Le guerre sannitiche Le guerre sannitiche sono una serie di tre conflitti combattuti dalla giovane Repubblica romana contro la popolazione italica dei Sanniti e numerosi loro alleati tra la metà del IV e l'inizio del III secolo a.C. Le guerre, terminate tutte con la vittoria dei Romani (tranne la prima fase della seconda guerra), scaturirono dalla politica espansionistica dei due popoli che a quell'epoca si equivalevano militarmente e combattevano per conquistare l'egemonia nell'Italia centrale e meridionale oltre che per la conquista del porto di Napoli. All'epoca dei fatti i Romani dominavano già su Lazio, Campania settentrionale, sulla città etrusca di Veio ed avevano stretto alleanze con diverse altre città e popolazioni minori. I Sanniti dal canto loro erano padroni di quasi tutto il resto della Campania e del Molise, e cercavano di espandersi ulteriormente lungo la costa a discapito delle colonie della Magna Grecia e verso la Lucania nell'entroterra. Quando erano venuti in contatto per la prima volta (354 a.C.) Romani e Sanniti avevano comunque preferito stipulare un patto di non belligeranza così da potersi espandere tranquillamente in altre direzioni, ma il confronto era solo rimandato. La grande importanza che i Romani e i loro storiografi sempre diedero a questa lotta per la supremazia nell'Italia meridionale è sottolineata dal gran numero di episodi leggendari o colorati dalla storiografia, come la subjugatio delle Forche Caudine, la devotio del Console Decio Mure nella terza guerra, e forse di suo padre nella prima, la legio linteata. 1 Il casus belli che fece scoppiare la prima guerra tra Sanniti e Romani fu offerto dalla città di Capua, fiorente centro della Magna Grecia poco lontana dalla costa, situata nella pianura campana e, quindi, nelle mire dei Sanniti. Quando questi la posero sotto assedio, la città di Capua mandò un'ambasceria a Roma chiedendone la protezione. Il Senato romano però si tirò indietro a causa di un trattato di non belligeranza stipulato in precedenza proprio con i Sanniti (354 a. C.), al che gli ambasciatori tentarono l'ultima carta che avevano per ottenere soccorso: consegnarono la loro città nelle mani di Roma. Il Senato accettò, ovviamente, e mandò ambasciatori ai sanniti per informarli della mutata situazione e per chiedere che l'assedio fosse levato. I Sanniti, però, non accettarono il nuovo stato di cose e così a Roma non restò che dichiarare loro guerra. Era il 343 a.C. Contravvenendo alle leggi Licinie Sestie da poco approvate, a dirigere la guerra il Senato romano nominò due consoli patrizi: in Campania fu inviato Marco Valerio Corvo, nel Sannio Aulo Cornelio Cosso Arvina. Non sono ben note i luoghi ed il numero delle battaglie combattute, comunque, per quanto è dato sapere, le cose si misero subito bene per l'esercito di Valerio, che sconfisse i Sanniti abbastanza facilmente, mentre Cornelio Cosso, impantanato tra le strette gole del Sannio e vittima della guerriglia e delle imboscate, necessitò di rinforzi che gli furono portati dal tribuno militare plebeo Publio Decio Mure. La guerra si concluse nel 341 a.C. con la battaglia di Suessula, presso Acerra e Capua, a seguito della quale fu firmato un nuovo trattato di pace niente affatto gravoso per i Sanniti perché il Senato era molto preoccupato dalla recrudescenza degli scontri sociali nella stessa Roma. Alla fine della prima guerra sannitica Roma dovette affrontare anche una sollevazione dei Latini che, benché avessero portato aiuto ai Romani contro i Sanniti, non avevano ottenuto alcun compenso. Contro di questi Roma inviò i consoli T.Manlio Torquato e Decio Mure, che sconfissero i Latini presso il Vesuvio nel 338. Casus belli della seconda guerra sannitica furono una serie di reciproci atti ostili. Cominciarono i Romani fondando nel 328 a.C. una colonia a Fregellae presso l'odierna Ceprano, sulla riva orientale del fiume Liri, cioè in un territorio che i Sanniti consideravano propria esclusiva sfera di