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Le preoccupazioni di Benedetto XVI e la Dottrina sociale della Chiesa".
Stefano Fontana
Conferencia pronunciada en la Escuela de Doctrina Social de la Iglesia de la
Diócesis de Massa Marittima-Piombino (Italia).
Massa Marittima, 16 de marzo de 2012
Fuente: Observatorio Internacional Cardenal Van Thuân
Gli accenti preoccupati di Benedetto XVI
Le grandi difficoltà che la Chiesa incontra nella nostra epoca trovano eco sofferta
nelle riflessioni di Benedetto XVI, che meritano da parte nostra una seria
attenzione.
Per dare il senso della acutezza delle preoccupazioni dell’attuale Pontefice proporrò
un confronto. In occasione dell’apertura del Concilio Vaticano II, l’11 ottobre 1962,
Giovanni XXIII disse tra l’altro: «Illuminata dalla luce di questo Concilio, la Chiesa si
accrescerà, come speriamo, di ricchezze spirituali e, attingendo al vigore di nuove
energie, guarderà con sicurezza ai tempi futuri. Infatti, introducendo opportuni
emendamenti ed avviando saggiamente un impegno di reciproco aiuto, la Chiesa
otterrà che gli uomini, le famiglie, le nazioni, volgano davvero le menti alle realtà
soprannaturali»[1].
Certamente queste affermazioni vanno viste non come valutazioni storiche o
semplici auspici personali, bensì come visioni guidate dalla speranza cristiana. Non
si può pensare, però, che la speranza cristiana sia assente dalle considerazioni di
Benedetto XVI che appaiono di segno molto diverso.
La più impressionante di queste affermazioni è espressa nella Lettera a tutti i
Vescovi del mondo del 10 marzo 2009: «Nel nostro tempo in cui in vaste zone della
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terra la fede è nel pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più
nutrimento, la priorità che sta al di sopra di tutte è di rendere Dio presente in
questo mondo e di aprire agli uomini l’accesso a Dio (…). Il vero problema in questo
nostro momento della storia è che Dio sparisce dall’orizzonte degli uomini e che con
lo spegnersi della luce proveniente da Dio l’umanità viene colta dalla mancanza di
orientamento, i cui effetti distruttivi si manifestano sempre di più»[2].
Tra queste due affermazioni stanno cinquant’anni della nostra storia cristiana. La
realistica preoccupazione di Benedetto XVI evidenzia che la modernità ha
sprigionato forze negative ben oltre gli umani timori e, corrodendo i fondamenti
soprannaturali della vita cristiana, ha anche corrotto l’umano, compresa la
possibilità di dare un senso alle relazioni sociali.
Oggi la Chiesa si trova davanti a questa enorme, inedita, urgenza: la ricostruzione
dell’umano a partire dalla riproposta di Dio. Perché “inedita” questa urgenza?
Perché mai era capitato prima che la cultura umana si costruisse contro la
religione[3] e mai era capitato che la religione non potesse rivolgersi ad una natura
umana capace di accoglierla. Nei confronti del paganesimo i primi cristiani
sapevano di poter contare sull’esistenza della natura umana, che a loro modo
anche i filosofi pagani avevano espresso e valorizzato. Oggi, mentre si spegne la
fede sparisce anche l’umano dell’uomo[4], come ci attestano i segnali negativi
assolutamente inequivocabili che ci vengono dal fronte della vita, della
procreazione, della famiglia.
Il cambiamento di prospettiva è notevolissimo. La fede si innestava sulla natura
umana, che era come un suo “preambolo”. La fede, ragionevole, si innestava sulla
ragione, considerata la voce della natura umana e poteva poggiare, nella varietà
delle culture, sull’unità di un identico essere umano[5] . Ma ora, quando la natura
umana viene contestata nella sua stessa possibilità di esserci, spetta alla fede
stessa risvegliarla e ricostruirla[6]. La natura umana non potrà riscoprirsi da sola, la
ragione umana non potrà riprendere vigore da sola[7]. Ci troviamo oggi di fronte ad
una conseguenza particolarmente acuta del peccato delle origini[8]: la superbia
spinge a negare di avere una natura, di essere qualcosa o qualcuno, pur di
staccarsi dal Creatore.
