze nutritive. Per questo motivo la letamazione è stata in passato la concimazione più consigliata per la coltura del mais. Attualmente, data la scarsa disponibilità di letame e il sempre più frequente utilizzo di concimi minerali, gli
apporti di nutrienti dovranno essere
calcolati in base alle disponibilità del
terreno e alle asportazioni effettuate
dalla coltura. Le varietà tradizionali di
mais da polenta, oltre ad essere meno
produttive delle varietà ibride, generalmente sono realizzate con apporti idrici
relativamente bassi quindi le concimazioni dovranno essere adeguate atte30
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standosi sulle 80-100 unità di azoto e 40-60 di anidride fosforica per ettaro.
Un eccessivo apporto di fertilizzanti, soprattutto di quelli azotati, non farebbe altro che favorire un maggiore sviluppo vegetativo ed esporre ad uno stress
idrico la pianta.
Per quanto riguarda le epoche di distribuzione, la concimazione organica
dovrà essere eseguita prima della lavorazione principale, mentre quella minerale, che normalmente è frazionata in almeno due interventi (uno alla semina ed uno in copertura), oggi, può essere somministrata anche in un’unica
soluzione al momento della semina utilizzando dei concimi a lento rilascio.
Cure Colturali
Le operazioni colturali successive alla semina hanno lo scopo di aerare il
terreno, conservare la riserva idrica e controllare le erbe infestanti annuali o
poliennali.
Il controllo delle infestanti, soprattutto nelle prime fasi di sviluppo del
mais, è fondamentale per il buon esito della coltura. Alcune pratiche agronomiche sicuramente efficaci sono la falsa semina, la sarchiatura e la rincalzatura che insieme al diserbo chimico di pre-emergenza permettono di aiutare la coltura a superare il periodo critico, circa 1 mese, che va dall’emergenza
a quando, ombreggiando il terreno con il fogliame oramai ampiamente sviluppato, il mais riesce ad impedire da solo lo sviluppo di altre specie.
La sarchiatura è utilizzata, oltre che per controllare meccanicamente le infestati, anche per ridurre l’evapotraspirazione per cui, specialmente nel caso di
colture non irrigue, l’azione che ha sull’aria e sull’acqua del terreno risulta
significativa. Infatti, la produttività del mais è strettamente dipendente dalla
disponibilità idrica. Il periodo più critico è quello compreso tra la fioritura e
la fecondazione, anche se la sensibilità della pianta allo stress idrico si protrae
fino alla maturazione lattea. E’ quindi importante non far mancare l’acqua in
questa fase nel caso di una coltura irrigua, e fondamentale, nel caso invece si
possa effettuare solo qualche irrigazione di soccorso.
Avversità e difesa
Danni alla coltura del mais possono essere arrecati da avversità meteoriche (ritorni di freddo,
vento e grandine) e da parassiti vegetali o animali.
Con una diagnosi tempestiva, secondo le fasi di
sviluppo del mais, è possibile evitare l’aggravarsi o
l’estendersi del danno ad altri appezzamenti.
Le principali crittogame che possono colpire la
coltura del mais sono:
Carbone (Ustilago zeae) - Attacca tutti gli organi
della pianta provocando tumori di varia grandezza
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che si sviluppano come escrescenze bianche che possono assumere notevoli
dimensioni, e alla maturazione contengono una polvere nerastra costituita
dalle spore del fungo. La malattia non è strettamente collegata al clima, tuttavia, tende ad attaccare la pianta quando vi siano ferite nei tessuti. Non vi
sono possibilità di lotta, e la difesa è essenzialmente basata sull’impiego di
ibridi resistenti. Gran parte delle vecchie varietà locali non hanno questa resistenza quindi può essere utile eseguire degli interventi agronomici per ridurre l’incidenza della malattia: rotazioni ampie, concimazioni equilibrate.
Marciume dello stocco e della spiga – Con questo nome sono raccolte sintomatologie simili
dovute a diversi patogeni (Gibberella zeae,
Fusarium graminearum, Fusarium culmorum, ecc..)
che si manifestano con un precoce ingiallimento o
imbrunimento dei primi internodi dello stocco
che, se sezionati, evidenziano un midollo marcio,
cavo e poi fibroso. Anche le spighe possono essere
attaccate con conseguente marcescenza della granella. I danni, specialmente in condizioni climatiche favorevoli (siccità estiva seguita da piogge in
agosto-settembre), possono risultare assai gravi causando decurtazioni della
produzione in peso anche del 50%. E’ inoltre da tener presente che i principali funghi responsabili della produzione di micotossine appartengono
appunto al genere Fusarium spp.. I principali interventi agronomici contro
questi pericolosi patogeni sono riassunti nella tabella 1.
Elmintosporiosi (Helmintosporium spp.) – Si manifesta sulle foglie con formazione di macchie marroni, necrotiche confluenti che possono portare al
totale disseccamento della lamina. Attualmente la lotta contro questa patologia è basata essenzialmente sull’impiego di ibridi resistenti.
I parassiti animali più pericolosi per il
mais sono: gli elateridi e le nottue nelle
prime fasi di sviluppo della coltura e più
tardivamente la piralide (Ostrinia nubilalis). Quest’ultimo è sicuramente il fitofago più diffuso e dannoso. Nei nostri
ambienti compie 2 generazioni, svernando come larva nei residui della vegetazione. Le larve di prima generazione di solito non sono pericolose, invece quelle della seconda penetrano nello stocco e
nella spiga arrecando gravi danni alla coltura. Tra le pratiche agronomiche in
grado di ridurre questi danni troviamo: trinciatura e interramento dei residui
colturali, semina anticipata, irrigazione dopo la fioritura.
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Raccolta
La raccolta del mais da granella può iniziare dalla maturazione fisiologica,
indicata dalla comparsa dello strato nero all’apice del granello, che generalmente, nei nostri ambienti, avviene in settembre per le varietà precoci ed in
ottobre per le più tardive. La granella è raccolta con un’umidità variabile che
non dovrebbe scendere sotto il 20%, quindi bisogna sempre prevedere
un’essiccazione supplementare per ricondurla all’umidità di conservazione
(circa 13,0%).
La raccolta può essere fatta in spiga o in granella, a mano o meccanicamente (con mietitrebbie o macchine spannocchiatrici). La raccolta tradizionale è realizzata a mano e prevede una serie di operazioni successive: spannocchiatura (distacco delle spighe dalle piante), sfogliatura o scartocciatura
(eliminazione delle bratte che ricoprono la spiga) e sgranatura (separazione
della granella dal tutolo). La meccanizzazione può essere limitata all’esecuzione di quest’ultima fase con delle sgranatrici (trebbiatrici da mais fisse),
oppure comprendere anche la raccolta e sfogliatura delle spighe con delle
spannocchiatrici, o essere completamente meccanizzata con delle mietitrebbiatrici con testata da mais.
Mentre la raccolta del mais per uso zootecnico è stata completamente meccanizzata, per i mais da polenta si utilizza ancora la tecnica tradizionale o semimeccanica per una serie di motivazione di carattere tecnico, pratico e qualitativo: ridotte dimensioni degli appezzamenti, maggiore tempestività nell’esecuzione della raccolta, minore presenza di impurità e semi rotti o schiacciati,
essiccazione naturale, selezione del prodotto.
Mietitrebbia
Spannocchiatrice
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Conservazione
L’umidità ottimale per la conservazione e per la lavorazione della granella si
aggira intorno al 14%. Poiché il mais alla raccolta è sempre troppo umido per
essere conservato è necessario ridurne l’umidità. L’essiccazione delle spighe
può essere fatta con metodi tradizionali, cioè appendendole riunite in trecce
o coppie in locali ben areati, oppure posizionandole sotto grandi tettoie all’interno di speciali
cassoni con le pareti di rete metallica detti gabbioni o granai romeni.
Per l’essiccazione della granella invece devono
essere utilizzati degli appositi impianti che insufflino nella massa di prodotto dell’aria riscaldata.
Della massima importanza è la scelta del tipo di
impianto e della temperatura di essiccazione che
deve tener conto dei limiti oltre i quali si possono provocare delle alterazioni ai costituenti nutritivi e germinativi della cariosside.
Tabella 1 – LINEE GUIDA PER MIGLIORARE LA QUALITÀ DELLA GRANELLA
Per produrre un mais di qualità è necessario eliminare o ridurre ogni forma di stress alle
piante e limitare lo sviluppo dei parassiti fungini sia in campo che in fase di stoccaggio
mediante l’adozione di alcune norme:
• rotazioni il più possibile ampie evitando comunque la monosuccessione;
• trinciare e interrare i residui colturali, con l’aratura possibilmente nel periodo autunnale;
• anticipare la semina, e quindi l’epoca di fioritura, utilizzando anche varietà precoci e
mediamente precoci;
• impiegare semente sana, con buona energia germinativa e alti valori di geminabilità;
• adottare investimenti moderati che per le varietà tradizionali di mais sono circa 5-6 piante
metro quadrato;
• apportare adeguate dosi di azoto evitando gli eccessi;
• ridurre gli stress idrici soprattutto in fase di fioritura e riempimento del seme;
• controllare la piramide, e altri fitofagi quali la diabrotica;
• raccogliere tempestivamente, magari con un’umidità superiore a quella di conservazione,
per ridurre i tempi di permanenza in campo;
• regolare in modo puntuale la mietitrebbia per diminuire le rotture ed agevolare la prepulitura del prodotto;
• in caso di raccolta manuale o con spannocchiatrici, eliminare le spighe e le cariossidi
malate e ammuffite;
• essiccare tempestivamente, con basse temperature dell’essiccatoio, la granella (umidità
inferiore al 14%);
• conservare la granella in ambienti asciutti e puliti.
