ENRICO TRAVAGLIONE
I de o l og i a e re a zi o ne t ra mus i c a e f i l os o f i a.
I
La volontà di andare oltre le rigide differenziazioni caratterizzanti i campi dello spirito,
costituisce un costante presupposto programmatico dell’opera di Adorno, e può essere
testimoniata dall’analisi delle critiche da lui mosse sia ad Heidegger che a Stravinskij, le
quali, pur mantenendo sempre le dovute distinzioni, senza lasciar mai trapelare l’idea di
un possibile contatto, dimostrano una grande capacità di procedere in un’ottica
comprensiva unitaria.
L’associazione tra un filosofo e un musicista è dunque da intendersi come testimonianza
di un legame esistente tra espressioni diverse di una stessa realtà. Accomunate dalle
continue minacce circa il loro diritto all’esistenza, filosofia e arte mantengono oggi una
posizione anacronistica, in quanto spirito oggettivatosi storicamente che trova le proprie
basi nei rapporti materiali produttivi. In questo senso, filosofia e musica, in conformità
all’insegnamento adorniano, sono criticabili secondo gli stessi argomenti e la stessa
ottica, perché entrambe cultura ed entrambe prodotto di una società antagonistica. In
esse si sedimentano indirettamente le esperienze del soggetto nel suo rapporto con la
società.
Il suddetto legame nasce in considerazione di un motivo mediatore presentato dal
filosofo francofortese nelle sue riflessioni: la comune vicinanza, tanto di Heidegger
quanto di Stravinskij, al programma della fenomenologia filosofica, con il suo intento di
andare diritti alle cose e di ricondursi al puro fenomeno. Nel caso di Heidegger, allievo
di Husserl, tale accostamento è presentato sempre in maniera molto esplicita,
costituendo un presupposto di tutte le critiche mosse da Adorno all’ontologia
heideggeriana 1 . Per quanto riguarda Stravinskij, invece, abbiamo solo un breve passo
nel quale Adorno così commenta l’eliminazione da parte del compositore russo di
qualsiasi obbiettivo (Intentionen) dalla propria musica. “Incontestabile è l’affinità con
la fenomenologia…la rinuncia ad ogni psicologismo e la riduzione al puro fenomeno,
2
come si presenta in quanto tale, deve schiudere una regione di indubitabile, «autentico»
essere. Qui come là la sfiducia in ciò che non è originario — cioè in fondo il
presentimento della contraddizione tra la società reale e la sua ideologia — induce a
ipostatizzare come verità il «resto» che avanza — dopo avere eliminato il presunto
«contenuto»”2 . L’adesione di entrambi gli autori a questi intenti è intesa da Adorno
come contrassegno di una cultura che si ribella contro se stessa, cercando invano di
essere altro da ciò che è.
II
Secondo Adorno l’ideale della purezza e l’esigenza dell’originario, sono alla base della
ricerca fenomenologica di Heidegger. Questi, nel presentare il proprio concetto di
Essere, rimane fedele al puro, come a ciò assolutamente non implicato con l’esperienza,
e all’immediato come ciò che è assolutamente dato. Il pensiero deve mettersi all’ascolto
di ciò che è, evitare qualsiasi padroneggiamento e arretrare di fronte all’Essere, inteso
come condizione del sussistere dell’ente. Nel proporre questa posizione, Heidegger non
riconosce però le mediazioni cui il soggetto è indissolubilmente legato, attribuendo
elevati valori ontologici a determinati concetti, primo fra tutti a quello di Essere. In tal
modo ignora totalmente che la lingua non ha un rapporto d’identità con la verità.
L’Essere di Heidegger, indugiando al di là delle determinazioni del pensiero, rimane
assolutamente privo di senso e di legittimità, in quanto incognita astratta. E non appena
cerca di diventare concreto, si assiste a quella che Adorno definisce l’ontologizzazione
dell’ontico, ovvero ad un inevitabile riferimento a dei contenuti ontici, che acquistano
legittimità ontologica perché partecipi dell’Essere. Allo stesso modo, in Essere e tempo,
Heidegger
presenta
l’autenticità
(Eigentlichkeit) a partire dalla sua ricerca
fenomenologica sull’esserci, come decisione sul proprio sé, come atteggiamento con cui
si decide di appartenersi e ci si mette all’ascolto. L’esistenza autentica è quella fondata
sul progetto dell’essere-per-la-morte, che comprende e accetta la finitezza e l’angoscia
come possibilità proprie dell’esserci, senza scappare di fronte ad esse.
