pedagogia - Mondadori Education

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giorgio chiosso
Questo volume, sprovvisto del talloncino a fronte (o opportunamente punzonato o altrimenti contrassegnato), è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio (vendita
e altri atti di disposizione vietati: art. 17, c. 2 l. 633/1941). Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n. 633,
art. 2, lett. d).
giorgio chiosso
pedagogia
dall’antichità all’alto medioevo
per il primo biennio del liceo delle scienze umane
Pedagogia
Il volume è diviso in 5 sezioni, tutte corredate da un’ampia
antologia:
1. La preistoria e l’Oriente Antico
2. La paideia greca
3. L’humanitas romana
4. Un nuovo paradigma: l’educazione cristiana
5. Monaci e cavalieri: l’educazione nell’Alto Medioevo
Guida per l’insegnante + ISBN 978-88-286-1045-8
CD-ROM “Le scienze umane e il cinema”
Il CD-ROM contiene sequenze commentate dei film presentati nel volume.
Configurazioni dell’opera
G. Chiosso, Pedagogia
G. Chiosso, Pedagogia + P. Crepet, Psicologia
ISBN 978-88-286-1044-1
ISBN 978-88-286-1061-8
per il PRIMO biennio
Rubriche
• Le lezioni della storia: per fare il punto sul contesto
storico
• Le domande del presente: per stimolare la riflessione
sulla realtà di tutti i giorni
• Cinema e letteratura: schede film e schede libro per
suggerire un diverso punto di vista
pedagogia
dall’antichità all’alto medioevo
CONTENUTI MULTIMEDIALI
Prezzo al pubblico
• antologiaonline
antologia organizzata per temi e problemi
• testonline
esercizi autocorrettivi
• verificheonline
verifiche per la classe virtuale
Euro 13,80
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Che cosa sono
i processi cognitivi
1 La Preistoria e l’Oriente Antico
1 dalla preistoria alla storia: la nascita della scrittura
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Mappa concettuale e verifiche
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2 Le civiltà della Mesopotamia: la nascita della scuola
Iprincipidell’educazione
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Mappa concettuale e verifiche
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3 La civiltà egizia: l’elogio del silenzio
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Mappa concettuale e verifiche
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4 Cina e India tra guerre e filosofia
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Mappa concettuale e verifiche
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Evoluzioneededucazione
Le lezioni della storia:Lanascitadellaspecieumana
Cinema e letteratura:2001: Odissea nello spazio
Storia,scrittura,educazione
Indice
Scuolaesocietà
Le lezioni della storia:Laciviltàmesopotamica
Le domande del presente:IlmitodiBabilonia
Fondamentieducativi
Le lezioni della storia:Laciviltàegizia
GliInsegnamentielaCasadell’istruzione
Le lezioni della storia:Loscribaseduto
LaCinadellescuolefilosofiche
Le lezioni della storia:LaCinaarcaica
Cinema e letteratura:GoreVidal,Creazione
L’Indiadellereligioni
Le lezioni della storia:L’Indiaantica
Cinema e letteratura:Piccolo Buddha
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IV
indice
5 Gli Ebrei e il Regno d’Israele: scuola e religione
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L’istruzione come educazione morale e religiosa Le lezioni della storia: La civiltà ebraica e il Regno d’Israele
Gli scribi e il ruolo della religione
Le domande del presente: Le scuole ebraiche nell’Italia di oggi
Cinema e letteratura: A serious man
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1 Leggere la pedagogia
1
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Funzioni e significati dei graffiti preistorici di Leonardo R. Patanè
Le origini antropologiche della scrittura di Steven Mithen
Scrittura e calcolo: le origini della matematica di Ana Millán Gasca
L’educazione degli scribi in Mesopotamia tra fatica e gloria di Sabatino Moscati
e di Giovanni Pettinato
L’istruzione in Assiria-Babilonia di Gaston Mialaret
Gli scribi: una élite intellettuale e sociale di Edda Bresciani
La matematica cinese classica di Ana Millán Gasca
L’educazione monastica buddhista di Lê Thành Khôi
Sapienza ed educazione presso il popolo ebraico
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2 La “paidèia” greca
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1 La civiltà greca
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Mappa concettuale e verifiche
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2 La forza della parola: i Sofisti e Socrate
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Una cultura all’insegna della virtù e della saggezza
Le lezioni della storia: L’età arcaica
“Aretè-Virtù”: l’evoluzione storica di un’idea fondamentale
Cinema e letteratura: Troy
Cinema e letteratura: The company
I Sofisti
Le lezioni della storia: L’età classica
Socrate
Le domande del presente: Il relativismo oggi
3 Filosofia contro retorica: Platone e Isocrate
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1
2
Platone: l’educazione tra politica e pedagogia
Le lezioni della storia: La guerra del Peloponneso e la fine dell’età classica
Cinema e letteratura: Hermann Hesse, Il gioco delle perle di vetro
Isocrate: il modello retorico-oratorio
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indice
4 Il sapere universale: Aristotele e l’ellenismo
Mappa concettuale e verifiche
5 Luoghi e forme dell’educazione
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Aristotele
Cinema e letteratura: A beautiful mind
La svolta della cultura ellenistica
Le lezioni della storia: L’età ellenistica e la fine dell’indipendenza greca
Gli studi nella Grecia classica
Le lezioni della storia: La poetessa Saffo
L’organizzazione della vita scolastica
Le lezioni della storia: Il sistema scolastico nella Grecia antica
Le domande del presente: La funzione del mito nella società attuale
2 LEGGERE LA PEDAGOGIA
1 Il discorso di Fenice di Omero
2 I Sofisti e la trasformazione della cultura greca nel VI-V secolo a.C. di Aristofane
3 Una prospettiva alternativa alla filosofia.
L’arte dell’eloquenza di Isocrate
4 Il mito della caverna di Platone
5 Morale, politica, educazione di Aristotele
6 La saggezza pratica dell’educare di Plutarco
3 L’“humanitas” romana
1 La civiltà romana
1
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3
Res publica e diritto di cittadinanza
Le lezioni della storia: Dall’età monarchica alla repubblica romana
La cultura delle origini. Il mos maiorum
Cinema e letteratura: La classe
L’incontro con la cultura greca e le trasformazioni della società romana nel periodo ellenistico
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2 Politica e saggezza: Cicerone e Seneca
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1
2
Cicerone e la formazione dell’oratore
Le lezioni della storia: Dall’età repubblicana a quella imperiale
Cinema e letteratura: Enrico V
Seneca e l’educazione alla saggezza
Le domande del presente: Le scuole zen in Italia
V
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VI
indice
3 Eloquenza e moralità: Quintiliano
1 Il sistema scolastico romano
Le lezioni della storia: L’età imperiale e la sua crisi
2 Quintiliano e la sua epoca
Cinema e letteratura: Non uno di meno
Mappa concettuale e verifiche
4 Luoghi e forme dell’educazione
3 LEGGERE LA PEDAGOGIA
1 La vita scolastica a Roma
2 L’educazione femminile
Le lezioni della storia: La donna nel mondo romano
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5
6
Una “teoria” dell’elogio di Henri-Irenée Marrou
L’uomo e i suoi doveri di Cicerone
L’amicizia e la formazione personale di Seneca
L’oratore: “Vir bonus, dicendi peritus” di Quintiliano
Le pratiche dell’insegnamento di Quintiliano
La coscienza critica della civiltà imperiale di Orazio
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4 Un nuovo paradigma: l’educazione cristiana
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1 Pagani e cristiani a confronto: l’età tardoantica
1 Renovatio mundi: l’umanesimo cristiano
Le lezioni della storia: L’età tardoantica
2 La diffusione e la difesa del messaggio cristiano
Cinema e letteratura: Quo vadis
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2 Alla ricerca di Dio e di se stessi: Agostino
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3 Luoghi e forme dell’educazione
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Il percorso di preparazione
Le lezioni della storia: La cristianità nei secoli IV e V
Le lezioni della storia: Cultura pagana e cristianità: il “sacro furto”
L’attività pastorale
Cinema e letteratura: Agostino di Ippona
Le lezioni della storia: I cristiani a scuola dai pagani
1 La famiglia e il catecumenato
Cinema e letteratura: La settima stanza
2 Donne e bambine nei primi secoli cristiani
Le lezioni della storia: L’educazione della Vergine nella storia dell’arte
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indice
4 LEGGERE LA PEDAGOGIA
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8
I significati del termine “pedagogia” di Clemente di Alessandria
I costumi del cristiano di Clemente di Alessandria
Educare alla preghiera di Origene
L’educazione al matrimonio di Tertulliano
L’educazione dei figli di Giovanni Crisostomo
La formazione morale e culturale dei giovani di Basilio il Grande
Sulla felicità: la ricerca di Dio di Agostino di Ippona
Il maestro di Agostino di Ippona
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5 Monaci e cavalieri: l’educazione nell’Alto Medioevo
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1 Tra classicità e invasioni barbariche: Boezio e Cassiodoro
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2 Monaci e dotti: Benedetto da Norcia e Isidoro di Siviglia
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3 La rinascita carolingia: tra VIII e IX secolo
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4 L’educazione cavalleresca: X e XI secolo
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VII
1
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1
2
L’età di Teodorico (V-VI secolo)
Le lezioni della storia: Teodorico (454-526)
I modelli educativi di Boezio e Cassiodoro
Le domande del presente: Descolarizzazione
Le arti liberali: Marziano Capella
Le origini del monachesimo: Benedetto da Norcia
Cinema e letteratura: Hermann Hesse, Narciso e Boccadoro
Il dominio dei Longobardi e Gregorio Magno
Le lezioni della storia: I monaci irlandesi
Isidoro di Siviglia
Le opere storiche
La rinascita carolingia
Le lezioni della storia: La minuscola carolina
Gli intellettuali palatini
Le domande del presente: Le enciclopedie medievali e le risorse in rete
Il periodo postcarolingio
Le lezioni della storia: I giuramenti di Strasburgo
Cinema e letteratura: Il destino
Il secolo XI: la nascita dell’ideale cavalleresco e la riforma religiosa
Cinema e letteratura: I sette samurai
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VIII
indice
5 Luoghi e forme dell’educazione
Bambini e donne nell’Alto Medioevo
Cinema e letteratura: La papessa Giovanna
La formazione dei laici: gli Specula principis
Le lezioni della storia: L’educazione femminile nel monastero.
