IL METODO DELLA FILOSOFIA Le prefazioni alla Scienza della

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Georg Wilhelm Friedrich Hegel
IL METODO DELLA FILOSOFIA
Le prefazioni alla Scienza della logica
e alla Filosofia del diritto
Introduzione di
Girolamo Cotroneo
Traduzione e note di
Antonino Spinelli
Le Lettere
Georg Wilhelm Friedrich Hegel
IL METODO DELLA FILOSOFIA
Le prefazioni alla Scienza della logica
e alla Filosofia del diritto
Introduzione di
Girolamo Cotroneo
Traduzione e note di
Antonino Spinelli
Le Lettere
[Scienza della logica]
Prefazione alla seconda edizione
Mi sono accinto a questa nuova elaborazione della scienza della logica, di cui appare qui il primo volume, con la piena consapevolezza tanto della difficoltà dell’oggetto di per sé e quindi della sua
esposizione, quanto dell’incompiutezza che la trattazione reca in sé
nella prima edizione; e per quanto, dopo essermi ulteriormente occupato di questa scienza per diversi anni, mi sia sforzato di rimediare a quest’incompiutezza, sento tuttavia di aver sufficiente ragione di ricorrere all’indulgenza del lettore. Un titolo per tale ricorso può ben consistere, in primo luogo, nel fatto che per il contenuto si è trovato, nella metafisica e nella logica precedenti, per lo
più materiale di tipo esteriore. Per quanto tali scienze siano state
ampiamente e frequentemente praticate (l’ultima fino ai nostri giorni), la loro elaborazione non è giunta a toccare il lato speculativo;
piuttosto si è nel complesso riproposto lo stesso materiale, talvolta
diluendolo fino a ridurlo a triviale superficialità, talvolta ripescando la vecchia zavorra e trascinandosela dietro in tutta la sua mole,
di modo che da tali sforzi, spesso puramente meccanici, il contenuto filosofico non ha potuto trarre alcun vantaggio. Rappresentare il regno del pensiero in modo filosofico, vale a dire nella sua attività immanente, o, il che è lo stesso, nel suo sviluppo necessario,
dovette essere pertanto un’impresa nuova, da incominciarsi daccapo; quel materiale ereditato (le forme note del pensiero) va tuttavia
considerato come un’importantissima base, come una condizione
necessaria, come un presupposto da riconoscere con gratitudine,
se esso fornisce qua e là anche solo un filamento rinsecchito, o le os-
30
SCIENZA DELLA LOGICA
sa prive di vita di uno scheletro, per di più gettate alla rinfusa.
Le forme del pensiero sono innanzitutto esposte e conservate
nel linguaggio dell’uomo; e non si ripeterà mai abbastanza, ai nostri
giorni, che ciò che distingue l’uomo dall’animale è il pensiero. In
tutto ciò che, per l’uomo, diventa un che di interiore, una rappresentazione in generale, in ciò che egli fa suo, si è già insinuato il linguaggio, e ciò che egli trasforma in linguaggio ed esprime in esso,
contiene, in forma celata, mescolata o rifinita, una categoria; a tal
punto è naturale, per l’uomo, il logico, o meglio: il logico è la sua
stessa peculiare natura. Ma se si contrappone la natura in generale,
in quanto ciò che è fisico, allo spirituale, allora occorre piuttosto
dire che il logico è il sovrannaturale, che si insinua in ogni atteggiamento naturale dell’uomo: nel suo sentire, intuire, bramare, nei
suoi bisogni e nei suoi istinti, e così facendo rende in generale umani tali atteggiamenti, sia pure solo formalmente, trasformandoli in
rappresentazioni e scopi. È un vantaggio, per una lingua, possedere una ricchezza di espressioni logiche, peculiari e differenziate, per
indicare le determinazioni del pensiero; molte tra le preposizioni e
gli articoli fanno parte di tali espressioni fondate sul pensiero; pare
che la lingua cinese non sia giunta affatto, o solo in minima misura,
a un tale livello di sviluppo; ma tali particelle compaiono in funzione del tutto subordinata, con un’autonomia appena maggiore rispetto agli aumenti, ai segni flessivi e simili. Molto più importante