L’autenticità heideggeriana assume in tal modo la forma di un’esaltazione
dell’interiorità, dello stare presso se stessi. L’essenza del soggetto, delineata come puro
esserci, è la sua semplice identità, che si riduce ad elemento apersonale, non
determinabile nel concreto, ma solo formalmente. Tale ipostasi, svincolando il soggetto
da tutto ciò che gli è estraneo, è destinata necessariamente a ricadere nel puro nulla. E
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quando questo nulla viene caricato di elevati significati e spacciato per positivo, si
contribuisce infine alla negazione dell’individuo. Heidegger, accostato da Adorno al
gergo dell’autenticità 3 , conduce un discorso generico sul concetto di uomo, slegato
totalmente dalle basi materiali in cui questi si trova a vivere, che esalta come sua più
alta essenza la nullità cui egli perviene al termine della propria ricerca, l’impotenza
derivante dalla condizione di pastore dell’Essere. Tutto ciò che potrebbe determinare in
concreto l’uomo è lasciato cadere, cosìcchè ogni istanza emancipatrice si delegittima in
partenza.
III
In Stravinskij la ricerca dell’originario nasce dalla sua esigenza di oggettivismo e di
autenticità (Authentizität), e si traduce nel tentativo di arrivare ad un suono in sé,
assolutamente puro e libero da intenzioni. Adorno parla di un tentativo di
pseudomorfosi con la pittura, con la quale Stravinskij cerca di mettere da parte il
presupposto della musica come arte essenzialmente temporale e in divenire, a favore
della giustapposizione di semplici dati, di suoni autonomi in se stessi, che non trovano
una propria collocazione nel senso di uno sviluppo musicale. Tale sviluppo è sostituito
dalla ripetizione, e i rapporti esistenti tra i vari complessi sonori vengono demoliti,
senza essere più mediati dal tempo 4 . La ricerca di autenticità non passa attraverso la
soggettività, ma vuole essere rifornita dall’esterno, in osservanza di un’autorità
organizzativa garante della concepibilità esteriore delle connessioni musicali. In tal
modo Stravinskij, con gesto autoritario, elimina le esigenze dell’oggetto, e secondo uno
schema ben consolidato, l’oggettività e l’autenticità acquistano la fisionomia di ciò che
è già dato, e che in quanto tale non può essere altrimenti.
Tale percorso porta il compositore russo ad eliminare qualsiasi psicologismo dalla
propria musica. Questa, per esser vincolante, non può realmente lasciar spazio al
sentimento e all’interiorità, ma deve essere conclusa in se stessa, priva di intenzioni
soggettive, ridotta al proprio lato puramente fisico e sonoro. Ma in ogni tentativo di tal
genere è implicito un atto di violenza contro il soggetto, esplicantesi, in questo caso,
nell’autorità di un suono in sé 5 che non lascia alcuno spazio a tutto ciò che, partendo
dall’individuo, è inteso come evasivo ed irrazionale. Tale abolizione del soggetto si
riscontra, oltre che da un punto di vista tecnico- musicale, anche nella costruzione di
balletti quali Petruska o Le Sacre du printemps, dove il singolo non trova mai un
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proprio spazio positivo. Il soggetto assume qui la parte della vittima, e la musica
sancisce semplicemente una situazione di fatto, ponendosi in tal modo a favore del
collettivo. Da un lato è il soggetto stesso a riconoscersi come vittima; dall’altro ogni suo
sacrificio è presentato senza alcuna tragicità, in modo totalmente distaccato, con
l’occhio di un osservatore esterno. La stessa fase neoclassica reitera in sostanza questi
aspetti, a partire dall’uso di un materiale ormai superato, maltrattato e deriso perchè non
più utilizzato secondo il suo significato, in un’ottica artigianale che giustappone modelli
diversi, irreparabilmente divisi da fratture insanabili.
IV
La critica di Adorno al concetto dell’originarietà, parte dalla convinzione che, poiché
ogni linguaggio è frutto di una sedimentazione storica, ogni sforzo teso a stabilire
determinati significati autentici ed iniziali sia destinato a fallire. Nello specifico Adorno
si oppone ad una teoria nominalistica del linguaggio che considera i concetti come delle
invarianti, come gettoni intercambiabili, secondo la vecchia tesi dell’adequatio tra
soggetto e oggetto. Ogni concetto è invece in continuo movimento, e si sviluppa in
conseguenza del rapporto dialettico esistente tra i due termini della conoscenza. Ciò ha
portato, nello sviluppo del linguaggio filosofico, ad un processo di reificazione, per il
quale la stessa terminologia si autonomizza sulla base di un distacco instaurantesi tra il
concetto e la cosa denotata. La filosofia, di fronte a ciò, deve contemporaneamente
combattere l’autonomizzazione del linguaggio, cercando di rimanere il più aderente
possibile alla cosa, e mantenere vivo il momento di discrepanza proprio di ogni processo
conoscitivo, poichè essa non è un mero rispecchiamento del reale, ma il tentativo di
andare, con le armi del concetto, al di là di esso.
