ISTITUTO ISTRUZIONE SUPERIORE “IPSIA-ITI” ACRI (CS) A.S. 2012/13 CLASSE IV “A” T.C. e B. PROGETTO ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO TECNICO SPECIALIZZATO NEL SETTORE AGROALIMENTARE Parte prima: attività di ricerca sugli alimenti oggetto di studio 1. 2. 3. 4. Latte Vino Olio Sistema HACCP Parte seconda: Analisi di laboratorio 1. Determinazione degli zuccheri riduttori 2. Determinazione del grado alcoolico nel vino 3. Determinazione del numero di acidità e gradi di acidità e ricerca della presenza di olio di semi 4. Determinazione dell’acidità totale del vino 5. Determinazione dell’acidità dell’aceto Gruppi di lavoro: 1. 2. 3. 4. Longobucco Angela, Pantelei Vladimir, Ferraro Maria Francesca Algieri Giorgio, Ritacco Francesco, Ritacco Mariaiole, Lavorato Simona Paffile Chiara, Luzzi Martina, Barcaiuolo Martina, Gabriele Andrea Cofone Maria, D’Agostino Angelo, Le Pera Assunta, Marchese Michael Il docente Prof. Agostino Cantiello IL LATTE Il latte è un liquido biologico opalescente, con sapore dolciastro e odore delicato, di complessa composizione. La sua straordinaria ricchezza in nutrienti fa sì che si avvicini, forse più di qualunque altro cibo, al concetto di "alimento completo" Il latte è il prodotto della mungitura regolare, completa e ininterrotta della mammella di bovine che si trovino in buono stato di salute e di nutrizione e che non siano affaticate dal lavoro. Il latte non proveniente da bovina deve essere evidenziato con il nome della specie da cui proviene (es. latte di capra). Il latte che ha subìto almeno un trattamento termico o altro trattamento equivalente può essere classificato come segue: latte intero contenente almeno il 3,2 per cento di grasso; • latte parzialmente scremato contenente tra l’1 e l’1,8 per cento di grasso; • latte scremato contenente meno dello 0,5 per cento di grasso; • latte concentrato è quello in cui viene fatta evaporare acqua per cui rimane arricchito di tutti i costituenti; • latte in polvere è il prodotto ottenuto dalla disidratazione quasi completa del latte; • latte industriale utilizzato per la fabbricazione di burro e formaggio. • Dal punto di vista chimico-fisico il latte è una emulsione di acqua e di grassi contenente protidi, glicidi, sostanze azotate, vitamine, sali minerali ed enzimi, in proporzioni variabili a seconda delle specie che lo hanno prodotto e, per gli animali della stessa specie, a seconda della razza, dell’età, della fase di lattazione, dello stato di salute e delle tecniche di alimentazione e di allevamento. Il latte migliore, dal punto di vista alimentare, è quello di mucca. Composizione media del latte di mucca Acqua 87.7 % Lattosio 4.9 % Trigliceridi 3.6 % Caseina e proteine del siero 3.4 % Sali minerali 0.8 % Il lattosio è un glucido formato da una molecola di glucosio e una di galattosio e conferisce al latte un sapore leggermente dolce (il lattosio è dolce circa 1/6 dello zucchero), ed è facilmente attaccato da numerosi microrganismi che provocano le principali fermentazioni del latte e del formaggio. Il ciclo del latte Tutte le bovine, che forniscono il latte alle centrali e ai caseifici, vengono sottoposte a controlli sanitari dalle autorità veterinarie per garantirne lo stato di salute. Vengono inoltre effettuati controlli igienici per accertare la correttezza delle operazioni di mungitura. Ogni 12 ore si procede alla mungitura, che una volta veniva eseguita a mano, ma che oggi viene effettuata per rapidità e igiene per mezzo di moderni impianti di mungitura. Mungitura (2x al giorno) Il latte appena munto, per legge, deve essere filtrato e refrigerato a 4°C nell'azienda di produzione. Ogni giorno delle autocisterne effettuano la raccolta dai frigoriferi contenenti il latte appena munto e lo portano, il più celermente possibile, alle centrali, dove il latte sarà sottoposto ad analisi chimiche e batteriologiche. Il latte che supera positivamente detti controlli viene scaricato dentro grossi serbatoi, dove viene mantenuto alla temperatura di refrigerazione (Max +4 °C) fino alla sua lavorazione. Le successive fasi di lavorazione del latte, totalmente automatizzate e computerizzate, sono in sequenza: la filtrazione, la standardizzazione, la pastorizzazione per il latte pastorizzato, la sterilizzazione ad elevata temperatura per il latte a lunga conservazione (U.H.T.).Contemporaneamente alle operazioni di pastorizzazione, o sterilizzazione, il latte subisce un processo di omogeneizzazione. Alla fase di risanamento segue quella di confezionamento necessaria ed indispensabile per concludere il ciclo garantendo al consumatore un prodotto salubre e genuino. Il latte confezionato viene poi trasportato in breve tempo da automezzi idonei (in caso di latte pastorizzato, camion dotati di impianto di refrigerazione e coibentati in modo da mantenerlo costantemente a basse temperature ed al riparo dalla luce) ai punti vendita. CONSERVAZIONE DEL LATTE Poichè si tratta di un alimento delicato, estremamente alterabile e che costituisce un ambiente favorevole allo sviluppo di batteri e di altri microrganismi, il latte prima di essere avviato alla sua destinazione (consumo diretto e spesso anche quello utilizzato per la preparazione del formaggio), deve subire un risanamento (o bonifica) che di norma viene praticato mediante calore. La legge prevede l’obbligo del pagamento del latte in base alla qualità secondo lo standard analitico. Questo prevede le seguenti analisi: contenuto di batteri coliformi, contenuto batterico totale, spore di batteri butirrici, acidità titolabile, attitudine alla coagulazione, percentuale di grasso e di caseina, conteggio dei leucociti, eventuale presenza di antibiotici. Scrematura e titolazione Arrivato allo stabilimento, dopo il controllo delle caratteristiche chimiche, il latte viene scaricato in un deposito in acciaio inossidabile subendo nel contempo una filtrazione ordinaria per allontanare il materiale grossolano. Quindi viene sottoposto ad una scrematura: se si vuole ottenere latte magro si utilizzano scrematrici; mentre per la produzione di latte alimentare con un determinato titolo di grasso, è necessario disporre di scrematrici-titolatrici per standardizzare il titolo di grasso. Pastorizzazione La pastorizzazione ha lo scopo di eliminare tutti i germi patogeni e di ridurre di oltre il 99 per cento il numero di quelli banali affinché il latte si conservi per un tempo che ne consenta la distribuzione come alimento o la sua trasformazione nei vari prodotti derivati. Il latte pastorizzato, detto a "breve conservazione", si conserva per 3-4 giorni a temperatura di 4-6 °C. Sterilizzazione Questo processo, distruggendo qualsiasi forma microbica vitale o vegetativa (spore), mira a conservare il latte più a lungo. Di fatto non si raggiunge mai la sterilità assoluta, bensì una sterilità commerciale che assicura la conservazione del latte per almeno 3 mesi oppure 6 mesi (a temperatura ambiente) a seconda del tipo di trattamento, dopo di che si riattivano gli enzimi. Il metodo di sterilizzazione prevalentemente utilizzato è la sterilizzazione diretta (oppure UHT: ultra high temperature) e può essere realizzato mediante scambiatori termici simili a quelli utilizzati per la pastorizzazione o impianti nei quali la sterilizzazione del latte avviene per contatto diretto con il vapore (uperizzazione). Per poter conservare a lungo il latte sterilizzato ("a lunga conservazione"), occorre realizzare in maniera asettica anche le successive operazioni di riempimento e confezionamento (i contenitori di tetrapak, oggi i più usati, vengono sterilizzati ante confezione e chiusi in condizioni di sterilità). Le elevate temperature di sterilizzazione del latte possono provocare l’alterazione di alcuni suoi componenti. Ad esempio la reazione tra lattosio e proteine porta alla formazione di melanine che comportano un ingiallimento del prodotto; si denaturano alcuni aminoacidi (lisina, metionina, alanina,, valina, cisteina) delle proteine del siero; la distruzione delle vitamine più termosensibili (A, C e alcune del gruppo B). Omogeneizzazione E' un trattamento di stabilizzazione del latte inserito nella tecnologia della sterilizzazione. Con questo processo vengono frantumati i globuli di grasso in modo che la ridotta dimensione ne impedisce l’affioramento spontaneo durante la conservazione e rende il latte più digeribile. L’omogeneizzazione si effettua sempre prima della sterilizzazione in quanto consente un più regolare e uniforme risanamento del latte. Consiste nel proiettare il latte, che fuoriesce da un ugello sotto altissima pressione, contro matasse di acciaio inossidabile Classificazione del latte destinato all’alimentazione umana Il latte destinato all’alimentazione umana si distingue in: latte pastorizzato prodotto con pastorizzazione bassa e lenta (scarsamente commercializzato); • latte fresco pastorizzato, prodotto con pastorizzazione alta e rapida; • latte fresco pastorizzato di alta qualità, proveniente da stalle nazionali controllate, caratterizzato da elevati contenuti di grasso ( 3,5%) e proteine ( 3,2%); latte sterilizzato a lunga conservazione risanato con sterilizzazione indiretta (in contenitore) e scadenza a 180 giorni; latte UHT a lunga conservazione risanato con sterilizzazione diretta e scadenza a 90 giorni. • • • Ad eccezione del latte fresco pastorizzato di alta qualità che deve essere commercializzato solo intero, tutti gli altri tipi di latte possono essere commercializzati come latte intero, parzialmente scremato e magro. A parità di peso, il latte scremato contiene la metà delle calorie di quello intero, ma conserva la maggior parte delle sostanze nutritive, ad eccezione delle vitamine liposolubili. Latte concentrato e latte in polvere La concentrazione del latte è un mezzo di conservazione che si ottiene mediante parziale evaporazione dell’acqua sotto vuoto alla temperatura di 40-50 °C (latte concentrato circa 70 per cento di acqua). Per la produzione di latte condensato (o latte concentrato zuccherato - circa 25 per cento di acqua), la materia prima viene concentrata e addizionata di saccarosio per assicurarne la conservabilità senza ricorrere alla sterilizzazione. Con l’essiccazione totale si ricava invece il latte in polvere, che presenta una percentuale di acqua residua variabile dal 2 al 7 per cento e che si rigenera perfettamente con l’aggiunta d’acqua. LE ANALISI CHIMICO-FISICHE DEL LATTE Le analisi chimico-fisiche del latte consentono di: 1. Determinare il valore commerciale dei prodotti in relazione alla misura dei loro componenti più essenziali; 2. Regolare