24 ottobre 2008
CONFERENZA CONCERTO
Presso la sala S. Bernardo
Abbazia di S. Croce in Gerusalemme
Piazza S. Croce in Geusalemme n. 12 – ROMA
Ingresso libero
Ore 18
LA MUSICA DI ADORNO
a cura di Giacomo Danese
Programma:
verranno eseguiti i seguenti brani :
A. v. Webern, Sechs Bagatellen für
Streichquartett op.9 (1913)
T. W. Adorno, Zwei Stücke für
Streichquartett op.2 (1925/26)
I. F. Stravinskij, Double Canon (1959).
Quartetto d'archi:
Renato Marchese, violino
Luca Matani, violino
Samuele Danese, viola
Donato Reggi, violoncello
Theodor Adorno fu prima musicista e critico musicale e poi filosofo, eminente
esponente della Scuola di Francoforte. Allievo ed ammiratore di Alban Berg e amico
di Schönberg, i quali rappresentavano l’avanguardia musicale che avrebbe rinnovato
la musica del tempo, Adorno scrisse saggi e musica in collaborazione con Hans
Eisler, il celebre musicista del teatro di Berthold Brecht, il quale tuttavia sembrava
apprezzare maggiormente le idee sulla musica espresse da Walter Benjamin, ne
L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1930). Benjamin, amico
e parente di Adorno, vi sosteneva la tesi che nell’epoca della “riproducibilità della
tecnica”, l’opera d’arte si stava trasformando da arte auratica, ovvero circondata da
un’aura sacrale, ad arte democratica, ovvero prodotto di massa. Il processo della
desacralizzazione del mondo (secolarizzazione) aveva i suoi effetti sull’arte e sulla
musica in particolare. Idee che più tardi saranno riprese dall’altro eminente
francofortese emigrato negli Stati Uniti, Herbert Marcuse. Adorno, emigrato negli
Stati Uniti a motivo della sua origine ebraica, condivide in parte le idee di Benjamin
circa il carattere consumistico della musica contemporanea, che sembra incapace
ormai di comunicare un messaggio di umanizzazione, di dialogo, di comunicazione:
«La musica leggera – egli scrive- e tutta la musica destinata al consumo [...] sembra
che sia direttamente complementare all’ammutolirsi dell’uomo, all’estinguersi del
linguaggio inteso come espressione, all’incapacità di comunicazione. Essa alberga
nelle brecce del silenzio che si aprono tra gli uomini deformati dall’ansia, dalla
routine e dalla cieca obbedienza [...] Questa musica viene percepita solo come uno
sfondo sonoro: se nessuno più è in grado di parlare realmente, nessuno è nemmeno
più in grado di ascoltare [...] la potenza del banale si è estesa sulla società nel suo
insieme.» (Adorno , Introduzione alla sociologia della musica). Tuttavia, a differenza
di Benjamin, Adorno riesce a comprendere come l’arte e la musica contemporanea
non hanno la funzione «di garantire o rispecchiare la pace e l’ordine, ma costringere
ad apparire ciò che è posto al bando sotto la superficie, e quindi resistere
all’oppressione della superficie, della facciata» (Adorno, Dissonanze). In altri
termini, la musica costituisce per Adorno quasi una psicanalisi del mondo moderno,
portando alla luce l’inespresso, il non detto, ciò che non sa giungere a parola, ma che
sa esprimersi solo nel linguaggio musicale, portando alla luce il dolore dell’esistenza:
«La musica, scrive Adorno, tende al fine di un linguaggio privo di intenzione.. »,
ovvero un linguaggio diverso dalla parola, perché diversamente «essa, come pensare
assoluto, cesserebbe di esser musica e si convertirebbe al linguaggio » (Adorno,
Musica e linguaggio). La musica allora sembra richiedere per Adorno una
ermeneutica del suo significato recondito, che è quello di una esistenza lacerata dalla
perdita dell’ “aura sacra” dell’arte, e che nell’epoca della “desacralizzazione” del
mondo sa trovare comunicazione, oltre la parola, nel linguaggio musicale. Filosofia e
musica sono allora strettamente congiunte in una dimensione che potremmo definire
“ermeneutica”. E da ciò anche la differenza tra la musica di Adorno e quella di
Strawinsky, che si mostrava unicamente nostalgico di un passato classico
inafferrabile. Strawinsky, scrive Adorno, rappresenta «il sacrificio antiumanistico del
soggetto alla collettività, sacrificio senza tragicità, immolato non all’immagine
nascente dell’uomo, ma alla cieca convalida di una condizione che la vittima stessa
riconosce, sia con l’autodeterminazione che con l’autoestinzione» (Adorno, Filosofia
della musica moderna). La musica invece sembra assolvere, per l’ebreo Adorno,
quasi ad una funzione messianica, quella di accogliere su di sé le lacerazioni, i
drammi e gli abbandoni dell’uomo del secolarismo, non per abbandonarvisi nella
rassegnazione, ma per instillare in esso l’esigenza di un “oltre la secolarizzazione”,
quello che il suo amico e collega Max Horkheimer chiamerà “la nostalgia del
Totalmente Altro”, suscitata in noi dall’ascolto della musica e dalla interpretazione
del suo messaggio che si esprime oltre la parola. «Gli chocs dell’incomprensibile,
che la tecnica artistica distribuisce nell’era della propria insensatezza, si rovesciano,
danno un senso ad un mondo privo di senso: e a tutto questo si sacrifica la musica
nuova. Essa ha preso su di sé tutte le tenebre e la colpa del mondo: tutta la sua felicità
sta nel riconoscere l’infelicità, tutta la sua bellezza sta nel sottrarsi all’apparenza del
bello. Nessuno vuole avere a che fare con lei, né i sistemi individuali né quelli
collettivi; essa risuona inascoltata, senza echi. Quando la musica è ascoltata,il tempo
le si rapprende intorno in un lucente cristallo. Ma non udita la musica precipita simile
a una sfera esiziale nel tempo vuoto. A questa esperienza tende spontaneamente la
musica nuova, esperienza che la musica meccanica compie ad ogni istante, l’assoluto
venirdimenticato» (Adorno, Filosofia della musica moderna ).
Ascoltare la musica significa allora farne rivivere il messaggio riaprendo, nell’epoca
della secolarizzazione, la nostalgia del Bello e dell’Assoluto.