Questa nuova prospettiva muta considerevolmente il nostro riferimento alla
Dottrina sociale della Chiesa ed obbliga ad approfondirne le relazioni con la fede,
con la totalità della vita cristiana nonché con l’insieme della dottrina cattolica.
Riferimenti alla Dottrina sociale della Chiesa che non abbiano come scopo primario
riaprire un posto a Dio nel mondo. Una proposta della Dottrina sociale della Chiesa
fondata sulla centralità della persona e il bene comune non è più sufficiente – la
stessa espressione “centralità della persona” rischia l’equivocità -, perché persona
e bene comune non sono più due concetti che possano essere presupposti, essi
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vanno ricostituiti nel mentre si annuncia il messaggio cristiano nella sua totalità. La
consapevolezza della propria umanità naturale non è più tale da potersi
rispecchiare in Cristo né capace di vedere in Lui il compimento della propria verità.
L’annuncio deve includere la dimensione naturale dell’uomo mentre si annuncia la
sua origine e il suo destino soprannaturale[9].
Credo che Benedetto XVI voglia dire questo quando ci indica la strada della
“anamnesi”[10] che la fede deve attivare nei confronti della dimensione razionale e
naturale della persona umana. L’incontro con Cristo mette in moto il ricordo e
permette il recupero della dimensione naturale di cui ci si era scordati. Un tempo ci
si fondava sulle domande che naturalmente l’uomo si pone circa il suo destino
ultimo per innestarvi il discorso religioso. Ora sembra che queste domande siano
sempre più rare, che l’indifferenza prevalga e che non sia più naturale per l’uomo
porsi il problema di Dio, ma piuttosto il contrario. La “risposta” cristiana ha il
compito di risvegliare queste stesse domande, su cui invece una volta si poteva far
leva. L’anamnesi riguarda anche questo: risvegliare nell’uomo l’attitudine naturale
a domandare, nel mentre lo si pone davanti alla grande risposta di Cristo[11].
Lo sguardo sulla legge naturale
E’ sorprendente e già di per sé significativo che Benedetto XVI continui ad insistere
sulla legge morale naturale in una cultura che rifiuta il concetto stesso di natura.
Egli ne parla partendo dalla razionalità del creato e dalla constatazione che non
siamo frutto del caso o del determinismo. E’ il grande e classico tema ratzingeriano
della razionalità della realtà e della razionalità della fede. La legge morale naturale,
egli dice, è come la lingua che esprime la realtà[12].
Implicitamente sono qui posti due rilevantissimi problemi: quello della conoscenza
metafisica in primo luogo e quello dell’unità del sapere in secondo luogo.
Vedere la realtà come un insieme di forme piuttosto che come una successione di
fenomeni deterministici significa assumere uno sguardo metafisico. La fede
cristiana non può stare senza metafisica, non fosse altro perché, come ricordava
Gilson, senza metafisica il mondo non può risultare come contingente[13]. Lo
sguardo metafisico comporta che l’uomo non sia mai completamente immerso
dentro la domanda che egli si fa. Come sappiamo, invece, le tre modalità principali
in cui si è sviluppato il pensiero moderno, ossia lo storicismo, il positivismo e
l’esistenzialismo, sostengono da punti di vista diversi che l’uomo fa parte del
contesto sul quale si interroga e quindi non può accedere ad una verità avente
carattere di assoluta novità. L’irruzione del vero non è possibile. C’è come un apriori che ci condiziona sia nel nostro domandare sia nel nostro trovare risposte alle
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nostre domande. Siamo contestualizzati per natura e siamo costruttivisti per
destino. Lo slancio metafisico, invece, è proprio la possibilità della ragione umana
di essere liberata dal contesto, accedendo ad una verità non prodotta e
indisponibile. La verità, allora, come dice Benedetto XVI nella Caritas in veritate, è
un dono[14]. La legge morale naturale sparisce perché sparisce lo sguardo
metafisico sulla realtà. Questa della metafisica è una grande preoccupazione di
Benedetto XVI.