le lavorazioni secondo la tecnologia più razionale al fine di garantire le maggiori rese, assicurare l’uniformità della produzione, aumentare lo stato di conservazione dei prodotti, ecc.; 3. Combattere le possibili adulterazioni e sofisticazioni. Le più comuni analisi chimico – fisiche sono le seguenti: 1. DETERMINAZIONE DEL PESO SPECIFICO DEL LATTE E DEL SIERO (LATTODENSIMETRO DI QUEVENNE) 2. DETERMINAZIONE DEL TENORE IN MATERIA GRASSA (METODO GERBER) 3. DETERMINAZIONE DEL TENORE IN MATERIA SECCA (METODO DIRETTO FIL – IDF21: 1962 e METODO INDIRETTO) E DEL TENORE IN MATERIA SECCA MAGRA 4. DETERMINAZIONE DEL TENORE DI PROTEINE TOTALI E DI CASEINA (METODO STEINEGGER) 5. DETERMINAZIONE DEL TENORE IN LATTOSIO (METODO FEHLING) 6. DETERMINAZIONE DEL pH 7. DETERMINAZIONE DELL’ACIDITA’ 8. DETERMINAZIONE DELL’INDICE CRIOSCOPICO (PUNTO DI CONGELAMENTO) DETERMINAZIONE DEL PESO SPECIFICO Il peso specifico del latte a 15° C deve avere valori compresi fra 1,029 e 1,034 g/ ml. Tali valori risultano superiori in caso di latte scremato, inferiori in caso di latte annacquato. Per altro se la scrematura e l’annacquamento vengono effettuati sullo stesso prodotto, nell’ambito di un 10%, non si verificano variazioni del peso specifico. In tale circostanza sono le analisi del peso specifico del siero, della % di materia grassa e dell’indice crioscopico a rivelare la sofisticazione. Per la determinazione si utilizza uno speciale areometro, il LATTODENSIMETRO DI QUEVENNE, un’asta di vetro contenente ad un’estremità della zavorra ed all’altra estremità una scala graduata in 29 tacche, comprese tra 14 e 42: le due cifre indicano la seconda e la terza decimale, quindi si deve anteporre ad esse 1,0. Lo strumento incorpora un termometro ed è tarato a 15°C. PRINCIPIO DEL METODO Il peso specifico del latte è in relazione sia alle sostanze in soluzione ed in sospensione (acqua e residuo magro) sia alle sostanze in emulsione (grassi). La determinazione è basata sul Principio di Archimede: un corpo galleggiante (areometro) si immerge nel latte fino a quando il peso del liquido spostato equivale al peso dell’areometro. APPARECCHIATURA Lattodensimetro di Quevenne Cilindro da 300 ml PROCEDIMENTO Mescolare il latte per renderlo omogeneo capovolgendo o agitando il contenitore Versarlo lungo le pareti del cilindro fino a circa 10 cm dal bordo, evitando la formazione di schiuma Introdurre con cautela il lattodensimetro, senza farlo aderire alle pareti Dopo circa 1 minuto leggere il numero che risulta all’affioramento dell’asta graduata del lattodensimetro (se si legge per esempio 31, significa che il peso specifico del latte è 1,031) Leggere la temperatura del latte sul termometro incorporato: se questa è diversa da 15°C, ma comunque compresa tra 10 e 20 °C, occorre effettuare un calcolo correttivo che consiste nell’aggiungere o togliere al valore letto 0,0002 per ogni grado di temperatura rispettivamente superiore o inferiore a 15°C. CALCOLO CORRETTIVO : ps 15°C = pst° + 0,0002 ( t - 15 ) DETERMINAZIONE DEL PESO SPECIFICO DEL SIERO Il peso specifico del siero del latte a 15° C deve avere valori compresi fra 1,026 e 1,028 g/ ml. Il peso specifico del siero, non contenendo quest’ultimo proteine e grassi, allontanati dal latte tramite coagulazione, può variare entro limiti più ristretti. APPARECCHIATURA Lattodensimetro di Quevenne Filtro Imbuto Becher Cilindro da 300 ml Pipetta da 2 ml REAGENTI Soluzione di cloruro di calcio CaCl2 con densità 1,1375 a 15 °C (preparata sciogliendo 20 g di cloruro di calcio in 100 ml di acqua) PROCEDIMENTO PREPARAZIONE DEL SIERO SECONDO ACKERMANN Introdurre nel cilindro 240 ml di latte e 2 ml di soluzione di cloruro di calcio Scaldare il tutto a bagnomaria bollente per 15 minuti con lo scopo di far coagulare la caseina Raffreddare e filtrare con filtro a pieghe per separare la caseina ed ottenere il siero limpido Determinare il peso specifico come per il latte utilizzando il lattodensimetro. La temperatura di riferimento è sempre 15°C. Analogo è il calcolo per la correzione della temperatura. Il siero può essere preparato anche facendo coagulare 200 – 250 ml di latte con 3 – 4 ml di acido acetico al 20% (d = 1,028) e poi riscaldando a 45°C per 10 minuti. In questo caso il peso specifico può arrivare a 1,029 g/ ml . DETERMINAZIONE DEL TENORE IN MATERIA GRASSA (METODO GERBER) Il tenore in materia grassa del latte può variare tra il 3 e il 4,5 % Il latte intero deve avere un tenore di grasso 3,2 % Il latte parzialmente scremato deve avere un tenore di grasso compreso tra 1,5 e 1,8 % Il latte scremato deve avere un tenore di grasso < 0,5 % (0,3% - D.M. 11/10/ 85) I valori letti al butirrometro di Gerber sono di attendibilità pari a quelli ottenuti con il metodo di riferimento Rose –Gottlieb . PRINCIPIO DEL METODO L’acido solforico H2SO4 e l’alcol amilico C5H11OH sono in grado di sciogliere tutti i componenti del latte ad eccezione dei grassi, che possono essere separati per centrifugazione. L’alcol amilico in particolare ha il compito di estrarre la materia grassa impedendone la carbonizzazione. APPARECCHIATURA Butirrometro di Gerber Tappo FIBU con spingitappo Centrifuga Pipette tarate da 1 ml e 10 ml bagnomaria REAGENTI Acido solforico di densità 1,820 1,825 (preparato addizionando a 0,9 volumi di acqua 9,1 volumi di acido solforico concentrato densità 1,83 g/ml ) alcool amilico di densità 0,815 e p.e. 128 130 °C PROCEDIMENTO nel butirrometro pulito ed asciutto introdurre nell’ordine : 10 ml di acido solforico, 11 ml di latte a temperatura ambiente (omogeneizzato per travaso da un becher ad un altro mediante scorrimento lungo le pareti per evitare la formazione di schiuma ) fatti defluire lentamente lungo le pareti in modo da sovrapporre il latte all’acido con un minimo di mescolamento, evitando di bagnare la zona in prossimità del tappo, e da ultimo 1 ml di alcool amilico chiudere subito il butirrometro con il tappo FIBU (aiutandosi con lo spingitappo), avvolgerlo eventualmente in un panno ( avviene una reazione fortemente esotermica ), capovolgerlo ripetutamente fino allo scioglimento del coagulo formatosi e quindi immergerlo (con il tappo rivolto verso il basso) in un bagnomaria a 65 70 °C per 10 minuti circa tolto dal bagnomaria il butirrometro viene posto nell’apposita centrifuga con il tappo verso l’esterno a 1000 giri al minuto per circa 5 minuti (conviene operare su due campioni uguali sistemati nella centrifuga in posizione diametralmente opposta allo scopo di bilanciarla) riportare il butirrometro col tappo verso il basso nel bagnomaria per 3 4 minuti a 60 70 °C. Nel butirrometro si osservano 3 strati: a. in mezzo uno strato rosso scuro o talvolta violaceo composto dalle sostanze organiche demolite dall’acido solforico b. sopra uno strato oleoso trasparente di colore giallastro composto dalla sostanza grassa c. sul fondo uno strato sottile biancastro composto da sali minerali e sostanze insolubili togliere il butirrometro dal bagnomaria , agire rapidamente (*) sul tappo con lo spingitappo facendo pressione e depressione per far coincidere con lo zero della scala graduata (da 0 a 7 con divisioni in decimi) la linea di separazione degli strati rosso scuro e giallastro in modo da leggere la % m/v di materia grassa. (*) eseguire la lettura entro 20 secondi perché la temperatura dell’ambiente raffredda con rapidità il butirrometro determinando una restrizione della colonna di grasso: l’errore di questo raffreddamento è di circa 0,01% per ogni 5 °C. OSSERVAZIONI pulire il butirrometro quando è ancora caldo immergendolo varie volte in acqua calda e poi nella soda i tappi vanno lavati con soda tiepida e poi sciacquati con acqua fredda le pipette sono tarate a 20°C; è quindi necessario che al momento del prelievo anche il latte abbia la temperatura di 20°C la densità dell’acido solforico deve essere costante e deve essere conservato in contenitori a chiusura perfetta poiché, essendo molto igroscopico, assorbe umidità dall’atmosfera e si diluisce: una densità minore fornisce percentuali di grasso superiori, mentre una densità maggiore non altera i risultati , ma colora la materia grassa rendendo la lettura più difficile. DETERMINAZIONE DEL TENORE IN MATERIA SECCA (METODO DIRETTO FIL – IDF21: 1962 e METODO INDIRETTO) E DEL TENORE IN MATERIA SECCA MAGRA Il valore del tenore in materia secca deve essere pari al 12 – 13 %. La materia secca del latte è la sostanza che resta alla fine del processo di essiccazione espressa in % in massa (% m/m). La determinazione della materia secca consente di avere indicazioni sull’annacquamento o sulla scrematura del latte: entrambe le operazioni comportano una sua diminuzione. PRINCIPIO DEL METODO L’analisi comporta la determinazione dell’umidità del latte mediante evaporazione in stufa. APPARECCHIATURA Bilancia analitica Essiccatore munito di un essiccante quale gel di silice addizionato di un indicatore di umidità Stufa termostatata a 102 2 °C Capsule di porcellana a fondo piatto, alte 20 25 mm, di diametro 50 75 mm, complete di coperchio a tenuta Bagnomaria bollente PROCEDIMENTO PREPARAZIONE DEL CAMPIONE Portare il latte a 20 25°C, mescolarlo accuratamente in modo da avere una distribuzione omogenea del grasso evitando la sua separazione o la formazione di schiuma. Riscaldare la capsula vuota con il coperchio accanto nella stufa a 104 °C per almeno 30 minuti. Porre il coperchio sulla capsula e trasferirla immediatamente nell’essiccatore. Lasciar raffreddare a temperatura ambiente per almeno 30 minuti e pesarla con la precisione di 0,1 mg Pesare quindi nella capsula, con la precisione di 0,1 mg, 5 g (oppure 10 g) di latte Riscaldare la capsula con il latte per 30 minuti nel bagnomaria bollente Riscaldare la capsula con accanto il coperchio nella stufa a 104 °C per 2 ore Rimettere il coperchio, togliere la capsula dalla stufa e rimetterla nell’essiccatore per altri 30 minuti e quindi pesare con la precisione di 0,1 mg Riscaldare la capsula con accanto il coperchio nella stufa a 104 °C per 1 ora Rimettere il coperchio, togliere la capsula dalla stufa e rimetterla nell’essiccatore per altri 30 minuti e quindi pesare con la precisione di 0,1 mg Ripetere le operazioni di riscaldamento, essiccazione e pesata finché la differenza tra due pesate successive sia pari o inferiore a 0,5 mg. Registrare il più basso valore di massa trovato. CALCOLI Il contenuto in materia secca T è espresso dalla relazione: M2 - M0 T = --------------------- x 100 M 1 - M0 T = contenuto in materia secca espresso in % m/m M0 = massa in g della capsula e del coperchio M1 = massa in g