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IL PROGETTO
Lo scopo generale del progetto è la valorizzazione di alcune varietà tradizionali di mais individuate attraverso risultati di prove di caratterizzazione morfologica, agronomica e
qualitativa, tra quelle collezionate “ex situ” o ancora coltivate
“in situ”. L’obiettivo finale è la salvaguardia del germoplasma
autoctono attraverso la realizzazione di produzioni tipiche, economicamente
sostenibili, legate ad elementi di interesse storico, culturale e sociale.
Il Mais da polenta è, tra le specie oggetto di studio, quella più conosciuta
e diffusa sul territorio regionale. In passato, era molto coltivato ed apprezzato dagli agricoltori maceratesi perché, trasformato in polenta o pane o “crescia”, permetteva di sfamare la famiglia. La particolare predilezione per questo alimento, e per le varietà locali da cui si otteneva la farina, è dimostrata
dal fatto che molti agricoltori le hanno conservate e le utilizzano ancora per
coltivazioni domestiche. Dall’indagine di mercato, realizzata in collaborazione con l’Osservatorio Agroalimentare delle Marche, emerge che è ancora coltivato in quasi tutta l’area di azione del Gal Sibilla. Gli appezzamenti sono
mediamente piccoli (1000-2000 m2), le principali operazioni colturali (semina, raccolta e sgranatura) eseguite a
mano, ed il prodotto ottenuto è generalmente destinato all’autoconsumo. Inoltre, i molini che lavorano il prodotto sono essenzialmente a pietra, acquistano
la granella delle varietà
tradizionali dai piccoli
produttori e, una
volta macinata, rivendono la farina presso
negozi locali specializzati.
Molini che macinano il mais da polenta, prevalentemente a pietra, nell’area di azione del GAL Sibilla
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ATTIVITÀ REALIZZATA
Il processo che conduce alla realizzazione dei suddetti obiettivi prevedeva le
seguenti fasi operative:
• uno studio di mercato per valutare gli sbocchi e le prospettive commerciali delle specie studiate;
• il reperimento di popolazioni e varietà locali disponibili nelle collezioni
ex-situ o coltivate ancora in-situ, unitamente alla documentazione sugli
aspetti socio-culturali e storici;
• la caratterizzazione morfologica, agronomica e qualitativa del materiale
genetico reperito;
• la moltiplicazione e la realizzazione di campi sperimentali e dimostrativi
per individuare le aree vocate e un’adeguata tecnica colturale;
• l’informazione e la sensibilizzazione degli agricoltori, molitori, utilizzatori e consumatori finali.
Nella prima fase del programma si è ricercato, sul territorio regionale,
materiale genetico e bibliografico che consentisse di individuare gli ecotipi
considerati tradizionali nella coltura maidicola delle Marche. Presso anziani
agricoltori, che coltivano mais “Nostrale”, sono state ritrovate sementi riconducibili essenzialmente alla varietà “Ottofile”, anche se molti di loro ricordavano altri ecotipi non più coltivati da molto tempo. Di grande utilità in questa fase è stata la possibilità di accedere allo studio preliminare di caratterizzazione delle varietà tradizionali marchigiane intrapreso da alcuni anni
dall’ASSAM in collaborazione con il C.R.A. - Istituto Sperimentale per la
Cerealicoltura sez. di Bergamo (CRA-ISC-BG). Si è proceduto quindi alla
realizzazione di prove agronomiche e alla preparazione di un nucleo iniziale
di conservazione delle varietà individuate. Parallelamente è stata avviata l’indagine di mercato, per determinarne le prospettive di sviluppo economico, e
la ricerca sugli aspetti socio-culturali e gastronomici che legano questi prodotti al territorio maceratese.
STUDIO DI MERCATO
In collaborazione con l’Osservatorio Agroambientale delle Marche, è stato realizzato uno studio di mercato per individuare le peculiarità del mais da polenta prodotto in regione e le possibilità di sviluppo economico. I risultati di questa indagine, sono stati suddivisi in tre sezioni:
A analisi micro-economica in generale per prodotti tipici – Un prodotto
tipico, per definirsi tale, deve presentare alcune caratteristiche peculiari
che vanno dalla sua collocazione all’interno della tradizione e della cultura locale, alla localizzazione geografica dell’area di produzione, alla qualità della materia prima e alle tecniche di produzione. La tipicità caratterizza un universo molto ampio e complesso di produzioni di cui i prodotti
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attualmente coperti da certificazioni d’origine regolamentati dalla
Comunità Europea ne rappresentano solo una minima parte; essa consente di sfuggire alla logica del mercato concorrenziale e, attraverso
opportune politiche di marketing, assumere vere e proprie forme monopolistiche recuperando spazi di mercato e conseguendo appropriati margini economici.
B analisi micro-economica in particolare per prodotto – Per ciascun prodotto è stata elaborata un’analisi: dell’offerta (identificazione varietale,
produzione, aree vocate, utilizzazione), della domanda (consumi, prezzi,
luoghi di acquisto e distribuzione, opportunità commerciali), delle caratteristiche commerciali del prodotto finito (confezionamento e canali distributivi) e delle fasi di produzione (operazioni colturali, di raccolta e di
confezionamento).
C fattibilità economica – questa analisi, eseguita per singoli prodotti, tiene
conto dei costi di produzione e dei prezzi di mercato.
RECUPERO E CARATTERIZZAZIONE DEL MAIS LOCALE
Indagine degli aspetti socio-culturali e storici
L’obiettivo, in questa fase, era far emergere il legame stretto fra le varietà
tradizionali di mais e il territorio maceratese per dimostrarne la tipicità.
L’indagine, i cui risultati sono ampiamente illustrati in questo libro, ha esaminato diversi elementi: l’origine e la diffusione sul territorio, le varietà e la
tecnica colturale adottata, la trasformazione e l’utilizzazione tradizionale.
La ricerca è stata realizzata presso biblioteche locali (Accademia Georgica di
Treia, Biblioteca Egidiana di Tolentino,
Biblioteca Comunale di Macerata “Mozzi Borsetti”, Biblioteca Statale di Macerata, Biblioteca Università di Macerata,
Dipartimento di Scienze Storiche,
Biblioteca Università Politecnica delle
Marche-Facoltà di Economia, Biblioteca
Università Politecnica delle MarcheDipartimento di Scienze Sociali, Biblioteca Comunale di Camerino) ed archivi
locali (Archivio della Fondazione Giustiniani Bandini, Archivio di Stato Ma- Tra le “responsioni” annue che il mezzadro
cerata, Archivio di Stato Camerino), con- doveva al padrone troviamo addirittura la
di granturco”. (Tratto da un “libretto
sultando riviste specializzate ed Internet e “foglia
del colono” del 1886 conservato nell’archivio
con interviste alla popolazione anziana.
della Fondazione Giustiniani Bandini).
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Recupero e valutazione morfo-fisiologica del materiale genetico collezionato
Per il recupero e la caratterizzazione delle varietà tradizionali è stata attivata una
collaborazione con l’ASSAM e con l’ISC-BG che avevano già avviato uno studio
sul germoplasma marchigiano insieme al Dipartimento di biotecnologie agrarie
ed ambientali della Facoltà di Agraria dell’Università Politecnica delle Marche.
Nell’ambito di questo lavoro erano state descritte e caratterizzate, attraverso una
prova di valutazione “in situ”, 44 varietà provenienti dalla banca del germoplasma
dell’ISC-BG e 19 varietà recuperate recentemente dal DIBIAGA di Ancona.
Con le informazioni raccolte è stato possibile caratterizzare i diversi materiali genetici in prova sia agromonicamente che qualitativamente (Tabella 1)
e, in particolare, individuare gli ideotipi che sembrano più aderenti al concetto di tipicità-unicità per la nostra regione, come riportato nella Tabella 2.
