CRONOLOGIA DEL COLONIALISMO ITALIANO
1869
Apertura del canale di Suez.
La compagnia Rubattino apre una linea di navigazione per l’India e acquista dai signorotti locali nel
novembre, per 30.000 lire, la baia di Assab (appartenente all’Egitto) con i fondi anticipati dal governo
italiano.
1878
Congresso di Berlino nuova sistemazione dell’area balcanica; l’Italia con Cairoli si presenta con la
posizione delle “mani nette” e rinuncia a qualunque annessione coloniale in nome delle sue origini
risorgimentali; la Francia ottiene incoraggiamenti tedeschi per l’occupazione della Tunisia.
1881-83
La Francia occupa la Tunisia.
1882
Triplice Alleanza.
Lo Stato italiano acquista la Baia di Assab, sulle coste del Mar Rosso in Eritrea, per 416.000 lire.
1884
Congresso di Berlino: si delineano le sfere di influenza di ciascuna potenza europea in Africa e si
fissano i principi di una specie di diritto internazionale non tanto “africano” quanto “sull’Africa”.
1885
5 febbraio : l’Italia occupa il porto di Massaua in Eritrea, nominalmente
territorio egiziano . Le forze politiche e sociali che appoggiano l’impresa coloniale sono: la corte,
l’esercito, la marina, l’industria cantieristica e armatoriale, la borghesia romana e meridionale che
vedono nelle conquiste un’evasione dai problemi del momento , l’illusione di una futura ricchezza e
uno sbocco per l’emigrazione. La borghesia settentrionale , scettica sulla possibilità di una
penetrazione commerciale in Africa orientale, è contraria: cambierà posizione solo quando le sembrerà
in gioco l’onore del paese.
Iniziano i primi tentativi italiani di espansione verso l’Etiopia.
1887
26 gennaio- Dogali : il ras Alula (uno dei capi dell’altopiano eritreo) con
10.000 uomini travolge una colonna italiana di 500 uomini diretta dal
tenente colonnello De Cristoforis.
1887
Rinnovo della Triplice e benestare tedesco all’occupazione italiana della Libia.
1889
Il generale Baldissera, inviato in Eritrea da Crispi, crea i battaglioni di ascari eritrei e si avvale delle
inimicizie tra i vari ras per espandere l’influenza italiana verso l’Etiopia.
10 marzo: muore l’imperatore dell’Etiopia Giovanni e Menelik, negus dello Scioa (provincia etiope),
si proclama imperatore con il sostegno italiano.
2 maggio – Menelik firma il trattato di Uccialli (riconoscimento etiope dell’occupazione italiana
dell’Eritrea e – ma questo punto è controverso- della rappresentanza italiana degli interessi abissini
nelle relazioni internazionali : l’Italia ritiene infatti di aver stabilito il protettorato sull’Etiopia e
fornisce a Menelik soldi e armi).
giugno- l’Italia occupa Cheren e Asmara in Eritrea.
28 agosto-3 dicembre : Maconnen ( cugino e braccio destro di Menelik) visita l’Italia.
agosto - l’Italia inizia a stabilire il suo protettorato in Somalia (sultanati di Obbia e Migiurtina,
Somalia del Nord).
1890
1° gennaio- il territorio eritreo occupato dagli italiani è costituito in colonia col nome di Eritrea.
1892
Il sultanato di Zanzibar concede in affitto a una società commerciale italiana i porti del Benadir in
Somalia (Brava, Merca, Mogadiscio, Uarsceik).
1893
febbraio- Menelik, dopo aver rafforzato il suo potere, denuncia il trattato
di Uccialli, distruggendo le aspirazioni italiane ad un protettorato.
1
1894
dicembre- rivolta in Eritrea contro le confische italiane delle terre coltivabili.
1895
Gli italiani istituiscono il campo-prigione di Nocra in una delle isolette che fronteggiano Massaua
(Eritrea), per l’internamento dei civili.
1895
7 dicembre- sconfitta italiana di Amba Alagi (in Etiopia), muore il maggiore Toselli con i suoi 2.500
ascari.
1896
marzo- sconfitta italiana di Adua (in Etiopia vicino al confine con l’Eritrea): il generale Baratieri al
comando di circa 16.000 uomini, tre quarti italiani un quarto ascari eritrei, è sconfitto da un esercito di
50.000-70.0000 etiopi (muoiono 5.000 italiani e 1.000 ascari, 500 sono i feriti, 1.700 i prigionieri).
Gli italiani restituiscono alla popolazione locale le terre confiscate dell’altopiano eritreo, sia per
ottenere una pacificazione interna che per la loro scarsa produttività. Si tengono invece le terre del
bassopiano occidentale, che si presta alla coltura del cotone, ove si sviluppa una coltivazione con
tecnici e capitali italiani e manodopera indigena. Tuttavia lo sviluppo economico dell’Eritrea è
lentissimo per la scarsità dei capitali disponibili e per le sfavorevoli condizioni di clima e della qualità
delle terre.
26 ottobre- pace di Addis Abeba che fissa il confine tra Eritrea e Etiopia (sarà osservata per circa 40
anni).
1899
L’Italia partecipa con l’Inghilterra alla repressione di un movimento nazionalista islamico somalo.
1900-09
Il governo italiano ottiene dalle maggiori potenze europee il riconoscimento dei suoi diritti in Libia (
Londra, Vienna, Parigi).
1901
27 gennaio- il governo cinese cede al governo italiano la concessione di Tien-Tsin.
1905
Il governo italiano incarica il Banco di Roma (legato al Vaticano e cresciuto nella speculazione
immobiliare nella capitale) di una penetrazione economica in Libia.
L’Italia assume la gestione diretta del Benadir e liquida la società commerciale.
1906
L’Italia firma con la Francia e l’Inghilterra un accordo con il quale i tre Stati si impegnano a rispettare
l’integrità territoriale dell’Etiopia.
1907
Il Banco di Roma apre una succursale a Tripoli e altre agenzie nel resto del paese che avviano
investimenti in Libia: dal 1907 al 1910 raggiunge un giro di affari di 242.000 milioni di lire.