della capsula, del coperchio e del campione umido (latte) M2 = massa in g della capsula, del coperchio e del campione essiccato. Annotare il valore ottenuto a meno dello 0,01 % m/m. Ripetibilità r: 0,10 % m/m Riproducibilità R: 0,20 % m/m DETERMINAZIONE DEL TENORE IN MATERIA SECCA (RESIDUOSECCO) – METODO INDIRETTO Il tenore in materia secca, una volta effettuate le determinazioni del peso specifico e del tenore in materia grassa, si può ricavare con la FORMULA DI FLEISCHMANN: ( 100 x ps - 100) % MATERIA SECCA = 1,2 G + 2,665 -----------------------------ps G = % m/ v in materia grassa ps = peso specifico del latte a 15 °C TABELLA 14 - MATERIA SECCA IN RAPPORTO A MATERIA GRASSA E PESO SPECIFICO DETERMINAZIONE DEL TENORE IN MATERIA SECCA MAGRA (RESIDUO SECCO MAGRO) Il tenore in materia secca magra (residuo secco magro) deve essere non inferiore all’8,70 % (se il tenore in materia grassa supera il 3,15 % deve essere non inferiore all’8,50 %). Valori inferiori all’8,50 % rendono il latte sospetto di annacquamento: per tale motivo si determina l’indice crioscopico. Un elevato valore del tenore in materia secca magra indica un’elevata percentuale di sostanze proteiche e quindi una buona resa di trasformazione in formaggio. Il tenore in materia secca magra è dato dall’insieme dei costituenti del latte escluso il grasso. Viene determinato mediante CALCOLO: % MATERIA SECCA MAGRA = % MATERIA SECCA - % MATERIA GRASSA DETERMINAZIONE DEL TENORE DI PROTEINE TOTALI E DI CASEINA (METODO STEINEGGER) PRINCIPIO DEL METODO Si tratta di un metodo volumetrico basato sulla reazione di Schiff tra i gruppi amminici liberi delle proteine e l’aldeide formica. I gruppi amminici delle proteine vengono bloccati dall’aldeide, lasciando liberi e quindi titolabili i gruppi carbossilici. REAGENTI Soluzione di aldeide formica al 40% (preparata di fresco) neutralizzata con idrossido di sodio NaOH 0,1 N in presenza di fenolftaleina Soluzione di idrossido di sodio NaOH 0,25 N Fenolftaleina (soluzione alcoolica all’ 1%) APPARECCHIATURA Becher Pipette da 5 e da 50 ml PROCEDIMENTO L’analisi si effettua sul latte di cui si è già determinato l’acidità espressa in gradi ° SH. Aggiungere a 50 ml di latte neutralizzato di colore rosa, 5 ml della soluzione di aldeide formica al 40% neutralizzata con idrossido di sodio NaOH 0,1 N in presenza di fenolftaleina Continuare la titolazione del latte, che con l’aggiunta di fenolftaleina è diventato nuovamente bianco (l’aldeide formica determina un aumento dell’acidità) con la soluzione di idrossido di sodio NaOH 0,25 N fino a riottenere il viraggio al rosa pallido persistente per almeno 30 secondi. CALCOLI TENORE IN PROTEINE TOTALI (% m/v) = a x 2 x 0,485 a = ml di NaOH 0,25 N usati nella seconda titolazione TENORE IN CASEINA (% m/v ) = a x 2 x 0,375 a = ml di NaOH 0,25 N usati nella seconda titolazione Sia nella determinazione dell’acidità (° SH), che in quella delle proteine si può operare direttamente su 100 ml di latte: in questo caso nel calcolo non si moltiplica per 2. DETERMINAZIONE DEL TENORE IN LATTOSIO (METODO FEHLING) REAGENTI Acido acetico glaciale Soluzioni A e B di Fehling Soluzione al blu di metilene APPARECCHIATURA palloni tarati da 100 ml e da 250 ml pipette da 10, 20 e 100 ml buretta da 50 ml bagnomaria bunsen, treppiede e reticella PROCEDIMENTO Pesare 20 g di latte in un pallone tarato da 100 ml, aggiungere 20 ml di acqua distillata e 3 o 4 gocce di acido acetico glaciale Tappare, agitare e porre a bagnomaria a 100°C per 10 minuti in modo da favorire la separazione delle proteine e della materia grassa dal siero contenente il lattosio Raffreddare a 15 °C e portare a 100 ml con acqua distillata; agitare e filtrare raccogliendo il liquido (siero) Con il siero (diluito 1: 5) riempire la buretta In un pallone a fondo piano da 250 ml porre 5 ml di liquido di Fehling A, 5 ml di liquido di Fehling B, 40 ml di acqua distillata e un po’ di pietra pomice Portare il tutto ad ebollizione vivace alla fiamma del bunsen. Raggiunta l’ebollizione si titola con il siero fino allo scoloramento del blu tipico del liquido di Fehling e la comparsa del colore rosso mattone (circa 6 – 6,5 ml di siero ) sempre all’ebollizione Lasciare bollire ancora 3 minuti, aggiungere 3 gocce di blu di metilene e far bollire per altri 6 minuti fino alla ricomparsa del colore rosso mattone. CALCOLI La % m/ m di lattosio monoidrato è data dalla relazione: 0,0676 x 100 x 5 LATTOSIO MONOIDRATO (% m/m) = -----------------------------A A = ml di siero impiegati nella titolazione 5 = numero di diluizioni effettuate 0,0676 = g di lattosio monoidrato necessari per ridurre 10 ml di liquido di Fehling. DETERMINAZIONE DEL pH Il pH di un latte normale fresco varia fra 6,6 6,7 . Il pH evidenzia l’acidità "attuale" (stato di freschezza del latte), mentre l’acidità titolabile evidenzia l’acidità totale, in quanto tiene conto anche degli ioni idrogeno non dissociati. Il pH ha influenza sulla coagulazione della caseina per la fabbricazione del formaggio e dello yogurt, nonché sulla rottura dei globuli di grasso per trasformare il latte in burro. REAGENTI Soluzione tampone a pH 7 APPARECCHIATURA pH –metro PROCEDIMENTO dopo una preliminare taratura di controllo dell’elettrodo del pH – metro immergendolo in una soluzione tampone a pH noto, lavare ed asciugare con carta da filtro la membrana dell’elettrodo introdurre l’elettrodo nel latte, portando il correttore della temperatura alla temperatura della sostanza in esame attendere alcuni secondi per la compensazione della temperatura ed effettuare la lettura del pH provvedere alla pulizia della membrana eliminando i residui secchi con etere di petrolio e i residui di sostanze proteiche con una soluzione al 2% di citrato. Sciacquare con acqua distillata e lasciare l’elettrodo immerso nell’acqua distillata. TABELLA 15- RELAZIONE PH STATO DI CONSERVAZIONE 6,7 latte normale 6,5 acidificazione incipiente 6,3 acidificazione leggera 6,1 acidificazione avanzata 5,9 acidificazione avanzata 5,7 acidificazione avanzata 5,2 latte acido 4,5 latte coagulato 7,1 latte patologico DETERMINAZIONE DELL’ACIDITA’ L’acidità del latte normale fresco è di 7 8 ° SH (SOXHLET – HENKEL) Il latte possiede una lieve acidità naturale, dovuta ad alcuni acidi organici (acido citrico) ed inorganici (acido carbonico) sia liberi sia legati alle micelle di caseina. Inoltre, subito dopo la mungitura, il latte tende ad acidificare per fermentazione del lattosio ad acido lattico ad opera dei batteri lattici. L’acidità del latte si esprime in: a. GRADI SOXHLET- HENKEL (° SH) = ml di idrossido di sodio NaOH 0,25 N utilizzati per titolare 100 ml di latte. b. % ACIDO LATTICO = g di acido lattico presenti in 100 ml di latte = ml NaOH 0,25 N x ¼ eq/l x 90 eq/l x 1/1000 ml/l = ° SH x 0,0225 REAGENTI soluzione di idrossido di sodio 0,25 N indicatore fenolftaleina APPARECCHIATURA buretta da 50 ml beuta da 100 ml pipetta da 50 ml PROCEDIMENTO prelevare 50 ml di latte ed introdurli nella beuta aggiungere 6 gocce di fenolftaleina e titolare con la soluzione di NaOH 0,25 N fino a colorazione rosea persistente (pH = 8,3) Per cogliere esattamente il viraggio operare in ottime condizioni di luce e confrontare il risultato con il latte naturale. CALCOLI ACIDITA’ IN GRADI SOXHLET – HENKEL (°SH) = a x 2 ACIDITA’ IN % ACIDO LATTICO = a x 2 x 0,0225 a = ml di NaOH 0,25 N utilizzati nella titolazione 2 = per riferire il valore a 100 ml dal momento che per comodità si sono titolati 50 ml di latte TABELLA 16- RELAZIONE TRA ACIDITA’ (° SH) E TIPO DI LATTE 6-7 Latte di cattiva coagulazione 7-8 Latte normale 8 - 8,5 Latte sub-acido (di difficile conservabilità) 8,5 - 9 Latte acido (di cattiva conservabilità) 9 - 10 Latte acido anche al sapore (coagula all’ebollizione) > 10 Latte che coagula al calore DETERMINAZIONE DELL’INDICE CRIOSCOPICO (PUNTO DI CONGELAMENTO) latte normale fresco deve avere indice crioscopico inferiore a - 0,520 °C. L’indice crioscopico può avere normali variazioni stagionale da - 0,530 °C a - 0,575 °C: l’abbassamento è più consistente nei mesi freddi, mentre l’aumento, più evidente nei mesi caldi, può essere dovuto ad un alto tenore in sali minerali della razione alimentare. L’indice crioscopico è il parametro meno variabile del latte fresco e con la sua determinazione si riesce a stabilire se il latte è stato annacquato e, in caso affermativo, in che misura. L’aggiunta di acqua fa diminuire la concentrazione di sali e lattosio e quindi fa avvicinare a 0°C la temperatura di congelamento del latte. Il latte proveniente da vacche ammalate ha un indice crioscopico compreso tra - 0,56°C + 0,610°C e nelle vacche affette da mastiti streptococchi che può arrivare a + 0,81°C. La determinazione dell’indice crioscopico può essere effettuata su campioni di latte la cui acidità espressa in acido lattico non risulti superiore a 0,18 g di acido lattico per 100 ml di latte (D.M. 26 marzo 1992). Si può effettuare la prova anche su latte acido detraendo dal risultato il valore 0,05 per ogni grammo di acidità, espressa in acido lattico, superiore a 1,2. REAGENTI Acqua bidistillata Miscela frigorifera preparata con 1 kg di ghiaccio tritato mescolato con 250 g di cloruro di sodio Alcool etilico APPARECCHIATURA Crioscopio di Beckmann PROCEDIMENTO Azzeramento della scala del termometro del crioscopio mediante la determinazione del punto di congelamento dell’acqua: Mettere nel recipiente di vetro una miscela frigorifera avente la temperatura di – 5°C circa nella quale immergere il provettone contenente alcool etilico e la provetta crioscopica contenente il termometro. Attendere che il mercurio scenda a - 5°C Introdurre nel tubo laterale della provetta crioscopica un volume di acqua bidistillata (50 ml) tale da ricoprire il bulbo del termometro Azionare l’agitatore (40 – 50 movimenti a minuto con ampiezza di 2 – 3 cm) ed attendere che il mercurio scenda a - 2°C Spegnere l’agitatore e, per il fenomeno della sopra fusione, il mercurio scenderà fino alla base della scala per poi risalire e fissarsi al punto di congelamento dell’acqua bidistillata Fissare l’indice del crioscopio in corrispondenza del punto di arresto del mercurio e spostare la scala in modo che lo zero coincida con l’indice stesso (termometri di Winter). La temperatura rimane costante durante il congelamento, si abbassa solo dopo che tutta l’acqua bidistillata si è completamente solidificata. La sopra fusione può essere evitata aggiungendo alla provetta un cristallo di ghiaccio che fa da germe di cristallizzazione. Sostituire nella provetta crioscopica l’acqua con il latte (50 