è che in una lingua le determinazioni concettuali emergano nella
veste di sostantivi e verbi, ottenendo così una forma oggettiva; in ciò
la lingua tedesca presenta molti vantaggi rispetto alle altre lingue
moderne: alcune delle sue parole hanno, inoltre, persino la caratteristica di possedere significati non solo diversi, ma opposti, tali da
rappresentare un segno inconfondibile dello spirito speculativo della lingua; può procurare gioia al pensiero imbattersi in tali parole,
e trovarsi dinanzi l’unione di opposti, che è il risultato della speculazione (ma è contraddittoria per l’intelletto), nell’ingenua forma
lessicale di una parola dai significati opposti. La filosofia non ha
perciò bisogno di alcuna terminologia specifica; non c’è dubbio che
taluni termini debbano essere mutuati da altre lingue: dove si tratta in modo eminente della cosa stessa, un purismo affettato sarebbe in massima misura fuori luogo. – Il progresso della cultura in ge-
PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE
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nerale e delle scienze in particolare, anche di quelle empiriche e
sensibili, in quanto si muovono in generale all’interno delle più comuni categorie (per esempio dell’intero e delle parti, della cosa e
delle sue proprietà et similia), porta gradualmente alla luce anche
rapporti di pensiero superiori, o per lo meno li pone in risalto elevandoli a un grado superiore di universalità e attirando così su di essi maggiore attenzione. Se per esempio nella fisica la determinazione concettuale della forza è divenuta dominante, in tempi più recenti ha assunto il ruolo più importante la categoria della polarità
(che peraltro viene fin troppo fatta entrare à tort et à travers in ogni
cosa, persino nella luce): essa è la determinazione di una differenza, nella quale i differenti sono uniti in modo indissolubile. Che in
questo modo si sia proceduto oltre la forma dell’astrazione, dell’identità, per mezzo della quale una determinatezza acquista indipendenza, per esempio come forza, e si sia posta in rilievo la forma
del determinare, della differenza che rimane al tempo stesso nell’identità in quanto inscindibile, e che questa sia divenuta una rappresentazione corrente: tutto ciò è un fatto di infinita importanza.
La considerazione della natura reca con sé, per via della realtà nella quale i suoi oggetti si trattengono, la tendenza inarrestabile a conferire fissità a quelle categorie che in essa non si possono più ignorare (sia anche in presenza della massima incoerenza con altre categorie, che vengono anch’esse lasciate sussistere) e a non permettere che si astragga dall’opposizione passando al generale, come accade più facilmente in ambito spirituale.
Ma se da una parte gli oggetti logici e le loro espressioni divengono in tal modo universalmente noti nel mondo della cultura,
d’altra parte, come ho detto altrove1, ciò che è noto non è per ciò
stesso conosciuto, e può persino destare insofferenza il doversi ancora occupare di ciò che è noto: e che cosa è più noto, appunto,
delle determinazioni concettuali di cui ci serviamo quotidianamente, e che ci escono di bocca con ogni frase che pronunciamo? Il
1
p. 18.
Cfr. G.W.F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, GW IX, p. 26, tr. it.
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SCIENZA DELLA LOGICA
compito della presente prefazione è di indicare, nei loro momenti
generali, il cammino che la conoscenza compie partendo da questo
noto e il rapporto tra il pensiero scientifico e questo pensiero naturale; essa, insieme al contenuto della precedente introduzione, sarà
sufficiente a fornire, nella misura richiesta a una trattazione premessa alla scienza stessa (che è l’oggetto vero e proprio), un’idea
generale del senso del conoscere logico.