Il caso di Ildegarda di Bingen
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LEGGERE LA PEDAGOGIA
1 La consolazione della filosofia di Severino Boezio
2 Le opere dei pagani nelle “Istituzioni” di Cassiodoro
3 Lo scontro tra umane lettere ed educazione militare di Procopio di Cesarea
4 La Grammatica di Marziano Capella
5 La Retorica di Marziano Capella
6 L’abate, un educatore di monaci di Benedetto da Norcia
7 Lo studio della grammatica allontana dallo studio della parola di Dio
di Gregorio Magno
8 La trasmissione dei testi di Gregorio di Tours
9 Un modello di formazione per i sudditi del Sacro Romano Impero
di Carlo Magno
10 Lettera a Carlo Magno di Alcuino di York
11 Lettera a Ricbodo di Alcuino di York
12 La formazione del cristiano di Rabano Mauro
13 La formazione del figlio di Dhuoda di Settimania
14 L’educazione dei principi e dei nobili di Giona d’Orléans e di Smaragdo
15 L’educazione militare di Bernardo di Chiaravalle
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Antologia on line
ILeteoriedell’educazione
IIEducazionedellapersona
IIIEducazioneefamiglia
I.1
BenjaminSamuelBloom,Il masterylearning
II.1
JacquesMaritain,La realizzazione
dell’uomo come essere razionale
III.1
MariaMontessori,I principi dell’educazione del bambino
I.2
Howard Gardner, Le intelligenze
multiple, premessa per una personalizzazione della scuola
II.2
Luigi Giussani, Educare il cuore
dell’uomo
III.2
AdaMarchesiniGobetti,La collaborazione tra genitori e scuola
II.3
RomanoGuardini,L’incontro con la
realtà come compito dell’educazione
III.3
DiegaOrlandoCian,Educazione familiare e pedagogia
II.4
LorenzoMilani,«Una parola da nulla diventava un mondo…»
III.4
FrançoiseDolto,Consigli per educare
un bambino
I.3
ErnestvonGlasersfled,Il costruttivismo
I.4
David P. Ausebel, L’importanza
dell’interesse
I.5
Norberto Bottani, Nuove scienza,
nuova scuola?
II.5
AlainTouraine,La scuola del Soggetto
IVEducazioneeistituzioni
VNoieglialtri
IV.1
Édith Cresson, L’importanza della conoscenza nella società presente
e futura
V.1
Bibbia,L’attenzione per lo straniero
IV.2
PhilippePerrenoud,Scuola dei saperi
o scuola delle competenze?
IV.3
RomualdNormand,La scuola efficace e i suoi limiti
IV.4
TomBentley–RielMiller,La scuola
della personalizzazione
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V.2
Odissea,Lavare lo straniero
V.3
PeterFigueroa,L’educazione multietnica
V.4
RobertoAlbano,Il gruppo degli amici
V.5
MarcellaRavenna–MonicaRubini,Un «laboratorio sociale» fatto di
coetanei
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Che cosa sono
i processi cognitivi
Premessa
È l’educazione che rende gli uomini diversi. Tutte le
fiabe su Aladino o l’invisibilità di Gige o le grotte incantate nel cuore delle montagne e negli abissi marini sono finzioni che raccontano il vero miracolo che è
l’arricchimento intellettuale.
RalphWaldoEmerson
Oggicomeinpassato,ilnostroconcettoeducativoècondizionatodaicontinuimutamentiin
atto nella società, ma soprattutto è intimamente congiunto all’idea che abbiamo dell’uomo,
dellerelazionichecostruisceconglialtriuomini,delmodoincuiattribuiamounsignificatoalla
suaesistenza.Èsullabasediquestaconsapevolezzacheabbiamocercatodiscrivereunmanuale
dipedagogiachenonprescindesse,cometroppospessoaccade,daunastoriadellacultura,intesanelsensopiùampiodeltermine.
Perquestomotivo,l’illustrazionedellepiùimportantiteoriepedagogicheelaboratedall’antichitàfinoall’AltoMedioevo–dagliinsegnamentideifilosofigreciall’eloquenzadeglioratori
romani,dalnuovoumanesimocristianoallaricchezzadeimodellieducativipropridell’etàmedievale–ècostantementeinseritaemessainrelazioneconunapiùampiaprospettivastorica,al
finedifornireallostudenteunavisioned’insiemeedirenderlocapacedistabilirecriticamente
deinessitraidiversisistemieducativiel’evoluzionedeivaloriedeicomportamentiumani.
Perlastessaragione,iltestoèaffiancatodarubrichechealcontempoapprofondisconoevoglionooffrirespuntidiriflessione:Le lezioni della storiafornisconounquadrodettagliatodi
un’epocaodieventidiparticolarerilevanza;Le domande del presentemostranoconchiarezza
illegameinscindibiletrailpassatoel’attualità;inCinema e letteratura,infine, sonocontenute
propostediletturaecinematograficheattinentiagliargomentitrattatima,anch’esse,scelteper
stimolarelecapacitàcritichedeiragazzi.
Ciascuncapitoloèaltresìcorredatodaunasceltadibraniantologici,seguitidaunapprofondito
commentoedaverifichesullacomprensione:inpartesitrattadifontieinparteditestisaggistici,cheprendonoinconsiderazionequestionirelativealperiodostoricotrattato.
Ilnostroaugurioèchelostudiodellapedagogiaedeisistemieducatividelpassatopossarendercipiùconsapevolieaccortinelcostruireevalutareinostrisistemieducativipoiché,comescrisse
lostudiosofranceseLucienLaberthonnière,«imetodichesiapplicanopereducareifanciulli,
l’orientamentochesidàloro,imotiviaiqualicisiispiracontengonosempre,almenoimplicitamente,unaconcezionedell’uomoedelsuodestino».
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La “paidèia” greca
1
La civiltà greca
2
La forza della parola: i Sofisti e Socrate
3
Filosofia contro retorica: Platone e Isocrate
4
Il sapere universale: aristotele e l’ellenismo
5
Luoghi e forme dell’educazione
LeGGere La PedaGoGIa
1 Il discorso di Fenice di Omero
2 I Sofisti e la trasformazione della cultura greca nel VI-V secolo a.C. di Aristofane
3 Una prospettiva alternativa alla filosofia. L’arte dell’eloquenza di Isocrate
4 Il mito della caverna di Platone
5 Morale, politica, educazione di Aristotele
6 La saggezza pratica dell’educare di Plutarco
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4
Che cosa sono
Il isapere
universale:
processi
cognitivi
Aristotele e l’ellenismo
1 aristotele
La vita Aristotele, di poco posteriore a Platone, fu discepolo dell’Accademia platonica, da cui si staccò per
perseguire un orientamento autonomo, destinato ad
avere un’influenza decisiva nella storia della cultura occidentale. In particolare nel Medioevo, infatti, la filosofia aristotelica divenne il sistema fondamentale del
sapere, tanto che Aristotele stesso veniva citato come
“il filosofo” per antonomasia, la cui autorità fondamentale non poteva essere messa in dubbio. Aristotele
visse in un periodo in cui la Grecia era insidiata dalle
mire espansionistiche della Persia e della Macedonia.
Alessandro e Aristotele nel film Alexander di Oliver Stone, 2004.
Nato nel 384 a.C. in una colonia ionica, Stagira, era
figlio del medico del re macedone Aminta e probabilmente trascorse gli anni della formazione a Pella, la capitale del regno macedone. Rimasto orfano, si trasferì
ad Atene per completare gli studi, entrando nell’Accademia di Platone nel 366 a.C. e rimanendovi per circa un ventennio. Si spostò quindi in varie città, fondò
scuole ad Asso e a Mitilene finché, nel 343 a.C. circa,
fu chiamato alla corte macedone da Filippo II, succeduto al padre Aminta, per educare il figlio Alessandro (il futuro Alessandro Magno), di cui Aristotele fu
il precettore e il consigliere fino all’ascesa al trono nel
336 a.C. Tornato ad Atene, aprì il Liceo (il nome deriva dal tempio dedicato ad Apollo Licio, presso il quale
la scuola di Aristotele aveva sede); le vicende politiche
lo costrinsero ad abbandonare Atene nel 323 a.C. e a
ritirarsi nell’Eubea, dove restò fino alla morte avvenuta nel 322 a.C.
Il rapporto con la filosofia platonica Nonostante l’abbandono dell’Accademia, il rapporto di Aristotele con
l’ambiente e il pensiero platonici non va concepito nei
termini di una drastica contrapposizione. A lungo si è
pensato che in molti punti il sistema aristotelico rappresentasse una sorta di confutazione di quello platonico, mentre oggi le soluzioni aristoteliche sono ritenute approfondimenti delle tesi platoniche che avevano suscitato i maggiori dibattiti.
Così, ad esempio, se la metafisica platonica tratteggiò un dualismo tra il mondo delle essenze (le idee)
e quello della materia, Aristotele tentò di ricondurre all’unità la percezione del senso comune e quella
filosofica, collocando il dualismo di materia e forma
all’interno della realtà stessa, della quale materia e forma sono entrambe aspetti essenziali. Questa tendenza
risolutiva dei contrasti appare come una costante in
grado di giustificare il valore storico del sistema e dello spirito aristotelico, la durata più che millenaria della
sua influenza (se non altro come punto di riferimento
polemico) sul sapere medievale e moderno.
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4 Il sapere universale: Aristotele e l’ellenismo
Il pensiero In estrema sintesi, si possono riassumere
come segue le posizioni che hanno maggiormente caratterizzato la filosofia aristotelica e la sua fortuna:
• il mondo è costituito, al di là della varietà estrema dei fenomeni e delle cose contingenti, da due
principi, la materia e la forma. Insieme, questi due
principi rappresentano le principali caratteristiche
di ogni essere, di cui la speculazione filosofica coglie
l’essenza al di là dell’apparenza e del cambiamento;
• ogni ente, vale a dire tutto ciò che esiste, salvo Dio,
è soggetto al divenire ovvero, in termini aristotelici, è compiutamente se stesso ma può mutare nel
tempo;
• a questa legge fondamentale non soggiace Dio,
che è l’unico essere completamente e radicalmente uguale a se stesso (la sua essenza coincide sempre
perfettamente con ciò che Dio è), ed è alla base di
tutto ciò che esiste. Egli è il primo motore immobile dell’universo: ciò significa che da lui ha origine
ogni cosa, salvo Dio stesso, il quale non ha origine
(in quanto è eterno);
• in questo continuo mutamento degli esseri si possono distinguere varie caratteristiche, sia sul piano
dell’analisi razionale (ogni essere ha determinati attributi che il pensiero può scoprire tanto con l’osservazione quanto con il ragionamento deduttivo,
traendo conseguenze da premesse evidenti), sia sul
piano della verifica empirica, che mette in evidenza
i caratteri propri di ciascun essere;
• esiste una gerarchia degli esseri, caratterizzata da
una crescente complessità, al cui vertice sta l’uomo.
La caratteristica distintiva dell’uomo, la razionalità, gli consente di perseguire un fine esistenziale
più elevato di quello di qualsiasi altro essere vivente, rispetto al quale viene ad articolarsi tutta la vita
morale e politica: il concetto aristotelico di saggezza
(phrònesis), quasi un punto culminante della lunga
parabola dell’idea di virtù tipica della Grecia classica, era centrale per definire i contenuti della vita
buona, cioè meritevole di essere vissuta perché adeguata all’umano e portatrice della vera felicità.