Tabella 1 - Analisi qualitative delle varietà tradizionali di mais conservate dall’ISC di Bergamo
(risultati prova realizzata a Bergamo nel 2003)
Codice
ISC -BG
VA304
VA305
VA306
VA307
VA308
VA309
VA310
VA311
VA312
VA313
VA314
VA315
VA316
VA317
VA318
VA319
VA320
VA321
VA322
VA323
VA324
VA325
VA326
VA327
VA328
VA329
VA330
VA331
VA332
VA333
VA334
VA335
VA336
VA337
VA338
VA339
VA340
VA341
VA342
VA343
VA344
VA345
VA346
VA347
Nome
Quarantino 8 file
Cinquantino
Nostrale
Culaccione
Granturchella
Fusello
Spadone
Culaccione
Agostinello
Nano
Cannellino
Nostrano senza nome
Spadone
Culaccione
Nostrano senza nome
Nostrano senza nome
Nostrano senza nome
Nostrano senza nome
Nostrano senza nome
Nostrano senza nome
Nostrano senza nome
Cannellino
Culaccione
Otto file locale
14 file locali
Quarantino
Otto file locale
12 file locale
Otto file maceratese
Nostrano incrociato
Locale
Locale
Locale
Incrocio
Locale
Locale
Quarantino
Locale
Locale
Locale
Nostrano incrociato
Quarantino
Ideale
Ciociarino
Provincia
Comune
Ancona
Putido di Fabriano
Ancona
Putido di Fabriano
Ancona
Jesi
Ascoli Piceno
Offida
Ascoli Piceno
Offida-Ciafone
Ascoli Piceno
Torre San Patrizio
Ascoli Piceno
Fermo
Ascoli Piceno
Torre San Patrizio
Ascoli Piceno
Ascoli-Cimigliano
Ascoli Piceno
Acquasanta Falciano
Ascoli Piceno
Grottammare
Ascoli Piceno
M. Prandone
Ascoli Piceno
S. Benedetto del Tronto
Ascoli Piceno
Grottammare
Ascoli Piceno
Amandola
Ascoli Piceno
M. Fortino Colle Alto
Ascoli Piceno
Amandola-Marnacchia
Ascoli Piceno
Amandola-Ciaraglia
Ascoli Piceno
S. Vittoria S. Salvatore
Ascoli Piceno
Montegiorgio-S. Susanna
Ascoli Piceno
Servigliano-Parapina
Ascoli Piceno
Montegiorgio-Piane M. Verde
Ascoli Piceno
Montegiorgio-Piane M. Verde
Macerata
S. Ginesio
Macerata
Recanati
Macerata
Cingoli
Macerata
Recanati
Macerata
S. Ginesio
Macerata
Macerata
Pesaro
Montecerignone-Maisano
Pesaro
Serrungarina
Pesaro
Fano
Pesaro
Urbino
Pesaro
Pietrarrubbia Badia
Pesaro
Monteporzio
Pesaro
Pennabilli-Soanne
Pesaro
Pergola
Pesaro
Urbino
Pesaro
Novafeltria
Pesaro
Urbino
Pesaro
Macerata Feltria
Pesaro
Pergola
Pesaro
Pergola
Pesaro
Cagli
Peso 1000 Proteine(*) Grassi(*) Amido(*)
semi (g)
%
%
%
Area (*)
482,5
10,7
4,6
65,0
3217,5
470,0
10,9
4,5
64,1
3067,1
405,0
10,0
5,3
66,0
2780,4
352,5
9,8
4,1
68,3
4010,5
380,0
10,3
4,3
67,6
3707,5
480,0
10,5
4,8
65,8
2918,2
425,0
9,2
4,0
65,8
3006,8
422,5
10,0
5,2
65,0
3110,7
397,5
10,0
4,6
64,7
3035,8
445,0
10,3
4,8
64,8
2997,6
395,0
10,2
4,9
66,1
3119,5
347,5
9,2
5,2
66,7
3194,2
422,5
8,5
4,8
67,4
2836,1
422,5
10,4
4,1
67,1
3505,4
545,0
9,9
4,5
66,3
3114,0
440,0
11,3
4,4
65,7
3003,2
467,5
11,7
5,0
65,4
3156,1
345,0
10,7
5,2
66,4
2889,4
407,5
10,2
5,7
66,1
2890,3
422,5
10,5
4,8
65,6
3158,9
420,0
9,0
4,3
64,5
2960,1
375,0
11,0
5,1
64,7
2961,1
390,0
12,5
5,6
65,0
2961,9
452,5
11,5
5,3
65,9
3044,3
322,5
10,7
5,4
64,8
2913,5
410,0
9,2
4,7
66,3
2917,0
462,5
9,9
5,5
66,0
2976,5
372,5
10,0
5,6
65,3
3179,7
477,5
10,5
5,1
64,9
2952,0
355,0
11,2
5,1
67,8
3402,3
400,0
11,1
4,9
66,8
3051,6
475,0
10,1
4,5
66,5
3109,6
387,5
10,2
5,0
67,2
3326,3
422,5
10,2
4,5
66,4
3423,7
390,0
9,9
5,4
65,3
3039,0
430,0
10,9
4,4
66,2
3530,7
390,0
9,1
4,9
67,7
3300,4
320,0
11,5
5,0
66,5
2989,6
457,5
9,7
4,3
66,9
3133,8
327,5
10,9
6,5
64,6
2880,9
420,0
10,3
3,9
67,3
3917,3
397,5
9,7
5,7
65,6
2891,8
247,5
11,6
5,8
62,6
2742,0
347,5
10,4
4,2
64,8
3194,6
(*) Stime con ,etodo NIRS-Near InfraRed Spetctroscopy PROTEINE: si intende il valore percentuale di proteina grezza;
GRASSI: si intende il valore percentuale del contenuto di olio; AMIDO: si intende il valore percentuale del contenuto
di amido; AREA: misura dell’area di flottazione e indice di farinosità della cariosside.
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volume granturco
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Pagina 39
Tabella 2 - CARATTERISTICHE DEGLI IDEOTIPI INDIVIDUATI
Ideotipo
Forma della
spiga
cilindrica
cilindro-conica
conica
cilindro-conica
cilindrica
1
2
3
4
5
N° dei
ranghi
8-10
8-10
12-14
12-14
12-14
Colorazione
Granella
giallo-arancio
arancio-rosso
giallo-arancio
Arancio
Arancio
Tipo di
Granella
semi-vitrea
semi-vitrea
semi-vitrea
Vitrea
semi-vitrea
Scheda di
Riferimento
VA309 - VA332
VA305 - VA318
VA311 - VA347
VA328 - VA346
VA320 - VA321
I risultati della caratterizzazione morfologica e le informazioni storiche raccolte hanno consentito di individuare due varietà tradizionali su cui incentrare il lavoro di moltiplicazione e valorizzazione: la VA332 denominata
”OTTOFILE” perché è risultata la tipologia più apprezzata e diffusa nelle
Marche e la VA311 denominata “CULACCIONE” per l’unicità della forma
della pannocchia.
Parallelamente è stata eseguita anche una breve ricerca sul territorio finalizzate al recupero di nuove accessioni di mais tradizionale che sono state
inserite nella sperimentazione (Tabella 3).
Tabella 3 - Varietà tradizionali di mais recuperate dal Cermis nel biennio 2003-04
Risultati prova realizzata a Tolentino nel 2004 (semina: 05/05/2004 raccolta 07/09/2004)
ACCESSIONI
N°
nome
Località
CARATTERISTICHE SPIGA E GRANELLA
Anno
donazione
CARATTERI AGRONOMICI
forma
ranghi
tipo di
granella
colorazione
seme
colorazione
tutolo
Ciclo
taglia
coltivabilità
PRODUZIONE
peso
al 15,5%
ettolitrico
conica
cilindro-conica
cilindrica
n.
vitrea
mista
farinosa
giallo
arancio
rosso
bianco
rosso
vinato
Precoce
medio
tardivo
cm
scarsa=1
ottima=9
(ton/ha)
(kg/hl)
8-10
vitreo
giallo
bianco
medio
159
8
3,17
65,2
1
Cuccagna - otto file
Pollenza
2003
cilindro-conica
2
Botta - otto file
Tolentino
2003
cilindro-conica
8
vitreo
giallo
bianco
precoce
163
5
4,29
68,3
3
Anselmi - Nostrale
Monte S. Martino
2003
cilindro-conica
16-18
vitreo
giallo
bianco
medio
174
8
3,62
68,1
4
Bartocci - Dieci file
Riccioni - Otto file
Pievebovigliana
2003
cilindro-conica
8-10
vitreo
arancio+rosso
bianco
medio
176
7
2,03
64,2
5
quarantino
2003
cilindro-conica
8-10
vitreo
giallo arancio
bianco
precoce
167
7
3,65
60,2
6
Dodici file
2003
conica
12-16
vitreo
giallo
bianco
medio
174
6
2,74
63,6
7
Pacetti
Gaiole
Lambro fraz.
Valle
Montefortino
(c.da Tenna)
12-16
vitreo
giallo
bianco
8
Copagri
9
Vena
10
Pacetti
11
Lippi
12
Loretucci
13
Barchetto
14
15
2003
cilindro-conica
medio
170
7
2,52
68,2
Tolentino
Isola S. Biagio
(Montemonaco)
fr. Piano
(Montegallo)
2003
cilindro-conica
8-12
vitreo
giallo
bianco
medio
178
6
2,96
68,0
2004
cilindro-conica
12-14
vitreo
giallo
bianco
precoce
149
7
3,80
67,7
2004
cilindro-conica
8-10
vitreo
giallo
vinato
tardivo
160
6
1,40
65,3
2004
cilindro-conica
8
vitreo
giallo
bianco
precoce
167
6
2,27
61,7
2004
conica
12-14
vitreo
arancio
bianco
precoce
150
4
2,47
65,4
2004
cilindro-conica
8-12
vitreo
giallo
vinato
medio
183
7
2,49
65,7
Salvucci
Cingoli
Loc. Campi
(Norcia)
Sossasso Incino
(Montefortino)
Abbadia di Fiastra
(Tolentino)
2004
cilindro-conica
8-10
vitreo
arancio
bianco
medio
181
8
2,62
72,6
Angeli
Pievetorina
2004
conica
8
vitreo
giallo
bianco
precoce
140
4
3,41
58,1
Pesaro
1957
conica
14-16
vitreo
giallo
bianco
precoce
154
3
3,90
77,1
Macerata
1957
cilindro-conica
8-10
vitreo
giallo
bianco
precoce
154
4
2,27
65,2
164
6
2,92
66,2
TEST VA 346 - Ideale
VA 332 - otto file
TEST maceratese
Media campo
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Selezione conservativa e moltiplicazione del seme
Nel corso delle stagioni 2003 e 2004, presso l’ISC-BG le varietà VA332
”Ottofile” e la VA311 “Culaccione” sono state allevate in parcella, impiegando il seme coacervo proveniente dalla banca del germoplasma dello stesso
Istituto, e riprodotte a mano secondo il metodo di fecondazione full-sib.
Tenuto conto dei caratteri agronomici della pianta e attraverso la selezione
massale delle spighe raccolte, è stato ottenuto un modesto quantitativo di
seme. Da un piccolo campione sperimentale, il seme di queste varietà è stato
riprodotto dal CERMIS, in modo da avere una quantità sufficiente di seme
per realizzare alcune prove di coltivazione in pieno campo.
Prove di confronto varietale
L’esigenza di valorizzare particolari nicchie produttive e aree geografiche
con la reintroduzione delle varietà tradizionali di mais e dei prodotti tipici ad
esse legati, accomuna diverse regioni italiane. Per questo, nel corso del biennio 2003-2004, sono state realizzate prove di confronto varietale e di tecnica
agronomica, in Lombardia, Emilia-Romagna, Piemonte, Toscana e Marche,
coordinate dall’ISC-BG nell’ambito della sperimentazione Interregionale
Cereali (SIC). Nelle prove sono state inserite 20 varietà tradizionali di mais,
a granella vitrea o semivitrea, e 5 ibridi commerciali appartenenti a classi di
maturità FAO da 200 a 500, con un diverso grado di vitrosità (2 di tipo
Marano, 1 di tipo Nostrano dell’Isola, 1 di tipo Cornè francese e 1 dentatofarinoso). Le varietà tradizionali, 4 per ogni regione, sono state individuate
dai risultati della caratterizzazione realizzata nel 2002. Per l’area marchigiana
sono state inserite, nel biennio, le seguenti varietà: VA305-Cinquantino
(2003), VA311-Culaccione (2003-2004), VA332-Ottofile maceratese
(2003-2004), VA346-Ideale (2003), VA309-Fusello (2004), VA321Nostrano (2004).