Ad essa è collegato il tema dell’unità del sapere, uno degli argomenti, e non il meno
importante, della famosa lezione di Regensburg: l’università ha perso l’unità del
sapere e, quindi, non è più una università. Il tema aveva trovato una notevole
espressione in un’opera del Cardinale Newman[15]. Non si circoscrive però alla
università, ma riguarda la conoscenza in generale e la sapienza in particolare. Lo
sguardo metafisico, di cui abbiamo parlato, richiede uno sguardo secondo il tutto, e
questo sguardo secondo il tutto fonda l’unità del sapere. Senza metafisica non c’è
unità del sapere. La legge morale naturale sparisce non solo perché manca lo
slancio metafisico del pensiero e non riusciamo più a vedere la dimensione non
empirica della realtà, ma anche perché, in assenza dell’unità del sapere, la realtà
non ci si mostra come un tutto. Non ci fa, quindi, nessun discorso perché il
discorso, per essere tale, deve essere sensato e il senso non appartiene mai alle
parti ma al tutto. Capita così che la realtà rimanga muta, mentre invece la legge
morale naturale, come abbiamo visto sopra, è la lingua con cui la realtà si esprime.
La questione di fondo, a questo proposito, è se la visione della realtà come un tutto
che ci parla sia recuperabile da parte della sola ragione naturale o no. Come si
vede, è la stessa questione di cui ci siamo occupati sopra a proposito della capacità
della natura di riprendersi da se stessa. Potremmo anche porre la questione così: il
venir meno della ragione metafisica ha certamente causato la secolarizzazione del
cristianesimo in quanto l’accesso al trascendente è possibile concettualmente solo
tramite la metafisica. Però è vero anche il contrario, ossia che la secolarizzazione
della fede ha permesso un ripiegamento della ragione metafisica e una rinuncia al
suo slancio. Siamo così di fronte ad una situazione nuova: dovrà essere la fede
cristiana a porsi come obiettivo di rilanciare la ragione metafisica e l’unità del
sapere. La ragione naturale da sola non ce la farà, è troppo annichilita. Spetta ai
pensatori cristiani farlo e per questo motivo è tanto più desolante constatare lo
scarso impegno in questo senso delle università cattoliche.
Per la Dottrina sociale della Chiesa ne derivano conseguenze molto importanti. La
secolarizzazione del cristianesimo ha comportato la sostituzione della metafisica
con le scienze sociali. Il riferimento esclusivo alle scienze sociali ha comportato la
secolarizzazione della Dottrina sociale della Chiesa. Molti temi della Dottrina sociale
- persona, famiglia, bene comune, sviluppo - possono venire compresi solo con uno
spessore metafisico che ne amplia il significato anche in senso trascendente, ed è
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giocoforza che vengano privati del loro spessore se staccati da questa loro
dimensione. Spesso la Dottrina sociale della Chiesa viene intesa come uno
strumento con cui inseguire la fenomenologia sociale e partecipare al dibattito del
mondo e non si comprende a sufficienza come dietro scelte operative
apparentemente condivisibili si nascondano visioni metafisiche non accettabili dalla
fede cattolica. Se le rivendicazioni ecologiste, quelle per l’emancipazione femminile,
la lotta contro l’Aids vengono staccate da una corretta visione metafisica diventano
ideologiche. Ho fatto tre esempi nei quali si riscontrano gli equivoci e gli errori della
confusione dovuta alla perdita dell’approccio metafisico ai problemi della cultura
cattolica.
Le due preoccupazioni di Benedetto XVI che ho evidenziato convergono nel dire che
è solo la fede cristiana ad avere la possibilità di risvegliare quanto in altri tempi era
in qualche modo garantito e che oggi non lo è più. La nuova evangelizzazione deve
senz’altro tenere conto di questa enorme novità di contesto, anche nel dialogo con i
non credenti e nelle iniziative del cosiddetto Cortile dei Gentili.