Le opere Sulla base di queste affermazioni, il corpus
delle opere di Aristotele finì per assumere la fisionomia e il ruolo storico di un vero e proprio compendio
di tutte le conoscenze scientifiche del suo tempo,
comprendente i testi rivolti sia ai suoi allievi sia ai let-
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tori comuni, appartenenti alle classi colte e agiate del
suo tempo. Il filosofo trattò tutti i principali rami dello scibile, dedicando scritti di varia mole alla discussione delle maggiori questioni riguardanti la natura del
mondo, della vita e dell’uomo. Nel loro insieme, queste opere furono ordinate dagli allievi secondo una sequenza che procedeva dalla natura materiale delle cose
alla metafisica, disciplina filosofica il cui nome indica la natura del reale “al di là” (metà in greco significa “dopo” e quindi anche “oltre”, “al di là”) della fisica, ma il riferimento è anche ai libri aristotelici posti
“dopo”.
La metafisica La metafisica è, probabilmente, la parte
più rilevante del sistema aristotelico, quella che ha esercitato l’influenza più duratura sulla cultura occidentale. In essa, Aristotele descrive la consistenza di tutti gli
esseri come combinazione di materia e forma, atto e
potenza. Attraverso questi quattro principi, il filosofo
riesce a spiegare la natura di ciascun essere, animato e
non: ogni cosa, ogni animale, l’uomo stesso sono un
composto di materia dotata di una certa forma. L’essere è ciò che è “attualmente” (cioè “in atto”) e ciò che
è propedeutico a ciò che sarà (“in potenza”) e viceversa. Alcuni esseri in particolare (ad esempio quelli che
hanno una vita e una storia, come l’uomo), sono inizialmente in potenza ciò che saranno “in atto” soltanto
in futuro: il bambino è “in potenza” l’adulto che più
tardi sarà. Queste coordinate metafisiche hanno avuto
conseguenze incalcolabili nel modo in cui l’Occidente
ha concepito per secoli la realtà e la consistenza delle
cose, con evidenti ricadute direttamente sul modo di
concepire l’uomo e la sua educazione.
Il concetto di anima La psicologia aristotelica ha costituito a lungo la base della concezione della vita animale e umana tipica delle età pre-moderne. Aristotele
individua tre principi che caratterizzano gli esseri animati, vale a dire dotati di anima: l’anima vegetativa,
tipica delle piante e preposta alle funzioni vitali degli
organismi, l’anima motiva, tipica degli esseri in grado di spostarsi (gli animali in genere, i quali sono dotati anche di quella vegetativa) e l’anima razionale,
propria soltanto dell’uomo. Questi è dotato anche di
quella motiva e di quella vegetativa, secondo un principio di crescente complessità che attribuisce all’essere più in alto nella gerarchia della realtà tutto ciò che
è proprio degli esseri inferiori. Secondo la riflessione
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2 La “paidèia” greca
scientifica aristotelica, basata sull’osservazione empirica e sul ragionamento deduttivo, gli esseri si differenziano per genere prossimo e differenza specifica: ad
esempio, l’uomo è un animale (appartiene, cioè, al genere degli animali), ma se ne differenza per la specificità della ragione; di qui la celebre definizione dell’essere umano come «animale razionale», che ha avuto
per secoli enormi conseguenze sul piano scientifico e
morale.
L’agire dell’uomo, infatti, è adeguato alla sua natura soltanto allorché egli si comporta secondo i dettami della sua ragione; diversamente, finisce per cadere
nell’animalità che lo abbassa al livello degli esseri bruti. Questo principio è fondamentale nella psicologia e
nell’etica aristotelica, insieme a quello di virtù.
Il concetto di virtù La virtù è ciò che specifica l’agire
dell’uomo secondo la sua ragione. Il virtuoso è l’uomo che agisce secondo ragione e che trova la vera
felicità nel vivere in maniera adeguata alla propria natura. Seguire le passioni, vale a dire gli impulsi e tutto
ciò che deriva dalla costituzione animale dell’uomo,
comporta una degenerazione immorale. L’etica aristo-
Paolo Veronese, Aristotele, 1560.
telica si caratterizza per la celebre definizione della vita buona come equilibrio ordinato tra le virtù (la
giustizia, la fortezza, la temperanza ecc.) e come resistenza al pungolo del vizio, individuato sempre come eccesso passionale non adeguatamente controllato
da una ragione debole. Queste vedute influenzarono
anche la visione aristotelica della politica: Aristotele,
come Platone, stabilisce un parallelismo tra il governo di se stessi e quello dello Stato. Di conseguenza,
lo Stato ben governato deve reggersi su un equilibrio
interno analogo a quello che deve scoprire in sé il singolo uomo.
L’ideale educativo Le conseguenze di carattere pedagogico sono facilmente intuibili: l’educazione è intesa come formazione delle virtù e come loro esercizio sempre più saldo, finalizzato al raggiungimento
dell’equilibrio in cui risiede la vera felicità. Se il fine
dell’uomo è il godimento del bene intellettuale, vale a
dire la contemplazione, quello di Aristotele è un ideale di cultura che privilegia le attività teoretiche (la conoscenza fine a se stessa e disinteressata, la contemplazione dell’esistente ecc.), relegando in una posizione secondaria gli aspetti tecnici e utilitari del sapere,
con evidenti conseguenze anche sul piano strettamente educativo. Inoltre, il sistema aristotelico descrive
un sapere funzionale a una società ordinata secondo
il principio della vita razionale e delle virtù, elencate scrupolosamente nell’Etica a Nicomaco. Allo sviluppo dell’essere umano Aristotele dedica anche la scuola d’insegnamento e ricerca da lui fondata, il Liceo o
Peripato, così chiamata per l’abitudine del filosofo di
svolgere le lezioni passeggiando insieme agli allievi in
giardino.
La “Politica” Le considerazioni più specifiche sui problemi dell’educazione si trovano nella Politica, a testimonianza che una delle costanti della pedagogia greco-classica concerne la dimensione politica dell’educazione. In Aristotele il problema della formazione
non si pone, almeno esplicitamente, al di fuori di un
contesto sociale concreto; è il tipo di governo che guida, in un’ottica di estremo realismo, le scelte formative. Ciò conduce Aristotele a rinunciare alla riflessione
sullo Stato ideale e ad attenersi all’analisi descrittiva e alla comprensione dell’essenza delle varie forme di governo di fatto esistenti. Sul piano dell’organizzazione delle attività educative bisogna richiamare
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4 Il sapere universale: Aristotele e l’ellenismo
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Cinema e letteratura
A beautiful mind
Di formazione naturalistica, Aristotele delineò un ideale umano armonico:
un buon equilibrio tra le diverse facoltà
umane è senza dubbio il primo passo
per vivere una vita felice. Nel coltivare la
sua parte più nobile, la ragione, l’uomo
non deve infatti perdere di vista gli altri
aspetti importanti della vita, primo tra
tutti quello sociale. Del tutto in contrasto
con questa immagine di essere umano
è la storia raccontata nel film A beautiful
mind, dedicato alla vita del matematico
statunitense John Forbes Nash, premio
Nobel per l’economia nel 1944.
Nel film sono raccontate in modo romanzato la passione unilaterale e totalizzante del giovane Nash per la matematica e la genialità con cui ha formulato una teoria che ha trasformato
il pensiero economico del Novecento.
Neppure il prestigioso incarico di docen-
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za a Princeton cambia il suo atteggiamento rigidamente razionale e solitario.
Memorabile è una battuta del film che
ne descrive il senso di impotenza e di
frustrazione di fronte all’aula gremita di
studenti, il primo giorno di lezione: «Personalmente ritengo che questo corso
sarà una totale perdita del vostro tempo e, cosa decisamente più grave, del
mio. Tuttavia siamo qui, quindi potete
frequentare o no, potete pensare o no,
potete completare il compito a vostro
piacimento. Abbiamo concluso».
La storia si colora di elementi intriganti e si trasforma in una vicenda di spionaggio internazionale, di cui Nash è il
protagonista. Dalla descrizione oggettiva degli eventi, lo spettatore comincerà
ad adottare la prospettiva sempre più
delirante di Nash, a cui verrà diagnosticata una forma grave di schizofrenia e
che verrà travolto da questa dolorosa e
sconcertante verità.
Dopo una cura mirata, Nash ritroverà,
almeno in parte, l’equilibrio perduto,
grazie anche alla dedizione della moglie, che saprà stargli accanto con affetto e sacrifici per consentirgli di tornare
al lavoro.
Sembra così avere ragione Aristotele,
che nella Politica scrive: «Chi non è in
grado di entrare nella comunità o per la
sua autosufficienza non ne sente il bisogno, non è parte dello Stato, e di conseguenza è o bestia o dio».
Titolo originale: A beautiful mind
Regia: Ron Howard
Usa, 2001, 128’, colore
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2 La “paidèia” greca
l’importanza della polarità di potenza e atto, da un
lato, e di materia e forma, dall’altro. Esse favoriscono
una concezione dinamica dell’essere umano e della sua formazione. L’identità dell’individuo, come
quella di qualsiasi organismo, si dispiega nel tempo,
subisce trasformazioni, assimila dall’esterno i materiali per la propria crescita, rielaborandoli e adattandoli
ai propri bisogni e alla propria sensibilità. Ciò vale sia
per gli aspetti corporei della vita umana, sia per quelli
propriamente spirituali e implica una visione del processo formativo come un divenire continuo. Questa
visione avrebbe potuto sortire l’esito di un interesse
specifico nei confronti dell’infanzia, ma l’attenzione
di Aristotele – secondo una tendenza del resto comune ai suoi tempi – si orientò piuttosto verso l’uomo in
atto, sulla scia della teoria aristotelica delle cause, per
cui il fine (in greco, tèlos) del percorso formativo assumeva un’importanza prevalente. La conseguenza fu
quella di un “adultismo” diffuso in ogni genere di rapporto educativo. In sostanza, la prospettiva aristotelica finì per giustificare un atteggiamento negativamente preconcetto nei confronti dell’infanzia durato molti secoli, che vedeva nel bambino un essere imperfetto, bisognoso di cure ma anche di fermezza e severità
da parte degli adulti, depositari di quella compiutezza
a cui ciascun bambino avrebbe dovuto fare riferimento come a un modello cui guardare nel corso della
propria maturazione.
La fortuna di aristotele L’Accademia platonica e il
Liceo aristotelico, nella loro plurisecolare esistenza,
furono i luoghi principali della formazione filosofica
in Grecia e nel mondo ellenistico. A prescindere dalla
storia di queste istituzioni, è significativo il fatto che,
non solo in omaggio e in memoria dei due filosofi, le
istituzioni di studi superiori in Occidente siano sempre state battezzate con questi due nomi, “liceo” e
“accademia”, a indicare il persistere di un modello
formativo caratterizzato dall’impegno totale di insegnanti e allievi nel percorso di formazione e di ricerca.