Lo schema sperimentale adottato per ogni località era un blocco a parcelle suddivise in cui il fattore principale era costituito dall’investimento
finale, rispettivamente di 4.5 e 6.5 (8.5) piante /m2 con due ripetizioni. In
alcuni casi la prova è stata realizzata in ambiente biologico, e con ridotti
interventi idrici.
I dati medi relativi alle sole due località di prova, allevate nel 2003, che
sono risultate adatte ad essere elaborate congiuntamente sono riportati nella
tabella 4.
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Pagina 41
coltivabilità
(1=scarsa;
9=ottima)
proteine grezze
(%)
olio
(%)
Milano
Milano
Forlì
Forlì
Modena
Piacenza
Arezzo
Livorno
Lucca
Massa Carrara
piante spezzate
(%)
umidità
granella
(%)
Località
origine
Denominazione
/ collezione /
ditta
costitutrice
15.1
14.7
14.5
15.2
13.6
14.5
14.4
15.5
14.7
15.3
Cinquantino
Ancona
14.3
Culaccione
Ascoli Piceno 14.1
Ottofile maceratese
Macerata
14.8
Ideale
Pesaro
15.0
15.4
Scagliolo Marne
Bergamo
13.9
Cinquantino 2° raccolto
Milano
14.7
Ottofile giallo Lamorra
Piemonte
15.6
Pignoletto rosso del Canavese Piemonte
15.3
Ostenga del Canavese
Piemonte
15.3
Ottofile di Tortona
Tortona
Media varietà 14.8
21 Banguy SIS
13.7
FAO 200
22 Belgrano EMILSEME
14.4
FAO 200
23 PR36Y03 PIONEER
14.7
FAO 300
24 Maranello VERNEUIL
15.2
FAO 400
25 Tevere
15.2
DEKALB
FAO 500
Media ibridi 14.6
MEDIA
14.8
Marano vicentino
Nostrano dell'isola
Cinquantino
Giallo nostrano
Cinquantino bianco
Ottofile
Nostrale
Locale elbano
Morini
Locale
resa al 15,5%
(q/ha)
VA56
VA57
VA213
VA215
VA220w
VA231
VA237
VA267
VA275
VA285
VA305
VA311
VA332
VA346
VA553
VA903
VA1241
VA1243
VA1245w
VA1246
peso ettolitrico
(kg/hl)
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
Nome varieta'
Numero tesi
Tabella 4 - Rete nazionale varietà tradizionali - Risultati prove 2003
81.3
75.7
72.7
70.3
76.0
73.6
71.8
72.1
74.3
68.6
69.8
70.3
72.5
77.0
74.9
78.6
74.5
75.8
71.7
75.1
73.8
76.7
81.0
81.8
78.0
72.2
77.9
74.6
40.8
41.2
31.4
40.5
31.6
38.6
36.6
34.8
38.6
38.8
31.7
37.3
36.6
43.2
47.6
30.2
41.6
48.2
40.2
36.3
38.3
68.7
69.6
63.6
61.8
85.4
69.8
44.6
15
37
14
18
12
18
27
16
22
21
22
33
20
18
25
10
6
18
18
12
19
2
13
1
7
1
5
16
4.8
5.3
6.0
5.1
3.8
4.8
3.9
5.1
3.1
4.4
4.9
4.1
3.6
3.8
5.8
4.1
6.4
5.8
6.8
4.6
4.8
7.1
7.8
9.0
8.6
9.0
8.3
5.5
14.3
13.2
13.2
12.5
14.4
12.6
12.1
12.2
12.4
12.4
12.0
12.5
11.8
12.7
12.7
13.9
12.1
13.0
13.7
12.4
12.8
11.0
12.5
12.1
12.6
10.6
11.8
12.6
5.0
5.1
4.6
4.2
5.2
4.3
4.4
4.1
4.3
4.4
4.0
4.5
4.3
4.8
4.9
4.7
4.5
4.4
4.6
4.5
4.5
4.5
4.6
5.2
4.5
4.0
4.6
4.5
CV%
3.3
1.7
9.0
DMS
0.5
1.3
4.0
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6-06-2005
18:08
Pagina 42
Caratterizzazione sensoriale
L’ultima fase del programma prevedeva una caratterizzazione sensoriale delle
farine ottenute dai diversi genotipi in prova. L’analisi è stata eseguita dal
Dipartimento Valorizzazione Protezione Risorse Agroforestali dell’Università di
Torino con la costituzione di un panel di assaggio e la definizione di una scheda
descrittiva. Le polente sono state preparate unendo 300 g di farina a 1 l di acqua
minerale naturale, senza l’aggiunta di sale, e cotte per 60 minuti. L’esame ha permesso di individuare i descrittori sensoriali della polenta di mais: odore (erbaceo, castagna bollita, patata bollita, mais cotto), aroma, intensità, gusto (dolce,
salato, amaro), compattezza e granulosità. I profili così ottenuti costituiscono un
primo esempio di descrizione sensoriale delle farine di mais da polenta ed evidenziano complessivamente delle differenze di gradimento che caratterizzano i
prodotti esaminati e permettono di stilare una graduatoria (tabella 5).
Tabella 5 - Classifica di gradimento delle diverse polente
Differenza di
gradimento
Giudizio
Varietà o ibrido
+ GRADITO
Maranello
A
Ottofile maceratese
Scagliolo Marne
Ottofile di Tortona
Cinquantino bianco
Ostenga del canadese
Culaccione
Pignoletto rosso del canadese
Locale elbano
AB
AC
AC
AD
BD
CD
D
D
PR33Y06 (test dentato)
D
( test di Duncan)
- GRADITO
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volume granturco
6-06-2005
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Pagina 43
SCHEDE DESCRITTIVE
Per ogni accessione, è stata elaborata una scheda descrittiva dove sono riassunte le principali caratteristiche morfo-fisiologiche (tabella 6). Nelle pagine
successive sono riportate quelle relative alle varietà individuate come le più
interessanti e tipiche dell’area.
Tabella 6 - CARATTERI FENOTIPICI RILEVATI NELLE DIVERSE FASI DI SVILUPPO
FASE VEGETATIVA
• Vigore precoce (tardivo=1 precoce=9): indice della capacità delle plantule di emergere
rapidamente dal terreno, e quindi possibilità di anticipo fioritura;
• Sanità foglie (chiaro=1 scuro=9) indice della resistenza alle principali patologia fogliari
(Helmintosporium, Virus). Valori alti esprimono maggior efficienza fisiologica e qualità
fotosintetica;
FIORITURA
• Femminile (gg dall’emergenza): data di fioritura femminile con l’apparizione delle sete
sul 50% delle piante;
• Proterandria (secco=1 50% spighe=9) indice di sfasatura dell’emissione del polline rispetto alla comparsa delle sete. Valori alti indicano maggior contemporaneità con l’apparizione delle sete;
• Dimensioni pennacchio (pesante=1 leggero=9) indice del numero di ramificazioni complessive del pennacchio. Valori alti esprimono un pennacchio con minor ramificazioni e
più equilibrato;
MATURAZIONE
• Robustezza stocco (esile=1 robusto=9) indice della robustezza e sanità dello stocco;
• Tenuta radici (alletta=1 stabile=9) indice della suscettibilità all’allettamento;
• Taglia (bassa=1 alta=9) altezza della pianta espressa come indice rispetto alla media delle
varietà di riferimento;
• Inserzione spiga (bassa=1 alta=9) altezza dell’inserzione della spiga principale espressa
come indice rispetto alla media delle varietà di riferimento;
• Canopy pianta (chiusa=1 aperta=9) indice della misura dell’angolo tra lo stocco e il portamento delle foglie. Varietà con foglie patenti hanno una canopy chiusa, mentre varietà
a portamento eretto hanno una canopy aperta;
• Coltivabilità (scarsa=1 ottima=9) misura sintetica complessiva delle caratteristiche morfologiche e funzionali delle varietà espresso come capacità di riscontrare al momento della
raccolta piante integre, erette e con stay green;
CARATTERISTICHE DELLA SPIGA E GRANELLA RILEVATE ALLA MATURAZIONE
• Forma della spiga (conica, cilindro-conica, cilindrica)
• Ranghi (n°): file di semi presenti sulla spiga
• Tipo di frattura della granella (vitrea, endosperma corneo, dentata-farinosa)
• Colore del seme (bianco, giallo, arancio, rosso)
• Colore del tutolo (bianco, rosso, vinato)
43
volume granturco
6-06-2005
18:08
Pagina 44
denominazione
OTTO FILE MACERATESE
Località di prelievo . . . . . .Macerata
Anno di prelievo . . . . . . . .1957
Codice Accessione ISC . . . .VA
332
FASE VEGETATIVA
Vigore precoce . . . . . . . . . . . . . . 4
Sanità foglie . . . . . . . . . . . . . . . . 4
FIORITURA
Femminile (gg dall’emergenza) . . . . . 26/06/2002
Proterandria . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Dimensione pennacchio . . . . . . 5
MATURAZIONE
Robustezza stocco . . . . . . . . . . . . 1
Tenuta radici . . . . . . . . . . . . . . . 9
Taglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
Inserzione spiga . . . . . . . . . . . . . 6
Canopy pianta . . . . . . . . . . . . . . Coltivabilità . . . . . . . . . . . . . . . . 3
SPIGA
Forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cilindro-
Conica
Ranghi (n.) . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
Colore tutolo . . . . . . . . . . . . . . . Bianco
GRANELLA
Tipo granella . . . . . . . . . . . . . . . . Vitrea
Colore seme . . . . . . . . . . . . . . . . Giallo-arancio
44
volume granturco
6-06-2005
18:08
Pagina 45
denominazione
CULACCIONE
Località di prelievo . . . . . .Torre
San Patrizio
Anno di prelievo . . . . . . . .1957
Codice Accessione ISC . . . .VA
311
FASE VEGETATIVA
Vigore precoce . . . . . . . . . . . . . . 4
Sanità foglie . . . . . . . . . . . . . . . . 4
FIORITURA
Femminile (gg dall’emergenza) . . . . . 26/06/2002
Proterandria . . . . . . . . . . . . . . . . 6
Dimensione pennacchio . . . . . . 3
MATURAZIONE
Robustezza stocco . . . . . . . . . . . . 1
Tenuta radici . . . . . . . . . . . . . . . 9
Taglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Inserzione spiga . . . . . . . . . . . . . 6
Canopy pianta . . . . . . . . . . . . . . Coltivabilità . . . . . . . . . . . . . . . . 1
SPIGA
Forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Conica
Ranghi (n.) . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
Colore tutolo . . . . . . . . . . . . . . . Bianco
GRANELLA
Tipo granella . . . . . . . . . . . . . . . . Vitrea
Colore seme . . . . . . . . . . . . . . . . Giallo-arancio
45
volume granturco
6-06-2005
18:08
Pagina 46
denominazione
FUSELLO
Località di prelievo . . . . . .Torre
San Patrizio
Anno di prelievo . . . . . . . .1957