La religiosità del positivismo
Quando l’ambito delle questioni mondane, che solitamente vengono affidare alla
ragione, si staccano da Dio per conseguire la propria autonomia si pongono non già
in un ambito di neutralità rispetto a Dio, ma in un ambito di opposizione a Dio[16].
In altri termini, lo staccarsi da Dio di ambiti di vita umana comporta che essi si
costruiscano senza Dio e costruirsi senza Dio significa costruirsi contro Dio. Infatti,
se la logica della costruzione non è in qualche modo riconducibile a Dio, pur nella
sua legittima autonomia di metodi e linguaggio, essa di fatto espunge da sé la
prospettiva di Dio e si costruisce come se Dio non fosse, che non è un modo neutro
di costruirsi, ma un modo di costruirsi senza Dio.
Benedetto XVI ripete spesso questo concetto. Lo ha fatto per esempio a Sidney, alla
Giornata mondiale della Gioventù, il 17 luglio 2008, quando ha detto: «Vi sono
molti, oggi, i quali pretendono che Dio debba essere lasciato “in panchina” e che la
religione e la fede, per quanto accettabili sul piano individuale, debbano essere o
escluse dalla vita pubblica o utilizzate solo per perseguire limitati scopi pragmatici.
Questa visione secolarizzata tenta di spiegare la vita umana e di plasmare la
società con pochi riferimenti o con nessun riferimento al Creatore. Si presenta
come una forza neutrale, imparziale e rispettosa di ciascuno. In realtà, come ogni
ideologia, il secolarismo impone una visione globale. Se Dio è irrilevante nella vita
pubblica, allora la società potrà essere plasmata secondo un’immagine priva di Dio.
Ma quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale,
lo scopo e il “bene” comincia a svanire».
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Nell’epoca moderna, come abbiamo visto precedentemente, per la prima volta una
cultura ha preteso di scindere i propri rapporti con la religione. Così facendo, però,
si è posta non su un piano di neutralità, ma su un piano di concreto antagonismo,
perché senza il riferimento a Dio la società viene plasmata contro lo stesso ordine
naturale e la capacità della ragione di cogliere il vero e il bene, la capacità che
abbiamo chiamato metafisica, comincia a svanire. L’ordine etico naturale è sì
autonomo da quello ecclesiastico, ma non lo è da quello religioso. La politica è
direttamente connessa con l’ordine etico naturale, ma indirettamente lo è anche
con l’ordine religioso. Questo perché l’ordine etico naturale ha la capacità di essere
autonomo ma non di autofondarsi né di reggersi.
Questo discorso trova conferma su un altro piano degli insegnamenti di Benedetto
XVI. Egli afferma che quando la ragione umana si stacca dal suo rapporto vitale con
la fede diventa positivismo[17]. Con la parola positivismo egli indica una ragione
che si limita a constatare l’empirico. Si tratta di una ragione neutra? Assolutamente
no, in quanto essa elimina lo spirituale e quindi esprime una filosofia materialista.
Quando la ragione sceglie di limitarsi all’empirico, non per ciò essa può dirsi
empirica, ma deve dirsi una ragione materialista. Ora, il materialismo non è una
filosofia neutra, ma una filosofia con una sua assolutezza, però contraria a Dio.
Quasi una religiosità antireligiosa. Quando la ragione moderna rifiuta Dio come
assoluto, non è che si collochi in una situazione neutra da assoluti, ma fa di questa
sua posizione un nuovo assoluto[18].
Per questi stessi motivi non si può pensare al mondo come ambito neutro rispetto
alla religione e alla fede. Il mondo ha sì una sua autonomia ma non è capace di
autofondare il proprio senso né di autosalvarsi.