L’importanza storica di Aristotele è legata, d’altra parte, alla perfetta assimilazione che il suo pensiero subì
nel corso del Medioevo a contatto con quello cristiano: il merito della longevità della filosofia e della pedagogia aristotelica è dato dalla viva connessione che
la scolastica medievale riuscì a stabilire tra queste e la
teologia cristiana.
Tuttavia, la speculazione aristotelica ha inciso profon-
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Luca della Robbia, Platone e
Aristotele o la filosofia (formella
proveniente dal lato nord del
campanile di Giotto, a Firenze,
basamento inferiore. Museo
dell’Opera del Duomo).
damente nella storia della pedagogia anche in senso
negativo giacché, a partire dal Medioevo, l’aristotelismo divenne un sistema di pensiero con cui doveva identificarsi ogni forma di conoscenza e d’indagine scientifica, pena la condanna sociale e religiosa. Di
fatto, la sua filosofia divenne un ostacolo insormontabile contro qualsiasi corrente di pensiero e d’indagine
innovativi, sinonimo di opposizione al nuovo, di conservazione in ogni ambito, da quello teologico a quello
artistico; si pensi che le nuove scienze sperimentali e il
metodo galileiano dovettero combattere proprio contro l’aristotelismo stesso.
Il metodo di ragionamento aristotelico, essenzialmente deduttivo, contribuì in parte a rallentare lo sviluppo
della sperimentazione scientifica (che invece si fonda
su una metodologia di ricerca prevalentemente induttiva) e la diffusione, nell’ambito delle idee e delle pratiche educative, di un atteggiamento didattico orientato alla scoperta libera del discente, costretto invece
a seguire principi considerati intoccabili, senza alcuna
possibilità di verifica critica.
Non si può mancare, infine, di sottolineare anche i limiti più vistosi del grande filosofo greco, ricordando
come l’antropologia aristotelica presenti una visione
non positiva delle donne, anche se si tratta di un elemento comune alla cultura greca classica ed ellenistica. Tuttavia, Aristotele fu il filosofo che giustificò la
subordinazione delle donne agli uomini, limitando
la loro attività alla sfera domestica, come pure, per altri versi, la pratica sociale della riduzione in schiavitù.
Qualche domanda
Ü Che cos’è la metafisica?
Ü Quali sono i tre tipi di anima distinti da Aristotele?
Ü In che modo l’uomo può raggiungere la virtù?
Ü Quali sono i principi espressi nella Politica?
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4 Il sapere universale: Aristotele e l’ellenismo
2 La svolta della cultura ellenistica
La fine di un’epoca Con la fine dell’età classica, già
preannunciata nell’opera di Aristotele, si verificò una
svolta anche nella riflessione filosofica e culturale. I
pensatori che raccolsero la tradizione di Platone e di
Aristotele abbandonarono la prospettiva sistematica propria dei loro predecessori e si orientarono verso un’indagine che poneva al centro un ideale di vita
pratica. Rispetto ad esso la filosofia doveva porsi come
una sorta di terapia, volta a guidare l’individuo nel caos della vita e a dargli le indicazioni necessarie per vivere serenamente di fronte a una prospettiva esistenziale
segnata dal senso tragico della fragilità dell’uomo. Ciò
accadde nella filosofia, ma è testimoniato anche nella
letteratura.
Il modello plutarcheo Un autore come Plutarco (46127 d.C.) è rappresentativo di questa svolta e i suoi
scritti di carattere educativo, per quanto secondari
all’interno della sua vasta produzione, lo dimostrano
efficacemente, grazie ai consigli pratici ad uso dei padri di famiglia e di coloro che hanno a che fare con
la gioventù. Di famiglia ricca, Plutarco trascorse gran
parte della propria vita in Grecia, precisamente a Cheronea, la sua città natale; compì alcuni lunghi viaggi
che lo portarono nelle principali città greche, ad Alessandria e due volte a Roma, dove ottenne anche la cittadinanza romana, grazie alla vasta fama raggiunta in
tutto l’Impero. I due anni di studio presso l’Accademia
platonica furono una delle maggiori fonti d’ispirazione della sua attività intellettuale. Un aspetto particolare della sua fisionomia di uomo e di pensatore è il
fatto che ricoprì l’incarico di sacerdote del dio Apollo
nel santuario di Delfi. Nella sua produzione letteraria
alcuni interpreti hanno messo in evidenza il legame tra
religione e morale che sembra pervadere la sua posizione culturale.
Il suo valore di intellettuale e pensatore è dimostrato
dalla poderosa mole di scritti tratti dalle discussioni
che tenne con interlocutori di fama, raccolti sotto il
nome di Moralia. Sebbene all’interno di questa raccolta compaiano opere di argomento pedagogico, la loro
autenticità è dubbia; e tuttavia, l’esistenza di numerosi
testi spuri dimostra l’autorevolezza di cui godette Plutarco al suo tempo e che lo seguì per secoli. L’altra fondamentale raccolta di scritti di Plutarco è quella delle
Vite parallele, nella quale si manifesta il principale ca-
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rattere del pensiero di questo singolare autore, vale a
dire la scelta di un genere letterario particolare come
la biografia per illustrare modelli di umanità che i lettori potessero studiare per apprendere l’arte del vivere.
Non si tratta, ovviamente, di una forma di biografia
oggettiva, ma, come sempre nel caso di scrittori e storici antichi, di una selezione accurata di elementi che
mettono in rilievo il carattere, le aspirazioni, i pregi, i
vizi e i limiti dei modelli analizzati. Del tutto evidente
risulta l’intento pedagogico, a dimostrazione della centralità del tema dell’educazione nell’opera plutarchea.
Il tema fondamentale della virtù viene sottratto alla sistematicità dell’impostazione classica e trasposto
da Plutarco in chiave biografica, evidenziando come le vicende della vita si innestino sulle doti naturali dell’individuo fino al compiuto prender forma della sua personalità, sullo sfondo del contrasto tra bene e male che pervade la visione del mondo e dell’uomo propria di Plutarco. Inoltre, la scelta di trattare le
vicende biografiche di personaggi paragonati fra loro
soprattutto sulla base della differenza d’origine (il parallelismo fondamentale è quello tra Greci e Romani)
mostra anche la consapevolezza di un confronto proprio di tutto l’ellenismo.
Le scuole filosofiche ellenistiche Le principali scuole
filosofiche ellenistiche, lo Stoicismo e l’Epicureismo
innanzitutto, pur nella diversità degli approcci e delle conclusioni a cui giungevano, fecero propria questa impostazione e si proposero il perseguimento di un
ideale di saggezza pratica: l’uomo saggio è quello che
è in grado di affrontare la vita, anche nelle avversità
più negative, senza perdere la propria serenità e senza cedere agli impulsi, né farsi guidare dalle passioni.
Questi esiti della ricerca filosofica si possono leggere
alla luce della profonda crisi dell’identità politica e culturale ellenica in un’epoca (assai lunga se si considera
che convenzionalmente può essere datata dalla morte
di Alessandro Magno fino all’affermarsi del cristianesimo sul piano culturale e politico) in cui l’individuo
percepiva se stesso come privo di legami significativi
con la terra natia, la quale non godeva più di alcuna
identità politica definita. In questo stesso periodo della storia antica si accentuò ulteriormente, anche al di
là della ricerca filosofica propriamente detta, il ruolo
educativo dei “circoli” intellettuali. Tanto gli Stoici
quanto gli Epicurei, non meno dei Platonici, dei Peripatetici e dei seguaci delle scuole “minori”, in cui si
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2 La “paidèia” greca
Le lezioni della storia
L’età ellenistica e la fine dell’indipendenza greca
Della crisi delle città-stato elleniche si
avvantaggiò il regno macedone, guidato prima da Filippo II e poi da Alessandro
Magno. Intorno alla metà del IV secolo
a.C., Filippo penetrò in Grecia e ne assunse il controllo, affidando ad Aristotele il
compito di curare l’educazione del giovane figlio. La figura di Alessandro Magno esercitò un influsso che oltrepassava l’importanza delle sue conquiste
militari: egli diede vita a un vastissimo
Impero che, però, non resistette alla sua
morte prematura, avvenuta nel 323 a.C.
Ciononostante, la politica alessandrina
rivoluzionò il mondo antico, soprattutto con l’introduzione nella pratica del
governo di forme tipiche dell’Oriente,
ad esempio il culto della persona del
sovrano, spintosi fino alla sua divinizzazione. Avveniva così per il singolo individuo il passaggio dalla condizione di
cittadino libero di una polis a quella di
suddito di un re. Da queste trasformazioni e dalle loro conseguenze sul piano
culturale e morale, oltre che politico, ebbe origine la civiltà ellenistica. Il primo
dei caratteri di questa civiltà fu la diffusione della lingua e della cultura greca in tutto il bacino del Mediterraneo:
una forma “standard” di greco antico, la
cosiddetta koinè, una sorta di lingua universale, valida per tutti gli usi, da quelli
commerciali a quelli letterari. Il secondo carattere principale era rappresentaAlessandro, in trono, riceve l’omaggio dei
Persiani (miniatura del XV secolo).
L’estensione dell’Impero di Alessandro a
confronto con la situazione odierna.
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to dal cosmopolitismo, che concepiva
l’individuo non più legato alla singola
città di provenienza (la polis), ma come
cittadino del mondo. Il terzo carattere
riguardava l’aspetto politico, ossia l’affermazione di regimi monarchici su
modello orientale.
A partire dal III secolo a.C. ebbe inizio
il lungo scontro con la potenza romana, che pose fine all’indipendenza della
Grecia nel 146 a.C.
La conquista romana, tuttavia, ebbe l’effetto di amplificare l’influenza della Grecia sul mondo antico. I Romani, infatti,
affascinati dalla raffinatezza e dai capolavori di tale cultura, nonostante alcune
resistenze, ne adottarono forme e contenuti. Anche la tendenza accentratrice
assunta dai sovrani nella Roma imperiale derivava, in fin dei conti, dall’adozione degli usi e della cultura greco-ellenistici. Fu proprio sotto il dominio di Roma
che uno degli intellettuali più prolifici
del mondo greco, Plutarco, scrisse le Vite parallele, opera che tramanda le biografie dei più illustri personaggi dell’età
antica accostando, in un continuo confronto, i valori della patria greca a quelli
della nuova potenza del Mediterraneo.