Codice Accessione ISC . . . .VA
309
FASE VEGETATIVA
Vigore precoce . . . . . . . . . . . . . . 6
Sanità foglie . . . . . . . . . . . . . . . . 4
FIORITURA
Femminile (gg dall’emergenza) . . . . . 26/06/2002
Proterandria . . . . . . . . . . . . . . . . 6
Dimensione pennacchio . . . . . . 4
MATURAZIONE
Robustezza stocco . . . . . . . . . . . . 1
Tenuta radici . . . . . . . . . . . . . . . 9
Taglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
Inserzione spiga . . . . . . . . . . . . . 6
Canopy pianta . . . . . . . . . . . . . . Coltivabilità . . . . . . . . . . . . . . . . 2
SPIGA
Forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cilindro-
Conica
Ranghi (n.) . . . . . . . . . . . . . . . . . 8-10
Colore tutolo . . . . . . . . . . . . . . . Bianco
GRANELLA
Tipo granella . . . . . . . . . . . . . . . . Vitrea
Colore seme . . . . . . . . . . . . . . . . Giallo-arancio
46
volume granturco
6-06-2005
18:08
Pagina 47
denominazione
CINQUANTINO
Località di prelievo . . . . . .Putido
di Fabriano
Anno di prelievo . . . . . . . .1957
Codice Accessione ISC . . . .VA
305
FASE VEGETATIVA
Vigore precoce . . . . . . . . . . . . . . 6
Sanità foglie . . . . . . . . . . . . . . . . 4
FIORITURA
Femminile (gg dall’emergenza) . . . . . 24/06/2002
Proterandria . . . . . . . . . . . . . . . . 6
Dimensione pennacchio . . . . . . 2
MATURAZIONE
Robustezza stocco . . . . . . . . . . . . 3
Tenuta radici . . . . . . . . . . . . . . . 8
Taglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
Inserzione spiga . . . . . . . . . . . . . 5
Canopy pianta . . . . . . . . . . . . . . Coltivabilità . . . . . . . . . . . . . . . . 2
SPIGA
Forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cilindro-
Conica
Ranghi (n.) . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
Colore tutolo . . . . . . . . . . . . . . . Bianco
GRANELLA
Tipo granella . . . . . . . . . . . . . . . . Vitrea
Colore seme . . . . . . . . . . . . . . . . Arancio-rosso
47
volume granturco
6-06-2005
18:08
Pagina 48
denominazione
IDEALE
Località di prelievo . . . . . .Pergola
Anno di prelievo . . . . . . . .1957
Codice Accessione ISC . . . .VA
346
FASE VEGETATIVA
Vigore precoce . . . . . . . . . . . . . . 7
Sanità foglie . . . . . . . . . . . . . . . . 5
FIORITURA
Femminile (gg dall’emergenza) . . . . . 23/06/2002
Proterandria . . . . . . . . . . . . . . . . 7
Dimensione pennacchio . . . . . . 5
MATURAZIONE
Robustezza stocco . . . . . . . . . . . . 1
Tenuta radici . . . . . . . . . . . . . . . 9
Taglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
Inserzione spiga . . . . . . . . . . . . . 3
Canopy pianta . . . . . . . . . . . . . . Coltivabilità . . . . . . . . . . . . . . . . 2
SPIGA
Forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cilindro-
Conica
Ranghi (n.) . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
Colore tutolo . . . . . . . . . . . . . . . Bianco
GRANELLA
Tipo granella . . . . . . . . . . . . . . . . Vitrea
Colore seme . . . . . . . . . . . . . . . . Arancio
48
volume granturco
6-06-2005
18:08
Pagina 49
denominazione
NOSTRANO SENZA NOME
Località di prelievo . . . . . .Amandola-
Marnecchia
Anno di prelievo . . . . . . . .1957
Codice Accessione ISC . . . .VA
320
FASE VEGETATIVA
Vigore precoce . . . . . . . . . . . . . . 6
Sanità foglie . . . . . . . . . . . . . . . . 4
FIORITURA
Femminile (gg dall’emergenza) . . . . . 26/06/2002
Proterandria . . . . . . . . . . . . . . . . 8
Dimensione pennacchio . . . . . . 3
MATURAZIONE
Robustezza stocco . . . . . . . . . . . . 2
Tenuta radici . . . . . . . . . . . . . . . 9
Taglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
Inserzione spiga . . . . . . . . . . . . . 5
Canopy pianta . . . . . . . . . . . . . . Coltivabilità . . . . . . . . . . . . . . . . 2
SPIGA
Forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cilindro-
Conica
Ranghi (n.) . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
Colore tutolo . . . . . . . . . . . . . . . Bianco
GRANELLA
Tipo granella . . . . . . . . . . . . . . . . Vitrea
Colore seme . . . . . . . . . . . . . . . . Arancio
49
volume granturco
6-06-2005
18:08
Pagina 50
denominazione
NOSTRANO SENZA NOME
Località di prelievo . . . . . .Amandola-
Ciariglia
Anno di prelievo . . . . . . . .1957
Codice Accessione ISC . . . .VA
321
FASE VEGETATIVA
Vigore precoce . . . . . . . . . . . . . . 5
Sanità foglie . . . . . . . . . . . . . . . . 4
FIORITURA
Femminile (gg dall’emergenza) . . . . . 01/07/2002
Proterandria . . . . . . . . . . . . . . . . 3
Dimensione pennacchio . . . . . . 4
MATURAZIONE
Robustezza stocco . . . . . . . . . . . . 4
Tenuta radici . . . . . . . . . . . . . . . 7
Taglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
Inserzione spiga . . . . . . . . . . . . . 6
Canopy pianta . . . . . . . . . . . . . . Coltivabilità . . . . . . . . . . . . . . . . 3
SPIGA
Forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cilindrica
Ranghi (n.) . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
Colore tutolo . . . . . . . . . . . . . . . Bianco
GRANELLA
Tipo granella . . . . . . . . . . . . . . . . Vitrea
Colore seme . . . . . . . . . . . . . . . . Arancio
50
volume granturco
6-06-2005
18:08
Pagina 51
denominazione
NOSTRANO SENZA NOME
Località di prelievo . . . . . .Amandola
Anno di prelievo . . . . . . . .1957
Codice Accessione ISC . . . .VA
318
FASE VEGETATIVA
Vigore precoce . . . . . . . . . . . . . . 5
Sanità foglie . . . . . . . . . . . . . . . . 5
FIORITURA
Femminile (gg dall’emergenza) . . . . . 30/06/2002
Proterandria . . . . . . . . . . . . . . . . 3
Dimensione pennacchio . . . . . . 5
MATURAZIONE
Robustezza stocco . . . . . . . . . . . . 1
Tenuta radici . . . . . . . . . . . . . . . 6
Taglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
Inserzione spiga . . . . . . . . . . . . . 5
Canopy pianta . . . . . . . . . . . . . . Coltivabilità . . . . . . . . . . . . . . . . 1
SPIGA
Forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cilindro-
Conica
Ranghi (n.) . . . . . . . . . . . . . . . . . 8
Colore tutolo . . . . . . . . . . . . . . . Bianco
GRANELLA
Tipo granella . . . . . . . . . . . . . . . . Vitrea
Colore seme . . . . . . . . . . . . . . . . Giallo-arancio
rosso
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volume granturco
6-06-2005
18:08
Pagina 52
denominazione
CIOCIARINO
Località di prelievo . . . . . .Cagli
Anno di prelievo . . . . . . . .1957
Codice Accessione ISC . . . .VA
347
FASE VEGETATIVA
Vigore precoce . . . . . . . . . . . . . . 5
Sanità foglie . . . . . . . . . . . . . . . . 4
FIORITURA
Femminile (gg dall’emergenza) . . . . . 25/06/2002
Proterandria . . . . . . . . . . . . . . . . 7
Dimensione pennacchio . . . . . . 3
MATURAZIONE
Robustezza stocco . . . . . . . . . . . . 2
Tenuta radici . . . . . . . . . . . . . . . 7
Taglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3
Inserzione spiga . . . . . . . . . . . . . 5
Canopy pianta . . . . . . . . . . . . . . Coltivabilità . . . . . . . . . . . . . . . . 2
SPIGA
Forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Conica
Ranghi (n.) . . . . . . . . . . . . . . . . . 12
Colore tutolo . . . . . . . . . . . . . . . Bianco
GRANELLA
Tipo granella . . . . . . . . . . . . . . . . Vitrea
Colore seme . . . . . . . . . . . . . . . . Giallo-arancio
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volume granturco
6-06-2005
18:08
Pagina 53
denominazione
QUATTORDICI FILE LOCALI
Località di prelievo . . . . . .Recanati
Anno di prelievo . . . . . . . .1957
Codice Accessione ISC . . . .VA
328
FASE VEGETATIVA
Vigore precoce . . . . . . . . . . . . . . 5
Sanità foglie . . . . . . . . . . . . . . . . 3
FIORITURA
Femminile (gg dall’emergenza) . . . . . 28/06/2002
Proterandria . . . . . . . . . . . . . . . . 4
Dimensione pennacchio . . . . . . 2
MATURAZIONE
Robustezza stocco . . . . . . . . . . . . 1
Tenuta radici . . . . . . . . . . . . . . . 8
Taglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4
Inserzione spiga . . . . . . . . . . . . . 4
Canopy pianta . . . . . . . . . . . . . . Coltivabilità . . . . . . . . . . . . . . . . 1
SPIGA
Forma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Cilindro-
Conica
Ranghi (n.) . . . . . . . . . . . . . . . . . 14
Colore tutolo . . . . . . . . . . . . . . . Bianco
GRANELLA
Tipo granella . . . . . . . . . . . . . . . . Vitrea
Colore seme . . . . . . . . . . . . . . . . Arancio
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IL GRANTURCO IN CUCINA
Molto vario è il campo di utilizzazione del mais che consente di ricavare
diversi prodotti alimentari. In Italia, è la farina gialla, ottenuta da una macinazione più o meno spinta delle cariossidi, che riveste ancora un ruolo di primaria importanza perché con essa si preparano i principali piatti della nostra
dieta: pane, dolci e polenta. Quest’ultima, in particolare, resta l’alimento a
base di mais più consumato dalla popolazione italiana malgrado la sua
importanza si sia notevolmente ridimensionata dopo le gravi epidemie di pellagra del secolo scorso.