1908
5 aprile- nasce la Somalia italiana con l’unificazione delle regioni del nord e del sud ( in realtà
l’autorità italiana è limitata al retroterra di Mogadiscio, Merca e Brava nella parte centrale).
1909
La Russia con gli accordi di Racconigi si impegna a riconoscere gli interessi italiani in Libia.
1911
26 settembre - ultimatum italiano alla Turchia.
29 settembre- dichiarazione italiana di guerra alla Turchia (Giolitti impegna in Libia* all’inizio
34.000 uomini poi, date le difficoltà, il numero sale progressivamente - movimento complessivo
200.000 uomini). Durante questa campagna sono attuati i primi bombardamenti aerei del secolo XX
con aeroplani di legno e tela che ospitano solo due avieri: il secondo sgancia a mano le bombe e i
chiodi a tre punte per bloccare i combattenti arabi che camminano scalzi.
23 ottobre- rivolta e combattimenti nell’oasi di Sciara Sciat e a Tripoli. Diversi soldati italiani
vengono massacrati. Nei tre giorni successivi le autorità italiane fucilano o impiccano 4.500 libici, tra
cui donne e molti ragazzi. Tra il 1911 e il 1912 sono 3053 i libici che vengono deportati alle isole
Tremiti, a Ustica, a Gaeta, a Favignana, a Ponza, a Caserta. Ne muoiono almeno 633 di stenti e di
malattie.
2
5 novembre - l’Italia dichiara unilateralmente l’annessione della Libia 1.
In Somalia le autorità italiane decretano che tutte le terre, non coltivate in maniera permanente dagli
indigeni, devono diventare proprietà dello Stato. Arrivo in Somalia delle prime famiglie venete e
lombarde.
1912
8 aprile - Per concludere la guerra il governo italiano decide di attaccare l’Impero Ottomano
bombardando i Dardanelli e occupando nel giro di un mese Rodi e il Dodecaneso.
18 ottobre -firma a Ouchy della Pace di Losanna tra Italia e Turchia.
1915
1917
Luglio - l’occupazione italiana della Tripolitania è ridotta alle città di Tripoli e di Homs.
aprile - patto di Acroma tra Mohammed Idris (futuro re della Libia dal 1951 al 1969) capo della
Senussia2 e l’Italia , patto basato di fatto sulla spartizione della Cirenaica in due zone di influenza: il
controllo della costa agli italiani, dell’interno alla Senussia.
maggio-agosto - in Tripolitania gli aerei italiani bombardano con 3600 kg di esplosivo e 1270 kg di
liquido incendiario i campi coltivati dei “ribelli”.
1919
1° giugno - l’Italia proclama in Tripolitania uno “Statuto” con cui riconosce i diritti civili e politici dei
libici . Il 31 ottobre lo “Statuto” è esteso alla Cirenaica. Non viene tuttavia mai applicato.
1920
Ottobre accordi di er Regima, riconfermati a Bu Mariam, con cui l’Italia riconosce a Idris ( gran
sceicco della Senussia) il titolo di emiro (principe) dei Senussi e il rango di sovrano.
1922
Decreto del governo italiano che autorizza in Libia l’esproprio delle terre non recintate e non coltivate
stabilmente.
28 ottobre- i fascisti marciano su Roma e Mussolini riceve da Vittorio Emanuele III l’incarico di
formare il governo. Inizia la dittatura fascista.
1922-23
gennaio 1922 - febbraio 1923: l’Italia riconquista la Tripolitania settentrionale, dopo dieci anni in cui
l’intera regione è rimasta in una situazione di precarietà senza che né gli arabi, né il governo italiano,
abbiano saputo trovare una soluzione politica soddisfacente per il governo dell’area.
1923
L’Etiopia è ammessa alla Società delle Nazioni.
1
*Nel 1900 l’amministrazione ottomana censisce in Libia 1.500.000 di abitanti. Nel 1954 ce ne sono poco più di
1.088.089; il bestiame passa da 1.350.000 a 83.000 capi per gli ovini e le capre nel 1932 e da 85.000 a 4.000 cammelli.
2
La Senussia, fondata negli anni trenta del XIX secolo da Mohammed ibn Ali al-Senussi (1787 circa- 1859), si
afferma come strumento di dominio di un’élite religiosa musulmana sulle tribù dell’interno, una sorta di “stato nomade”
articolato in zavie. Queste sono delle cellule territoriali primarie della Senussia, in maggioranza collocate nelle oasi,
possiedono terre agricole e da pascolo, fungono da caravan-serraglio delle carovane, da cui esigono tributi, praticano
esse stesse l’allevamento del bestiame e l’agricoltura , grazie all’utilizzo di manodopera nera razziata nel “paese dei
Neri”, il Bilad-as Sudan ; tollerano pertanto in alcuni periodi della loro storia il traffico schiavista verso l’Egitto. Lo
“stato nomade “ possiede una sua gerarchia: gli ikuan- fratelli- sono la massa dei credenti; i wakil e i mishuq sono i capi
rispettivamente amministrativi e religiosi delle zavie; i muqaddam sono una sorta di capi regionali. Sopra tutti si colloca
il Gran Sceicco che veglia sul benessere della Confraternita , sulla sua economia e sulla pace fra le diverse tribù che
popolano il deserto libico. Quindi la Senussia garantisce la pace tra i carovanieri e nello stesso tempo si garantisce , in
cambio, un surplus grazie alle gabelle sulle carovane o al lavoro semi schiavistico agricolo delle oasi che puntellano il
deserto. Nasce anche come organizzazione generale dei popoli del deserto, “stato nomade” antagonista dello “stato della
costa”, dotato di un proprio esercito e di una propria ideologia ( cinque le regole della confraternita: 1) esaltazione
dell’idea di Dio e venerazione dei santi solo finché in vita; 2)rinunzia alla vanità del mondo e fedeltà illimitata al capo
della Confraternita; 3) dovere di rovesciare il capo di stato deviante dalla Legge; 4) proibizione del lusso, caffè, liquori,
tabacco; 5) divieto di commerciare con ebrei e cristiani e perfino di salutarli) che esprime il bisogno di riscatto e
antagonismo delle popolazioni del deserto nei confronti di quelle urbanizzate e “moderne” della costa.