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4 Il sapere universale: Aristotele e l’ellenismo
era articolato il panorama della filosofia antica a partire dal V-IV secolo a.C. (si possono ricordare, tra gli
altri, i Pitagorici, gli Scettici e i Cinici), si dedicarono
a un impegnativo apostolato che spesso ricorreva alla
forma del cenacolo comunitario per la preparazione
degli adepti e per la diffusione delle idee proprie della
scuola di appartenenza.
religione e filosofia Se al popolo greco si può attribuire l’idea di una paidèia organica, intesa come sviluppo dell’uomo in tutto ciò che di più nobile lo contraddistingue, tale prospettiva pedagogica si muove tra
religione, ricerca filosofica e vita politica: tre facce distinte, ma non contraddittorie, della visione dell’uomo
tipica del mondo greco. In Grecia si sviluppò una serrata riflessione sulla natura della divinità, a partire dal
dato mitologico tradizionale, che giunse a concepire
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il divino come l’essere per eccellenza, come colui che
dà l’essere agli altri esseri. Questa consapevolezza ebbe
una portata storica enorme allorché si incontrò con la
riflessione cristiana, dando vita a una nuova epoca del
pensiero occidentale. Religiosità e ricerca filosofica
in sostanza si conciliarono sulla medesima concezione del divino e trovarono la strada di una equilibrata,
anche se mai compiuta, convivenza, nella consapevolezza che il destino umano non è un affare privato ma
richiede un impegno comune, “politico” in senso lato,
anche se gli spazi effettivi sono limitati e non rimane
che la strada di una saggezza pratica.
Qualche domanda
Ü Qual è il portato filosofico principale dell’età ellenistica?
Ü Qual è la caratteristica delle Vite parallele di Plutarco?
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2 La “paidèia” greca
mappa concettuale
Eccetto Dio, tutto è soggetto al divenire: principi della realtà
sono materia, forma, atto e potenza
Aristotele
La razionalità distingue l’uomo dagli altri esseri
Virtuoso è l’uomo che agisce secondo ragione
Il fine dell’educazione sono la conoscenza, la formazione e l’esercizio delle virtù;
non c’è una finalità concreta
Processo formativo inteso come divenire continuo
Plutarco, Vite parallele: intento
pedagogico sotteso al genere biografico
Età ellenistica
verifiche
Ideale pratico
Epicureismo e Stoicismo
Sviluppo di “circoli” intellettuali
per la diffusione di dottrine filosofiche
test online
I concetti
1 Scegli la risposta corretta tra quelle proposte.
1 Secondo Aristotele, gli esseri si collocano in una
gerarchia:
a nella quale al vertice vi è l’uomo;
b nella quale al vertice vi è Dio;
c nella quale l’uomo è in posizione mediana
tra Dio e gli animali;
d nella quale l’uomo è il motore immobile.
2 Nella filosofia di Aristotele l’uomo virtuoso è
quello che agisce:
a in base all’illuminazione filosofica;
b in base alla legge di Dio;
c in base al suo cuore;
d secondo ragione.
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3 La scuola di Aristotele si chiamava:
a Accademia;
b Scuola dei filosofi;
c Liceo o Peripato;
d Liceo di Atene.
4 La filosofia dell’età ellenistica si propone come:
a riscatto degli umili;
b ideale educativo;
c ideale politico;
d terapia.
5 Per i filosofi dell’ellenismo l’uomo saggio:
a interviene per migliorare il mondo attorno a
sé;
b non si fa guidare dalle passioni e non perde
la serenità;
c conosce le scienze mediche;
d studia i filosofi del passato.
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Unità 4 Il sapere universale: Aristotele e l’ellenismo
Il lessico
2 Definisci i seguenti concetti.
•
phrònesis ........................................................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
•
I problemi
3 Rispondi alle seguenti domande in massimo 5 righe.
1 Come è costituita l’anima secondo Aristotele?
2 Quali sono le caratteristiche dell’uomo virtuoso
per Aristotele?
3 Quale atteggiamento nei confronti del bambino
derivò dalla filosofia di Aristotele?
4 La filosofia di Aristotele aiutò l’innovazione?
5 Quale fu il rapporto tra religiosità e filosofia in
età ellenistica?
genere prossimo e differenza specifica .................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
•
95
“circolo” intellettuale .............................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
.................................................................................................................
Per approfondire
4 Leggi il brano e rispondi alle domande che
seguono.
Dei desideri alcuni sono naturali, altri vani; e di quelli
naturali alcuni necessari, altri solo naturali; e di quelli necessari alcuni lo sono per la felicità, altri per il benessere
del corpo, altri per la vita stessa. Infatti una giusta conoscenza di essi sa riferire ogni atto di scelta e di rifiuto alla salute del corpo e alla tranquillità dell’anima, perché
questo è il termine entro cui la vita è beata. Perché è in
vista di questo che compiamo tutte le nostre azioni, per
non soffrire né aver turbamento.
Epicuro, Epistola a Meneceo, in Opere,
a cura di G. Arrighetti, Torino 1970
.................................................................................................................
1 Quali tipi di desideri sono indicati nel brano?
.................................................................................................................
2 In che cosa consiste la felicità secondo Epicuro?
.................................................................................................................
3 A quale scopo agiamo secondo la dottrina di
Epicuro?
.................................................................................................................
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2
2 La “paidèia” greca
leggere la pedagogia
1 Il discorso di Fenice di Omero
L’autore e il libro I poemi omerici (Iliade e
Odissea) sono i testi più importanti di tutta
la cultura greca. In essi si trovano numerosi
spunti pedagogici, ancora oggi assai validi,
che testimoniano l’interesse per l’educazione da sempre coltivato dai Greci.
Tra le possibili citazioni, è stato scelto il
famoso discorso del “maestro” di Achille,
Fenice. Achille, il guerriero più valoroso
fra i Greci, è irato per le offese ricevute
da Agamennone e ha deciso di abbandonare la guerra contro i Troiani. Questa
Finalmente Fenice parlò, il vecchio guidatore di carri,
scoppiando in lacrime; troppo temeva per le navi achee1.
«Achille glorioso, se il ritorno davvero ti sei messo nel
cuore,
e dalle rapide navi non vuoi tener lontano
il fuoco distruttore, perché l’ira ti cadde nell’animo,
come senza di te, caro figlio, potrò rimanere
abbandonato? Peleo2, il vecchio guidatore di carri, con
te mi mandò
il giorno che da Ftia3 t’inviò in aiuto a Agamennone4,
fanciullo, che non sapevi ancora la guerra crudele,
non i consigli, dove gli uomini nobilmente si affermano.
E mi mandò per questo, perché te li apprendessi,
e buon parlatore tu fossi e operatore di opere.
Così, figlio caro, senza te certo io non vorrei
rimanere, neppure se il dio di sua bocca mi promettesse,
spogliata la vecchiaia, di farmi giovinetto,
come allora che prima lasciai l’Ellade belle donne5,
fuggendo la lotta col padre, Amintore Ormenìde,
che s’adirò con me per l’amante capelli leggiadri6.
Egli amava costei e trascurava la sposa,
la madre mia. E questa sempre a supplicarmi in ginocchio
d’unirmi prima all’amante, perch’ella odiasse il vecchio.
E obbedii, così feci; ma il padre mio capì subito,
molto mi maledisse, l’Erinni7 odiose invocò:
mai sulle sue ginocchia dovesse posare un bambino
nato da me! Compirono quella maledizione gli dei,
Zeus8 infero e la tremenda Persefone9.
(Allora col bronzo acuto volli ammazzarlo,
ma un qualche dio calmò la mia collera e in cuore
mi pose la voce del popolo, il grave disprezzo degli uomini,
non mi facesse chiamare in mezzo agli Achei10 parricida).
Però il cuore in petto non poté più sopportare
di vivere nel palazzo del padre mio corrucciato.
Pure i parenti, e i compagni, standomi molto intorno
con preghiere cercavano di trattenermi a casa;
e molti forti montoni e buoi zampe curve, corna ritorte
uccidevano, e molti porci fiorenti di grasso
arrostivano stesi nella fiamma d’Efesto11,
molto vino bevuto dagli otri del vecchio.
Nove notti dormirono stesi intorno a me, a circondarmi,
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decisione può far fallire l’intera impresa.
Un gruppo di eroi si reca allora da lui per
convincerlo a cambiare opinione. Si riporta di seguito l’appassionato discorso che
gli rivolge il vecchio Fenice.
a turno facevan la guardia, mai si spegneva
il fuoco, uno sotto il portico del cortile ben chiuso,
un altro nel vestibolo12, davanti alle porte del talamo13.
Quando però la decima notte scese a me tenebrosa,
io allora, le porte del talamo, chiuse e sicure,
spezzai, venni fuori, saltai la cinta del cortile
facilmente, sfuggendo ai custodi e alle schiave.
E poi fuggii lontano, per l’Ellade vasta contrada,
e venni a Ftia fertile zolla, madre di greggi,
presso il sire Peleo; ed egli m’accolse benigno,
m’amò, così come un padre amerebbe un suo figlio,
l’unico, sua tenerezza, erede di molte dovizie14.
Egli mi fece ricco, mi diede molte genti;
vivevo in fondo alla Ftia, regnando sui Dolopi15.
Io ti ho fatto quale tu sei, Achille simile ai numi16,
ché t’amavo di cuore; e tu non volevi con altri
né andare ai banchetti né mangiar nella casa,
senza ch’io ti ponessi sopra le mie ginocchia
e ti nutrissi di carne, tagliandola, ti dessi del vino.
E tu spesso la tunica mi bagnasti sul petto,
risputandolo, il vino, nell’infanzia difficile!
Così ho sofferto per te molte cose, molto ho penato,
pensando questo, che i numi non davano vita a mio seme
nato da me17; di te, Achille simile ai numi, un figlio facevo,
perché tu un giorno tenessi lontano da me l’oltraggiosa sventura.
Ma doma, Achille, il cuore magnanimo; non ti conviene
aver petto spietato; si piegano anche gli dèi,
dei quali, certo, maggiore è la forza e l’onore e il potere.
Eppure con sacrifici, con amabili suppliche,
con libagioni18, con fumo, li piegano gli uomini,
scongiurandoli, se mai qualcuno sbaglia o devia».
(da Omero, Iliade, trad. it. R. Calzecchi, Onesti, Einaudi,
Torino 2005, 9, vv. 432-501)
1. Sinonimo di greche. 2. Nel discorso sono evocati e menzionati dei, creature mitologiche ed eroi coinvolti nella guerra di Troia. Peleo era il padre di
Achille. 3. Patria di Peleo ed Achille, in Tessaglia. 4. Agamennone, mitico
re di Argo e Micene e capo della spedizione greca contro Troia. 5. Ellade
è sinonimo di Grecia; la Grecia è detta «Ellade belle donne», ossia “Ellade dalle belle donne”, perché abitata da donne la cui bellezza era celebre.
6. «L’amante capelli leggiadri», ossia “l’amante dai bei capelli, dalle belle chiome”. «Dai capelli leggiadri» è l’appellativo dell’amante del padre di Fenice.
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7. Divinità mostruose che punivano coloro che si macchiavano di colpe gravi verso familiari. 8. Il latino Giove, signore dell’Olimpo e degli dei. 9. Dea
regina degli inferi, chiamata Proserpina dai Latini. 10. Anche qui sinonimo
di Greci. 11. Dio del fuoco, chiamato Vulcano dai Latini. 12. Atrio o ingresso. 13. Letto o camera nuziale. 14. Ricchezze. 15. I Dolopi sono un popolo
che abitava una regione montuosa della Grecia centrale. 16. Dèi. 17. Non
mi davano figli, discendenza. 18. Spargimenti di vino in onore degli dei.