MOLINI E MACINE
La farina tradizionalmente si estraeva a secco con un molino a pietra o palmenti, attualmente invece, possono essere usati anche dei molini a cilindri che consentono di ottenere
prodotti con granulometrie differenziate in funzione dell’utilizzo.
Il molino a palmenti è costituito da due dischi di pietra scanalata (arenaria o pietra quarzosa porosa), uno dei quali è fisso, l’altro girevole, con incastellatura di legno o ferro. Il processo di macinazione è molto semplice: il chicco intero viene schiacciato dallo sfregamento tra le due parti in pietra e successivamente setacciato per separare le crusche più grossolane. Il molino a cilindri invece consente una rottura graduale del chicco che, combinato
con l’abburattameno (vagliatura degli sfarinati) permette di separare: germe, crusca, farinetta e semole.
La più grande differenza che si riscontra nella composizione delle farine estratte con i due
metodi è sul contenuto in grassi: nella macinazione a pietra l’embrione o
germe (parte del seme particolarmente ricca in olio) viene schiacciato insieme al resto del chicco per cui l’olio in esso contenuto si distribuisce nella farina rendendola contemporaneamente più ricca
di elementi nutritivi ma poco conservabile perché soggetta a
rapido irrancidimento; questo non accade nella macinazione a
cilindri perché il seme viene preventivamente degerminato.
Ma il mais non è solo farina di polenta, dal mais infatti
si possono ricavare diversi altri prodotti. La granella matura è utilizzata anche
per la preparazione di fiocchi, corn flakes, pop-corn e per l’estrazione di
amido e olio. Inoltre i chicchi, a maturazione latteo-cerosa, ancora sulle pannocchie, possono essere arrostiti sulla griglia o lessati e consumati freschi o
inscatolati.
L’amido di mais, che non è altro che la farina bianca ottenuta dalla raffinazione del granoturco e che comunemente viene chiamato maizena, può
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essere utilizzato sia nella confezione di prodotti da forno normali sia per
quanti sono allergici al glutine; rientra nella costituzione di farine lattee,
come addensante in salse casalinghe o industriali, nei cibi precotti ecc.. È
usato anche dall’industria cartaria per migliorare la qualità dell’impasto, nell’industria farmaceutica come veicolo per molti farmaci, serve nella produzione di saponi e appretti, nell’industria petrolifera come lubrificante e, in
sostituzione all’orzo, è usato nella produzione della birra.
L’olio, ricavato dal germe è una delle fonti più ricche di acidi grassi polinsaturi. In cucina è largamente usato per condimenti, fritture, insalate; industrialmente per la produzione di margarina, come veicolo delle vitamine,
nella preparazione di medicinali, nella fabbricazione di gomma sintetica e
nella cosmesi.
Il piatto principe che viene quindi realizzato con la farina di mais, già conosciuto nell’antichità dai popoli precolombiani, è sicuramente la polenta.
Tradizionalmente, per fare un’ottima polenta servivano: farina di buona qualità e fresca, fuoco vivo del camino, un paiolo di rame non stagnato, un
bastone lungo, sottile e tondo (in alcuni casi appiattito in fondo) e tanto...
olio di gomito, fondamentale per girare il bastone il tempo necessario alla
cottura (circa un’ora). Attualmente, il consumo di polenta nelle famiglie italiane è sceso a causa della complessità delle operazioni e per mancanza del
tempo necessario per la preparazione. Per superare queste difficoltà sono disponibili sul mercato due tipi di prodotti: farine precotte, che permettono di
ottenere in 5 minuti una polenta con le caratteristiche di quella tradizionale,
e polente pronte che debbono essere solo riscaldate in forno o immerse in
acqua bollente.
Per chi, malgrado un po’ di fatica, preferisce realizzare i piatti della nostra
storia così come indicato dai nostri nonni, nelle pagine successive riportiamo
alcune delle ricette più significative.
USO DEL MAIS IN ERBORISTERIA
Il mais può essere considerato una sorta di calmante naturale ed è indicato per chi ha un
metabolismo molto accellerato. Può inoltre svolgere un’azione depurativa e disintossicante. In particolare, i decotti ed infusi ottenuti con gli stimmi (residui dell’apparato
sessuale femminile) volgarmente chiamati
“barbe”, vengono consigliati dagli erboristi per alleviare molti disturbi a carico
soprattutto dell’apparato urinario. Con
essi si curano gotta, cistiti e calcoli della
vescica oltre che le affezioni reumatiche.
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LE RICETTE DELLA TRADIZIONE MACERATESE
POLENTA MACERATESE
RICETTA BASE
Ingredienti: 700 g di farina di mais, 3 l di acqua, sale.
Preparazione: In un tegame far riscaldare l’acqua salata, prima che arrivi a bollire iniziare a versarvi, lentamente a pioggia, la farina, a fuoco moderato, mescolando in continuazione con
l’apposito bastone per evitare che si formino grumi. Incorporata tutta la farina, continuare a
mescolare fino a che la polenta rassodata, non ha formato sulle pareti una leggera crosticina.
Allora è pronta per essere stesa sulla “spianatora” o nei piatti.
CONDIMENTO (si indicano solo i più comuni, perché la tradizione vuole che si condisse
con tutto quello che c’era, …..se c’era):
SALCICCIE (rosolare nell’olio 1 etto di pancetta tagliata a dadini e due salsicce sbriciolate.
Stendere sopra la polenta ed aggiungere abbondante formaggio pecorino), CARBONARA
(sugo fatto con strutto, guanciale, aglio e pepe), FAGIOLI, CECI, CAVOLI, BACCALA’ (soffriggere una cipolla in poco olio, aggiungere il baccalà spinato e tagliato a pezzeti, aggiungere
acqua e vino e far cuocere) SANGUINACCIO, SAPA (mosto d’uva fatto bollire lentamente
fino alla riduzione di circa un terzo del volume da versare sopra alla polenta già pronta).
POLENTONE
Ingredienti: 1 chilo di farina di mais, olio, 2 etti di pancetta di maiale, 4 salsicce, 1 etto di pecorino grattugiato, sale e pepe.
Preparazione: si fa una polenta piuttosto densa che poi si versa su di un panno leggermente
bagnato dove si fa raffreddare. Quindi, con un filo, viene tagliata a fette che vanno disposte a
strati in un caldaio (o in un tegame da forno). Ogni strato viene condito con un sugo di pancetta e salsiccia fatte rosolare nell’olio, e con abbondante pecorino grattugiato. Il tutto va posto
sulla brace (o al forno) per una decina di minuti.
POLENTA GRIGLIATA
La polenta, una volta raffreddata, si taglia a fette, poi s’arrostisce sulla griglia, per servirla calda
come accompagnamento di intingoli o sughi vari.
“VRUSCATA”
Era una schiacciata fatta con la farina di granoturco cotta sotto la brace; per proteggerla dalla
cenere la avvolgevano in foglie di cavolo che le trasferivano così anche parte del loro sapore.
“SURICITTI”
Ingredienti: Polenta, farina di grano, lardo, 1 salsiccia, 100 g di cotiche, formaggio pecorino
grattugiato, sale.
Preparazione: si fa la polenta, si stende sulla spianatoia e si lascia freddare. Una volta fredda
fare un impasto abbastanza consistente con la farina, fare dei rotolini e tagliarli a pezzettini.
Far soffriggere il lardo con la salsiccia sbriciolata e le cotiche, aggiungere acqua e sale. Far bollire, quindi versare gli gnocchetti. Al primo bollore la minestra è cotta, versare nei piatti e spolverare di formaggio.
“CRESCIA”
Ingredienti: farina gialla e bianca in uguale quantità, sale, acqua bollente.
Preparazione: Si impasta la farina con l’acqua bollente ed il sale, quindi si forma una schiacciata abbastanza spessa perché sia possibile, dopo averla cotta, tagliarla e farcirla.