ml) lavandola più volte con esso, chiuderla con il tappo munito di termometro ed inserirla nel bagno refrigerante Avviare l’agitatore e seguire la contrazione del mercurio che, dalla bolla di espansione, si ritira sotto lo zero (quando raggiunge - 1,5°C o - 2 °C spegnere l’agitatore e notare il fenomeno della sopra fusione), risale rapidamente per arrestarsi al punto di congelamento del latte Riconfermare il valore letto, estraendo la provetta crioscopica, riscaldandola leggermente con la mano e ripetendo la prova. Quindi annotare la temperatura di congelamento del latte. CALCOLI INDICE CRIOSCOPICO(°C) = T - T1 T = temperatura di congelamento dell’acqua T1 = temperatura di congelamento del latte. DETERMINAZIONE DELL’ATTIVITA’ PEROSSIDASICA PRINCIPIO DEL METODO: L’enzima perossidasi decompone il perossido di idrogeno. L’ossigeno atomico liberato ossida l’1,4-fenilendiammina che è incolore trasformandola in indofenolo di colore viola. La comparsa di tale colore indica la presenza dell’enzima perossidasi nel latte; l’intensità del colore è proporzionale alla concentrazione dell’enzima. REAGENTI: SOLUZIONE DI 1,4- FENILENDIAMMINA: Sciogliere in acqua calda a 50° 2 g di 1,4fenilendiammina (C6H8N2) e portare a 100 ml. Versare la soluzione in una bottiglia scura con un tappo di vetro e conservarla al fresco e al riparo dalla luce. Uno o due giorni dopo la preparazione una soluzione di 1,4-fenilendiammina forma un deposito e non è più utilizzabile. SOLUZIONE DI PEROSSIDO DI IDROGENO: Diluire con acqua 9 ml di perossido di idrogeno al 30% e portare a 100 ml . Per stabilizzare aggiungere 1 ml di acido solforico concentrato per litro di soluzione. La soluzione preparata è stabile per un mese se viene tenuta al fresco e al riparo dalla luce in una bottiglia con tappo di vetro evitando qualsiasi contatto con composti organici PREPARAZIONE: Aggiungere 3 ml di acqua distillata ad una delle due provette contenenti il reattivo in polvere. Agitare bene sino a completo scioglimento del contenuto. Versare la soluzione così ottenuta in uno dei due flaconi di reagente A. Da questo momento la durata del prodotto è di circa un mese. Il cambio di colore del liquido rivela l’immediata scadenza ESECUZIONE: Introdurre nella provetta 5 ml di latte da esaminare. Aggiungere 5 gocce di reattivo A preparato nel modo sopra descritto. Aggiungere 3 gocce di reattivo B UVA e VINO Uva nella storia Anticamente, l'uva era consigliata come potente antidoto contro lo stress psicofisico associato ad ansie, preoccupazioni ed astenia, efficace soprattutto quando il succo d'uva veniva mescolato a rametti di rosmarino. Attualmente, l'uva è stata rivalutata in chiave positiva: si è osservato che questo frutto è una vera e propria risorsa a tutti gli effetti, il cui utilizzo spazia dall'ambito cosmetico al fitoterapico, dall'alimentare al medico. Simbolo dell'autunno e del dio Bacco, la pianta di vite, con i suoi grappoli d'uva, è da sempre gradita ed apprezzata per merito della dolcezza dei suoi frutti, delle qualità organolettiche uniche, del buon apporto energeticonutrizionale e, soprattutto, delle virtù medicamentose legate alle preziose sostanze racchiuse negli acini e nelle foglie. Origine, diffusione e varietà È possibile scorgere la vite spontanea in numerose aree dell'Europa del Sud e dell'Asia occidentale; globalmente, si annoverano numerosissime varietà di uva, oltre 8.000, di cui circa 1.600 sono coltivate nelle fasce climatiche tipicamente temperate. Ad ogni modo, nonostante le innumerevoli varietà, una nota di merito spetta senza dubbio a Vitis vinifera, dalla quale derivano tutti i vitigni italiani per uve da tavola ed uve da vino. Altra specie degna di esser menzionata è la Vitis labrusca, tipicamente americana, coltivata in Italia - seppur marginalmente - come uva da tavola. Poniamo l'attenzione sulla specie più importante: Vitis vinifera viene suddivisa in due grandi sottospecie, V. vinifera subsp. Vinifera (a sua volta catalogata in numerosissime cultivar) e V. vinifera subsp. Sylvestris (sottospecie spontanea assai diffusa, anche se priva d'interesse agronomico). PERIODO… La vendemmia si svolge prevalentemente nel mese di settembre, ma come al solito a farla da padrone è il clima. Durante la fermentazione, quando il mosto che si sta trasformando in vino raggiunge i 3-5 gradi alcolici, avviene un piccolo miracolo che “salva” il futuro vino dalla fermentazione selvaggia. ’annata è stata piovosa, come quella del 2005, l’uva matura più tardi, e i grappoli che daranno vino rosso ad esempio vengono raccolti all’inizio di ottobre. Ciò perché l’uva rossa ha bisogno di più tempo per aumentare il grado zuccherino dell’uva, l’intensità del colore, i tannini e le altre sostanze presenti nell’acino. Se l’annata è stata secca, invece, l’uva bianca potrebbe essere raccolta anche a fine agosto: se i grappoli di uva bianca “prendono troppo sole”, infatti, rischiano di perdere parte della freschezza, dell’acidità e di altri profumi. RACCOLTA… La raccolta (che nelle grandi aziende che poco badano alla qualità può essere fatta meccanicamente) deve essere effettuata a mano da persone preparate, che devono attenersi innanzitutto alle due principali regole: non eseguire la raccolta nelle ore più calde della giornata ed evitare il più possibile di schiacciare gli acini con conseguente fuori uscita di succo d’uva (il mosto). Le due cose sono strettamente collegate: sulla buccia si trovano dei microrganismi, i cosiddetti lieviti cattivi, i quali, una volta giunti sul fondo della cassetta assieme al mosto degli acini schiacciati, iniziano la fermentazione selvaggia. Essa rappresenta decisamente un fatto molto negativo, poiché questi microrganismi generano enzimi che non producono alcol bensì portano il vino, ad esempio, all’ossidazione dandogli una colorazione marroncina decisamente poco invitante e contemporaneamente alterano i profumi del vino. Bisogna poi evitare le ore calde semplicemente perché il caldo accelera la fermentazione selvaggia. DIRASPATURA,PIGIATURA E PRESSATURA… I grappoli, raccolti in piccole cassette di legno o plastica, vengono portati il più presto possibile al fresco della cantina, dove apposite macchine provvedono in primo luogo alla diraspatura, che è la separazione degli acini dal raspo. Segue poi la pigiatura, cioè l’operazione compiuta da una coppia di rulli che schiaccia gli acini in modo da far uscire il mosto. Infine avviene la pressatura, che consente di separare le bucce residue dal liquido. Al fresco della cantina (dove la temperatura si aggira attorno ai 20°C) la fermentazione selvaggia è molto rallentata, mentre è agevolata la fermentazione dei lieviti “buoni” che permettono la trasformazione degli zuccheri in alcol. FERMENTAZIONE…. È la reazione chimica che permette la trasformazione degli zuccheri in alcol. Essa avviene grazie a degli enzimi prodotti dai lieviti. Esistono centinaia di lieviti, alcuni dei quali, come abbiamo visto, cattivi. Importante anche in questa fase è il ruolo della temperatura: se l’ambiente è troppo freddo (5-10°C o meno) i lieviti smettono di produrre gli enzimi e la fermentazione si blocca, mentre se le temperature sono superiori ai 21°C i profumi tendono ad evaporare e il vino perde le sue caratteristiche gusto-olfattive. Perciò è importante che il mosto conservi una temperatura costante durante tutto il periodo di fermentazione, che dura una o due settimane. Si ottiene così il cosiddetto vino nuovo. TRAVASO… Durante la fermentazione, quando il mosto che si sta trasformando in vino raggiunge i 3-5 gradi alcolici, avviene un piccolo miracolo che “salva” il futuro vino dalla fermentazione selvaggia: quasi tutti i lieviti cattivi, i microrganismi delle bucce, muoiono soffocati dall’alcol e s’interrompe la fermentazione selvaggia. Quando poi il vino ha raggiunto la sua maturazione alcolica, anche i lieviti buoni non hanno più di che nutrirsi e passano ad una fase latente, adagiandosi sul fondo delle botti in cui il vino sta fermentando. Per evitare quindi che questi depositi rovinino il vino, si esegue il travaso, un’operazione che permette di mettere il vino in botti pulite escludendo i lieviti latenti, portatori di un gusto sgradevole. MATURAZIONE… Comincia così l’ultima fase prima dell’imbottigliamento: la maturazione, che serve a far emergere i profumi secondari e più caratteristici dei vini. Essa avviene in un periodo di tempo estremamente vario, che va da un mese (il vino novello) ad alcuni anni, per alcune specie pregiate. Altro importante dettaglio tecnico da non trascurare: durante la maturazione, le botti devono essere riempite fino all’orlo poiché è necessario che il vino non entri in contatto con l’aria. Così un anno è passato, e mentre l’agricoltore ha già ricominciato a lavorare nelle sue vigne per eseguire l’importante fase della potatura secca, che darà la forma d’allevamento alla pianta, il vino che amorevolmente ha seguito per 365 giorni ha appena iniziato una nuova fase della sua vita. Il vino: diretto derivato dell'uva da cui trae proprietà benefiche nonchè una discreta varietà per accontentare anche chi non regge la monotonia nel proprio regime alimentare. Anche i proverbi popolari vengono in aiuto di questa tipica bevanda, sollecitando al consumo di mezzo bicchiere di vino al giorno per trarne beneficio generale o, nel migliore dei casi, persino una maggiore estensione del proprio periodo di vita ed il vedere allontanarsi lo spettro di varie patologie decisamente ostiche da combattere una volta contratte. Ma procediamo per ordine: è sì vero che il vino, così come il consumo protratto e moderato di alcolici non soggetti a processi di lavorazione esagerati tendono ad allungare la vita del soggetto: bisogna tuttavia sottolineare quel moderato, dato che la differenza tra beneficio e malessere in questo caso è alquanto impercettibile ad occhio non attento. Tra le proprietà comuni alle varie tipologie di vino vi è una decisa ed intensa azione volta a prevenire complicazioni cardiovascolari: non è infatti un mistero che rappresenti un vero e proprio salvavita contro i primi sintomi di problemi ben più gravi, fra cui spiccano anche casi di infarto. Vi è anche una inaspettata concentrazione di polifenoli, molecole presenti anche in alcuni alimenti (di cui la dieta mediterranea è notevolmente ricca) che aiutano in modo sensibile la lotta ai radicali liberi e più in generale prevengono un invecchiamento precoce del proprio organismo, sia considerando le sue funzioni che da un punto di vista puramente estetico. Sarebbe lecito pensare che le qualità espresse