Mais e… polli!
Lettera aperta di Jean-Pierre Berlan, direttore di ricerca INRA, ad un agricoltore moderno…
(…) Servono circa 15 chili di seme per ettaro. Un quintale di seme “ibrido” di mais costa più di
1.000 euro, mentre un quintale di mais raccolto ha un prezzo intorno ai 9 euro. Un quintale di semi
di mais “ibrido” vale quindi 100 volte di un quintale di mais ottenuto. Se potesse ri-utilizzare i semi
del suo raccolto, risparmierebbe circa 150 euro per ettaro (15.000 euro su 100 ettari).
I conti sono presto fatti, sulle cifre non può esserci disaccordo.
È ovvio che non spende una somma così rilevante con la gioia nel cuore: è certamente il costo più
importante che sopporta. Riacquista ogni anno le sementi da agro-industrie come Monsanto,
DuPont (Pioneer), Syngenta o Bayer – tutti fabbricanti di antiparassitari di sintesi - o da
‘cooperative’ come Limagrain, Euralis e altre. Queste ‘cooperative’ praticano in Francia gli stessi
prezzi esorbitanti dei loro concorrenti agro-industriali. In America settentrionale, praticano - così
come i loro concorrenti - prezzi tre volte più bassi per le stesse “varietà”! Certamente lo fanno per
servire meglio i suoi interessi di agricoltore nella concorrenza
internazionale...
In breve, ri-acquista le sementi ogni anno perché non ha scelta. È colpa,
le ha spiegato il genetista, della tirchieria della natura: il granturco è
speciale per il fenomeno dell’eterosi, sempre inspiegato e forse anche
inspiegabile, uno dei misteri inaccessibili ai comuni mortali (e quindi
anche a lei), che possono essere esplorati soltanto dai dotti. Migliorare il
granturco, le hanno detto, impone di scatenare questo fenomeno
misterioso che, ahimè, le impedisce di seminare la granella che raccoglie.
Così crede alla favola che per migliorare un organismo vivente, occorra impedirgli di
riprodursi nel suo campo!
La tranquillizzo: lo credono tutti. L’ho creduto anch’io per molto tempo. Per credere, basta
rinunciare a ragionare da sé.
Decenni di propaganda scientifica hanno imposto questa superstizione. I contadini americani della
fine degli anni ‘30 avevano dato prova di lucidità chiamando “mais mulo” le “varietà ibride”
rivoluzionarie che non potevano riseminare a differenza delle varietà coltivate fino ad allora. Ma i
loro figli, passati per gli istituti agricoli, appassionati del progresso, illuminati dalla luce della
genetica, come certamente lei stesso, hanno respinto come oscurantista il buon senso biologico dei
loro genitori contadini.
Chi può essere abbastanza credulone, oltre al genetista e ad altri scienziati chiusi nella morsa
della loro disciplina e tagliati fuori dalla vita reale, da credere all’enormità che per migliorare un
essere vivente bisogna in qualche maniera sterilizzarlo?
(…) Ha potuto osservare che ho messo “ibrido” e “varietà ibride” tra virgolette. Il termine “varietà”
ha un suo chiaro significato: secondo il dizionario, “il carattere di ciò che è vario; contrario di
uniformità; sinonimo: diversità”. Ma ciò che coltiva sotto il nome di “ibrido” di mais è costituito da
piante che sono tutte identiche dal punto di vista genetico. È quindi esattamente il contrario di una
“varietà”: il termine che si dovrebbe utilizzare è “clone”. Lei coltiva né più né meno che “cloni”.
Questi cloni sono “ibridi”? Il termine “ibrido” qualifica senza ambiguità la pianta di mais che
semina? No, questa pianta è del tutto ordinaria. Il selezionatore ha semplicemente preso varietà di
piante di mais coltivate dai contadini, facendone copie (dei “cloni”), quando per caso ‘inciampava’
su una pianta superiore alla media delle piante della varietà. Non è né più né meno “ibrida” di una
qualsiasi pianta di mais di quella varietà. Il termine “varietà ibrida” è dunque un doppio
imbroglio. Occorrerebbe parlare di “clone prigioniero” o “proprietario”, dato che, come lei sa,
appartengono al selezionatore e non possono essere riprodotti nel campo dal contadino.
