CFS UNA MALATTIA
SOTTOVALUTATA
La CFS /EM, è una patologia grave ed invalidante, riconosciuta dall’OMS, ma non dal nostro SSN.
Sintomi principali di questa patologia sono una spossatezza estrema, che non trova sollievo neppure
con il riposo, febbricola, dolore e/o ingrossamento dei linfonodi, mal di testa diverso da quello
provato precedentemente, disturbi gastrointestinali, dolore osteo-muscolare, disturbi della memoria
e della concentrazione. La diagnosi viene fatta per esclusione,secondo le linee guida, seguendo cioè
un iter di esami atti ad escludere tutte le patologie che potrebbero dare una sintomatologia simile, e
dopo un minimo di sei mesi dall’insorgere dei sintomi. Tutto questo perché, al momento non è
ancora stato scoperto un marker specifico per diagnosticare la CFS. Nella maggior parte dei casi gli
esami eseguiti non rilevano nulla e questo, unitamente al fatto che il malato non presenta un aspetto
particolarmente emaciato, trae in inganno buona parte dei medici curanti che poco conoscono la
CFS, portandoli a sottovalutare le reali condizioni del paziente. Da qui a incappare in ulteriori visite
specialistiche e terapie che si rivelano inutili e a volte dannose, il passo è breve. Tutto questo porta
ad un ritardo nel riconoscimento della patologia, che molti pazienti ottengono dopo anni e anni di
sofferenze, e al cronicizzarsi della patologia , oltre ad essere anche molto dispendioso sia a livello
energetico che a livello economico sia per il paziente stesso che per il SSN.
Una volta giunti alla diagnosi poi ci si imbatte nella dura realtà : la CFS è una malattia rara (
almeno presunta tale non essendoci nessuna indagine epidemiologica al riguardo), non è
riconosciuta dal SSN, con tutto quel che ne consegue anche a livello economico e non esiste (ancora
nessuna) alcuna cura risolutiva si può contare solo su cure palliative atte a controllare i sintomi che
però non danno risultati in tutti i malati, la ricerca su questa patologia è pressoché inesistente e i
centri per la diagnosi e cura della CFS sono ancor più rari della malattia e non c’è uno specialista in
particolare a cui far riferimento..
Il malato si trova così a vivere una condizione di “malattia perenne” che riduce sensibilmente le sue
attività occupazionali lavorative o di studio e sociali, senza nessuna tutela. Molto spesso anche le
famiglie hanno difficoltà a capire e a credere che il loro congiunto sia “veramente malato”, senza
che un esame lo rilevi in modo specifico. Anche nel campo lavorativo o scolastico le cose non
vanno meglio: si ha difficoltà a far capire che non si è più in grado di far fronte agli impegni come
lo si era precedentemente e si ha la necessità di assentarsi spesso perché troppo prostrati sia a livello
fisico che mentale La CFS, nel migliore dei casi, riduce le attività occupazionali del 50% e chi
riesce a lavorare part-time e a proseguire gli studi seguendo un orario scolastico ridotto può essere
considerato fortunato.. Ovviamente anche la vita sociale ne risente e le amicizie finiscono o
comunque si allentano: non è facile mantenere i contatti con il mondo esterno quando spesso non si
è neppure in grado di fare una telefonata, quando si fatica a seguire una conversazione per problemi
di concentrazione o perché si dimentica quanto viene detto. A poco a poco questi malati tendono ad
isolarsi e ad essere isolati, restando in balia di se’ stessi
Anche l’aspetto dell’impatto sociale della malattia viene sottovalutato: bisogna considerare che la
CFS colpisce prevalentemente i giovani impegnati nel loro percorso scolastico o all’ingresso nel
mondo del lavoro, o nel momento in cui intendono costruirsi una famiglia, insomma il nostro
futuro,il nostro domani..
Quando la situazione diviene talmente critica da costringere il malato a chiedere il riconoscimento
dell’invalidità, la situazione diventa a dir poco tragica ed umiliante. Nella maggior parte dei casi si
sottovaluta la situazione vissuta dal malato, sottolineando anche la mancanza di evidenze cliniche
(esami spesso nella norma) , pensando che magari è “un po’ depresso”, e basandosi anche sul fatto
che la patologia non è nell’elenco” e che quindi non ha nessun codice di riferimento. Dopo queste
premesse è inutile dire che nella maggior parte dei casi la percentuale d’invalidità riconosciuta è di
gran lunga inferiore alla realtà.
Sono così le famiglie, sottoposte a dura prova, a dover trovare soluzioni sia a livello assistenziale
che economico perché si ritrovano completamente sole a gestire questa situazione che loro stesse
faticano a comprendere.
Si può facilmente dedurre che la CFS può essere definita una “malattia invisibile”, perché poco
conosciuta, perché non visibile sul volto di chi ne è affetto, perché non ha un marker rivelatore,
perché i malati a poco a poco si ritrovano chiusi fra le mura domestiche, perché non possiede un
codice identificativo, ma i malati di CFS purtroppo esistono e vivono in una condizione di dolore
fisico e psicologico derivante dal fatto di doversi reinventare una vita che scorre su binari molto più
lenti e dal dover fronteggiare ogni giorno le difficoltà di dover dimostrare che non sono malati di
serie Z e di lottare per veder riconosciuti i loro diritti. Dividere ogni giorno la propria vita con la
CFS è un’esperienza devastante, ma ancor più devastante è la sensazione di solitudine e di
abbandono totale che questi malati sono costretti a sopportare.
Ha più valore la sofferenza di un malato affetto da una patologia “comune”, quella di un malato
affetto da patologia rara rispetto ad un malato affetto da patologia rara non riconosciuta?
Credo che esista solo il dolore e la sofferenza dei malati indipendentemente dal nome della loro
malattia.
L’Associazione Malati di CFS, di cui sono orgogliosa di essere presidente, lotta fin dalla sua
nascita, nel giugno 2004, per vedere riconosciuti i diritti dei malati e per dar loro una speranza per il
futuro promuovendo la ricerca e favorendo i contatti tra i gruppi interessati.
L’AMCFS nasce infatti a tutela della prima banca biologica costituita con il materiale biologico
(sangue) donato volontariamente da alcuni malati, custodita presso il Laboratorio di
Immunogenetica dell’Università di Pavia e sulla quale si sta cercando di trovare un comune
denominatore che possa portare all’individuazione delle cause scatenanti della CFS. Strada facendo
ci siamo resi conto delle difficoltà riscontrate quotidianamente dai nostri malati e cerchiamo di
alleviarle in qualche modo battendoci affinché la CFS venga riconosciuta e facendo opera di
divulgazione sulle attuali conoscenze della patologia. Tutto questo viene fatto in modi diversi :
organizzando convegni medici, con ECM per gli addetti ai lavori ( medici, infermieri, fisioterapisti
e psicologi) e per la popolazione attraverso la stampa e la TV quando se ne ha l’occasione e con
appositi banchetti informativi nelle piazze, in particolar modo in occasione del 12 Maggio,
GIORNATA MONDIALE DEL MALATO DI CFS.
Il nostro è un percorso tortuoso e irto di difficoltà, ma la molla che ci spinge a perseverare sono i
nostri malati ai quali vogliamo vengano riconosciuta la loro dignità e i loro diritti
Roberta Beretta Ardino.
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