da un vino bianco piuttosto che una varietà rossa possano essere differenti, in quanto prodotti derivati da un diverso tipo di uva: tuttavia le proprietà che posseggono sono pressapoco le stesse, sebbene si ipotizzi che il vino rosso contenga una maggiore concentrazione di resveratrolo risultando quindi maggiormente adatto ad esercitare una blanda azione antiossidante. L'olivo e l’olio La pianta sempreverde dalle caratteristiche foglie ellittiche dell'olivo appartiene al genere delle Oleacee. La specie è Europea e tale denominazione sta ad indicare che l'areale originario della pianta sono le coste del bacino mediterraneo, con un grosso riferimento all'antica Grecia e a Roma. La sottospecie dell'olivo molto diffusa nel paesaggio mediterraneo è la sativa. La pianta è meritatamente il simbolo dell'ambiente mediterraneo visto che si adatta perfettamente al clima temperato ed ai suoli calcarei propri delle zone rocciose, cioè dove si trovano terre fertili e permeabili. La pianta, però, sa adattarsi anche ad altre condizioni ambientali, a patto che non sia sottoposta al ristagno dell'acqua. Gli oliveti hanno una struttura un pò anarchica che rispecchia principalmente la natura dei terreni scelti per la piantagione, in prevalenza aree collinari e montane, e la presenza dell'olivastro. In effetti, vista la lentezza propria l'olivo che produce il proprio frutto almeno 15 anni dopo la piantagione e che la pianta raggiunge la maturazione dopo circa 25 anni, c'è l'abitudine di privilegiare lo sfruttamento delle piante selvatiche, magari innestandovi le olive di migliore qualità, ed anche l'usanza di consociare l'oliveto con altre colture, come quella degli ortaggi e dei legumi, scelta attuata per compensare almeno in parte le spese dell'impianto delle olive. La consociazione si ha, inoltre, per compensare il fatto che l'olivo produce il suo frutto ogni due anni visto che l'anno di ''magra'' serve alla pianta per prepararsi alla produzione dell'anno successivo. L'oliveto ha bisogno di cure paricolari. Tra quelle annuali si ha l'aratura a febbraio, maggio e dicembre, procedimento che non deve andare troppo in profondità nel terreno in modo da non danneggiare la pianta. Per evitare i danni della caratteristica siccità estiva che porta il conseguente inaridimento del suolo si attua una zappatura ancora più leggera in modo da eliminare le crepe del terreno. Particolarità della pianta è il suo processo fecondativo: molte piante non possono utilizzare il proprio polline per soddisfare tale fase, per cui occorre garantire, negli stessi impianti, la presenza di vari tipi di pianta ma con fiori che danno un polline compatibile con quelle presenti nello stesso impianto. La maturazione delle olive non è contemporanea ed omogenea, per cui la raccolta del frutto non può affidarsi a dei canoni precisi e scientifici, ma alla singola scelta degli operatori del settore sul tipo di olio che si vuole ottenere. Fioritura ed Invaiatura Alcune parole vanno spese per la fioritura. L'albero dell'olivo ha una forma che condensa in sé la grazia e la bellezza: la splendida grazia delle chiome rigogliose e delicate, che si innestano su un tronco nervoso, nodoso e spesso robustissimo. Da maggio a giugno l'ulivo si copre quasi interamente di piccoli fiori color avorio. Una volta appassiti i fiori, in circa tre mesi, l'olivo porta a termine il compito stagionale e l'oliva, da verde, invaia sul violetto-rossiccio. A questo punto la maturazione è giunta a pieno compimento. Al sopraggiungere dell'invaiatura l'oliva andrebbe raccolta (a qualunque scopo). Non prima né dopo, bisogna raccoglierla. Prima, la resa d'olio sarebbe nettamente inferiore, a vantaggio di un aroma più fruttato; dopo, a tutto vantaggio della resa, avremmo però conseguenze spiacevoli quali un'eccessiva acidità ed un colore meno puro. Va rammentato che il prodotto che si ottiene dal trattamento delle olive cadute o malate, che i romani chiamavano ''caducum'', trattato con il sale, veniva destinato all'alimentazione degli schiavi, ai quali certo non si badava di procurare un'alimentazione adeguata. Tecniche di produzione La tecnica di produzione dell'olio di oliva si è evoluta insieme alla tecnologia ma alcuni metodi sono rimasti più o meno invariati anche nel corso di millenni. Innanzitutto la raccolta delle olive avviene spesso a mano. Si sono sviluppati strumenti e sistemi alternativi, si impiegano spesso le reti o strumenti meccanici innovativi, ma la racconta manuale garantisce la preservazione della qualità dell'olivo e quindi dell'olio fino ad un punto che non si può ragionevolmente supporre di raggiungere altrimenti. Dopo la fase della racconta le olive vengono disposte nelle ceste e portate nei frantoi dove, subito dopo la cernita ed il lavaggio, possono essere sottoposte alla pressatura ed alla frangitura. La peculiarità che fa della raccolta manuale un sicuro indizio di qualità per l'olio che verrà prodotto risiede nell'attenzione e nella cura che possono essere impiegate in un procedimento non 'serializzato' ed affidato alle macchine. Le olive non devono restare né troppo a lungo sui rami né per terra, pena la macerazione delle stesse con prevedibili conseguenze sulla qualità dell'olio e sul suo sapore. Prima di procedere alla torchiatura le olive vengono private di foglie e picciolo. Oggi disponiamo di macine di notevole potenza, mentre in tempi passati, dopo la prima spremitura che rendeva non più del 40% dell'olio, si aggiungeva dell'olio bollente e si procedeva a successive torchiature, di solito almeno due, per estrarre tutto l'olio residuo. La prima torchiatura, allora, veniva propriamente distinta dalle successive per mezzo della denominazione di 'spremitura a freddo'. Al giorno d'oggi, invece, la torchiatura non avviene a più riprese ma in un'unica fase e tutto il residuo, la sansa di oliva, verrà riciclato con operazioni di ulteriore raffinazione per produrre il cosiddetto 'olio di sansa'. Mediamente, la quantità di olio extravergine che si può ricavare dall'olivo si aggira intorno al 15-30 % della quantità originaria di frutto, con un 30 % almeno di olio di sansa. La Raccolta delle Olive I sistemi di raccolta e trattenimento delle olive sono tutt'altro che banali. Una delle principali difficoltà consiste nella ''materia'' in sé stessa: la drupa dell'olivo è un frutto delicato e va maneggiato con cura. Apparentemente dovrebbe essere un concetto scontato ma in realtà, a quanto pare, le cose sono sempre andate diversamente. Per secoli e presso quasi tutti i popoli del Mediterraneo, senza sostanziali differenze, la suddetta regola della cura e del rispetto della drupa dell'olivo, teoricamente asserita, fu sempre disattesa. La conseguenza pratica fu la stessa in tempi e luoghi diversi: la qualità scadente dell'olio di oliva prodotto. Molto più dei danni provocati dalla mosca, dalle avversità del clima e dai terreni poco adatti alla coltivazione in questione, fu proprio questa superficialità nel processo di raccolta (e quindi di produzione) a causare l'immissione sul mercato di tanti oli lampanti o comunque poco digeribili. I presupposti perché ciò si verificasse c'erano tutti. Il concetto era ovvio persino presso gli antichi Romani, tanto che Plinio metteva in guardia da pratiche agricole dissennate, sostenendo che l'olivo non andasse né abbacchiato con virgulti, né maltrattato in alcun modo. Consideriamo quindi la faccenda da vicino, per capire perché il frutto dell'olivo sia un frutto facilmente danneggiabile, fatto che in ogni caso non salta subito all'occhio con evidenza. L'unico modo serio per farlo è quello di porre attenzione a tutti gli accorgimenti che devono essere messi in atto durante la raccolta delle olive. Questi accorgimenti dovranno essere presi in esame a partire da un ricerca su l'olivo, su come è costituito e su come i suoi componenti possano interagire, in positivo o negativo, con gli strumenti ed i sistemi di raccolta. Olio e accorgimenti per la raccolta Il frutto dell'olivo è composto da una buccia esterna fine (epicarpo) e da una polpa (citoplasma) in cui sono immersi degli alveoli o vacuoli, per così dire delle cellette che contengono la maggior parte dell'olio e che sono immerse in un'acqua di vegetazione naturale; da un nocciolo (nucleo) che, per quanto in maniera meno rilevante, contiene anch'esso dell'olio. Un primo accorgimento è quello che ci dice che l'olio, perché si mantenga integro e puro, non deve andare a mescolarsi per troppo tempo all'acqua di vegetazione che è contenuta nella stessa polpa. La conseguenza di un eventuale prolungato contatto tra le sostanze oleose e l'acqua di vegetazione provocherebbe un rapido ed incisivo degrado delle prime. Nel dettaglio, accade in questa situazione che gli enzimi attacchino i grassi e come conseguenza l'olio tenderà ad acidificare ed irrancidire. Da questo primo accorgimento, nel caso in cui si punti ad ottenere un olio di buona qualità, ne seguono altri altrettanto fondamentali, che riportiamo di seguito: 1) Le olive devono essere raccolte quando i vacuoli sono ancora al massimo della loro tensione, prima che si rompano a causa di una maturazione troppo avanzata. Si tratta della cosiddetta fase dell'invaiatura, che è evidente all'occhio per il rapido mutare del colore dell'oliva, dal verde al rossiccio. 2) Le olive devono essere raccolte rigorosamente a mano, albero per albero, poggiando agli alberi delle leggere scale, con sotto una rete che deve restare distesa dalla mattina fino al tramonto e non di più, levando le olive raccolte prima di sera, non lasciandole cioé a cielo aperto. Bisogna fare attenzione, altresì, a non pestarle con i piedi, con le scale o in qualunque altro modo o a comprimerle. 3) Il raccolto, giorno dopo giorno, va sistemato su telai in cui l'accumulo del frutto non sia superiore a 10 centimetri di spessore e impilato normalmente asciutto, non caldo, facendo bene attenzione che fra telaio e telaio vi sia un'adeguata ventilazione. 4) Il raccolto va mantenuto possibilmente ad una temperatura che si aggiri intorno ai 12° C, non deve essere mantenuto sui telai per più di 5 giorni (anche meno, ma al massimo sette o otto per le zone più asciutte). Defogliato, nel caso, con un semplice scivolo a listelli inchiodati distanziati in senso verticale, quasi sempre di fabbricazione domestica, va posto di preferenza in contenitori rigidi e trasportato con delicatezza fino al frantoio per la frangitura, il più rapidamente possibile (alcuni Dop pretendono che la frangitura avvenga entro 3 giorni). 