Le conseguenze per la Dottrina sociale della Chiesa di queste preoccupazioni del
Papa sono ancora una volta di enorme rilevanza. La Dottrina sociale della Chiesa è,
come si sa, l’interfaccia della Chiesa con il mondo, con l’ordine naturale. L’ordine
naturale non può muoversi solo secondo se stesso senza annichilirsi. L’ordine civile
non può fare a meno dell’influsso del cristianesimo. Man mano che questo influsso
viene meno si verifica anche l’allontanamento dall’ordine naturale. Il mondo non
può essere libero se non accettando il rapporto necessario e non semplicemente
utile con il cristianesimo[19]. Senza la luce della fede non è possibile che la ragione
ragioni.
Cenni conclusivi
Ho proposto in queste pagine un problema che mi sembra centrale nella vita della
Chiesa oggi e nelle preoccupazioni del Papa. In una società postnaturale, nella
quale la persona umana è denaturalizzata e riplasmata artificialmente ed
astrattamente, la proposta cristiana non può più presupporre un tessuto umano a
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cui fare il proprio annuncio. Il naturale e il soprannaturale non possono più –
ammesso che lo fossero prima – essere visti come “successivi”. La nuova
situazione mette a nudo l’impossibilità che l’ordine naturale permanga nel venire
meno della fede cristiana e quindi la necessità che esso venga ricostituito a partire
dalla fede cristiana. Occorre ricentrarsi sul primato di Dio nella costruzione
dell’ordine civile. Questa situazione pone a coloro che si occupano di Dottrina
sociale della Chiesa un compito nuovo e radicale, che finora, quando ancora si
facevano sentire, seppure illanguidite, le conseguenze del precedente ordine
naturale e cristiano, non era emerso nella sua inequivocabile pressione. Questo
nuovo compito consiste nel non ridursi a presentare la Dottrina sociale della Chiesa
come incentrata sull’uomo e sul suo benessere terreno, ma viverla incentrata,
come essa è se viene depurata dalle troppe letture orizzontali, su Dio e sulla sua
gloria, perché solo tornando alla centralità di Dio anche per la costruzione della
città terrena sarà possibile cercare di restaurare l’ordine naturale della convivenza
umana e rimarginare una umanità negata nella sua stessa essenza.
[1] Discorso del Sommo Pontefice Giovanni XXIII per la solenne apertura del SS.
Concilio, in Concilio Vaticano II, Costituzioni, Decreti, Dichiarazioni, Testo ufficiale e
traduzione italiana, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998, pp. 10931094.
[2] Benedetto XVI, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica riguardo alla remissione
della scomunica dei quattro vescovi consacrati dall’Arcivescovo Lefebvre, 10 marzo
2009. Drammatiche anche le constatazioni fatte durante il viaggio in Portogallo: «…
nel sentire di molti, la fede cattolica non è più patrimonio comune della società e,
spesso, si vede come un seme insidiato e offuscato da «divinità» e signori di questo
mondo» (Incontro con i Vescovi del Portogallo, 13 maggio 2010); «Spesso ci
preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della
fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno
realista» (Omelia, 11 maggio 2010).
[3] «La terza via – l’illuminismo, ndr – si è sviluppata pienamente solo nell’epoca
moderna, soltanto al presente e sembra avere un futuro davanti a sé … per il futuro
della religione e delle sue ciance nell’umanità, assumerà importanza decisiva il
modo in cui la religione sarà in grado di impostare il suo rapporto con questa terza
via» (J. Ratzinger, Fede verità tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo,
Cantagalli, Siena 2003, p. 27).
[4] Benedetto XVI nella Caritas in veritate (n. 75) parla di una «coscienza ormai
incapace di conoscere l’umano».
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[5] Ivi, p. 67.
[6] In realtà tale ricostruzione avviene da sempre: «La legge nuova, la legge del
Vangelo, ha espresso la pienezza della legge naturale. Quello che oggi si intende
per legge naturale non è altro che la sua promulgazione attraverso il Vangelo» (G.
Baget Bozzo, Cristianesimo e ordine civile, Cantagalli, Siena 2011, p. 142).
[7] «La filosofia è arrivata ad un punto tale che sembra difficile che possa spingersi
ancora più avanti sulla strada della propria dissoluzione» (É. Gilson, Il realismo
metodo della filosofia, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2008, p. 105).