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Si pulisce la parte di camino dove andrà messa a cuocere, dopo averla scaldata con la brace. Si controlla che la pietra non sia troppo calda con della farina e poi ci si mette l’impasto coperto con
l’apposito coperchio, ricoperto di brace. Si può condire con qualsiasi cosa: cavoli, patate ecc...
PANE DI GRANTURCO
Ingredienti: farina di granturco, sale, acqua calda.
Preparazione: Si impasta la farina con l’acqua calda leggermente salata. Dopo prolungata lavorazione si foggiano pagnottelle ovali che si incidono in superficie con una croce prima di lasciarle
riposare per breve tempo. Vanno poi cotte in forno per circa 45 minuti. Il pane di mais, di gusto
gradevolmente dolciastro finché caldo, rimane appetibile al massimo per un paio di giorni.
Variazione: all’impasto si può aggiungere dell’uva passa precedentemente ammollata in acqua
tiepida.
FRITTELLE DI POLENTA
Ingredienti: un piatto di polenta già pronta, farina di frumento q.b., buccia grattugiata di limone, olio per friggere zucchero.
Preparazione: mescolare la polenta con la farina e la buccia di limone, impastare fino ad ottenere un impasto morbido che possa essere spianato con il matterello ottenendo una sfoglia di
circa 1 cm. Tagliate le frittelle a forma di rombi e friggetele in olio bollente. Mangiare caldissime cosparse di zucchero.
“FRUSTENGA”
Ingredienti: 250 g di farina gialla, 1 l di acqua, 1 cucchiaio di uva passa, 7 fichi secchi, 7 noci,
4 cucchiai di sapa, 2 cucchiai di olio.
Preparazione: fare la polenta, nel frattempo scottare i fichi e l’uvetta per farli ammorbidire.
Tritare grossolanamente tutti gli ingredienti e unire alla polenta mescolando bene. Versare il
composto nella teglia unta e rivestita di pangrattato quindi passare in forno (caldo a 180°C)
per circa 20 minuti.
“SUGHITTI”
Ingredienti: 1 l di mosto già bollito, 300 g di farina gialla, gherigli di noci pestati, mandorle
pelate tritate, semi di zucca sminuzzati.
Preparazione: In una pentola portare ad ebollizione il mosto, unite la farina adagio, sempre
mescolando con l’apposito bastone da polenta. Unite i gherigli di noci, le mandorle ed i semi
di zucca, quindi terminate la cottura e versate la polenta sulla tavola. Far affreddare, tagliare a
rombi e servire.
ALTRE RICETTE
CROSTONI DI POLENTA CON RAGÙ DI FEGATINI
Ingredienti: 500 g fegatini di pollo, 2 spicchi d’aglio, 1 fetta di alloro, 1 bicchiere vino bianco
secco, 2 dl di panna, olio, sale, pepe.
Preparazione: fate dorare gli spicchi d’aglio con 4 cucchiai di olio, aggiungete i fegatelli e l’alloro. Rosolateli velocemente, aggiungete il vino bianco secco, salate e pepate, quando è evaporato tritate grossolanamente i fegatelli, rimetteteli nel loro sughetto, aggiungete la panna e
cuocete a fuoco basso finché la salsa si è addensata. Servite con crostoni di polenta grigliati.
POLENTA CON RAGÙ ARCOBALENO
Ingredienti: 300 g di farina di mais a grana grossa, 4 patate, 4 carote, 1 spicchio d’aglio, 4 pic-
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cole cipolle rosse, 300 g cavolini di Bruxelles, 1 confezione piccola pelati in scatola, abbondante prezzemolo tritato, una presa basilico secco, olio, sale, pepe.
Preparazione: lavate bene le verdure e tagliatele tutte della dimensione dei cavolini (le cipolle
basterà tagliarle a spicchi). In 5 cucchiai d’olio rosolate tutte le verdure, quando si sono insaporite unite l’acqua di vegetazione dei pomodori, che avrete diviso in quattro, mescolate, salate e pepate, coprite a filo con acqua bollente, o brodo vegetale, incoperchiate e fate cuocere a
fuoco lento per mezz’ora, aggiungete i pomodori, mescolate e proseguite la cottura per un altro
quarto d’ora. Quando è cotta, e il sugo un po’ asciugato, aggiungete prezzemolo e basilico, spegnete. Intanto preparate la polenta con un litro e mezzo d’acqua leggermente salata, quando è
cotta versatela in un largo piatto di coccio, versate attorno le verdure e servite.
POLENTA CON LA VERZA
Ingredienti: 300 g farina di mais, 300 g fagioli freschi, 300 g verza, 1 cipolla, 1 spicchio d’aglio, 1 osso prosciutto, 50 g lardo, 1 foglia alloro,1 rametto rosmarino, prezzemolo tritato
abbondante, 50 g pecorino stagionato a scaglie, sale, pepe.
Preparazione: preparate due litri di brodo con l’osso di prosciutto, l’aglio e l’alloro. Intanto lessate, con acqua a filo, e a fuoco leggero, i fagioli e la verza pulita e tagliata a striscioline, la
cipolla a pezzi grossi. Togliete l’osso di prosciutto e ricavate ciò che è possibile di eventuale
carne, che rimetterete nel brodo, togliete la foglia di alloro e mescolate le verdure al brodo.
Versatevi la farina di mais, salate e pepate e sempre mescolando cuocete per un’ora. Servite la
minestra coperta di scaglie di pecorino e prezzemolo tritato, irrorando il tutto con il lardo
tagliato e striscioline e soffritto dolcemente con il rosmarino.
POLENTA CON FAGIOLI
Ingredienti: 400 g di fagioli, vanno bene i borlotti, 250 g farina gialla, 150 g pecorino anche
fresco, o ricotta al forno, parmigiano, rosmarino, salvia, 2 spicchi d’aglio, olio, sale, pepe.
Preparazione: mettete a bagno i fagioli per una notte e cuoceteli in acqua aromatizzata con 1
spicchio d’aglio e il rosmarino. Quando sono freddi, scolateli tenendo l’acqua da parte.
Cuocete la polente in un litro e mezzo d’acqua, compresa quella dei fagioli, salate e pepate.
intanto passate metà dei fagioli, quando la polenta è cotta mescolatela alla purea di fagioli.
Versate la zuppa nei piatti, decorando con i fagioli tenuti da parte, i formaggi grattugiati grossolanamente. Rosolate lo spicchio d’aglio con qualche cucchiaio d’olio, o burro se preferite, e
qualche foglia di salvia, quando si è ben bene insaporito versate sulla minestra e servite.
DOLCE DI POLENTA E LATTE
Ingredienti: 250 g di farina da polenta macinata fine, 1 litro e mezzo di latte, 100 g zucchero
scuro, 50 g uvetta, 1 bicchierino brandy, 1 cucchiaino di cannella, panna montata per servire.
Preparazione: ammollate l’uvetta con il brandy e un po’ di acqua tiepida. Portate ad ebollizione il latte, preparate la polenta come di consueto, cuocendola per un’ora. Quando è quasi cotta
aggiungete l’uvetta strizzata e amalgamate perfettamente. Suddividetela nelle ciotole, spolveratela con lo zucchero misto alla cannella, mandatela in tavola bollente accompagnata con
panna montata ben fredda.
BOCCONCINI DOLCI DI POLENTA
Ingredienti: 60 g farina di mais, 60 g farina bianca 00, 4 uova, mezzo litro di latte (o panna),
200 g di zucchero, 2 cucchiai olio d’oliva, 1 bustina lievito in polvere.
Preparazione: frullate insieme tutti gli ingredienti, quando sono perfettamente amalgamati versate il composto in una teglia foderata con carta apposita e cuocete in forno preriscaldato a
180° per un’ora. Lasciate intiepidire nel forno, quando è freddo sformatelo e tagliatelo a losanghe che servirete spolverate con zucchero al velo.
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BIBLIOGRAFIA CONSULTATA
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- 2000
Regione Marche - Villani Venetia Il pane: mito realtà e futuro
3
- 2001
Comunità montana dei Minti Azzurri Dizionarietto delle tradizioni e del
mangiare
4
-
Regione Marche - Elsa Mazzolini Marche da mangiare
5
- 2000
C.C.I.A.A. Macerata Vincisgrassi
6
- 1996
Saltini Antonio I semi della civiltà
7
- 2002
Regione Lombardia Mais in Lombardia: varietà tradizionali
8
- 2000
Un. Studi Molise - Coltellacci Beatrice I cereali nell’alimentazione e nella
cultura dal periodo arcaico alla rinascenza
9
- 1999
Perrino P. e altri Seeds from the past
10 - 2000
Pro loco Piediripa - Benedetto Salvucci Il grano fino alla trebbiatura … e
un po’ di pane
11 - 2002
Fondazione Morando Bolognini Museo del pane e del grano
12 - 2001
Ceccarelli Riccardo Grano, pane e riso nella Marca di Ancona
13 - 2000
Istituto Nazionale di Sociologia Rurale Atlante dei prodotti tipici Il PANE
14 - 2000
Villani Venetia La cucina biologica
15 - 1999
Centanni G. e Ramoscelli R. San Costanzo a tavola
16 - 1988
Almar Von Wistinghausen Leguminose
18 - 1987
Francesco Bonciarelli Coltivazioni erbacee da pieno campo
19 - 1996 (rist.)