3
In Cirenaica, da parte italiana, vengono abrogati gli accordi con la Senussia; nella regione si scatena
una tenace resistenza al dominio italiano sull’altopiano.
1923-25
La conquista della Tripolitania settentrionale è consolidata ed estesa: gli ufficiali italiani assumono il
dominio diretto sulla popolazione, mirando ad eliminare la classe dirigente araba. Ne deriva uno
sconvolgimento delle strutture sociali tradizionali, accentuato dalla colonizzazione agraria e dallo
sviluppo delle opere pubbliche.
1923-28
Cesare De Vecchi, governatore della Somalia, estende il dominio italiano all’interno e al nord della
Somalia, controllato fino ad allora da sultanati locali sotto il protettorato italiano.
1924-25
La Gran Bretagna ricompensa l’Italia con la cessione dell’Oltregiuba per la partecipazione alla
Grande Guerra .
1924-26
I bombardamenti aerei in Libia diventano sempre più violenti, scientifici e sperimentali: gli aerei
italiani bombardano la popolazione civile con l’ordine di colpire “tutto ciò che si muove nelle oasi”.
1928
6 gennaio: De Bono , governatore della Tripolitania, invia al Ministero delle Colonie una relazione
che riferisce il bombardamento di Gife e, a 70 chilometri a sud di Nufilia, il bombardamento con i gas
di circa 400 tende.
1928-30
L’Italia conquista anche la Tripolitania meridionale.
1929-30
novembre 1929 - maggio 1930: l’aviazione italiana impegnata in Cirenaica esegue 1605 ore di volo
lanciando 43.500 tonnellate di bombe, non si sa quante di queste all’iprite, e 10.000 colpi di
mitragliatrice.
1930
marzo- la repressione della resistenza in Cirenaica viene affidata a Graziani, reduce dal successo in
Tripolitania.
29 maggio – Graziani ordina l’esproprio integrale dei beni mobili e immobili delle zavie della
Senussia : centinaia di case e 70.000 ettari delle migliori terre della Cirenaica .
1930
giugno-luglio: Badoglio, governatore della Libia e diretto superiore di Graziani, chiede e ottiene da
Mussolini la deportazione della popolazione del Gebel cirenaico in campi di concentramento sulla
costa. Graziani esegue : quasi 100.000 civili seminomadi vengono rinchiusi in 15 enormi campi di
concentramento realizzati nella Sirtica.
31 luglio: per colpire Omar al-Mukhtar (capo di fatto della Senussia succeduto a Idris, fuggito in
Egitto) che con soli 500 uomini crea difficoltà all’esercito italiano, 4 aerei Romeo bombardano l’oasi
di Taizerbo con 24 bombe da 21 chili di iprite, 12 bombe da 12 chili di esplosivo, e 340 bombe da 2
chili.
1930
6 novembre: arresto di 120 notabili della Cirenaica.
1931
Per isolare i partigiani libici guidati da Omar al-Mukhtar, il generale Graziani fa costruire sul confine
tra Cirenaica e Egitto un reticolato di filo spinato largo alcuni metri e lungo 270 chilometri ,
sorvegliato giorno e notte da aeroplani e pattuglie motorizzate.
11 settembre: il generale Graziani conclude la conquista della Libia con la cattura di Omar alMukhtar che nel Gebel cirenaico , altopiano grande quasi come la Sicilia, ha resistito grazie al
“governo della notte” della Senussia. La deportazione della popolazione dell’anno precedente è stata
decisiva per la vittoria italiana. Per vincere la resistenza libica vengono utilizzati battaglioni eritrei.
16 settembre: Omar al-Mukhtar è impiccato all’età di 73 anni nel campo di concentramento di Soluch
di fronte a 20.000 internati, portati ad assistere all’esecuzione.
Censimento in Somalia che rileva 1.000.000 di abitanti, di cui 1700 italiani. L’Italia mira a sfruttare le
poche zone irrigate dallo Uebi Scebeli, producendo cotone e banane grazie ad uno sfruttamneto
schiavistico
4
1932
I campi in cui è stata concentrata la popolazione del Gebel cirenaico sono sciolti: quasi metà dei
deportati è morta.
1933
settembre: vengono sciolti anche gli ultimi campi di concentramento in Libia.
1934
Matura in Italia la decisione di muovere guerra all’Etiopia come utile diversivo propagandistico e
come occasione di una ripresa economica per superare gli effetti della crisi del 1929.
30 dicembre: Mussolini scrive un promemoria dal quale emerge che la guerra contro l’Etiopia non è
vista come un’impresa coloniale da affrontare con un numero limitato di uomini e mezzi, ma come
occasione di un grande rilancio politico, che può venire solo da una guerra che coinvolge tutta la
nazione e che pertanto deve essere sostenuta da un enorme spiegamento di forze.
1935
settembre: un nuovo campo di concentramento italiano viene aperto a Danane, in Somalia. Sino alla
sua chiusura ( avvenuta nel marzo 1941) vi si avvicendano circa 6.500 tra etiopi e somali: per la fame
e le disastrose condizioni igienico-sanitarie poco meno della metà degli internati perde la vita.
3 ottobre: l’Italia inizia la guerra d’Etiopia e affida al generale De Bono il comando del corpo di
spedizione. L’impresa è sostenuta da una grande campagna propagandistica e da un grande
spiegamento di uomini (complessivamente 500.000: 330.000 soldati italiani, 87.000 ascari eritrei e
somali e spahis libici, 100.000 lavoratori italiani addestrati) e mezzi (mitragliatrici, aerei, carri armati,
cannoni ecc..). Si utilizzano in modo sistematico i bombardamenti aerei anche con gas tossici.
8 ottobre : la Società delle Nazioni vota le sanzioni contro l’Italia per l’aggressione all’Etiopia.
Mussolini organizza a scopo propagandistico il dono dell’oro alla patria e la campagna del grano.
novembre: Mussolini sostituisce De Bono con Badoglio nel comando della guerra etiopica.
1936
Censimento in Libia che rileva la presenza di 115.000 italiani di cui 66.300 residenti.
5 maggio : Badoglio entra ad Addis Abeba e Mussolini dichiara unilateralmente la fine della guerra
di Etiopia. Secondo fonti italiani gli etiopi morti sono 55.000-70.000, secondo fonti etiopi 275.000
compresi i civili. I morti italiani sono 4.000.