In primo luogo è da considerarsi un immenso progresso il fatto che le forme del pensiero siano state liberate dalla materia in cui
si trovano immerse nell’intuire cosciente, nel rappresentare, così
come nel nostro bramare e volere, o meglio nel bramare e volere
rappresentanti (e non vi è bramare o volere umano senza rappresentazione); e che queste universalità siano state poste in risalto per
se stesse e, come avvenuto ad opera di Platone, ma soprattutto, successivamente, di Aristotele, siano state fatte oggetto di una trattazione a sé; ciò costituisce l’inizio della loro conoscenza. «Solo dopo che quasi tutto il necessario, e ciò che occorre alla comodità e al
commercio della vita, era presente», dice Aristotele, «sono iniziati
gli sforzi per la conoscenza filosofica»2. «In Egitto», si legge in un
passaggio precedente, «le scienze matematiche si sono costituite anticamente, poiché lì la casta sacerdotale è stata anticamente messa
nelle condizioni di aver tempo da dedicarvi»3. – Il bisogno di occuparsi dei pensieri puri presuppone invero che lo spirito umano
abbia percorso un lungo cammino, esso è – possiamo dire – il bisogno del già appagato bisogno necessitante, della mancanza di bisogni a cui lo spirito deve essere giunto, il bisogno di astrarre dalla
materia dell’intuire, dell’immaginare e così via, dalla materia degli
interessi concreti del desiderio, degli istinti, della volontà, materia
in cui sono avviluppate le determinazioni del pensiero. Nelle silenti stanze del pensiero che è giunto a se stesso ed è solo in se stesso,
tacciono gli interessi che mettono in moto la vita dei popoli e degli
individui. «Sotto tanti aspetti», dice Aristotele nello stesso contesto,
«la natura dell’uomo dipende da altro; ma questa scienza, che non
2
3
Cfr. Aristotele, Metafisica, A, 2, 982b 22-24.
Cfr. ivi, A, 1, 981b 23-25.
PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE
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viene cercata per alcunché di utile, è la sola libera in sé e per sé e
non sembra pertanto essere un possedimento dell’uomo»4. – La filosofia in generale ha a che fare, nei suoi pensieri, pur sempre con
oggetti concreti: Dio, la natura, lo spirito; la logica, invece, si occupa soltanto di tali pensieri presi per se stessi nella loro piena astrazione. Questa logica suole pertanto essere fatta oggetto di studio
innanzitutto dalla gioventù, la quale non ha ancora fatto ingresso
negli interessi della vita concreta, vive nell’ozio rispetto a essi, e solo in vista dei suoi scopi soggettivi ha da occuparsi della conquista
dei mezzi e della possibilità di divenire attiva negli oggetti di tali interessi, e di questi stessi si occupa ancora solo teoreticamente. Nel
novero di questi mezzi si fa rientrare, contrariamente alla menzionata concezione di Aristotele, la scienza logica: gli sforzi rivolti a
essa sono un lavoro preliminare, il suo luogo è la scuola, alla quale
soltanto deve far seguito la serietà della vita e l’attività rivolta ai veri obiettivi. Nella vita si passa all’uso delle categorie, esse vengono
degradate, dall’onore di essere considerate per se stesse, al servizio,
nell’attività spirituale rivolta alla vita, della creazione e della sostituzione delle rappresentazioni a essa riferite – in parte come abbreviazioni, in virtù della loro universalità (quale immensa mole di
singole unità di esistenza esteriore e di attività raccolgono, infatti, in
sé le rappresentazioni: battaglia, guerra, popolo, oppure: mare, animale, ecc.; e ancora nelle rappresentazioni: Dio, o amore ecc., quale immensa mole di rappresentazioni, attività, situazioni è compendiata nella semplicità di un tale rappresentare!) – in parte per determinare più precisamente e per trovare i rapporti oggettivi, anche
se il contenuto e lo scopo, la correttezza e la verità del pensiero che
vi si immischia vengono fatte dipendere in tutto da ciò che è presente, e non si attribuisce alle determinazioni concettuali, prese per
se stesse, alcuna efficacia nella determinazione del contenuto. Tale
uso delle categorie, che è stato denominato in precedenza «logica
naturale», è inconsapevole, e quando, nella riflessione scientifica
che si svolge sul piano dello spirito, si attribuisce alle categorie la
4
Cfr. ivi, A, 2, 982b 24-29.