Fenice ricorda dapprima la sua vicenda personale, e in particolare i fatti che gli costarono la
maledizione di non poter generare figli: spinto dalla propria
madre, si unì all’amante di suo padre Amintore. Egli, infuriato,
invocò sul figlio la punizione divina. Lo scontro con il padre fu
talmente violento che Fenice rischiò di ucciderlo; l’aiuto degli
dèi gli permise di non macchiarsi dell’odioso delitto del parricidio. Nonostante i tentativi dei parenti di trattenerlo presso la
casa paterna con ricchi banchetti, Fenice non sopportava più
di stare vicino al padre. Così sfuggì durante la notte alla sorveglianza degli schiavi e si rifugiò a Ftia, da Peleo, padre di Achille. Fenice racconta con gratitudine l’accoglienza che Peleo gli
riservò: fu per lui come un padre, lo rese ricco e lo mise a capo
del popolo dei Dolopi. Dalle parole di Fenice capiamo anche
che egli gli affidò l’educazione di Achille ancora bambino: lui,
che non poteva avere figli a causa della maledizione paterna,
si ritrovò a essere il prediletto del piccolo. Il bambino lo cercava ovunque e in sua assenza rifiutava di partecipare ai banchetti. Si mette qui in evidenza un’educazione basata sulla vita
comune, l’affetto e la familiarità: Achille «simile ai numi», perché
figlio di Teti, una dea minore, e di un uomo, Peleo, scelse proprio
Commento
107
Fenice come padre putativo (ossia colui che si comporta come
un padre pur non essendolo). Questo spiega l’affetto paterno
che il vecchio nutre per Achille e la rievocazione di episodi vividi e teneri, come quello di Fenice che taglia la carne per il
bimbo seduto sulle sue ginocchia, o si ritrova la tunica macchiata dai suoi spruzzi di vino (in realtà una miscela di acqua,
miele e vino). I precettori, educatori dei bambini nelle case
nobiliari, trascorrevano infatti con i fanciulli molto più tempo
di quanto ne trascorressero i loro genitori e il rapporto poteva
essere dunque molto intimo. Bisogna pensare che le parole di
Fenice sono ancora più impressionanti, perché egli rievoca con
parole dolci l’infanzia di quello che è il guerriero più valoroso
e spietato di tutto il popolo greco.
Prima di imparare a saper parlare nelle assemblee e comportarsi
in ogni occasione come conviene a un guerriero e al capo di un
popolo, Achille è stato un bambino come gli altri. Con queste
parole Fenice tenta di convincere Achille a non abbandonare il
campo di battaglia: alla fine sappiamo che egli rimarrà a combattere fino alla morte, sotto le mura di Troia.
Q ualche domanda
Ü Chi aveva affidato Achille bambino a Fenice?
Ü Quale tipo di rapporto esisteva tra l’educatore e il
fanciullo secondo le informazioni contenute nel brano
dell’Iliade?
2 I Sofisti e la trasformazione della cultura greca nel VI-V secolo a.C.
di Aristofane
L’autore e il libro Il movimento sofistico
rappresentò una vera e propria rivoluzione nella cultura greca, specialmente ad
Atene. I Sofisti non credevano alla possibilità di stabilire verità certe e valide per
tutti nei vari campi del sapere e di conseguenza attribuivano molto valore ai diversi punti di vista individuali. Erano cioè,
per usare un termine moderno, relativisti.
I Sofisti misero pertanto in discussione le
idee e i valori dell’epoca e alcuni di loro
attaccarono le credenze tradizionali sugli
, la fiducia nella bontà delle leggi e delle
usanze dei Greci. Il loro influsso si fece
sentire non soltanto in campo filosofico,
ma in tutti i settori della vita sociale.
Non si trattò certamente di un fenomeno culturale sorto dal nulla; è possibile
individuare alcune sue anticipazioni, per
esempio, nel diverso modo di giudicare
i racconti mitici nei tre massimi autori
tragici, ossia Eschilo, Sofocle ed Euripide.
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I contemporanei si sentirono spesso offesi
dall’aggressività e dalla spregiudicatezza
dei Sofisti, che utilizzavano senza scrupoli
la loro abilità retorica per vincere le cause
giudiziarie e le dispute cittadine. Verso i
Sofisti si sviluppò pertanto una grande
diffidenza. Aristofane dà voce a questo
risentimento nella commedia Le nuvole
(rappresentata per la prima volta nel 423
a.C.), sfruttando lo strumento dell’ironia.
Nella commedia vengono messi in scena i contrasti tra le generazioni: da una
parte c’è Strepsiade, un piccolo proprietario assillato dai debiti, dall’altra il figlio
fannullone Fidippide. Strepsiade ha una
visione del mondo piuttosto tradizionalista, accompagnata da un buon senso
un po’ gretto e limitato. Il figlio incarna
invece la nuova generazione, ormai lontana dalle convinzioni dei padri ma priva in
fondo di idee proprie. La preoccupazione
di Strepsiade è quella di dare una buona
educazione al figlio: perciò Aristofane introduce le personificazioni del Discorso
Giusto (DG)1 e del Discorso Ingiusto (DI)2.
Il primo esprime i valori tradizionali, per
certi versi moralisti e antiquati, il secondo
rappresenta ironicamente la disinvoltura
eccessiva dei Sofisti. Alla fine il Discorso
Giusto avrà la peggio e Strepsiade sceglierà di mandare il figlio alla scuola dei
Sofisti, nella speranza che lì apprenda il
modo per evitare i creditori e per difendersi in tribunale se citato in giudizio per
debiti. Ma le conseguenze saranno ben
altre: il figlio si rivolterà contro il padre
fino a percuoterlo duramente.
La commedia è molto divertente ma in
essa si intuisce chiaramente il pessimismo
dell’autore: Aristofane è convinto che le
trasformazioni del suo tempo porteranno conseguenze negative in ogni campo, compreso quello dell’educazione dei
giovani.
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2 La “paidèia” greca
Coro: Ora si esibiranno in discorsi abilissimi, in pensieri
e riflessioni. Chi sarà il migliore dei due? È bandita una
prova di sapienza, una prova decisiva per i nostri amici.
Tu che hai dato buoni costumi agli uomini di una volta, parla di ciò che ti diletta, ed esprimi la tua natura.
DG: Vi dirò qual era l’antica educazione; quando andavo di moda io che sostenevo la giustizia, e la temperanza era norma. Per prima cosa, i ragazzi dovevano stare
in silenzio, e camminavano per le strade in ordine, tutti
quelli di un quartiere, dirigendosi alla casa del maestro;
e nudi, anche se nevicava fitto. Il maestro gli insegnava – e dovevano stare fermi, senza accavallare le cosce
– canti come «Atena3 terribile, che distruggi le città» o
«un grido di lontano», mantenendo l’armonia ereditata
dai loro padri. E se qualcuno per fare lo spiritoso introduceva qualche gorgheggio, come ora fanno gli allievi di
Frinide4, si prendeva un sacco di botte per oltraggio alle Muse5. Nell’ora di ginnastica dovevano sedere con le
gambe distese, in modo da non mostrare le loro vergogne
agli estranei. Poi, una volta alzati, dovevano aggiustare
la sabbia e badare a non lasciare agli ammiratori tracce
della loro giovane bellezza. A quei tempi nessun ragazzo si ungeva al di sotto dell’ombelico, cosicché i genitali fiorivano di morbida lanugine come mele cotogne. E
nessuno, modulando languidamente la voce, si permetteva di fare gli occhi dolci all’amante, facendo il ruffiano
di se stesso. Nei banchetti non ci si poteva accaparrare
la testa del ravanello, né portar via ai vecchi l’aneto o il
sellino6, né essere ingordi, né sghignazzare, tenendo le
gambe incrociate.
DI: Roba vecchia, come le Dipolie, ricordo dei tempi
delle cicale e delle Bufonie!7
DG: Eppure fu proprio questa l’educazione che ho dato
agli eroi di Maratona8. Tu, a quelli d’ora gl’insegni ad
avvolgersi nel mantello. Mi fa una rabbia quando li vedo ballare alle Panatenee9, che, senza riguardo per Atena,
agitano lo scudo davanti ai genitali. Per questo, ragazzo
mio, scegli me, il discorso maggiore; imparerai a odiare
la piazza, a tenerti lontano dai bagni, a vergognarti di
ciò di cui è giusto vergognarsi, a infuriarti se qualcuno ti
prende in giro, a cedere il posto ai vecchi, a non trattare
male i genitori; insomma, a non fare niente di male. Sarai il pudore fatto persona. Non correrai dalle ballerine
che, mentre stai a guardarle a bocca aperta, ti buttano
una mela e ti rovinano la reputazione10. Non risponderai
a tuo padre chiamandolo Giapeto11, e rinfacciandogli la
tarda età, che ha speso per allevare te!
DI: Se dai retta a questo qui, ragazzo mio, sarai tale e
quale i figli di Ippocrate12, e ti chiameranno «cocco di
mamma».
DG: Sarai splendido e fiorente, e frequenterai le palestre. Non passerai il tempo chiacchierando di sciocchezze
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in piazza, come ora si usa, né ad occuparti di questioni
fasulle. Invece correrai all’Accademia sotto gli olivi, coronato di verdi canne, insieme a compagni perbene, come te, odorando di smilace13, di tranquillità, di pioppo
bianco: godrai la primavera e i sussurri del platano con
l’olmo. Se fai quel che ti dico, e a questo rivolgi la tua
attenzione, avrai petto forte, colorito sano, spalle larghe,
lingua corta, glutei forti e membro breve. Che se invece
fai come ora si usa, avrai colorito pallido, spalle misere,
petto gracile, lingua lunga, natiche piccole e membro
spropositato, e lunga dichiarazione di voto14; ti persuaderà che è bello ciò che è turpe e turpe ciò che è bello; e
ti attaccherà per giunta i vizi di Antimaco15.
Coro: O tu che coltivi un’illustre e salda saggezza, com’è
dolce e casto il fiore delle tue parole! Beato chi viveva ai
tempi antichi! E tu che possiedi un’arte sottile, trova argomenti nuovi contro i suoi, che sono stati gloriosi. Sì,
ti occorrono dimostrazioni fortissime se vuoi vincere, e
non farti prendere in giro.
DI: Da tempo mi divora la voglia di parlare e di mandare
all’aria questa bella costruzione con argomenti contrari.
I filosofi mi chiamano «discorso minore» perché primo
fra tutti ho trovato argomenti contrari alla legge e alla
giustizia. Vale più di ogni tesoro saper vincere una causa sbagliata. Ora guardate come confuterò l’educazione
che lui ha vantata. Per prima cosa, tu non permetti bagni
caldi. Dimmi, per quale ragione biasimi i bagni caldi?
DG: Sono una pessima cosa; infiacchiscono l’uomo.