9 maggio : Mussolini proclama l’Impero italiano di Etiopia.
1936-37
1936-37
maggio 1936 - dicembre 1937 : Graziani è Vicerè di Etiopia (subentra a Badoglio) .
Inverno - gli italiani combattono in Etiopia contro una guerriglia di massa sostenuta dalla
popolazione.
1937
19 febbraio : fallito attentato a Graziani3 ad Addis Abeba (Etiopia), si scatena la repressione e si
creano campi di concentramento in Somalia .
1938-41
dal gennaio 1938 fino alla resa del 1941 il Duca d’Aosta subentra a Graziani come Vicerè di Etiopia.
1938
Legislazione razziale in Etiopia
3
*Il 19 febbraio 1937 Graziani, per festeggiare la nascita del primogenito del principe Umberto, Vittorio Emanuele,
distribuisce talleri d’argento alla popolazione. Alcuni partigiani etiopi, confusi tra la folla di mendicanti, lanciano
bombe a mano e feriscono Graziani. Soldati e carabinieri sbarrano le uscite del recinto dove si svolge la cerimonia e
cominciano a sparare. Il piazzale rimane ricoperto di cadaveri. I civili italiani di Addis Abeba iniziano una rappresaglia
nello stile dello squadrismo fascista, armati di manganelli, sbarre di ferro, pistole e benzina con cui incendiano i tucul.
L’iniziativa passa poi ai militari. Le fonti etiopi parlano di 30.000 morti. Tra il 9 febbraio e il 3 agosto 1937 vengono
fucilati o impiccati, per ordine di Graziani che tiene la “contabilità”, 1918 etiopi, quasi tutti intellettuali e notabili.
Vengono inoltre giustiziati gli indovini , i cantastorie e perseguitato il clero copto.
Il 19 maggio 1937 il generale Maletti occupa il villaggio e il convento di Debrà Libanòs. Nello stesso giorno riceve un
telegramma di Graziani che, dopo aver affermato di possedere le prove della “correità dei monaci con gli autori
dell’attentato”, ordina di passare “per le armi tutti i monaci indistintamente, compreso il vice- priore”. Le vittime del
massacro sono probabilmente 1.600.
5
1939
Leggi in difesa del prestigio della razza ariana in Libia
1940
10 giugno : l’Italia entra nella Seconda Guerra Mondiale
1941
5 maggio Hailè Selassiè rientra vittorioso ad Addis Abeba con gli
inglesi.
novembre- si arrendono a Gondar gli ultimi reparti italiani in Etiopia
1942
Dal luglio al novembre si svolgono le tre battaglie di El Alamein (Egitto), l’ultima (si svolge dal 23
ottobre al 4 novembre e provoca un totale di 26.000 morti) segna la vittoria di Montgomery e la
sconfitta delle truppe italiane e tedesche guidate da Rommel : inizia la ritirata.
1943
23 gennaio : i britannici entrano a Tripoli dopo aver occupato l’intera Libia. Fine del dominio italiano
in Africa.
1945
Fine della Seconda Guerra Mondiale.
1947
A Parigi l’Italia rinuncia formalmente ai possessi in Africa. La sorte delle ex-colonie è demandata
all’ONU.
1949
21 novembre: l’Assemblea generale dell’ONU approva una risoluzione che stabilisce 1) che la Libia
sarebbe diventato uno Stato indipendente entro il 1° gennaio 1952 (la proclamazione
dell’indipendenza avverrà il 24 dicembre 1951); 2)che la Somalia sarebbe diventata indipendente
dopo un periodo decennale di amministrazione fiduciaria esercitata dall’Italia. Tale incarico si
conclude il 1° luglio 1960 e nello stesso momento alla Somalia indipendente si univa la Somaliland
ex-britannica.
1950
2 dicembre: L’Assemblea Generale dell’ONU approva una risoluzione che stabilisce che l’Eritrea
sarebbe diventata un’entità autonoma federata all’Etiopia.
1951
11 settembre : Hailè Selassiè ratifica la nascita della federazione etiopica-eritrea, a cui porrà fine,
annettendosi l’Eritrea,10 anni più tardi.
6
SCHEDA
La colonizzazione economica
Il sistema economico coloniale, che espropriò le popolazioni africane delle loro risorse e le trasformò in fornitrici di forza
lavoro a bassissimo costo, incise nel tessuto sociale delle comunità provocando fratture e processi disgregativi e
accentuando la condizione di sfruttamento delle donne.
La colonizzazione politica dell'Africa fu accompagnata dalla colonizzazione economica. Iniziata verso la fine
dell'Ottocento soprattutto in Congo e Sud Africa, essa trasformò profondamente le economie del continente
subordinandole, nei primi tre decenni del Novecento, a quelle delle potenze coloniali e, in generale, ai meccanismi
dell'economia capitalistica internazionale.
Le prime manifestazioni della nuova economia si presentarono agli occhi degli africani sotto forma di strade, ferrovie e
linee telegrafiche - simboli di una modernizzazione che, per loro, si traduceva in una maggiore dipendenza dall'Europa.
Esse servivano infatti a estendere la colonizzazione dalle coste, dove si erano costituiti insediamenti europei, alle zone
dell'entroterra che offrivano le possibilità di sfruttamento economico.
Nel giro di pochi decenni l'economia coloniale si estese nel continente, imponendo nuovi rapporti di produzione che
incisero profondamente nelle società africane. La trasformazione basilare fu quella che avvenne nella proprietà e
nell'uso della terra. Nella maggior parte delle colonie ', le popolazioni africane furono espropriate delle terre più fertili e
delle aree forestali economicamente sfruttabili. Allo stesso tempo, furono espropriate delle ricchezze del sottosuolo, che
divennero anch'esse proprietà degli Stati coloniali.
In Somalia, le autorità italiane decretarono nel 1911 che tutte le terre non coltivate in maniera permanente dagli indigeni
dovevano divenire proprietà dello Stato. Dato che la maggioranza della popolazione era costituita da pastori nomadi o
seminomadi, lo Stato coloniale si impadronì in tal modo della quasi totalità dei territori. Lo stesso fu fatto in Libia dove,
a partire dagli anni Venti, vennero espropriate le terre migliori soprattutto lungo la costa, per complessivi 900mila ettari
tra cui oltre 68mila confiscati ai "ribelli" della Cirenaica.