I presupposti teoretici alla base di questa posizione, si riscontrano nello stesso concetto
di materiale musicale difeso da Adorno. Infatti, il materiale non è da intendersi come
“…concetto comprensivo di tutte le sonorità disponibili di volta in volta per il
compositore”6 . Non è neanche un materiale di natura, o un insieme di possibilità fisiche
e tecniche disponibili al di fuori del tempo. Esso è, come ogni concetto del linguaggio
discorsivo, spirito sedimentato. In quanto tale è possibile rintracciare un suo sviluppo
secondo peculiari leggi, le quali non sono però totalmente autonome, poiché la
preformazione soggettiva cui il materiale, in quanto spirito, soggiace, fa sì che in esso
trovino eco le contrapposizioni della società reale. Così ogni accordo non può “suonare”
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sempre allo stesso modo; acquista invece connotazioni diverse in funzione delle
relazioni che instaura con il resto del materiale e con le tecniche compositive,
mantenendo un significato storico frutto del proprio sviluppo. Adorno stesso afferma
che il materiale compositivo differisce dai suoni intesi come insieme di possibilità, allo
stesso modo in cui “…il linguaggio parlato differisce dai suoni che gli stanno a
disposizione” 7 . In ogni linguaggio, dunque, trova posto la necessità storica che in esso si
attua. La falsità di un accordo di settima diminuita, come que lla di termini dal
significato obsoleto e superato, emerge allo stesso modo tanto nell’idioma musicale,
quanto in quello parlato. Sia nell’uso heideggeriano di parole originarie, sia nel
principio stilistico della ripetizione di Stravinskij, è rintracciabile di conseguenza un
momento di derisione, una scimmiottatura dagli esiti beffardi, smascherata
rispettivamente dal momento dinamico presente in ogni concetto, che supera
continuamente se stesso nel proprio sviluppo semantico; e dall’irriducibilità della
dimensione temporale della musica, per la quale ogni evento musicale si determina
mediante il tempo, e viceversa la temporalità si cristallizza e si modella in base agli
avvenimenti musicali. In Heidegger, come nel gergo dell’autenticità, le parole vengono
ammantate di un’aura sacrale, riducendosi alla pura forma. In Stravinskij, invece, si
assiste all’apparenza del nuovo, laddove il materiale rimane sostanzialmente sempre
uguale, totalmente indifferente a qualsiasi logica di sviluppo 8 .
In senso diverso, sia in Heidegger sia in Stravinskij, la ricerca dell’autenticità
contribuisce alla negazione dell’individuo. Da un lato perché l’essere autentico del
soggetto, in quanto pura ipseità, non lascia spazio all’individuo reale, mostrandosi
solamente come decisione formale; dall’altro poiché una musica autentica, oggettiva e
vincolante, non può ammettere al proprio interno il soggetto come momento evasivo e
non necessario. La chiusura, tanto del soggetto quanto del suono, nei confronti del
momento del proprio essere altro, ripone a favore di un’identità costrittiva che s’impone
saltando la mediazione linguistica. Ciò che è essenziale in una cosa può essere
determinato solo mediante una riflessione del soggetto, la quale necessariamente
comprende al proprio interno un momento di interesse. Non si può dunque lasciare da
parte questo momento soggettivo, implicito nell’uso di qualsiasi concetto, ponendo in
luce esclusivamente il lato oggettivo proprio di ogni cosa denotata.
Tutto ciò è ulteriormente accentuato sia dalla presentazione heideggeriana della verità
come svelamento dell’essere di fronte a cui ci si mette all’ascolto, esperienza
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caratteristica della grecità preplatonica; e sia nel momento infantilistico caratterizzante
la musica di Stravinskij, come tentativo di presentazione di una serie di esperienze
musicali presoggettive e preindividuali, ed essenzialmente collettive. In entrambi i casi
il soggetto deve farsi da parte, a favore di qualcosa che sia più oggettivo e vincolante.
Ma proprio perché la storia non è altro che affermazione e sviluppo dell’individuo, la
sua autoabolizione rappresenta la definitiva affermazione e ratifica della dialettica
dell’illuminismo.
L’abolizione del soggetto, tanto in Heidegger quanto in Stravinskij, è ideologica e
reazionaria perché ratifica uno stato di fatto, perché porta alla legittimazione
dell’esistente, di un destino che incombe con forza e violenza nella forma di ciò che non
può essere altrimenti. Ideologia qui, in senso marxista, significa mistificante
rappresentazione della realtà in funzione di determinati rapporti materiali, significa falsa
coscienza, autoillusione e perdita di contatto con il reale. Il pensiero, spirito
sedimentatosi nel corso della storia, non può rifugiarsi in particolari zone incontaminate
e screditare tutto il resto, poiché necessariamente proprio tutto ciò che si mette da parte
riemerge innocentemente sotto forme diverse, deturpate e occasionali, ma in ciò ancora
garanti di verità. Poiché “…l’identità è la forma originaria di ideologia…” 9 , la critica
deve porsi contro la stessa coscienza costituente, contro quella coscienza che per
conoscere, rapportandosi all’oggetto, identifica e definisce senza lasciar trapelare l’altro.