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SCIENZA DELLA LOGICA
funzione di mezzo al servizio di altro, il pensiero in generale viene
subordinato alle altre determinazioni spirituali. Delle nostre sensazioni, istinti o interessi, non diciamo affatto che siano al nostro servizio, ma le consideriamo come forze e potenze indipendenti, di
modo tale che noi stessi siamo il sentire in questo determinato modo, il bramare o volere questa determinata cosa, il riporre in ciò i
nostri interessi. Ma al tempo stesso è più probabile che diveniamo
coscienti di essere al servizio dei nostri sentimenti, istinti, passioni
e interessi, o senz’altro di determinate abitudini, piuttosto che di
averli in nostro possesso, o ancor meno di averli, nella nostra intima unità con essi, al nostro servizio quali mezzi. Tali determinazioni dell’animo e dello spirito ci si mostrano subito come particolari
in opposizione all’universalità, della quale diveniamo coscienti come ciò in cui abbiamo la nostra libertà, mentre in tali particolarità
ci riteniamo piuttosto avvinghiati, dominati da esse. Ancor meno
possiamo quindi credere di avere al nostro servizio le forme del pensiero, che penetrano nella loro estensione ogni nostra rappresentazione (sia di tipo meramente teoretico, sia tale da contenere una
materia appartenente al genere della sensazione, dell’istinto, della
volontà), di averle in nostro possesso anziché di essere noi in loro
possesso; quale mezzo ci resta a disposizione contro di esse, come
possiamo noi, come posso io, elevarmi, in quanto più universale, al
di sopra di esse, che sono, esse stesse, l’universale in quanto tale?
Quando ci immergiamo in una sensazione, in uno scopo, in un interesse, e ci sentiamo in esso limitati o costretti, il luogo in cui abbiamo la possibilità di ripiegare, per emergere tornando alla libertà, è questo luogo della certezza di noi stessi, della pura astrazione,
del pensiero. O ancora, quando vogliamo parlare delle cose, chiamiamo la natura o l’essenza della cosa il suo concetto, e il concetto
è solo per il pensiero; dei concetti delle cose, però, diremo ancor
meno che li dominiamo, o che le determinazioni del pensiero, di
cui essi rappresentano un’unità complessa, siano al nostro servizio;
al contrario, il nostro pensiero deve limitare se stesso adattandosi a
tali determinazioni, e il nostro arbitrio, o volontà, non ha il diritto
di volerle piegare a sé. In quanto, dunque, il pensiero soggettivo è
il nostro agire più proprio e intimo, e il concetto oggettivo delle cose costituisce l’oggetto in sé, non possiamo stare al di fuori di tale
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agire, o al di sopra di esso, né possiamo, parimenti, andare oltre la
natura delle cose. Da quest’ultima determinazione possiamo tuttavia prescindere; essa coincide con la prima, in quanto da essa risulterebbe una relazione tra i nostri pensieri e la cosa, una relazione però vuota, poiché la cosa verrebbe in tal modo posta come regola
per i nostri concetti, ma la cosa non può appunto essere altro, per
noi, che i nostri concetti di essa. Quando la filosofia critica concepisce il rapporto tra questi tre termini ponendo i pensieri a metà tra
noi e le cose, nel senso che questa metà ci escluda dalle cose piuttosto che collegarci a esse, allora occorre contrapporre a questa concezione la semplice considerazione che proprio questi oggetti, che
dovrebbero trovarsi al capo opposto, al di là di noi e dei pensieri a
essi riferiti, sono essi stessi oggetti fatti di pensiero, e, in quanto
completamente indeterminati, sono un solo oggetto fatto di pensiero (la cosiddetta cosa-in-sé), frutto della vuota astrazione.