[8] Cf S. Fontana, Parola e comunità politica. Saggio su vocazione e attesa,
Cantagalli, Siena 2010, pp. 105-128; Id., Il peccato delle origini come problema
politico, “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” IV (2008) 3, pp. 80-83.
[9] L’educazione e la pastorale sono stabilmente alle prese con questo problema
dell’impossibilità di presupporre la dimensione umana naturale. Oggi chiedono il
matrimonio coppie che hanno a lungo convissuto e che hanno figli. In questo caso è
necessario, nel mentre si annuncia il disegno di Cristo sulla famiglia, ricostruire la
nozione umana naturale della procreazione e del matrimonio, che non possono
essere più presupposti. Tutta la pastorale, però, si trova in questa situazione e non
solo quella familiare. E’ sempre più difficile far emergere il bisogno di Cristo dal
vissuto.
[10] «L’anamnesi infusa nel nostro essere ha bisogno, per così dire, di un aiuto
dall’esterno per diventare cosciente di sé» (J. Ratzinger-Benedetto XVI, L’elogio della
coscienza. La verità interroga il cuore, Cantagalli, Siena 2009, p. 26).
[11] Cf J. Ratzinger, Natura e compito della teologia. Il teologo nella disputa
contemporanea. Storia e dogma, Jaka Book, Milano 2005, pp. 17-31.
[12] Lo ha detto nel Discorso ad un gruppo di vescovi degli Stati Uniti il 19 gennaio
2012.
[13] La metafisica è la scienza «che i greci hanno fondato, di cui essi hanno
chiaramente conosciuto la necessità, e che la filosofia cristiana non lascerà mai
perire, perché essa è la prima e l’unica per la quale l’esistenza stessa degli esseri
sia risultata, e risulti, ancora come contingente» (É. Gilson, Il realismo metodo della
filosofia cit., pp. 112-113).
[14] L’enciclica ne parla in più punti, ma soprattutto nel capitolo terzo.
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[15] Secondo Alasdair MacIntyre, il cardinale Newman riteneva impossibile l’unità
del sapere nelle università senza la teologia (Cf “Vita e Pensiero” n. 4, luglioagosto 2010, pp. 22-33).
[16] Ho criticato la tesi di una laicità debole e una laicità forte in: S. Fontana, La
scuola italiana e la laicità epistemologica, in G. Quagliariello (a cura di), Educazione
e Libertà, Cantagalli, Siena 2009, pp. 127-132; Id, Laicità debole e laicità forte,
“Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” IV (2008) 4, pp. 130-131.
[17] Può essere interessante notare che su questo punto il pensiero di Joseph
Ratzinger concorda con quello di Augusto Del Noce: «Quando si pensa una filosofia
separata, inclinarla verso il positivismo diventa una necessità, perché il positivismo
è appunto una filosofia che si pensa separata dalla teologia» (A. Del Noce, Pensiero
della Chiesa e filosofia contemporanea. Leone XIII Paolo VI Giovanni Paolo II, a cura
di L. Santorsola, Edizioni Studium, Roma 2005, p. 79).
[18] G. Crepaldi, Alcune note sulla laicità secondo Benedetto XVI, in Id., Dio o gli
dèi. Dottrina sociale della Chiesa: percorsi, Cantagalli, Siena 2008, pp. 65-80
[19] «Ben lungi dal sopprimere l’autonomia di un qualsiasi ordine inferiore, la sua
subordinazione gerarchica consegue l’effetto di fondarlo, di portarlo a perfezione, in
breve, di garantirne l’integrità e di mantenerlo. La natura informata dalla grazia é
più perfettamente natura. La ragione naturale illuminata dalla fede diventa più
integralmente ragionevole. Accettando la giurisdizione spirituale e religiosa della
Chiesa, l’ordine sociale e politico si fa più felice e più saggio sul piano temporale»
(E. Gilson, Le metamorfosi della Città di Dio, Cantagalli, Siena 2010, p. 183).
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