È interesse dei sementieri alimentare la confusione parlando di “ibridi”. Con il “vigore ibrido”,
l’“eterosi” e altri bla bla apparentemente scientifici, distolgono la sua attenzione dalla realtà di
questi cloni prigionieri di cui le vendono le sementi a un prezzo cento volte più caro di quello che le
costerebbero se potesse, come i suoi genitori, seminare la granella del suo raccolto.
Non creda per un solo secondo che gli “ibridi aumentano la resa” e quindi i suoi vantaggi, come le
ripetono. No, i cloni prigionieri aumentano i profitti dei sementieri a sue spese. È il lavoro di
selezione che permette d’accrescere le rese. Si poteva migliorare il granturco continuando a
selezionare le varietà, ma non interessava ai sementieri, dato che l’agricoltore avrebbe potuto
riseminare la sua granella.
Cosa succede, in realtà?
Se ha fatto esperienza di consanguineità con i mammiferi
(organismi a fecondazione incrociata, che hanno dunque un
padre e una madre diversa), sa che si produce una depressione
consanguinea. Un allevatore che sviluppasse consanguineità
nella sua mandria dovrebbe rapidamente abbatterla. Ebbene, il
mais è come un mammifero: è una pianta a fecondazione
incrociata (una pianta di granturco ha, in generale, un padre e
una madre diversa) e la consanguineità si traduce in una riduzione della resistenza della pianta. Il
fatto è stato osservato e descritto da Darwin fin dal 1868.
Cosa ha fatto il selezionatore in nome di questa teoria fumosa dell’eterosi inventata a tutti gli effetti
dai genetisti? Le varietà contadine coltivate dai suoi genitori erano costituite da piante diverse.
Senza temere la consanguineità, loro potevano ri-seminare la granella, evenienza che il
selezionatore deve a tutti i costi evitare. Così ha estratto a caso cloni dalle varietà contadine di
granturco coltivate dai suoi genitori. (…) Il selezionatore prova questi cloni per scegliere il migliore
e rimpiazzare queste varietà. Le vende le sementi. Lei semina questi cloni nei suoi campi. Le
raccontano la frottola del genetista sull’eterosi. Gli crede. E per buona misura, le fanno ammirare
l’uniformità di questi cloni nei suoi campi (…). Che bello, queste piante uniformi, schierate come
soldati, che crescono in un deserto! Finita la diversità della natura.
È stato accecato al punto di non vedere la realtà sotto i suoi occhi: al momento della fecondazione,
le piante clone si fertilizzano bene l’un l’altra, ma dato che sono geneticamente identiche o quasi, è
come se autofecondasse. I suoi cloni, meraviglia d’uniformità, sono macchine per
autofecondare il granturco, quindi per distruggerlo. Non può più seminare il grano raccolto.
Riassumendo: il genetista, il sementiere e i suoi tecnici distolgono la sua attenzione a colpi di
“vigore ibrido” (…) mentre attuano nei suoi campi, a sua insaputa e sotto i suoi occhi ammirati,
un’autofecondazione, vale a dire la forma più violenta di consanguineità (con i mammiferi, non
potrebbe fare di meglio - o di peggio - che incrociare padre-figlia, madre-figlio o fratello-sorella).
Lei distrugge il suo granturco nel suo campo. E per primo, ammira la distruzione di cui è
vittima…
(…) Queste chimere genetiche – i cosiddetti OGM - hanno la caratteristica notevole d’essere
brevettate, il che mette legalmente fine alla pratica fondamentale dell’agricoltura, cioè di riseminare i semi che si raccolgono. È vero: gli esseri viventi commettono un crimine
intollerabile: riprodursi e moltiplicarsi gratuitamente nel campo dei contadini. Un crimine che
la nostra società punisce con la morte. Ciò che fanno Terminator, il brevetto, gli “ibridi” (…).
E se invece di essere l’eroe del progresso che crede di essere, fosse solamente un pollo?
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(traduzione di Roberto Pinton)