E qui si palesa la vicinanza sempre sostenuta da Adorno tra filosofia e arte. Esse non
convergono nella forma, non devono mai appiattirsi l’una sull’altra. Il loro momento di
affinità consiste nella comune capacità di rappresentare il non-concettuale, il non
identico, un di più che, in quanto verità, è tale oltre ogni distinzione. “La verità
progressivamente dispiegantesi dell’opera d’arte non è altra che quella del concetto
filosofico” 10 . Nella filosofia è l’espressione a diventare verità, nel tentativo di far
emergere la non- identità nell’identità; viceversa nell’arte la verità diviene senz’altro
espressione, nella mediazione derivante dal rapporto dialettico tra la forma, come
costruzione razionale, e la mimesi, come espressione soggettiva.
Così come la filosofia non può limitarsi nell’idea di sè come sapere specialistico
concernente ciò che è puro ed elevato, senza aprirsi invece alle altre discipline che dal
suo ventre sono nate; così l’arte deve accettare il processo di sfrangiamento che
caratterizza il suo sviluppo recente, come reciproco sconfinamento dei linguaggi
artistici. Ogni distinzione categoriale è frutto di un processo storico all’interno del quale
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va compresa e contestualizzata. Qualsiasi movimento, sia di distinzione sia di
unificazione, che si sviluppi in conseguenza delle esigenze interne del pensiero o
dell’espressione artistica, acquista perciò un significato positivo. Non bisogna dunque
avere paura dell’ibrido, ma accettarlo poichè, tanto per la filosofia quanto per l’arte,
rappresenta un’importante possibilità per rimanere ancora in vita e mantenere la propria
autonomia, nella speranza di riappropriarsi di una strada perduta, e di un luogo in cui
sentirsi autenticamente a casa propria.
…Oggi il mio regno
è quella terra di nessuno. Il porto
accende ad altri i suoi lumi; me al largo
sospinge ancora il non domato spirito,
e della vita il doloroso amore.
U. Saba.
1
Cfr. T.W.Adorno, Dialettica Negativa, trad. it. di Carlo Alberto Donolo, Torino,
Einaudi, 1970 (pp. 53-118). ? M.Heidegger, Essere e tempo, trad. it. Di Pietro Chiodi,
Milano, Longanesi & C., 1976 (par. 7, pp. 46-60). In questo paragrafo Heidegger
esplicita la sua adesione al metodo fenomenologico, come ricerca indirizzata direttamente
alle cose stesse, in modo obbiettivo e imparziale.
2
T.W.Adorno, Filosofia della musica moderna, trad. it. di Giacomo Manzoni, Torino,
Einaudi, 1959 (p. 140). La mancanza di obbiettivi è presentata anche come caratteristica
del gergo dell’autenticità, cui Heidegger, in una certa misura, viene associato. “Lo scopo,
l’intenzione, si contrae in un linguaggio superficialmente privo di intenzioni, fedele alla
determinazione oggettiva del gergo stesso, che non ha altro contenuto che la
confezione.” T.W.Adorno, Il gergo dell’autenticità, trad. it. Di Pietro Lauro, Torino,
Bollati&Boringhieri, 1989 (p. 65).
3
Cfr. Ibid. (pp. 44-51).
4
Cfr. T.W.Adorno, Filosofia della musica moderna, op. cit., (pp. 186-188).
5
Adorno propone analoghe considerazioni nei confronti dei compositori del secondo
dopoguerra, associati però più in generale all’esistenzialismo. “…il non-senso diviene
senz’altro un programma, velato a volte dai dogmi di una certa filosofia esistenziale:
nella musica si dovrebbe palesare l’Essere stesso, e non le intenzioni soggettive”. Cfr.
8
T.W.Adorno, Invecchiamento della musica moderna, trad. it. di Giacomo Manzoni, in
Dissonanze, Milano, Feltrinelli, 1981 (p. 173).
6
T.W.Adorno, Filosofia della musica moderna, op. cit., (pp. 39-40).
7
Ibid., (p. 40).
8
Cfr. T.W.Adorno, Il gergo dell’autenticità, op. cit., p. (42) ? T.W.Adorno, Stravinskij,
un’immagine dialettica, trad. it. di Michela Garda rivista da Gianmario Borio, in
Immagini dialettiche, Torino, Einaudi, 2004 (p. 155).
9
T.W.Adorno, Dialettica Negativa, op. cit., (p. 132).
10
T.W.Adorno, Teoria estetica, trad. it. di Enrico De Angelis, Torino, Einaudi, 1975 (p.
220).