Parte delle terre tolte ai libici fu data in concessione prima a ricchi proprietari italiani (non solo grossi agricoltori ma
anche industriali, professionisti, aristocratici, ex ufficiali, funzionari statali e gerarchi fascisti) perché vi costituissero
grandi aziende agrarie; quindi, a piccoli coloni nel quadro di un ambizioso progetto di colonizzazione demografica della
Libia. Contrariamente alla promessa che la Libia avrebbe costituito lo sbocco privilegiato dell'emigrazione meridionale,
questi coloni provenivano per circa l'80 per cento dal Nord Italia. Lo Stato italiano spese nel progetto di colonizzazione,
dal 1913 al 1936, circa 800 milioni di lire e una somma ancora più alta per la costruzione delle necessarie infrastrutture
(porti, strade, ferrovie, acquedotti). Ma, nonostante questi grossi investimenti, si insediarono complessivamente in Libia
solo 43mila piccoli coloni su un totale previsto tra il mezzo milione e i due milioni.
Ciò fu dovuto anche al fatto che la colonizzazione demografica venne rallentata dalla resistenza libica e, quindi,
interrotta dall'entrata dell'Italia in guerra nel 1940 e dalla successiva perdita dell'impero coloniale.
La valorizzazione agricola realizzata in Libia dai piccoli coloni italiani nei poderi loro assegnati, ad esempio attraverso
la coltura dell'ulivo e di alberi da frutta, fu pagata duramente dal pastori e contadini libici che, privati delle migliori
terre da pascolo e da semina e delle risorse idriche, furono relegati su terre aride come quelle della Sirtica e della
Marmarica. Persero di conseguenza la stragrande parte del bestiame, che morì per mancanza di pascoli e acqua oppure
fu abbattuta o confiscata dagli italiani: tra il 1926 e il 1933, il numero dei montoni si ridusse da 800 mila a 98mila,
quello delle capre da 70mila e 25mila.
In generale, gli effetti più sconvolgenti non furono però provocati in Africa dalla colonizzazione demografica basata su
grossi insediamenti di coloni europei, che restò un fenomeno limitato ad alcune aree, ma dalla colonizzazione
economica, che trasformò sempre più l'Africa in esportatrice di materie prime agricole e minerali. Perno di questo
sistema erano le piantagioni e le miniere appartenenti a società europee, finanziate dai maggiori gruppi bancari e
industriali e sostenute dalle rispettive amministrazioni coloniali, che assicuravano loro le condizioni più idonee alla
realizzazione del massimo profitto.
Le piantagioni occuparono vaste estensioni delle migliori terre espropriate agli africani per produrvi monocolture
destinate all'esportazione: cotone, caffè, cacao, canna da zucchero, palma da olio, agave, arachidi, agrumi e altre colture
commerciali. Come le miniere in cui si estraevano sia diamanti che oro, rame, stagno e altri metalli anch'essi destinati
all'esportazione - le piantagioni avevano bisogno, oltre che di grossi capitali, di una abbondante manodopera a basso
costo.
Lo sfruttamento coloniale provocò quindi nelle comunità rurali fratture sociali e processi disgregativi, che furono
aggravati dall'impatto che il modello agricolo coloniale ebbe sulla produzione alimentare. Più i contadini dovevano
impegnarsi nella produzione di cotone e altre colture commerciali, meno si potevano dedicare a quella di piante
7
alimentari, anche perché i campi in cui venivano coltivate erano in genere distanti da quelli delle colture commerciali
(raggruppati presso le strade). Per di più gli uomini avevano sempre meno tempo per la caccia e la pesca.
Come risultato, il regime alimentare si impoverì sempre più, fino a ridursi in molte zone quasi esclusivamente alla
manioca, provocando sottoalimentazione e malnutrizione. Dall'altro lato, il reddito che la maggioranza dei contadini
ricavava dalla vendita delle colture commerciali non era sufficiente a procurare loro il cibo necessario.
Anche nelle zone dell'Africa in cui non fu adottato il sistema delle concessioni, i contadini erano di fatto costretti a
produrre nei loro campi le colture commerciali destinate all'esportazione. Si trattava di una scelta obbligata dato che, in
primo luogo, essi dovevano pagare in natura o denaro le imposte stabilite dalle amministrazioni coloniali (all'inizio su
base di capanna e poi di capitazione). Per gli inadempienti le sanzioni erano immediate: nelle colonie britanniche gli
esattori giravano per i villaggi armati di accendisigari e, a chi non pagava, bruciavano subito la capanna.
In secondo luogo, i contadini dovevano procurarsi in una economia di mercato ormai dominata dai rapporti capitalistici
di produzione - i manufatti di cui avevano bisogno, o pagandoli in denaro o, come avveniva nella maggioranza dei casi,
dando in cambio un determinato quantitativo di cotone, di caffè, di cacao o di qualche altra coltura commerciale. Ma,
essendo il mercato dominato dalle grandi compagnie, le ragioni di scambio erano sempre a loro sfavore.
La materia prima agricola veniva scambiata o venduta dagli africani allo stato grezzo o appena lavorata, dato che in
quasi tutte le colonie vigeva, almeno fino al 1935, il divieto di trasformarla in prodotto finito. Nel Tanganica alcuni
agricoltori africani produttori di sisal (fibra tessile ricavata da una varietà di agave, usata per fabbricare cordami)
riuscirono nel 1932 ad aprire una corderia ma, appena i loro prodotti apparvero sul mercato di Londra, le proteste dei
fabbricanti inglesi di cordami furono tali che l'Ufficio coloniale decretò la chiusura della corderia, riaffermando il
principio che l'Africa doveva restare confinata nel suo ruolo di produttrice ed esportatrice di materie prime.