Ciò può bastare per quanto riguarda il punto di vista a partire
dal quale svanisce la concezione che considera le determinazioni
del pensiero solo come qualcosa di cui ci si serve come mezzo; più
importante di tale concezione è quella, a essa connessa, in base alla quale si suole considerare le determinazioni del pensiero come
forme esteriori. – L’attività del pensiero che impregna tutte le nostre
rappresentazioni, i nostri scopi, interessi e azioni (la logica naturale) opera, come già detto, inconsapevolmente; ciò che la nostra coscienza ha innanzi a sé è il contenuto, sono gli oggetti delle rappresentazioni, è ciò che costituisce la materia dell’interesse; le determinazioni del pensiero vengono considerate, in base a questo rapporto, come forme accostate al contenuto, le quali forme non sono
il contenuto stesso. Se però le cose stanno come menzionato in precedenza, e come peraltro si concede in generale, se cioè la natura,
l’essenza peculiare, ciò che nella molteplicità e nella contingenza
dell’apparire e della manifestazione transeunte veramente permane
come sostanziale, se ciò è il concetto della cosa, l’universale nella cosa stessa, (così come, infatti, ogni individuo umano ha un infinitamente peculiare, il prius della sua peculiarità in sé, nell’essere uomo,
come anche ogni singolo animale ha il suo prius nell’essere animale); ebbene, se le cose stanno così, è impossibile dire che cosa, una
volta tolta questa base, resterebbe di un tale individuo, che pure è
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SCIENZA DELLA LOGICA
munito di così tanti altri predicati (ammesso che tale base possa essere definita, come quelli, un predicato). La base imprescindibile,
il concetto, l’universale che è il pensiero stesso (se solo si è capaci,
nella parola «pensiero», di astrarre dalla rappresentazione) non può
essere considerato solo come una forma indifferente, accostata ad
un contenuto. Ma questi pensieri di ogni cosa naturale e spirituale,
il contenuto sostanziale, sono tali da contenere molteplici determinazioni e da mantenere in sé la differenza tra un’anima e un corpo,
tra il concetto e una sua realtà relativa; la base più profonda è l’anima di per sé, il concetto puro, che è l’intimità degli oggetti, il loro
semplice palpito vitale, così come l’intimità e il palpito vitale del
pensiero soggettivo di essi. Portare alla coscienza questa natura logica, che anima lo spirito, e che in esso agisce e opera: questo è il
compito. L’agire istintivo si distingue in generale dall’agire intelligente e libero per il fatto che quest’ultimo avviene con coscienza:
quando il contenuto di chi opera viene sottratto all’unità immediata con il soggetto e portato a oggettività di fronte a esso, ha inizio
la libertà dello spirito, di quello spirito che, nell’operare istintivo
del pensiero, avviluppato nelle fasce delle sue categorie, è frantumato in una materia infinitamente varia. In questa rete si formano
qua e là nodi più saldi, che sono i punti di sostegno e di riferimento della sua vita e della sua coscienza: essi ricavano la loro saldezza
dall’essere concetti della sua essenza, portati dinanzi alla sua coscienza ed essenti in sé e per sé. Il punto più importante per la natura dello spirito è il rapporto non solo di ciò che esso è in sé con
ciò che esso è realmente, ma anche di ciò in quanto cui esso si sa; essendo essenzialmente coscienza, questo sapersi è una determinazione fondamentale della sua realtà. Purificare queste categorie, che
operano solo ciecamente, nella forma di istinti, e sono state dapprima portate a coscienza dello spirito solo isolatamente, e pertanto in modo mutevole e confuso, procurando allo spirito un’esistenza isolata e incerta; e per mezzo di tale purificazione elevare in esse lo spirito alla libertà e alla verità: questo è dunque il compito superiore della logica.
Ciò che abbiamo menzionato come l’inizio di quella scienza (e
il cui alto valore in sé è stato al tempo stesso riconosciuto, in precedenza, come condizione per una vera conoscenza), vale a dire la
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trattazione dei concetti e dei momenti del concetto in generale, delle determinazioni concettuali innanzitutto come forme distinte dalla materia e solo accostate a essa, ciò si manifesta subito in se stesso come un procedimento inadeguato alla verità che viene indicata
come oggetto e scopo della logica. Giacché, assumendole in tal modo come mere forme distinte dal contenuto, le si considera in quanto collocate in una determinazione che imprime loro il marchio della finitezza, rendendole incapaci di afferrare la verità, che è in sé infinita. Se anche, in altre circostanze, il vero, sotto qualchessia aspetto, si accompagna con la limitazione e con la finitezza, si tratta del
lato della sua negazione, della sua non-verità e della sua irrealtà,
della sua fine, e non della sua affermazione, che è esso in quanto
vero. Contro l’aridità delle categorie meramente formali, l’istinto
della sana ragione si è sentito infine abbastanza rinvigorito da cedere con disprezzo il compito della loro conoscenza al campo di
una logica e di una metafisica scolastiche, disprezzando al tempo
stesso il valore che la coscienza di tali fili possiede in sé, e ignaro di
esser divenuto, nell’agire istintivo della logica naturale, e ancor più
nel rifiuto, accompagnato da maggiore consapevolezza, di conoscere e di riconoscere le stesse determinazioni del pensiero, un prigioniero al servizio del pensiero non purificato e quindi non libero.