5) Non si devono lasciare le olive al frantoiano, ma bisogna sorvegliare personalmente la frangitura, curare la raccolta dell'olio ceh fuoriesce sistemandolo in bicchieri di acciaio inossidabile. Sarà cura del produttore, anche, annotare il peso della tara, che servirà per determinare sia la resa delle olive sia la spesa di frangitura, sia, infine, il contributo comunitario che sarà verosimilmente percepito. Importanza della raccolta manuale E' alquanto evidente come, vista la quantità ed il tipo di accorgimenti necessari, i metodi per la raccolta delle olive, nel cao in cui i risultati che si vogliano ottenere siano di una certa qualità, escludano per principio tecniche come la battitura delel fronde, la raccolta a terra con macchine aspiratrici, la raccolta dei frutti lasciati a macerare sul terreno per giorni ed infine il sistema assolutamente sconveniente di disporre reti al di sotto delle piante in attesa che le olive precipitino per l'azione del vento oppure perché giunte ad eccessiva maturazione. La pratica delle reti, oltre tutto, presenta dei rischi per l'ambiente notevoli (leggi incendi) ed altrettanti per la qualità del raccolto, sempre irrimediabilmente compromessa dall'interazione con agenti atmosferici, con il terreno, con gli insetti e con gli animali. E' da escludere anche la variante in cui le reti non vengono disposte sul terreno ma lasciate sospese, puntando sull'azione del vento, sul distacco per maturazione o sulla bacchiatura. L'unica ipotesi plausibile è perciò quella della faticosissima raccolta manuale, albero per albero, armati di pazienza. Le reti dovranno certo esserci, ma con una funzione evidentemente differente: una ampia o due di medie proporzioni (o infine quattro piccole) per ogni gruppo di raccoglitori, disposte attorno al tronco della pianta ini cui avverrà la raccolta, con indubbi vantaggi in termini di tempo alla fine della raccolta. Ciò in considerazione del fatto che il travaso negli appositi recipienti avverrà in modo molto più semplice e veloce. Per capire meglio l'importanza della raccolta manuale delle olive e della cura che richiede la drupa, bisogna accennare probabilmente alcuni aneddoti. Uno, ricorrente, è quello che vuole che spesso, nella pubblicità di aziende olivicole a conduzione tradizionale, venga posto l'accento sulla ''specialissima'' attenzione per l'uso di raccogliere le olive disponendo le reti per terra, tecnica che viene spacciata per sicura eredità di un passato che spesso ha creato più malintesi che sani costumi. Un'usanza ancora più ridicola e certo più perniciosa è quella, messa in atto già dati tempi antichi, di trattare le olive riponendole in casse ed interrandole per un periodo più o meno lungo, prima della frangitura. Le olive venivano spesso poste in scomparti dove venivano lasciate fermentare per alcuni giorni, per aumentare (nelle intenzioni) verosimilmente la resa di olio. Il risultato era disastroso: da un punto di vista qualitativo, crescevano in maniera esponenziale le sostanze peptiche e cellulosiche. Non olio di oliva nel senso moderno, si fabbricava, bensì sansa di olivo. La resa, com'è ovvio, non aumentava. Frangitura L'evoluzione dei frantoi in Italia presenta tratti specifici e preoccupanti. Il numero dei frantoi, sul territorio nazionale, nel corso degli ultimi cinquant'anni è andato riducendosi in maniera drastica. Quali le cause e quali le considerazioni da fare? La prima è quella più ricorrente: a seguito di una marcata industrializzazione ed a seguito dell'inquinamento crescente, i frantoiani hanno dovuto fronteggiare economicamente degli investimenti in termini di procedure, di costi di produzione e di apparecchiature imposti da una maglia di provvedimenti legislativi atti a regolare la materia. Il risultato, a prescindere dalle intenzioni, è che un ridotto numero di frantoi (che sono diminuiti di nove decimi dal 1948) deve far fronte a richieste di mercato che non sono affatto in diminuzione. E' stata necessaria, quindi, un'operazione di ammodernamento: investimenti in macchine altamente specializzate e costosissime per aumentare la resa ed evitare residui di'acqua. Le molazze, ossia i frantoi con macine a pietra, sono stati definitivamente messi da parte. Stessa sorte è toccata ai frantoi a vapore. I frantoi tradizionali con presse idrauliche, gli ultimi antiquati, stanno scomparendo ed oggi i frantoi più comuni, quelli di recente diffusione, cominciano ad essere quelli a martelli, azionati elettricamente. Alcuni preferiscono frangere le olive ini grandi recipienti a più molazze azionate a motore, poiché l'azione delle molazze riduce di molto l'emulsione di acqua. Nei frantoi di oggi, così, le olive vengono prima defogliate e lavate in acqua, poi subiscono la frangitura. La pasta ciene passata in vasche riscaldate, munite di pale che provvedono a mescolare e ciclo continuo. I Frantoi Moderni I frantoi moderni differenziano in maniera sostanziale da quelli tradizionali, in virtù degli strumenti e della tecnologia utilizzata, nella direzione di un sicuro aumento della resa e della qualità del prodotto finale, nel caso tutto avvenga secondo dei criteri piuttosto rigorosi. Alla fase iniziale, in cui le olive vengono private di foglie e lavate nell'acqua, segue la fase della frangitura. La pasta poi verrà destinata alla gramolatura. Nella fase della gramolatura la pasta viene riposta in vasche riscaldate e sottoposta all'azione di pale che provvedono a mescolare senza sosta. Bisogna osservare che le olive tendono a fermentare ad una temperatura superiore a 30 gradi e che bisogna porre attenzionem, durante la frangitura, alla giusta temperatura a cui svolgere le differenti operazioni. Peraltro, una temperatura elevata favorisce l'aumento della resa delle olive. La tentazione del frantoiano, in questo senso, sarebbe quella di aumentare molto oltre il ragionevole la temperatura delle olive, fino ad arrivare ai 40 gradi. Durante il processo di gramolatura gli alveoli contenuti nella polpa, a poco a poco si rompono, lasciando così che l'olio liberato fuoriesca ed affiori. Nei frantoi moderni, i cosiddetti frantoi a tre fasi, la pasta granulata viene destinata ad un estrattore centrifugo che si chiama, per convenzione, ''decanter''. Questo strumento possiede un albero rotante che, come una cerntrifuga, spinge la pasta ottenuta in precedenza contro le pareti, ad una velocità considerevole. La differenza di peso specifico dei diversi componenti della pasta fa in modo che l'olio, che è più leggero, si disponga al centro e che l'acqua, che è più pesante, si disponga in una zona intermedia mentre contemporaneamente la polpa e le bucce così spremute si sistemeranno alle estremità (in una centrifuga classica sarebbero le pareti). Nei frantoi a due fasi, alla pasta non viene aggiunta acqua e dal decanter escono separatamente da una parte l'olio e dall'altra la sansa, unitamente alla sola acqua di vegetazione che è propria dell'olivo. Tutto ciò comporta dei vantaggi notevoli in termini di risparmio di tempo e di acqua, nonché altri dal punto di vista dell'igiene. La caratteristica positiva più notevole dei frantoi di ultima generazione è costituito dall'assenza, appunto, di un'acqua di lavaggio, con una marcata diminuzione di inquinamento dei reflui. In alcuni tipi di frantoi, infine, l'olio passa in un separatore verticale che provvede ad eliminare le impurità e dona una certa brillantezza al prodotto finale. Questa fase, comunque sia, è peculiare della produzione altamente industriale dell'olio e spesso non viene scelta, intenzionalmente, dagli agricoltori. Molti adottano ancora oggi la tecnica di far decantare le morchie con il metodo naturale, ossia il deposito in grandi giare in locali non illuminati, freschi e spesso interrati. Un sistema abbastanza antico ma ugualmente efficace consiste nel far decantare il fondo residuo dell'olio degli orci mediante caduta in un filtro a cotone idrofilo sterile. Considerazioni sulla Frangitura Le tecniche moderne ed i frantoi moderni hanno radicalmente cambiato l'atteggiamento nei confronti della produzione dell'olio, pur mantenendo spesso un certo margine entro cui resta la possibilità di sperimentare nuove soluzioni, affidandosi all'iniziativa individuale come a risultati già ottenuti nel corso della verifica di pratiche convalidate in tempi recenti. Alcuni produttori immettono l'olio sul mercato così com'è, ancora in sospensione e non decantato. Questo tipo di olio ha, naturalmente, o suoi estimatori ed ha pure un nome quasi ufficiale, una sorta di riconoscimento di qualità: ''olio mosto'' è detto l'olio così prodotto, apparentemente grezzo e meno raffinato, meno trattato. Probabilmente scomparirà l'olio ''verzellino'', né vi sarà quel tipo di pasta adatta a fare le frittelle. (frisceu). Non bisogna però dire che i risultati siano disprezzabili. La qualità dell'olio, difficilmente, con le nuove macchine e con le tecniche moderne (attuate con rigore di metodi) decade veramente. La quantità, d'altra parte, cresce in modo vertiginoso, in virtù di un progressivo affinamento e perfezionamento degli strumenti e delle macchine concepite allo scopo di aumentare la resa senza compromettere nulla. L'igiene, come è auspicabile sia dagli interventi governativi in materia, sia dai provvedimenti in tal senso nel ciclo di produzione da parte degli ovicultori, non è da meno. Sono ormai tramontati i vecchi luoghi adibiti alla produzione dell'olio, almeno nella forma in cui erano conosciuti: niente più inferni, ad esempio, quei luoghi sottostanti il frantoio ove venivano immesse le acque di risulta della frangitura. Ninte più, soprattutto, luoghi bui o inadatti. Tutto ciò non esclude altri elementi e non deve far pensare ad una rinuncia al folclore, alle peculiarità delle tradizioni tramandate ed alle loro provvidenziali espressioni. La Conservazione dell'Olio Uno spettacolo tristemente comune, che accade spesso di vedere, è quello di file di bottiglie d'olio trasparente esposte magari all'azione del sole, nei negozi e nei luoghi deputati alla sua vendita. Si dovrebbe assumere che i commercianti siano tenuti a conoscere quel minimo di precauzioni indispensabili, ma evidentemente non è così. L'olio non andrebbe mai messo sotto la luce diretta del sole, non prolungatamente. Così come ci sono delle tecniche minuzione per la produzione, accorgimenti, altri ve ne sono per la conservazione, a qualunque livello avvenga (imbottigliamento, in questo caso). Oltre alla luce, è da evitare assolutamente l'esposizione prolungata a sorgenti di calore, naturali o artificiali. E come il calore, anche il gelo puà essere fatale al buon olio. Andrebbe, a