In base allo stesso principio, il cotone prodotto dai contadini africani nelle colonie portoghesi dell'Angola e del
Mozambico, dopo essere stato acquistato dalle compagnie, veniva spedito in Portogallo per essere trasformato in
tessuto. Una parte del prodotto finito veniva quindi rispedita nelle colonie, dove era venduta a prezzi molto alti dato che
i portoghesi esercitavano un regime di monopolio che escludeva la concorrenza.
In tal modo il valore aggiunto delle materie prime prodotte in Africa, già particolarmente elevato dato che esse erano
acquistate a prezzi molto bassi, veniva ulteriormente accresciuto sempre a spese degli africani. Espropriando le
popolazioni delle loro risorse e costringendole a produrre beni che non consumavano e a consumare beni che non
producevano, l'economia coloniale determinò un colossale trasferimento di ricchezza dall'Africa all'Europa.
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L'attualità del tema del colonialismo: intervista al professor Angelo Del Boca4
(in P. Dieci, M.R. Notarangeli, G. Pagliarulo, a cura di, Cronache del colonialismo italiano,
Edizioni associate, Roma 1991)
L'intervista che segue, realizzata il 16 giugno 1990 a Gazzola (Piacenza) dal C.I.S.P., affronta i
temi delle motivazioni del colonialismo italiano e dell'attualità che la questione riveste oggi.
I contenuti dell’intervista, inoltre, suggeriscono specifici temi di ricerca e di approfondimento.
Quali sono state le motivazioni iniziali dell’avventura coloniale italiana e della scelta del Corno
d'Africa?
Durante il periodo liberal-democratico gli italiani si sono interessati al Corno d'Africa
essenzialmente per motivi commerciali. Quando l'Italia ha acquistato Assab attraverso la
"Rugantino" era interessata ad avere uno scalo per il rifornimento del carbone per le sue navi in
rotta per il medio oriente. In realtà, però, mentre Mancini e poi i suoi successori, in particolare
Crispi, affermavano che l'interesse dell'Italia in quell'area era solo commerciale, si nascondevano
altre intenzioni. La riprova è che anche dopo l'occupazione di Massaua, l'Italia non si è
accontentata e ha iniziato ad andare verso l'interno e a scontrarsi con la realtà etiopica. Si possono
ricordare i 500 morti di Dogali provocati dalla spinta italiana verso l'interno.
L'Italia si è scontrata allora con personaggi del livello di Ras Alula, al tempo governatore
dell'Amasien, e poi con l'Imperatore Yohannes IV, che aveva combattuto nella sua vita cont ro gli
egiziani che avevano occupato Massaua e difeso la parte meridionale dell'Impero dagli attacchi
dei dervisci.
In sostanza 1' Italia, anche dopo aver preso l'Eritrea e la Somalia, all'inizio degli anni'90 del
secolo scorso, non si è accontentata, volendosi spingere dentro l'Etiopia, che era il suo principale
obiettivo di conquista. Questo, obiettivo è fallito a Baratieri, sconfitto ad Adua nel 1896, ma non
a Mussolini che potendo contare su mezzi enormi, inviando Badoglio sul fronte Nord e Graziani
sul fronte Sud ha occupato l'Impero etiopico in sette mesi.
La nostra presenza nel Corno d'Africa è stata quindi all'inizio giustificata con la necessità di
sbocchi sul mare e il colonialismo italiano si è espanso in quest'area sostanzialmente perché era
rimasta l'unica area dell'Africa non conquistata da altri paesi europei. Se gli inglesi non avessero
avuto problemi in Sudan e si fossero spinti fino all'Etiopia, ad esempio, il colonialismo italiano
avrebbe preso un' altra direzione. Comunque il colonialismo italiano è iniziato tardi rispetto agli
altri paesi europei che nel Congresso di Berlino del 1884 si erano già spartiti l'Africa; l'Italia è
arrivata a Massaua l'anno dopo.
Esiste un nesso storico tra il Risorgimento e il colonialismo italiani?
Tra il Risorgimento e il colonialismo italiano c'è una profonda contraddizione, in quanto il
Risorgimento, che è stato un fenomeno non solo italiano ma europeo, ha promulgato
l'autodeterminazione dei popoli e il loro diritto all'indipendenza. Di conseguenza l'Itali a, andando
ad invadere paesi africani, ha contraddetto sostanzialmente un cardine del pensiero
risorgimentale, secondo cui ogni paese ha diritto alla sua indipendenza. Perché occupare l'Etiopia,
indipendente da 2000 anni e la Somalia, dove esistevano forti spinte nazionaliste documentate
dalle gesta di quel magnifico personaggio che era il Mad Mullah? Questi era un uomo che aveva
iniziato la sua predicazione nel 1898, quindi 8 anni dopo che l'Italia era sbarcata a Mogadiscio.
Quindi ci fu un tradimento degli ideali risorgimentali. Mancini ha cercato, quando L'Italia ha
comprato Assab, di risolvere questa contraddizione affermando che la penetrazione italiana in
Africa non era a scopo di conquista, ma finalizzata a proteggere ed educare. A parte l'ambiguit à di
questo concetto, occorre tenere presente che ad esso è seguito invece il tentativo di distruzione di
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Angelo Del Boca è docente di Storia presso l'Università Statale di Torino
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ogni contesto nazionale, tanto è vero che l'Italia ha occupato uno stato indipendente e sovrano
come l'Etiopia. La Somalia non esisteva come entità statuale ma già il Mad Mullah aveva il
disegno della grande regione somala, dovendo combattere contemporaneamente contro gli
italiani, gli etiopici e gli inglesi.
Nel periodo fascista è stata capovolta la realtà, dipingendo la presenza in Africa come una
continuazione del Risorgimento, come missione civilizzatrice, che non è mai esistita.
Se non esiste, dunque, una continuità storica tra Risorgimento e colonialismo, si può però parlare
di analogie, dovute al fatto che anche l'unità d'Italia, in alcune regioni corrispondenti allo Stato
pontificio e a quello borbonico, è stata realizzata tramite una annessione coercitiva.
Quali ceti e ambienti sociali in Italia hanno tratto maggiori vantaggi dal colonialismo?