La semplice determinazione fondamentale, o la determinazione formale comune all’insieme di tali forme, è l’identità, che, nella logica
propria di tale insieme, viene affermata in quanto legge (A=A), in
quanto principio di contraddizione. La sana ragione ha perduto a
tal punto il rispetto nei confronti della scuola, nella quale sono custodite e tuttora praticate tali leggi della verità, da prendersene gioco, e da ritenere insopportabile un uomo che sappia dire veracemente, secondo tali leggi, che la pianta è – una pianta, che la scienza è – la scienza, e così via all’infinito. Anche riguardo a quelle formule che costituiscono le regole del sillogismo (che è in verità uno
dei principali usi dell’intelletto), si è affermata – per quanto sia ingiusto misconoscere che tali formule hanno un proprio campo nella conoscenza, all’interno del quale devono avere validità, e che rappresentano una materia essenziale per il pensiero della ragione – la
coscienza, altrettanto giusta, che esse sono, almeno in egual misura, mezzi indifferenti dell’errore e della sofisticheria, e che, al di là
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SCIENZA DELLA LOGICA
di come si possa altrimenti definire la verità, esse sono inservibili
per la verità superiore, per esempio per la verità religiosa; – che esse riguardano in generale solo una forma di correttezza delle conoscenze, ma non la verità.
L’incompletezza di questo modo di considerare il pensiero, che
mette da parte la verità, può essere superata solo assumendo nella
considerazione pensante non solo ciò che si suole annoverare sotto
la forma esteriore, ma anche il contenuto. È presto evidente da sé
che ciò che la prima, grossolana riflessione separa dalla forma come contenuto non può, in realtà, essere in sé privo di forma e di
determinazione; in tal modo sarebbe una mera vacuità, come l’astrazione della cosa-in-sé, – esso ha invece, piuttosto, in se stesso la sua
forma, e solo in virtù di essa possiede un’anima e una sostanza; questa stessa forma è ciò che si ribalta nella mera parvenza di un contenuto, come anche nella parvenza di un che di esteriore rispetto a
tale parvenza. Con questa assunzione del contenuto nella considerazione logica, non divengono oggetto di essa le singole cose, ma la
cosa stessa, il concetto delle cose. A questo punto si può però anche
richiamare il fatto che si danno una moltitudine di concetti, una
moltitudine di cose stesse. Il limite di questa moltitudine è stato in
parte indicato in precedenza nel fatto che il concetto, in quanto
pensiero in generale, in quanto universale, è l’incommensurabile
abbreviazione rispetto alla singolarità delle cose, le quali fluttuano
nella loro moltitudine di fronte all’intuire e al rappresentare indeterminati; d’altra parte un concetto è al tempo stesso, in primo luogo, il concetto presso di sé, e questo è soltanto uno, ed è la base sostanziale; di fronte a un altro concetto, tuttavia, esso è senz’altro un
concetto determinato, la quale determinazione è ciò che in esso appare come contenuto; la determinazione del concetto è però una
determinazione formale di questa unità sostanziale, un momento
della forma in quanto totalità, un momento del concetto stesso, che
è la base dei concetti determinati. Esso non è oggetto di intuizione
sensibile o di rappresentazione, ma soltanto oggetto, prodotto e
contenuto del pensiero, la cosa stessa essente in sé e per sé, il logos,
la ragione di ciò che è, la verità di ciò che porta il nome delle cose;
e il logos è ciò che in nessun caso può essere lasciato fuori dalla
scienza logica: non lo si può tirar dentro nella scienza o escluderlo
PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE
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da essa semplicemente a piacimento. Se le determinazioni del pensiero, le quali non sono che forme esteriori, vengono considerate
veracemente di per se stesse, non può che emergere da un lato la loro finitezza e la non-verità del loro dover-essere-solo-per-sé, e dall’altro lato il concetto in quanto loro verità. Pertanto la scienza logica, in quanto tratta le determinazioni del pensiero che in generale attraversano il nostro spirito istintivamente e inconsapevolmente e che, anche quando entrano nel linguaggio, restano inosservate
e non oggettivate, sarà anche una ricostruzione di quelle determinazioni che la riflessione pone in rilievo e fissa alla materia e al contenuto come forme soggettive esteriori.