voler essere rigorosi (ed è una cautela indispensabile) conservato in un luogo fresco ed asciutto, ad una temperatura ideale di 12-18 gradi. Era un fatto ovvio già nell'antichità, visto che nei tempi passati l'olio veniva custodito e conservato in orci e giare che venivano spesso interrati in profondità, ed in tempi recenti in vasche di cemento rivestito di ardesia, a piatrelle. La cosa che sorprende è che oggi, pur disponendo di adeguati contenitori come quelli in acciaio inossidabile, ed avendo non meno cognizione dell'importanza di una buona conservazione, seguitiamo a conservare (e con ottimi risultati) l'olio in recipienti tradizionali. La conservazione spesso avviene negli orci di terracotta vetrificata. La terracotta, essendo una sostanza coibente con grandi capacità di isolante termico ed acustico, favorisce una buona sedimentazione. Per di più, il fondo è concavo e le morchie si possono depositare bene: con un mestolo cilindrico il travaso nelle bottiglie avviene senza difficoltà alcuna, senza cioé che le morchie vengano, in sostanza, smosse. L'operazione viene agevolata da un recipiente sottostante, detto ''cassa''. In caso, l'olio depositato seul fondo potrà comunque essere recuperato quasi completamente attraverso una semplice filtrazione con del comunissimo cotone. In caso si voglia utilizzare l'acciaio per la conservazione, è buona norma munirsi di contenitori con rubinetto ed imboccatura larga. Per ultimo, passando alle bottiglie, è consigliabile conservare l'olio in contenitori opachi. DETERMINAZIONE DEL GRADO DI ACIDITA’ DELL’OLIO DI OLIVA L’acidità e il numero di perossidi di un olio di oliva sono caratterizzanti la qualità dell’olio stesso. Questi parametri dipendono dalle condizioni dell’oliva al momento della raccolta quali tecnica di raccolta, traumi, attacchi di insetti, tempo e temperatura di attesa prima della macinazione, metodo di molitura e condizioni di conservazione del prodotto. L’Acidità come indicatore di qualità L’acidità è un parametro che indica la percentuale di acido oleico in un olio ed è il principale indicatore della qualità. Più alto è il suo valore, più scadente è la qualità del prodotto. L'acidità è conseguenza diretta del rilascio degli acidi grassi dovuto al fenomeno dell’idrolisi dei gliceridi, ed è un parametro qualitativo definibile solo mediante analisi di laboratorio. È il parametro che consente di valutare le eventuali alterazioni che le olive e l’olio da esse ricavato subiscono durante la raccolta, il trasporto e il processo di trasformazione. Inoltre, la sua valutazione permette la classificazione merceologica degli oli.E’ importante evidenziare che gli oli extravergine d’oliva sono costituiti dal 98–99% di trigliceridi cioè esteri formati da glicerina e acidi grassi. Una parte di questi ultimi, tuttavia, rimane allo stato libero non combinandosi con la glicerina determinando l'acidità del prodotto. Tali acidi grassi liberi nell’olio possono aumentare se agisce un enzima specifico chiamato lipasi che si trova nel frutto e il processo può attivarsi soprattutto se la drupa ha subito lesioni cellulari (attacco di insetti, lesioni durante la raccolta e il trasporto, cattive condizioni agroambientali). L'attività enzimatica della lipasi è inoltre favorita da temperature piuttosto alte, comprese tra i 30°C ed i 40°C.Pertanto, si può concludere che, il grado di acidità di un olio è fortemente condizionato dallo stato sanitario delle olive, dalla tecnologia di raccolta, dal tempo di stoccaggio, dalla tecnologia di trasformazione adottata (ad es. elevate temperature di gramolazione) e dalla cura riposta dagli operatori nel trattamento e nello stoccaggio del prodotto. Metodologia di analisi Titolazione acido-base in fase inversa.Il campione oleoso è disciolto in una soluzione organica (miscela di etere etilico ed etanolo) e quindi sottoposto a titolazione in presenza di fenolftaleina con soluzione titolata di NaOH (idrossido di sodio). Significato ed Uso L’acidità viene espressa come percentuale di acido oleico. Il grado di acidità è il parametro correlato alla freschezza dell’olio: un alto valore indica un iniziato processo di irrancidimento, abbinato al decadimento qualitativo dell’olio di oliva. Secondo la direttiva CEE 2568/91, un olio si definisce extra vergine quando l’acidità è inferiore a 1% (cfr tabella).L’acidità espressa in % di acido oleico è utilizzata per discriminare l’olio extra vergine di oliva dagli altri oli di oliva: un basso valore di acidità definisce un processo estrattivo effettuato subito dopo la raccolta e con metodi naturali e poco aggressivi. Categoria Acidità % Olio di oliva extra vergine ≤1,00 Olio di oliva vergine ≤2,00 Olio di oliva vergine corrente ≤3,30 Olio di oliva vergine lampante >3,30 Determinazione dell’acidità % Campione Peso titolante acidità 1 5,482 g 0,45 ml 0,231 2 6,906 g 0,55 ml 0,224 3 4,946 g media 5,778 g 0,40 ml 0,228 0,227 Autocontrollo e HACCP Il concetto di autocontrollo ha un’ampia valenza che discende dalla responsabilizzazione dell’Operatore del settore alimentare (OSA) in materia di igiene e sicurezza degli alimenti e corrisponde all’obbligo di tenuta sotto controllo delle proprie produzioni. L’HACCP consente di applicare l’autocontrollo in maniera razionale e organizzata. I principi su cui si basa l’HACCP sono 7: 1. Identificare ogni pericolo da prevenire, eliminare o ridurre 2. Identificare i punti critici di controllo per eliminare o ridurre un rischio 3. Stabilire limiti critici che differenziano l’accettabilità dalla inaccettabilità 4. Stabilire e applicare procedure di sorveglianza efficaci 5. Stabilire azioni correttive se un punto critico non risulta sotto controllo 6. Stabilire le procedure da applicare regolarmente per verificare il funzionamento delle misure adottate 7. Predisporre documenti e registrazioni adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresa alimentare. Data l’ampia gamma di imprese alimentari,la varietà di prodotti alimentari e di procedure di produzione applicate agli alimenti, sono state redatte dalla Commissione Europea delle linee guide generali. Tali linee-guida forniscono indicazioni su un’applicazione semplificata delle prescrizioni in materia di HACCP in particolare nelle piccole imprese alimentari. Considerando un’impresa alimentare, il responsabile del piano di autocontrollo deve predisporre e attuare il piano con l’ attiva partecipazione della dirigenza e del personale avvalendosi di un supporto tecnico-scientifico esterno. Il piano deve essere applicabile e applicato, finalizzato a prevenire le cause di insorgenza di non conformità prima che si verifichino e deve prevedere le opportune azioni correttive per minimizzare i rischi nel caso si verifichi una non-conformità. L’obiettivo principale è istituire un sistema con cui l’impresa sia in grado di dimostrare di aver operato in modo da minimizzare il rischio. E’ necessario che la corretta predisposizione e applicazione di procedure consenta nell’ambito del processo produttivo, il controllo e la gestione dei pericoli. L’applicazione dei principi del sistema dell’analisi dei pericoli e dei punti critici di controllo alla produzione primaria non è ancora praticabile su base generalizzata. Per facilitare l'adozione di piani di autocontrollo adeguati vengono resi disponibili Manuali di Corretta Prassi Igienica che costituiscono documenti orientativi voluti dalla normativa comunitaria ed utilizzabili come guida all'applicazione dei sistemi di autocontrollo. Il Manuale HACCP per l’autocontrollo alimentare La normativa inerente la sicurezza e l’igiene degli alimenti prevede l’autocontrollo alimentare, attività che spetta agli operatori del settore alimentare (OSA). Essi hanno piena autonomia nel controllo delle condizioni igienico sanitarie degli alimenti e nella pianificazione degli interventi da attuare. Il Manuale di autocontrollo HACCP è lo strumento in grado di aiutare gli operatori nell’organizzazione razionale dei controlli e delle pianificazioni al fine di ridurre al minimo i rischi inerenti come la contaminazione degli alimenti. Gli alimenti non devono solo essere sicuri e conformi alle regole generali sull’igiene ma devono mantenere anche alti standard di qualità: di conservazione, organolettica e nutrizionale. Come è strutturato un Manuale HACCP Il Manuale per l’autocontrollo contiene una descrizione accurata di tutti i procedimenti e azioni messi in atto che abbiamo come “protagonista” gli alimenti. Una sorta di checklist approfondita e discorsiva che come obiettivo ha quello di identificare eventuali punti critici. Il Manuale ha lo scopo di razionalizzare le attività e diventa un punto di riferimento per la prevenzione degli stessi punti critici e rischi. Sanzioni per violazione delle norme di igiene alimentare La sanzione pecuniaria prevista per il titolare che non predispone un sistema di autocontrollo HACCP può andare dai 1000 ai 6000 euro. Purtroppo si può incorrere in pesanti sanzioni anche per incapacità di interpretare la normativa a volte molto complicata. Il Manuale varia a seconda anche della tipologia di attività. Come nel caso della redazione del manuale di rintracciabilità anche per il Manuale HACCP è necessario affidarsi a una consulenza professionale, onde evitare di incorrere in sanzioni. HACCP Alimentare Ristoranti e Pizzerie Le pizzerie e i ristoranti, come tutti gli esercizi commerciali che hanno a che fare con la produzione e vendita diretta di alimenti, devono rispettare le norme del sistema HACCP. Il sistema HACCP unito all’autocontrollo alimentare, obbligatorio definisce tutta una serie di attività di analisi, prevenzione o risoluzione dei problemi legati all’igiene alimentare. Tutto ciò che entra in contatto con un alimento durante il suo processo commerciale è da considerarsi possibile causa di inquinamento della salubrità dello stesso. Gestori di pizzerie e ristoranti devono tenere sotto controllo: • Aria, veicolo di trasmissione di microrganismi; • Ambiente di produzione; • Utensili, tutti gli strumenti di lavoro devono essere costantemente puliti e igienizzati; • Acqua, deve essere sempre potabile; • Eventuale personale addetto. Inoltre le pizzerie e i ristoranti devono essere dotate di servizi igienici a norma e quindi in regola con tutti i dettami di legge riguardanti questi locali. Il titolare di ristoranti e pizzerie deve aver sostenuto un corso REC per l’abilitazione. Tamponi per il controllo delle operazioni di pulizia e sanificazione L’uso dei tamponi artificiali dell’ HACCP è riportato anche nel manuale di autocontrollo che prevede