DI: Ora ti ho beccato, e non mi sfuggi. Dimmi, secondo te, chi è l’eroe più grande tra i figli di Zeus, e quello
che ha affrontato più dure fatiche?
DG: Nessuno fu più valoroso di Eracle16, io penso.
DI: E dove mai si son viste «terme di Eracle» fredde? Eppure, chi più valoroso di lui?17
DG: Già, ma con questa scusa i bagni sono presi d’assalto da ragazzi che chiacchierano tutto il giorno, e le
palestre sono vuote.
DI: Già, tu biasimi anche chi chiacchiera in piazza; e io
lo approvo, invece. Se fosse una cosa biasimevole, Omero
non avrebbe fatto parlare in piazza Nestore18, né gli altri
saggi. E ora vengo alla lingua; lui dice che i giovani non
la devono esercitare, io invece sì. Inoltre raccomanda di
essere temperanti. Due grossi guai. Vedesti mai la temperanza offrire qualche vantaggio? Dillo, ribatti se puoi.
DG: Molte volte: Peleo, per esempio, ebbe in premio
la spada19.
DI: La spada? Un bel guadagno ci ha fatto il poveraccio;
ma con la bricconeria Iperbolo, quello delle lanterne, ha
guadagnato un mucchio di talenti, altro che spada!
DG: Peleo, però, sempre grazie alla temperanza, ottenne in moglie Teti20.
DI: Che poi lo piantò in asso, perché non era focoso, e
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Leggere la pedagogia
non era un buon compagno di letto. La donna prova piacere a farsi sbattere; ma già, tu sei un vecchio rimbambito. [Rivolgendosi a Fidippide:] Pensa, ragazzo, quali sono le conseguenze della temperanza, a quanti piaceri devi
rinunciare; fanciulli, donne, còttabo21, leccornie, bevute,
divertimenti. Vale la pena di vivere a questo modo? Ora
consideriamo la necessità della natura. Poniamo che tu ti
sia innamorato della moglie di un altro, e che ti colgano
in flagrante. Sei morto, se non sei capace di parlare. Ma se
appartieni al mio circolo, puoi sfruttare la natura, ridere,
impazzare, non avere tabù. Se anche ti beccano in flagrante
adulterio basta dire che non hai colpa di nulla, e rovesciare il tutto su Zeus: anche lui cede all’amore e alle donne.
Tu che sei uomo mica puoi essere più forte di un dio, no?
DG: E se per averti dato retta, gli cacciano un ravanello
nel culo e lo depilano con la lisciva calda22, potrà negare
d’essere un rottinculo?23
DI: E anche fosse, che c’è di male?
DG: Ma c’è qualcosa di peggio, dico io?
DI: Che dici, se ancora una volta ti dimostro che hai
torto?
DG: Starò zitto; che altro posso farci?
DI: Allora dimmi; gli avvocati, che gente sono?
DG: Rottinculo.
DI: D’accordo. E i poeti tragici?
DG: Rottinculo.
DI: Benissimo. E i politici?
DG: Rottinculo.
DI: E allora; lo vedi che dicevi una sciocchezza? E gli
spettatori, per la maggior parte, chi sono?
DG: Sto guardando.
DI: E che vedi?
DG: Per gli dèi; la maggior parte sono rottinculo. Questo lo conosco, e anche questo, e quell’altro coi capelli lunghi.
DI: E allora, che ne dici?
DG: Ho perso, rottinculo maledetti24. Tenete il mio mantello, che passo anch’io dalla vostra parte.
DI [A Strepsiade]: Dunque; vuoi riportarti via tuo figlio,
o vuoi che gli insegni a parlare?
Strepsiade: Istruiscilo, puniscilo, affilalo come una lama a due tagli, per le cause di poco conto, e per quelle
più importanti.
DI: Sta tranquillo; ne faremo un sofista.
(Aristofane, Le nuvole, in Tutte le commedie, trad. it. di G. Paduano,
Newton Compton, Roma 1991, III, vv. 946-1112)
1. Riportato con la sigla «DG» nel testo. 2. «DI» nel testo. 3. La dea protettrice di Atene. 4. Poeta e musicista di Mitilene, che introdusse molte novità
nell’arte musicale. Aristofane considerava le modulazioni e variazioni nelle
opere solenni, tradizionali, come il primo sintomo della corruzione culturale. 5. Le divinità protettrici delle arti. 6. L’aneto e il sellino corrispondono
rispettivamente all’anice e al sedano, spezie e ortaggi tipici della cucina gre-
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ca. 7. Le Dipolie erano un’antichissima festività ateniese, che comprendeva
la cerimonia delle Bufonie, in cui era prevista l’uccisione di un bue. Fissarsi i capelli con fermagli a forma di cicale era ad Atene una moda dei tempi
antichi. 8. A Maratona, nel 490 a.C., i Greci sconfissero i Persiani di Dario. 9. Le principali festività religiose in Atene, celebrate in onore di Atena.
10. Tradizionale messaggio di seduzione nella cultura greca. 11. Giapeto
apparteneva alla più antica generazione divina, quella dei Titani. Dare a
qualcuno del «Giapeto» equivaleva a definirlo “vecchione” o “matusalemme”. 12. Forse identificabile con un uomo politico di Atene, morto nella
battaglia di Delio nel 424 a.C. 13. Pianta dai fiori molto odorosi, con la
quale i Greci erano soliti fare ghirlande. 14. Polemica contro la tendenza
dell’assemblea popolare a moltiplicare le votazioni dei decreti legge, che si
sovrapponevano alla grandi leggi istituzionali. 15. Personaggio non identificabile con sicurezza. 16. L’Ercole dei Latini. 17. Presso le Termopili c’erano
delle fonti termali calde consacrate a Eracle. Il Discorso Ingiusto difende in
questo modo tendenzioso la preferenza dei giovani per le terme calde, che
il Discorso Giusto disapprova: solo le acque fredde temprano e irrobustiscono il fisico. 18. Il più vecchio e il più saggio dei Greci che combatterono
a Troia. 19. Narra il mito che Peleo, corteggiato dalla moglie del re Acasto,
non cedette alle richieste della donna; questa, per vendetta, raccontò al marito che Peleo aveva tentato di violentarla. Acasto si vendicò lasciando Peleo
addormentato e privo della spada in un luogo infestato da belve feroci; ma
il dio Ermes (il Mercurio dei Latini) gli procurò una spada fatata. 20. Peleo
ebbe infatti in moglie la ninfa Teti, con la quale generò Achille. Si allude qui
al fatto che il suo comportamento corretto lo avesse reso particolarmente
caro agli dèi e degno dunque di unirsi ad essa. Il matrimonio che ne seguì
non fu affatto felice: il Discorso Ingiusto allude a questo, per convincere
lo spettatore di avere ragione. 21. Un gioco che consisteva nel lanciare il
vino contro un bersaglio. 22. La liscivia è quella che noi chiamiamo abitualmente soda caustica, ottenuta con un misto di acqua e cenere. Queste
le pene, che oggi troviamo indubbiamente barbare, previste ad Atene per
gli adùlteri. 23. Incoraggiando i giovani a compiere atti sconsiderati, il Discorso Ingiusto non tiene conto delle pene che essi avrebbero dovuto subire.
24. Si sbeffeggia apertamente qui l’intera popolazione ateniese, categoria
per categoria, pubblico compreso.
Nel brano di Aristofane, come si è detto, è descritta l’accesa discussione tra due Discorsi: il
Discorso Giusto e il Discorso Ingiusto, con il Coro che fa da
arbitro alla disputa. Il primo invoca le pratiche educative tradizionali con cui sono state allevate le generazioni precedenti: i
giovani dovevano imparare molto presto il senso del pudore,
della moderazione e il rispetto per gli anziani; nell’antichità non
c’era spazio per l’ozio e le chiacchiere inutili, poiché si conosceva il valore delle cose importanti. L’educazione del fisico era
fondamentale: le palestre e i bagni freddi rendevano i ragazzi
resistenti al freddo e alle fatiche, pronti quindi alla battaglia.
Così sono stati cresciuti gli eroi greci di Maratona. Questi valori, secondo il Discorso Giusto, sono sempre validi: rispettandoli, il giovane avrà fisico, mente e volontà pronti e saldi e sarà
dunque un adulto modello.
A questa lunga predica replica il Discorso Ingiusto, che Aristofane considera espressione della nuova mentalità sofistica. Il
Discorso Ingiusto esorta i giovani a ogni forma di piacere: bere,
mangiare, divertirsi e fare all’amore con ragazzi, ragazze e persino donne sposate, senza rispetto per niente e per nessuno
e trascurando le regole, il senso della misura, la riconoscenza
per i genitori, insomma, ogni criterio di giustizia. Quest’ultima,
infatti, potrà sempre essere imbrogliata dal sofista con l’abilità
della parola. Per dimostrare di avere ragione, il Discorso Ingiusto utilizza senza scrupoli fatti ed episodi tratti sia dal mito sia
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2 La “paidèia” greca
dalla vita quotidiana di Atene, interpretandoli in modo parziale e fazioso: come quando difende l’uso delle terme calde,
affermando che anche il famoso eroe greco Eracle le avrebbe
frequentate: altrimenti, come avrebbero potuto intitolare a lui
le famose sorgenti presso le Termopili? Un altro esempio del
rovesciamento del discorso si ha quando, nella parte finale, il
Discorso Giusto offende scriteriatamente tutti gli intellettuali
ateniesi (avvocati, poeti tragici, politici), fino al pubblico presente a teatro, trattandoli alla stregua dei più corrotti soggetti
della città. In questo il Discorso Giusto si comporta veramente
come il peggiore dei Sofisti. Alla fine il Discorso Giusto si arrende: non c’è nulla da fare contro questa abile parlantina, bisogna
cedere. Strepsiade dovrà fare educare il proprio figlio da quegli
ingannatori, sperando così che il ragazzo diventi ricco e po-
tente. Con un’ironia tagliente, Aristofane critica ferocemente i
nuovi costumi degli ateniesi, che stanno perdendo il senso della
tradizione e dell’onestà. A tal fine, lascia ai posteri un’immagine
spassosissima e spietata di questo nuovo genere di educatori,
descritti come dei fanfaroni e dei corrotti.
Q ualche domanda
Ü Quali erano, secondo Aristofane, gli aspetti positivi
dell’educazione tradizionale?
Ü Quali sono, secondo lui, i maggiori pericoli
dell’educazione sofistica?
3 Una prospettiva alternativa alla filosofia. L’arte dell’eloquenza
di Isocrate
L’autore e il libro Isocrate visse ad Atene
tra il V e il IV secolo a.C. e fu un celebre
maestro di retorica e autore di discorsi,
che spesso scriveva su commissione. Da
giovane risentì profondamente dell’influenza dei Sofisti e di Socrate, ma in se-
guito rifiutò molte delle loro posizioni.