Chi più si è avvantaggiato dell'avventura coloniale italiana è senz'altro stato l'armatore, perché le
nostre spedizioni coloniali hanno sempre previsto un impiego massiccio di navi, sia per
trasportare i corpi di spedizione che per i traffici che si stabilivano con le colonie. Gli armatori
hanno fatto la parte del leone. Poi i fornitori dell'esercito, ad esempio di tessuti. Si pensi al
materiale trasportato e ai guadagni per i trasportatori per fornire un esercito di 500.000 uomini nel
1935. Si è trattato di uno sforzo economico ed imprenditoriale enorme, che sarebbe difficile fare
anche oggi. Infatti il Ministro delle Finanze di allora, Guarnieri, era terrorizzato dei costi
dell'avventura coloniale.
Il secondo ceto a trarre vantaggi dal colonialismo è stato quello impiegatizio-statale, perché i suoi
membri nelle colonie sono stati pagati molto più che in Italia (chi avrebbe guadagnato 800 lire al
mese in Italia poteva averne nelle colonie 3-4000) e hanno avuto possibilità di fare carriera più
rapidamente che in patria. Quando l'Italia ha lasciato l'Etiopia, esisteva in questo paese una
struttura di decine di migliaia di funzionari italiani.
Il terzo ceto è stata la casta militare che ha raccolto onorificenze e danaro in maniera spropositata
rispetto ai meriti acquisiti, se di meriti si può parlare in una guerra coloniale. Comparando le
medaglie al valor militare riconosciute in occasione della guerra del '15-'18 e quelle relative alla
guerra d'Etiopia, si può stimare che mentre nel primo caso è stata conferita una medaglia ogni
circa 50 caduti, nel secondo ne è stata assegnata quasi una ogni due o tre caduti, nonostante la
guerra sia stata, sotto il profilo militare, quasi ridicola perché compiuta con mezzi enormi,
l'aviazione e l'uso dei gas.
Quindi: fornitori dell'esercito, armatori, ceto impiegatizio e casta militare sono stati i beneficiari
della guerra coloniale.
Il meridione d'Italia non ha avuto invece niente. Prima Crispi e poi Mussolini hanno affermato di
voler offrire uno sbocco occupazionale ai meridionali alternativo all'emigrazione negli USA. In
realtà, però, Mussolini in tutte le operazioni di colonizzazione, a cominciare da quella nelle paludi
pontine, (dove sono andati veneti e romagnoli e non meridionali) ha coinvolto i settentrionali.
Anche in Libia e in Etiopia i meridionali spostati sono stati un'esigua minoranza.
Quando nel 1924 in Somalia si è recato come governatore Di Vecci di Valcismona ha cambiato
tutta l'amministrazione precedente e inserito tutti i piemontesi. Questo stesso governatore, a
Genale, si è appellato agli squadristi con i quali era stato in contatto anche in Italia per reprimere
e massacrare la popolazione che era stata incitata alla resistenza. Quindi la motivazione di offrire
uno sbocco al meridione, sia da parte del colonialismo liberale che di quello fascista è stata so lo
demagogica.
Il colonialismo italiano, rispetto a quello di altri paesi europei, è stato più conciliante con le
popolazioni assoggettate? Quali sono state, inoltre, le analogie e le differenze principali tra il
colonialismo realizzato nel periodo liberale e duello compiuto dal fascismo?
II colonialismo liberale e quello fascista sono stati in continuità, ma il fascismo ha utilizzato
strumenti nuovi, della sua epoca. Baratieri si è servito dei muli, mentre Badoglio e Graziani dei
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carri armati e degli aeroplani. Durante il colonialismo fascista tutto è stato fatto su un piano
industriale, anche il massacro.
Durante il periodo liberaldemocratico si poteva esprimere una certa protesta, sia in Parlamento
che sui giornali, mentre invece nel fascismo questo non era possibile. L'intolleranza razziale nelle
colonie, che era iniziata a maturare durante il periodo crispino, è esplosa durante il fascismo. La
segregazione razziale in realtà già era esistita durante il periodo di Crispi, ma è stata molto
ampliata durante il fascismo che ha codificato il razzismo con le leggi razziste, a partire dal 1937
fino al 1940, quando praticamente l'Italia aveva già perso la guerra. Però non c'è stata una
sostanziale differenza tra i due colonialismi. La base è stata la stessa, la prevaricazione e la
violenza.
Durante il fascismo, l' avventura coloniale ha avuto un consenso enorme in Italia, anche tra alcuni
intellettuali, come Vittorini e Bilenchi, che hanno creduto che in Etiopia sarebbe sorta una forma
di socialismo. Una parte dei coloni italiani sono stati anche convinti che nel giro di due o tre
decenni si sarebbero staccati dall'Italia, come è successo in Sudafrica.
L'Italia dal '38 in poi ha applicato la segregazione razziale e ha avuto, nelle guerre coloniali,
l'esclusiva dell'uso delle armi chimiche, mai usate dagli altri colonizzatori. Mussolini ha ritenuto
necessario non solo conquistare l'Etiopia ma anche distruggere le popolazioni, pensando all'inizio
di inviare molti coloni italiani a lavorare in quella terra. In realtà, complessivamente, dall'Italia
sono andati in Etiopia, durante i 5 anni dell'occupazione, 33.000 contadini (oltre ovviamente ai
funzionari e ai militari). Un'altra invenzione italiana in Africa, che forse ha avuto il solo
precedente del colonialismo inglese durante la guerra contro i Boeri, è stata la creazione di 2 lager
a Danane e Nocra, di tipo nazista.
A Danane erano stati installati tutti gli strumenti di soppressione della popolazione, dando da
mangiare poco, lasciandola in condizioni igieniche terribili. A Nocra si è anche praticato il lavoro
forzato, che si è venuto ad aggiungere alla detenzione penosa. Danane è in Somalia e Nocra in
Eritrea, entrambe sul mare.
In Somalia, l'Italia ha continuato una politica di tipo coloniale anche dopo il fascismo, con
l'Amministrazione Fiduciaria (A.F.I.) dal 1950 al 1960.
Nel 1950 con l'A.F.I. si è commesso il grave errore di voler esportare il nostro modello di
organizzazione istituzionale. In quegli anni il governo italiano ha avuto l'ambizione di tornare in
Africa e in Somalia è stato formato un apparato composto soprattutto da ex fascisti che avevano
lavorato nel Ministero dell'Africa Italiana.