l’utilizzo di questi tamponi come strumento di controllo e determina anche la regolarità con cui tali tamponi devono essere adoperati. Per un corretto controllo igienico è consigliato eseguire anche due serie di tamponi superficiali per l’analisi e la determinazione effettiva e sicura della flora microbica mesofila. Analisi chimiche svolte nei laboratori della scuola Determinazione degli zuccheri riduttori OBIETTIVO: Determinare la quantità di zuccheri riduttori in un campione di salsa di pomodoro MATERIALI UTILIZZATI: Cilindri – Beaker – Pipette graduate – Beute- Burette- Bacchetta di vetro –Imbuto – Carta da filtro – Spatola – Pipette Pasteur – Sostegno con pinza a ragno –Matraccio STRUMENTI: Bilancia tecnica – Piastra riscaldante – Becco Bunsen – Treppiedi REATTIVI E SOSTANZE: H2O distillata- Salsa di pomodoro –Fehling A Fehling B- Acetato basico di piombo – Blu di metilene – HCl Concentrato (37%) VALUTAZIONE RISCHI: Ustione – Rottura vetreria – Rischio chimico PROCEDIMENTO Abbiamo preso tutto il materiale occorrente, abbiamo misurato 10 g di salsa di pomodoro, l’ abbiamo versata in un matraccio da 250 mL ed abbiamo portato a volume con acqua distillata. Con una pipetta graduata abbiamo prelevato 50 mL di tale soluzione e li abbiamo versati in un beaker dove abbiamo aggiunto anche 20 mL di soluzione spiombante ( solfato sodico) e 20 mL di acetato basico di piombo per favorire la coagulazione di eventuali polifenoli. Abbiamo agitato e poi abbiamo filtrato. Nel frattempo abbiamo preparato la soluzione di Fehling versando in un beaker 5 mL di Fh A + 5 mL di Fh B e poi abbiamo aggiunto anche 40 mL di H20 distillata, quindi abbiamo messo sul treppiedi e abbiamo portato ad ebollizione. Intanto nella buretta abbiamo versato il filtrato che abbiamo ottenuto e con esso abbiamo iniziato a titolare. In un primo momento abbiamo versato velocemente circa 3 mL del filtrato, abbiamo riportato di nuovo ad ebollizione e successivamente abbiamo aggiunto 2 o 3 gocce di blu di metilene, poi abbiamo continuato lentamente la titolazione goccia a goccia fino alla scomparsa del colore blu e la comparsa del colore rosso mattone. OSSERVAZIONE E CONCLUSIONE Inizialmente abbiamo effettuato la titolazione sul campione a disposizione ma il viraggio non si è verificato. Per accertare la validità del metodo abbiamo eseguito un’altra titolazione ma stavolta abbiamo aggiunto 50 mL di soluzione zuccherina al 5 % ( invertita) nel nostro campione. Questa volta la concentrazione di zuccheri era tale da provocare il viraggio dell’indicatore quasi istantaneamente. Durante la prima titolazione invece non si è verificato il viraggio in quanto la concentrazione di zuccheri del nostro campione di salsa era molto bassa. Determinazione del grado alcolico del vino OBIETTIVO Determinare il grado alcolico del vino INTRODUZIONE TEORICA L’ebulliometro è un apparecchio che serve a determinare la quantità alcolica dei vini e di tutti i liquidi alcolici . Esso si basa sul sulla misura della temperatura di ebollizione del vino. L’alcool etilico assoluto bolle infatti , a pressione atmosferica, a 78,4°C; miscele di alcool ed acqua presentano temperature di ebollizione che, entro certi limiti, variano regolarmente con il variare della concentrazione alcoolica e che sono pochissimo influenzate dalle altre sostanze solide presenti nel vino. MATERIALI UTILIZZATI Spruzzetta STRUMENTI Ebulliometro REATTIVI E SOSTANZE H20 distillata e Vino VALUTAZIONE RISCHI Ustioni PROCEDIMENTO Si prepara il materiale occorrente e si inizia la determinazione. Inizialmente, per tarare lo strumento, si versa nel serbatoio conico dell’ebulliometro dell’acqua fino all’anello inferiore in modo che avvitando il braccio con il termometro, il bulbo non arrivi a toccare l’acqua. Successivamente si accende la lampada ad alcool e si aspetta fino a quando dalla parte alta del refrigerante esce il vapore; in tale condizione la colonna di mercurio del termometro si arresta. Facendo scorrere il regolo graduato si porta allo 0 della scala in corrispondenza dell’estremità della colonna di mercurio. Successivamente si spegne il fornellino, si butta l’acqua e si avvina il serbatoio conico con un po’ di vino e successivamente lo si versa fino all’anello interno superiore in modo che il bulbo peschi nel liquido quando il coperchio è avvitato. Subito dopo si versa H2O distillata nel refrigerante e si riaccende nuovamente il fornellino. Quando la colonna di mercurio del termometro si ferma si legge sulla scala graduata il grado alcolico del liquido. Abbiamo effettuato questa operazione su due campioni di vino diversi. Nel primo campione il grado alcolico era di 14,5 mentre nel secondo 9,7 OSSERVAZIONI:Nel primo campione (Vino rosso) il grado alcoolico è risultato di 14,5 % mentre nel secondo campione (Vino bianco) e’ di 9,7 %. CONCLUSIONI:Il primo campione ha un grado alcoolico particolarmente alto rispetto a quello bianco che invece è più o meno nella norma. Determinazione del numero di acidità e gradi di acidità e ricerca della presenza di olio di semi nel campione OBIETTIVO Determinare il gradi di acidità e l’eventuale presenza di olio di semi di un campione di olio MATERIALE UTILIZZATO Cilindri – Beaker – Buretta - Pinza con sostegno – Beuta – Pipetta Pasteur –Pipetta graduata – Imbuto – Provettone STRUMENTI Bilancia tecnica REATTIVI E SOSTANZE: H2O distillata- Fenolftaleina- Etere etilico – Alcool – HNO3 (61%) – Floroglucina – olio – KOH 0,1N VALUTAZIONE DEI RISCHI: Rottura vetreria – Rischio chimico INTRODUZIONE TEORICA: Con questo metodo si determina l’acidità totale dell’ olio, la cui misura deve considerarsi riferibile esclusivamente all’acidità organica. Per grado di acidità si intende la quantità di acidi grassi liberi, espressi come acido oleico, contenuti in 100 g di sostanza grassa. Per il numero di acidità si intende la quantità di KOH necessaria per neutralizzare gli acidi grassi liberi in 1g di sostanza grassa. PROCEDIMENTO Inizialmente ci siamo procurati il materiale necessario. Utilizzando la bilancia tecnica e una pipetta Pasteur si misurano 5 g di olio in una beuta di 250mL,dopo si aggiunge una miscela composta da 50 mL di alcool e 100 mL di etere etilico ,misurati con l’aiuto dei cilindri e 2 o 3 gocce di fenolftaleina Dopo di che si passa a preparare la buretta , si avvina prima con H20 distillata e poi con KOH 0.1N quindi si riempie la buretta con KOH facendo in modo da eliminare eventuali bolle d’aria e si azzera . Si inizia la titolazione sistemando la beuta sotto la buretta procedendo con un ritmo costante di gocciolamento e non si chiude il rubinetto fino a quando non avviene il viraggio che corrisponde al punto di equivalenza che ci è segnalato dal cambiamento di colore da giallino a rosa; nel nostro caso abbiamo chiuso il rubinetto dopo aver utilizzato 0,8 mL di KOH. Eseguendo i calcoli abbiamo trovato l’acidità del campione. RISULTATI Acidità dell’olio = 0,8*0’0282/5*100 = 0,45% Successivamente a questa prova, abbiamo eseguito un’ ulteriore esame con il quale si vede se è presente olio di semi nell’olio d’oliva da noi usato. In un provettone, con l’aiuto di pipette e palla di Peleo abbiamo messo 5mL di olio, 5mL di HNO3 (61%) e 5mL di floroglucina .Dopo aver agitato, se sul fondo della provetta si veniva a formare uno strato di colore rosso era presente l’olio di semi , mentre nel nostro caso non si è formato nulla quindi non vi era olio di semi. OSSERVAZIONI In questo esperienza abbiamo osservato la variazione di colore da un giallo chiaro a rosa, e abbiamo notato anche che non vi è stata la formazione di strati di color rosso nel provettone. Determinazione dell’acidità totale del vino OBIETTIVO Determinazione dell’acidità totale del vino. MATERIALE UTILIZZATO Buretta,sostegno con pinza a ragno,beaker,bacchetta di vetro,beuta,spruzzetta,spatola con cucchiaio,pipetta graduata,pipetta monouso,palla di peleo. REATTIVI E SOSTANZE : NaOH ,H2O distillata,blu di bromotimolo,vino. VALUTAZIONE DEI RISCHI Rottura della vetreria, rischio chimico. INTRODUZIONE TEORICA L’acidità del vino è dovuta ad acidi organici, alcuni dei quali sono fissi (Come il tartarico, il malico il lattico, il succinico),altri sono volatili (come l’acetico , il formico , il propionico , presenti in minima porzione). PROCEDIMENTO Abbiamo prelevato 25mL del nostro campione di vino e li abbiamo posti in un beacher, abbiamo agitato per allontanare la CO2 presente ed effettuato la titolazione. Dopo aver avvinato la buretta l’abbiamo riempita con NAOH 0,25N , abbiamo aggiunto l’indicatore nel campione , blu di bromotimolo , e abbiamo titolato fino al viraggio. RISULTATI Acidità del vino = 29.97% OSSERVAZIONI Abbiamo osservato che al punto di viraggio il colore è cambiato da rosso a verde blu. Il valore ottenuto è molto alto in quanto la determinazione è stata effettuata su un campione di vino andato a male. Determinazione dell’acidità dell’aceto OBIETTIVO Determinare l’acidità dell’aceto MATERIALI OCCORRENTI Buretta da 50 ml – Spruzzetta – Beuta – Beaker – Pipetta 10ml – Palla di Peleo – Matraccio – Sostegno con Pinza a ragno REATTIVI E SOSTANZE Aceto commerciale – NaOH 0,1 M – Fenolftaleina soluzione 1 % - Acqua distillata VALUTAZIONE RISCHI Rottura vetreria INTRODUZIONE TEORICA: CH3COOH+NaOH = CH3COONa+H20 Secondo questa reazione 1 mole di CH3COOH viene neutralizzata da 1 mole di NaOH e al punto di equivalenza il numero di moli presenti nella quantità di NaOH gocciolato è uguale al numero di moli di CH3COOH presenti nei ml di acido acetico prelevato PROCEDIMENTO Abbiamo preparato il tavolo di lavoro con il materiale occorrente. Abbiamo prelevato 10 mL di aceto con una pipetta e una palla di Peleo e li abbiamo versati nel matraccio, dopo abbiamo portato a volume con acqua distillata. Abbiamo prelevato 10 ml di aceto diluiti in acqua e li abbiamo passati nella beuta insieme a 3 gocce di fenolftaleina. Dopo aver posizionatola beuta sotto la buretta, precedentemente avvinata,abbiamo iniziato a far gocciolare lentamente l’NaOH nella beuta che veniva agitata continuamente. Abbiamo interrotto la titolazione quando siamo arrivati al punto di viraggio cioè quando l’aceto è diventato di un rosa chiaro persistente. CH3COOH+NaOH = CH3COONa+H2O CH3COO- + H3O + +Na++ OH- =CH3COO -+Na + + H20 RISULTATI 1° Titolazione: 23,8*0’006=0,1428*100=7,12g di acido acetico 2° Titolazione 23,7*0’006=0’1428*100=7,12 g di acido acetico 7,12+7,12=14,24+2=7,12 OSSERVAZIONI: al punto di viraggio il colore è cambiato da incolore a rosa,poiché sono stati neutralizzati gli H+ dell’aceto dagli ioni OH- dell ‘NaOH