L’esposizione di nessun oggetto sarebbe in sé e per sé tanto capace di rigore, di completa immanenza e plasticità, quanto l’esposizione dello svolgimento del pensiero nella sua necessità; nessun
oggetto recherebbe con sé tale esigenza in egual misura; la sua scienza dovrebbe superare in ciò persino la matematica, giacché nessun
oggetto ha in se stesso lo stesso grado di libertà e di indipendenza.
Una tale esposizione esigerebbe, come, a suo modo, avviene nel
procedere della dimostrazione matematica, che in nessuno stadio
dello sviluppo appaia una determinazione del pensiero o una riflessione che non risulti immediatamente in tale stadio e non sia stata assunta in esso dagli stadi precedenti. Tuttavia occorre in generale rinunciare a una tale rappresentazione astrattamente perfetta;
già per il solo fatto che la scienza deve incominciare con il puramente semplice, e quindi con il più generale e vuoto, sarebbero consentite nell’esposizione solo, appunto, tali espressioni (esse stesse
assolutamente semplici) del semplice, senza la possibilità di aggiungervi nessun’altra parola; – la cosa stessa consentirebbe solo riflessioni neganti, tese a respingere e ad allontanare ciò che altrimenti la rappresentazione o un pensare privo di regole vi potrebbero immischiare. Tali osservazioni spontanee, che irrompono nel
semplice e immanente procedere dello svolgimento, sono tuttavia di
per sé accidentali, e il tentativo di respingerle sarà dunque esso stesso affetto da tale accidentalità; in ogni caso sarebbe vano voler affrontare tutte le irruzioni di tal genere, proprio perché esse si trovano al di fuori della cosa stessa: ciò che si pretenderebbe per appagare il bisogno sistematico sarebbe, quindi, quantomeno un che
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SCIENZA DELLA LOGICA
di incompleto. Ma l’irrequietezza e la dispersione proprie della nostra coscienza moderna non consentono di non tenere più o meno
in considerazione le riflessioni e le considerazioni più prevedibili.
Un’esposizione plastica richiede inoltre un senso ricettivo e una capacità di comprensione plastici; ma tali plastici giovani e adulti quali li ha dipinti Platone, che mettono a tacere con tale quiete le proprie riflessioni e considerazioni, nelle quali il pensiero autonomo è
impaziente di mostrare se stesso, tali ascoltatori che seguono solamente la cosa stessa, non troverebbero collocazione in un dialogo
moderno; men che meno è lecito aspettarsi lettori di tal genere. Al
contrario mi si son mostrati fin troppo spesso e con fin troppa veemenza avversari che non erano in grado di riflettere sul semplice
fatto che le loro spontanee obiezioni contenessero categorie che costituiscono dei presupposti, e necessitano esse stesse di una critica,
prima di essere utilizzate. La mancanza di consapevolezza si spinge, a tal riguardo, ben oltre le aspettative: essa cade nel malinteso
fondamentale, nella pessima, cioè ignorante abitudine di pensare,
mentre si prende in considerazione una determinata categoria, a
qualcos’altro rispetto alla categoria stessa. Tale mancanza di consapevolezza è tanto più ingiustificabile, in quanto questo altro sono altre determinazioni del pensiero e altri concetti: categorie che, in un
sistema della logica, devono aver trovato allo stesso modo la propria
collocazione, nella quale saranno poi fatte oggetto di una trattazione a sé. Ciò si mostra nella maniera più eclatante nella maggior parte delle obiezioni e degli attacchi ai primi concetti o proposizioni
della logica, contro l’essere, contro il nulla e contro il divenire, il
quale, pur essendo esso stesso una determinazione semplice, contiene incontestabilmente – l’analisi più elementare lo dimostra – le
prime due determinazioni come propri momenti. L’accuratezza
sembra esigere che si indaghi, prima di ogni altra cosa, l’inizio, in
quanto fondamento su cui tutto è costruito, e che non si proceda oltre finché esso non si sia mostrato solido, o, in caso contrario, qualora ciò non accada, che si respinga tutto ciò che segue. Questa accuratezza presenta al tempo stesso il vantaggio di procurare il massimo sollievo all’attività del pensiero: essa ha davanti a sé l’intero