Gli errori compiuti durante il periodo 1950-60 dall'Italia in Somalia hanno tuttora gravi
ripercussioni in quel paese.
Quale è stato l'atteggiamento della società etiopica nei confronti degli italiani dopo la guerra e
la liberazione del paese?
A1 termine della guerra, quando gli italiani sono stati sconfitti dagli etiopici e dagli inglesi e
costretti a lasciare l'Etiopia, non c'è stata alcuna rappresaglia contro gli italiani. Gli italiani uccisi
dopo la guerra in Etiopia si possono contare sulle dita di una mano e in ogni caso si è trattato di
fenomeni di brigantaggio e non di rappresaglia politica. Importantissimo è stato a questo fine
l'appello di Haile Selassie quando, tornando da Londra, ha varcato il confine e ha lanciato due
messaggi. Il primo, per dire "sono tornato e sono ancora il vostro Imperatore, aiutatemi a
riconquistare l'indipendenza". L'altro messaggio ha riguardato gli italiani e ha esortato a
comportarsi bene con essi, non come questi si erano comportati con le popolazioni etiopiche,
perché queste avevano una dignità da difendere, una storia da difendere.
In quell'occasione, le parole dell'Imperatore etiopico hanno sottolineato che, nella giornata di
festa successiva alla liberazione, spettava al popolo dell'Etiopia dare una dimostrazione di civiltà
al mondo, nel solco della tradizione cristiana del paese. Quando gli inglesi, dopo la liberazione di
Addis Abeba, hanno chiesto l'evacuazione totale degli italiani, Haile Selassie si è battuto per
trattenerne almeno un numero. In seguito a discussioni gli inglesi avevano accettato di tenerne
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almeno 500. Poi in realtà si capirà che ne erano rimasti circa 5-6000 perché lo stesso Imperatore e
gli altri etiopici li avevano nascosti nelle loro case.
La cultura etiopica è enormemente tollerante verso gli stranieri, così come verso le altre religioni.
Dall'800 in avanti la tolleranza religiosa tra musulmani e cristiani è stata un tratto costante della
storia etiopica. Immaginiamo in Italia se metà della popolazione fosse stata musulmana e metà
cristiana, quanti problemi ci sarebbero stati.
Di estremo valore storico è stato il discorso di Haile Sellassie alla Società delle Nazioni contro
l'aggressione italiana, che ha avuto soprattutto il significato di avvertire che a partire da
quell'invasione poteva innestarsi un processo degenerativo che avrebbe minacciato anche altri
stati, in Europa e nel mondo. Infatti questo allarme è stato lanciato nell'estate del 1936 e tre anni
dopo è stata invasa la Polonia ed è iniziata la seconda guerra mondiale.
A partire da una lettura critica dell'esperienza coloniale, quali possono essere alcuni dei
contenuti ispiratori di un nuovo approccio di cooperazione economica con i paesi africani da
parte di quelli europei e dell'Italia?
Sono favorevole al fatto che l'Italia destini anche più dell'1% del suo Prodotto Interno Lordo agli
aiuti allo sviluppo. Il problema è la qualità e gli obiettivi di questi aiuti.
Ci vuole più preparazione. Si sono dati aiuti per realizzare cattedrali nel deserto, tipo la fabbrica
di urea a Mogadiscio. Molti aiuti sono stati erogati dall' Italia con l'ambizione di essere una nuova
potenza nel Corno d'Africa. La prima motivazione deve essere invece quella di creare posti di
lavoro in Africa, perché è in questo modo che si affronta anche il problema dell'emigrazione. A
questo riguardo, tra l'altro, occorre sempre ricordare, nei confronti degli emigrati africani, c he gli
italiani hanno emigrato massicciamente nel passato. I paesi africani hanno subito il colonialismo,
poi il neocolonialismo in cui le vecchie potenze coloniali si sono ripresentate per impadronirsi
delle materie prime e governare i prezzi di queste. I prezzi si fanno a New York, Londra, Tokio e
non in Ghana, che è il più grosso produttore di cacao, non in Congo che è il più grosso produttore
di rame.
La cooperazione dovrebbe invertire questa logica, valorizzando le risorse locali e non
sfruttandole.
Nella diminuzione delle produzioni agricole in Africa ci sono anche responsabilità europee. La
prima riguarda la questione della monocoltivazione, imposta dai regimi coloniali (in Somalia le
banane, in Etiopia il caffè). La seconda riguarda la sottovalutazione, propria di molti regimi
coloniali, dei programmi di sviluppo agricolo su piccola scala, a vantaggio di progetti faraonici
dai quali si aspettavano grandi vantaggi immediati.
L'agronomo francese René Dumond ha giustamente in più occasioni sostenuto che la
cooperazione allo sviluppo dovrebbe sforzarsi di invertire questa logica, incoraggiando nei paesi
africani progetti sostenibili dalle economie locali e in grado di arrecare benefici alle popolazioni,
senza incorrere nell'errore, ripeto, di ispirare cattedrali nel deserto.
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A - UTILIZZA LA CRONOLOGIA E LE SCHEDE ALLEGATE PER RICOSTRUIRE UNA BREVE
STORIA DELLE COLONIE ITALIANE IN AFRICA.
B - UTILIZZA LA GRIGLIA CHE SEGUE PER ANALIZZARE 1 DOCUMENTI RELATIVI ALLE
DIVERSE FASI DELLA POLITICA COLONIALE ITALIANA.
1)
Quali sono state le motivazioni per la politica coloniale italiana in questo periodo?
2) Qual è l'atteggiamento degli italiani - sulla stampa nazionale e nel rapporti diretti all'interno delle
colonie -verso le popolazioni assoggettate?
3) Quale descrizione - quantitativa e qualitativa - degli armamenti utilizzati emerge dal documenti? Qual è
il coinvolgimento delle popolazioni civili nelle operazioni di conquista?
4)
In che modo vengono sfruttate o valorizzate le risorse nei territori coloniali?
5)
Quali dimensioni assume l'immigrazione di coloni italiani su questo territorio e quali sono i loro
principali impieghi?
6)
Quali sconvolgimenti ha provocato l'insediamento italiano nel tessuto sociale di questi territori?
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