Elio Baldacci Malattie delle piante trasmesse per seme e mezzi di prevenzione
24 - 2000
Regione Marche - Angelotti M. Le briciole di pollicino
25 - 2000
Walter Pedrotti Conoscere e cucinare i cereali
27 - 1993
Il resto del carlino Il Dizionario
28 - 1987
Riserva naturale Abbadia di Fiastra - Loretta Fabrizi Il museo della civiltà
contadina e degli attrezzi agricoli dell’Abbazia si S.M. di Chiaravalle di
Fiastra
29 - 1999
Fondazione Giustiniani Bandini - Paola Consolati I Giustiniani - Bandini
30 - 1863
Carlo Berti Pichat Corso teorico e pratico di agricoltura
33 - 1999-2001
Paolo Sorcinelli Pane e carne, ricchezza e povertà
35 - 1975
Renzo Paci Rese, commercio ed esportazione dei cereali nella legazione
d’Urbino nei secoli XVII e XVIII
59
volume granturco
6-06-2005
18:08
Pagina 60
36 - 1967
Luigi Finocchietti Agricoltura e vita nelle campagne del dipartimento del
Tronto (1808-1814)
37 - 1984
Sergio Anselmi L’alimentazione dei contadini marchigiani negli atti della
inchiesta Jacini
38 - 1976
Renzo Paci La cultura agronomica nel maceratese da Pio VI a Napoleone
55 -
ARSIA ARSIA - Repertorio regionale risorse genetiche autoctone
58 - 1996
Angiola Maria Napolioni Le carte in tavola
59 - 1893
A. Pasqualini e A. Sintoni Studi comparativi sulla Durra e sul Formentone
eseguiti nella provincia di Forlì
60 - 1818
Il dottor Della Villa Su tutti i principi oggetti dell’Agricoltura
61 - 1885
O. Ottavi Lavori e semine nel campo dopo il frumento
63 -
La sgranatura del granturco a mano ed a macchina. Confronti
64 - 1886
C. Asperti I progetti sul granturco guasto e sulle case coloniche
65 -
P. Anelli Rinaldo I pregiudizi sulla confezione del pane
67 - 1953
Risultati dei campi di orientamento istituiti dall’Ispettorato Provinciale dell’agricoltura di Macerata
72 - 2002
P. Valoti M. Motto I mais speciali
73 - 2003
G. Sartori Le varietà adatte per la polenta
74 - 2002
M. Bertolini, m. Motto, G. Sartori, A Verderio Ibridi sperimentali di mais
a granella vitrea
75 - 2002
M. Snidaro, P. Paviotti Rinnovare la tecnica di coltivazione del mais per
migliorare la qualità della granella
76 - 2000
Susanna Poletti Il “Nostrano di Storo”
78 - 1997
vari Storia dell’agricoltura
84 - 2003
I sapori delle marche. Polenta, oggi cibo da grandi occasioni
85 -
Centro documentazione e promozione donna Gusto nostro. Alla scoperta
delle tradizioni gastronomiche maceratesi
86 - 1978
Nicla Mazzara Morresi La cucina marchigiana tra storia e folclore
87 -
Roberto Papa Le risorse genetiche vegetali delle Marche
96 - 2001
Parco tecnologico di Todi e D.B.V. di Perugia Valorizzazione delle risorse
genetiche della regione Umbria
109 - 2002
Giunta Regione Marche Elenco prodotti tradizionali
115 -
Associazione “Liguria Biologica” Antichi ortaggi del Tigullio
116 -
ARSIA Germiplasma di specie erbacee di interesse agricolo
119 - 1904
Cattedra ambulante di agricoltura della prov. di Macerata I tutoli di granoturco nell’alimentazione del bestiame
120 - 1931
Cattedra ambulante di agricoltura della prov. di Macerata Fascicolo delle
analisi per la determinazione del reddito fondiario nelle colture a seminativo
semplice
121 - 1994
Gianfranco Piva Mais e Micotossine
122 - 1993
G. Onorato, M. Snidarolo Nuovi orientamenti nella lotta alla piralide del mais
60
volume granturco
6-06-2005
18:08
Pagina 61
123 - 1987
Ente fiera di Civitanova Marche Marche a tavola: la civiltà della tavola
nella Marca maceratese
124 - 1987
Massimo Cuppoletti La marca in tavola
125 - 1982
Emilio Faccioli Il cuoco perfetto marchigiano
126 - 1994
Evio Hermas Ercoli Mo’ vene Natale: alla ricerca delle tradizioni maceratesi
127 - 1771
Ignazio Ronconi Dizionario di Agricoltura
128 - 1772
Camillo Tarello Ricordo di agricoltura
129 - 1775
Giovanni Salvini Istruzione al suo fattore di campagna
130 - 1795
Archivio Priorale di Macerata (111-562 bis)
131 - 1831
Archivio Priorale di Macerata (113-568)
132 - 1811
Moreschini Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia Vol. 11
133 - 1809
Spadoni Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia Vol. 4
134 - 1810
Miotti Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia Vol. 7
135 - 1811
Brignoli Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia Vol. 9
136 - 1812
Valeriani Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia Vol. 13
137 - 1813
Valeriani Annali dell’agricoltura del Regno d’Italia Vol. 19
138 - 1884
vari Atti della giunta per l’inchiesta agraria e sulle condizioni della classe
agricola. Vol.XI Tomo II
139 - 1913
Domenico Pinolini Elementi di agricoltura pratica per gli agricoltori della
provincia di Macerata
140 - 1902
Vittorio Niccoli Saggio storico e bibliografico dell’agricoltura italiana dalle
origini al 1900
141 - 1938
T. V. Zapparoli Il miglioramento pratico delle sementi di granoturco
142 - 1938
T. V. Zapparoli Convegno Nazionale di maiscoltura
144 - 2003
G. Picchi Risorse e Cibo dalla Terra delle Armonie
145 - 1989
S. Anselmi, A. Antonietti Marche
146 - 2001
A. Arzeni, R. Esposti, A. Salustri, F. Sotte Il sistema agricolo e alimentare
nelle Marche
148 - 2003
A. M. Padrelli La cucina delle marche
149 -
L. M. Craia “I dolci” della tradizione maceratese
151 - 1983 / 1984 vari Proposte e ricerche 11-12
152 - 1978
S. Anselmi Mezzadri e terre nelle marche
153 - 1977
P. Sorcinelli Studi storici: Regimi alimentari, condizioni igieniche, epidemie
nelle Merche dell’Ottocento
154 - 1998
M. Montanari L’alimentazione contadina nell’alto medioevo
155 - 1922
D. Tamaro Trattato completo di agricoltura
156 - 2001
Sorcinelli La pellagra, malattia dei poveri
157 - 2001
Sorcinelli Le tendenze del nostro secolo
159 - 1978
M. Morresi La cucina italiana, tra storia e folclore
61
volume granturco
6-06-2005
18:08
Pagina 62
166 - 1984
De Signoribus “Aspetti della alimentazione picena tra ‘800 e ‘900” Proposte
e ricerche
173 -
Verducci La tenuta della Badia di S. Claudio al Chienti nel XVIII secolo:
Struttura e dinamica economico-sociale
174 -
Paci Assistenza e beneficenza in età moderna: le istituzioni della marca
175 - 2001
M. Moroni L’istruzione agraria a Macerata dalla prima scuola di agricoltura all’istituto agrario
176 - 2002
M. Moroni Figure e temi del dibattito agronomico a Macerata tra sette e
ottocento
177 - 1915
G. Silvetti Sulle divisioni del patrimonio delle famiglie coloniche marchigiane
178 - 1906
M. Morro Coltivazioni dlle piante erbacee
179 - 1915
E. Calamani, O. Munerati Manuale di agraria
182 - 1924
Agronomia e agricoltura generale
185 -
A. Devito Tommasi L’economia domestica nell’insegnamento
188 - 1977
P. Sorcinelli Regimi alimentari, condizioni igieniche, epidemie nelle Marche
dell’Ottocento
189 - 1995
S. Anselmi Contadini marchigiani del primo Ottocento: una inchiesta del
Regno italico
190 - 1953
B. Ciaffi Il volto agricolo delle Marche
191 - 1907
Studi marchigiani
192 -
Angiola Maria Napolioni
Georgica di Treia
193 -
A. Virgili Studi ed esperienze agrarie dell’Accademia Georgica
194 -
M. Ciocchetti Belforte nel passato
195 -
ARSIA Germoplasma di specie erbacee di interesse agrario
196 - 2004
CRPA Come combattere le micotossine del mais
197 -
P. Sorcinelli Polenta e pellagra nelle Marche
La Biblioteca settecentesca dell’Accademia
198 -
Camera di Commercio Prodotto netto dell’agricoltura 1951-1961
199 - 1934
Giacomo Acerbo La economia dei cereali nell’Italia e nel mondo
62
volume granturco
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Pagina 63
INDICE
3
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Presentazione
5
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .IL
5
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Introduzione
GRANTURCO O MAIS DA POLENTA
7 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Cenni storici
7 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Origini
8 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Diffusione
9 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Utilizzazioni
12 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Il mais nelle Marche
12 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .I documenti
18 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Alimentazione e tradizione
22
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Descrizione
26
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Caratteristiche
28
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Tecnica
botanica
nutrizionali
colturale
35 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Il progetto
36 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Attività realizzata
43 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Schede descrittive
54 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Il granturco in cucina
56 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Le ricette della tradizione maceratese
57 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Altre ricette
59
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .Bibliografia
consultata
63
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Centro Ricerche e Sperimentazione
per il Miglioramento Vegetale
“N. Strampelli”
PROFILO E FINALITÀ
Il Centro, senza alcuna finalità di lucro, ha per scopo il miglioramento
vegetale (genetico e tecnico colturale) delle piante agrarie e la valorizzazione delle sementi, ai fini del potenziamento delle produzioni agricole mediante la promozione, l’attuazione e la fornitura dei servizi di
sviluppo agricolo nel settore della ricerca, della sperimentazione, della
dimostrazione e della divulgazione. Il Centro potrà, inoltre, prestare
assistenza e collaborazione ad Enti, Associazioni private interessati allo
sviluppo agro-industriale ed ambientale … (art.1 statuto Cermis)
ENTI ASSOCIATI
Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Macerata
Fondazione Giustiniani Bandini
Provincia di Macerata
Agroservice S.p.a.
Eurogen s.r.l.
Limagrain Italia S.p.a.