svolgimento racchiuso in questo seme, e ritiene di aver fatto tutto,
una volta concluso il suo lavoro con il seme (un lavoro che è il più
PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE
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facile da sbrigare, in quanto tale seme è il più semplice, essendo il
semplice stesso); è la scarsezza della fatica richiesta, ciò con cui essenzialmente si presenta e raccomanda se stessa tale compiaciuta
accuratezza. Questo limitarsi al semplice lascia libero gioco all’arbitrio del pensiero che per sé non vuole restare semplice, ma mette in campo le proprie riflessioni a riguardo. Con la buona ragione
di occuparsi dapprima solo del principio, e quindi di non consentire che si passi al resto, tale accuratezza, nel suo agire, fa l’opposto:
essa tira dentro, piuttosto, il resto, cioè categorie diverse dal solo
principio: altri presupposti e pregiudizi. Tali presupposti – che l’infinità sia diversa dalla finitezza, il contenuto un’altra cosa rispetto
alla forma, l’interno altro che l’esterno, che la mediazione, al pari,
non sia l’immediatezza – vengono al tempo stesso addotti (come se
non lo si sapesse) a mo’ di insegnamenti, esposti come un racconto
e asseriti senza alcuna dimostrazione. In tale atteggiamento che dispensa insegnamenti risiede – non la si può definire altrimenti – una
forma di stupidità; sul piano della cosa si tratta però in parte dell’illegittima presupposizione e della semplice accettazione di tali distinzioni, e in parte, ancor più, dell’ignoranza riguardo al fatto che
è proprio questa l’esigenza e il compito del pensiero logico: indagare se effettivamente un tale finito sia qualcosa di vero senza l’infinità, e allo stesso modo se una tale astratta infinità, o ancora un
contenuto privo di forma e una forma priva di contenuto, un siffatto
interno preso per sé, senza alcuna esternazione, un’esteriorità senza interiorità, ecc. – se tutto ciò sia qualcosa di vero, o, parimenti,
qualcosa di reale. Ma questa educazione e questa disciplina del pensiero, per mezzo delle quali si può indurre il pensiero stesso a comportarsi in modo plastico e a superare l’impazienza della riflessione irrompente, possono essere raggiunte solo procedendo oltre,
cioè attraverso lo studio e la produzione dell’intero svolgimento.
A proposito del modo di esporre platonico, a chi lavora in epoca moderna alla realizzazione di un proprio autonomo edificio di
scienza filosofica si può richiamare alla mente il racconto secondo
cui Platone rielaborò sette volte i suoi libri sulla Repubblica. Tale richiamo, tale paragone (nella misura in cui il richiamo sembra implicare un paragone) può soltanto spingere ancor più verso il desiderio che per un’opera che, in quanto appartenente al mondo mo-
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SCIENZA DELLA LOGICA
derno, ha davanti a sé un principio più profondo, un oggetto più
difficile e un materiale più vasto da elaborare, sia concesso il tempo necessario a rielaborarla settantasette volte. Tuttavia l’autore,
confrontando l’opera con la dimensione del compito, ha dovuto
contentarsi di ciò che è potuto venir fuori in uno stato di necessità
esteriore, di inevitabile dispersione dovuta alla mole e alla varietà
degli interessi del tempo, dovendo far fronte persino al dubbio se
il chiassoso fragore del giorno e la chiacchiera ammaliante della supponenza, che si compiace di limitarsi in tale fragore, lasci ancora
spazio sufficiente perché si possa prender parte alla quiete priva di
turbamento della conoscenza soltanto pensante.
Berlino, 7 novembre 1831
Indice
Introduzione di Girolamo Cotroneo . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Premessa del traduttore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Scienza della logica: prefazione alla prima edizione
(1812) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 23
Scienza della logica: prefazione alla seconda edizione
(1831) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 29
Lineamenti di filosofia del diritto: prefazione
(1820) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 43
Nota del traduttore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
» 59
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