influenza. L'anno successivo scoppiò un conflitto nella città di Napoli: la parte osca della città si era infatti alleata con i Sanniti mentre quella greca con i Romani. La città venne assediata dai Sanniti e i Romani accorsi in aiuto degli alleati greco-napoletani sconfissero i Sanniti e stipularono con la città un foedus aequum (trattato di alleanza paritaria) immettendo il territorio napoletano nella loro area di influenza. In questa occasione i Sanniti ottennero un concreto aiuto da altri popoli che si sentivano minacciati dall'espansionismo romano, soprattutto Etruschi, Umbri, Sabini e Lucani. La prima fase della guerra fu favorevole al fronte sannitico e si concluse con una sonora sconfitta del grosso dell'esercito romano alle Forche Caudine (dal latino Furculae Caudinae) nel 321 a.C.: mentre l'esercito romano si stava spostando da Capua a Benevento, spie sannite travestite da pastori li indirizzarono verso una stretta gola montuosa dove furono presi facilmente in trappola dai nemici capeggiati da Gaio Ponzio Telesino. Alla fine i Sanniti lasciarono andare l'esercito romano ma imposero gravose condizioni di resa; tra queste la subjugatio, il passaggio sotto il giogo: due lance confitte in terra, una sospesa orizzontalmente a queste ultime: lo sconfitto, nudo, doveva passarvi sotto, inchinandosi, in presenza dell'esercito nemico. Nella storia romana questo è l'unico esempio di un intero esercito consolare che subisce un simile rovescio. Lo storico Tito Livio riferisce che ritornati a Roma, Tito Veturio e Spurio Postumio riferirono in Senato, che avrebbe deciso di rifiutare le condizione di resa, destituito i due consoli e nominato al loro posto il patrizio Lucio Papirio Cursore ed il plebeo Quinto Publilio Filone. Gli storici moderni sono d'accordo nel ritenere che il Senato, al contrario, si attenne ai termini della resa. fino al 316 a.C. Alla ripresa delle ostilità seguirono anni di dura guerra con i Sanniti che riuscirono ad espandersi non solo in Campania ma anche nel Lazio. Nel 315 a.C. ci fu la battaglia di Lautule che fu vinta dai Sanniti. Nel 306 a.C. la lega raccoltasi con i Sannitti capitolò. L'esercito romano, forte di queste vittorie, si riebbe e riuscì ad avere la meglio nel 305 a.C. con la vittoria a Boviano che consentì loro di fondare diverse colonie anche nel sud della 2 Campania ed addirittura una a Luceria (oggi Lucera) nell'attuale Puglia quasi a voler accerchiare i loro indomiti nemici. Le guerre sannitiche determinarono un forte incremento del fenomeno dell'inurbazione; i cittadini romani infatti restarono mobilitati per lunghi anni, ritrovando spesso al loro ritorno i loro campi impoveriti dal lungo abbandono o addirittura devastati dalla guerra. A molti non rimaneva altra scelta che vendere il campo, fortemente deprezzato, a qualche latifondista e partire per Roma in cerca di opportunità, o di un patronus (protettore) che accettasse di riceverlo come cliens (cliente). Cominciò così la formazione di una massa di cittadini che non aveva alcun mezzo di sussistenza ma che poteva servire per ottenere risultati politici; inoltre la popolazione residente aumentò di molto rendendo necessarie importanti opere pubbliche la cui portata esemplifica la potenza raggiunta dallo stato romano. Nel 312 a.C. il censore Appio Claudio Cieco ordinò la costruzione di un acquedotto, l’ aqua Appia, per rifornire la città di Roma raccogliendo acqua da molto lontano. Da questo si deduce che l'aumento della popolazione cittadina aveva reso insufficienti le sorgenti locali. La successiva costruzione nel 272 a.C. dell'Anio Vetus, un ulteriore acquedotto ordinato dal censore Manio Curio Dentato, conferma la crescita della popolazione urbana durante tutto il periodo di espansionismo romano in Italia. Lo stesso Appio fece costruire una lunga strada (la via Appia, appunto) che da Roma portava a Capua in Campania. Il suo scopo originale era di velocizzare lo spostamento delle truppe verso quei turbolenti territori e lascia intendere che i Romani si attendevano una lunga guerra per sottometterli. Sempre a partire dal 312, inoltre, i Romani si impegnarono contro altre città e confederazioni, il che dimostra la capacità di mobilitazione raggiunta: nel 311 avanzarono su per la Valle tiberina contro le città etrusche di Perusia, Cortona ed Arretium, tre anni dopo avrebbero affrontato anche Volsinii. Questi conflitti si conclusero con la firma di armistizi della durata da uno a cinquanta anni. Nel 299 i Romani fondarono una colonia a Narni, sull'alto corso del Tevere ad 80 km da Roma. Tra il 306 ed il 304 a.C. sconfissero gli Ernici e gli Equi che abitavano le colline a sudest di Roma. Si racconta che queste campagne di conquista furono molto aspre e terminarono con la distruzione di parecchie città collinari degli Equi ed il massacro delle popolazioni. Tra il 304 ed il 302 a.C. altre popolazioni vicine come i Marsi, i Peligni, i Marrucini, i Frentani ed i Vestini preferirono sottomettersi a Roma. Anche in questo caso furono fondate numerose colonie. La terza guerra sannitica sembra cominciare a seguito delle attività romane in Lucania che indusse Sanniti, Etruschi ed Umbri a coalizzarsi per contrastarla verso la fine del 297 a.C. A loro si unirono anche i Galli Senoni autori del sacco di Roma nel 390 a.C. e che poi si erano stanziati nel territorio poi denominato dai Romani ager Gallicus compreso tra i fiumi Uso (Rimini) e l'Esino (Ancona). La resa dei conti ci fu con la Battaglia di Sentino (in latino Sentinum: in prossimità dell’attuale cittadina di Sassoferrato), nel 295 a.C. dove i Romani vennero inizialmente sorpresi dai Galli, che si gettarono nella mischia con carri carichi di arcieri che scagliavano frecce. Il fracasso dei carri spaventò i cavalli romani, i quali batterono in ritirata. Il console plebeo Publio Decio Mure, figlio del Decio Mure che aveva combattuto nella prima guerra Sannitica compì il rito della devotio, consacrandosi cioè a Marte ed agli Dei Inferi, scagliandosi contro i carri e perdendo la vita nella mischia. Il gesto eroico e ancor più la morte del console, che indicava l'accettazione del sacrificio da parte degli Dei, rianimò le schiere romane che riportarono alla fine una completa vittoria. Il vero eroe di Sentinum fu però probabilmente l'altro console, Quinto Fabio Massimo Rulliano. Dopo questa battaglia il sistema di alleanze tra i Sanniti e gli altri Italici andava in frantumi, costringendo gli sconfitti alla difensiva; i Sanniti rinforzarono le loro piazzeforti, riserrarono i ranghi, forse crearono una speciale un’unità specializzata in attacchi a largo raggio, veloce e micidiale, la così detta legio linteata che divenne l'unità d'élite sannita. I Romani si dedicarono all'annientamento delle popolazioni minori cercando, ma non sempre riuscendovi, anzi, rischiando talvolta gravi sconfitte, di evitare che i Sanniti spezzassero il cerchio delle guarnigioni romane. Con un atto eroico, il console Marco Atilio Regolo liberò l'importante colonia di Luceria dall'assedio dei sanniti in una cruenta battaglia che causò la morte di quasi cinquemila sanniti (294 a.C.). 3 Nel 293 i consoli Lucio Papirio Cursore e Spurio Carvilio Massimo condussero i loro eserciti, su rotte parallele, partendo dalla media valle del Liri mantenendosi a circa 30 km di distanza e tenendosi in contatto tramite messaggeri: il piano era di attaccare contemporaneamente e con la massima durezza; questa doveva essere una guerra di sterminio, atta a decretare la fine dei Sanniti. I combattimenti furono durissimi e costarono oltre 50.000 morti. Alcuni superstiti sanniti si rifugiarono a Bovianum da dove riorganizzatisi condussero una resistenza disperata che durò fino al 290, con l'ultima, durissima campagna condotta dai consoli Manio Curio Dentato e Publio Cornelio Rufino. L'anno precedente i consoli Fabio Gurgite e Postumio Megello avevano conquistato la roccaforte di Venusia, ora Venosa, in cui subito fu dedotta una grande colonia. 4