Nell’orazione Contro i sofisti, di cui riportiamo buona parte, Isocrate critica i suoi
avversari e stabilisce i doveri del buon
oratore: primo fra tutti quello di esprimere sempre, attraverso le sue parole, la
Se tutti coloro che si dedicano all’educazione volessero
essere sinceri e non promettessero più di quanto possono guadagnare, non incorrerebbero nelle critiche della
gente; ora, invece, coloro che osano troppo inconsideratamente1 vantarsi, hanno fatto sì che meglio sembrino deliberare quelli che preferiscono non occuparsi di
nulla, di quelli che dedicano il loro tempo al sapere.
Chi, infatti, non proverebbe antipatia e disprezzo, in primo luogo, verso coloro che consumano il loro tempo in
discussioni inconcludenti, i quali si danno l’aria di ricercare la verità, ma subito, fin dagli inizi del programma,
cominciano a mentire? […]
Costoro sono giunti a tal punto di impudenza, che tentano di convincere i giovani che, se li frequenteranno,
sapranno ciò che si deve fare, e in virtù di questa scienza
saranno felici. E pur facendosi maestri e arbitri di siffatti beni, non si vergognano di chiedere in cambio tre o
quattro mine2 soltanto.
Ma, se vendessero qualcun altro dei loro beni a una minima parte del loro valore, non pretenderebbero di essere
saggi; quando invece valutano così poco l’intera virtù e
felicità, come se fossero intelligenti, credono giusto diventare maestri degli altri. E affermano che non hanno
bisogno di averi, chiamando la ricchezza un pugno di
argento e di oro; ma poi, in cerca di un piccolo guadagno, per poco non promettono ai discepoli di renderli
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verità. L’opera ebbe una fortuna immensa e accrebbe moltissimo l’importanza
degli studi linguistici, retorici e letterari.
Per molti secoli successivi, infatti, l’educazione si sarebbe fondata proprio su studi
di questo tipo.
immortali. Ma questa è davvero la cosa più ridicola: che
a quelli, dai quali devono avere un compenso per le lezioni, negano fiducia, pur essendo in procinto di trasmettere loro la rettitudine; e proprio da quelli di cui mai sono
stati maestri, si fanno garantire quanto devono ricevere
dai loro discepoli, bene consigliandosi, in verità, per la
propria sicurezza, ma comportandosi in pratica in modo
contrario al loro programma.
Certo, non è disdicevole che chi si dedica a qualche altro insegnamento, curi il proprio interesse. Niente infatti impedisce che chi abbia acquistato abilità in altri
campi, violi i patti convenuti; ma, come non è illogico
che quelli che inculcano la virtù e la saggezza, non abbiano fiducia soprattutto nei loro discepoli? Non infatti
di certo, questi, se nei riguardi degli altri sono ottimi e
giusti, saranno scorretti verso quelli, ad opera dei quali
sono così diventati.
Qualora dunque qualche profano, avendo considerato
tutto questo, si accorga che coloro che insegnano la sapienza e trasmettono la felicità hanno essi stessi bisogno
di molte cose e si fanno pagare piccole somme dai loro
discepoli, e mentre vanno a caccia delle contraddizioni
nelle parole non le scorgono nelle azioni, e ancora, pur
vantandosi di conoscere le cose future, circa le presenti non sono capaci né di dire né di consigliare alcunché
di conveniente, ma che sono più coerenti e più riescono
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Leggere la pedagogia
quelli che seguono l’opinione di quelli che si vantano di
possedere la scienza, bene a ragione, credo, disprezzino
e giudichino ciarlataneria e meschinità questo genere di
discussioni, e non educazione dell’anima.
Non è giusto però criticare soltanto costoro, bensì anche
quelli che promettono di insegnare l’eloquenza pubblica.
Essi infatti non si danno pensiero della verità e pensano
che l’abilità sia questa, se cioè attirano quanti più possono con una modesta richiesta di denaro e con grandi
promesse, e se possono ottenere da loro un qualche guadagno. Sono così insensati essi stessi e pensano che lo
siano anche gli altri, che pur scrivendo discorsi in modo
peggiore di quelli che alcuni inesperti improvvisano, ciò
nonostante assicurano che renderanno chi li frequenta
oratore sì abile che non gli sfuggirà nessuno aspetto possibile delle questioni. […]
Ecco la prova più evidente della diversità fra le due cose:
non è possibile che i discorsi siano belli, se non si accordino alle circostanze, non siano aderenti al soggetto, non
abbiano originalità; le lettere, invece, non abbisognano di
nessuna di queste norme. Cosicché coloro i quali si servono di simili esempi, sarebbe molto più giusto pagassero piuttosto che ricevere denaro, poiché, pur avendo essi
stessi bisogno di molto studio, vogliono educare gli altri.
Se io devo non solo muovere accuse agli altri, ma anche
manifestare il mio pensiero, ebbene, penso che tutte le
persone assennate siano d’accordo con me nel dire che
molti di quelli che si sono dedicati alla filosofia continuano a essere degli sprovveduti; alcuni altri invece, che
non hanno mai frequentato alcun sofista, sono diventati capaci nel dire e nel trattare i pubblici affari. Infatti la
capacità oratoria e la capacità di agire in ogni campo si
trovano in chi ne è per natura dotato e in chi si sia esercitato con l’esperienza.
Ma è l’educazione che fa tali individui più abili e ricchi
di risorse per le ricerche; infatti insegna loro a cogliere
con più prontezza quegli elementi che ora trovano alla cieca; ma non potrebbe rendere polemista valente o
compositore di discorsi chi è meno dotato per natura;
potrebbe tuttavia renderlo migliore di quello che è e far
sì che sia più accorto riguardo a molte cose.
Poiché sono giunto a questo punto, voglio parlare in
modo ancora più chiaro su questo argomento. Io dico,
infatti, che non è tra le cose molto difficili acquistare la
conoscenza dei procedimenti retorici, coi quali pronunciamo e componiamo tutti i discorsi, qualora uno si affidi
non a chi facilmente promette, ma a chi è esperto della materia; però scegliere tra questi procedimenti quelli
che convengono a ciascun argomento, collegarli l’uno
con l’altro, ordinarli convenientemente e, ancora, non
sbagliarsi sul momento di usarli, variare con riflessioni
in modo adatto, il complesso del discorso ed esprimersi
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con armoniose e musicali espressioni, il tutto questo richiede molta cura, ed è proprio di uno spirito vigoroso
e sagace3; ed è necessario che il discepolo, oltre a possedere una natura adatta apprenda i procedimenti retorici
e si eserciti nel loro uso, e che il maestro sia in grado di
esporli così accuratamente, da non tralasciare nulla di
ciò che si può insegnare; riguardo al resto, poi, offra sé
stesso ad esempio, in modo che sia subito evidente che
quelli su cui ha lasciato un’impronta e sono in grado
di imitarlo, si esprimono con un linguaggio più fiorito
ed elegante degli altri. Qualora si siano verificate tutte
queste circostanze, chi si dedica all’oratoria raggiungerà
la perfezione; ma se qualcuna delle suddette condizioni
viene a mancare, necessariamente, sotto questo riguardo,
i discepoli si trovano in difetto.
Senza dubbio quei sofisti che sono venuti su da poco, e
di recente si sono lasciati andare a millanterie4, anche se
ora passano ogni limite, tutti, so bene, ripiegheranno su
questi principi. Mi resta da parlare di quelli vissuti prima
di me, che osarono scrivere i cosiddetti trattati di retorica; non bisogna lasciarli senza critiche. Essi promisero di
insegnare a discutere le cause in tribunale, avendo scelto
la più sgradita tra le espressioni, che avrebbe dovuto usare chi ha in odio l’eloquenza, e non chi è maestro di tale
metodo di educazione: tanto più potendo l’arte oratoria
giovare, per quanto è insegnabile, al genere giudiziario
non più che a tutti gli altri. Tanto sono stati peggiori di
quelli che si ingolfano in vane contese verbali, in quanto questi, pure esponendo così futili opinioni, alle quali
se uno si attenesse nella pratica, subito si troverebbe nei
guai, ciò nonostante promettono, a questo proposito,
la virtù e la saggezza; quelli invece, invitando all’oratoria pubblica, messi da parte gli altri vantaggi presenti in
questo genere di discorsi, si sono prestati a esser maestri
di intrigo e di cupidigia5.
(Isocrate, Contro i sofisti,in Orazioni, a cura di M. Mazzi,
2 voll., Utet, Torino 1996, pp. 1-20)
1. In modo sconsiderato, senza giudizio né misura. 2. La mina è una antica
moneta greca di moderato valore rispetto al talento (un talento equivaleva approssimativamente a sessanta mine). Si tratta di un guadagno misero,
di poco conto rispetto a quello che promettono di insegnare. 3. Di mente
pronta, rapida. 4. Promesse esagerate, vanterie che non hanno corrispondenza alcuna con la verità. 5. Avidità.
Isocrate se la prende con varie categorie di
persone che pretendono di educare i giovani:
i Sofisti, i maestri di retorica e i filosofi. Tutti promettono molto
di più di quanto possono mantenere, si perdono in chiacchiere inconcludenti e spesso sono interessati soltanto al denaro.
I primi, infatti, sostengono di essere insegnanti di prim’ordine
e di fare dei loro allievi uomini retti, saggi e colti: in cambio,
chiedono una retribuzione assai misera, il che rende poco credibili le loro promesse. In più, desta ancora maggiore sospetto
Commento
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2 La “paidèia” greca
il fatto che chiedano di essere pagati in anticipo: se voi pretendete di rendere i vostri allievi giusti e virtuosi, sostiene Isocrate,
come potrebbero rifiutarsi alla fine dei loro studi di pagare il
prezzo stabilito? Nessun uomo corretto commetterebbe
un’azione simile. Dunque, insinua Isocrate, i Sofisti sono in malafede e imbrogliano le persone ingenue con i loro ragionamenti pretenziosi. Della stessa pasta, tuttavia, sembrano i maestri di retorica: anch’essi si propongono come insegnanti per
cifre troppo modeste rispetto a quello che promettono di offrire. In realtà secondo Isocrate sono spesso dei ciarlatani, che
non possiedono neppure quell’arte che dicono di trasmettere.
Anche i filosofi non sono in grado di assicurare una preparazione decente: molto spesso chi li frequenta è e resta sprovveduto, mentre altri sanno cavarsela benissimo da soli negli affari e nelle questioni pubbliche.
Questo perché, afferma Isocrate, molto dipende dalla natura
della persona: perché l’educazione abbia il suo effetto, c’è bisogno di giovani che abbiano ottime inclinazioni naturali. Senza
una buona propensione alla base, nessuno può fare miracoli
e chi li promette è solo un imbroglione. Molti sono gli “ingredienti” necessari per formare un buon retore: il maestro deve
esporre in modo accurato ogni aspetto della sua arte; il giovane
deve essere particolarmente sveglio, capace di afferrare al volo
un’idea o un suggerimento che gli giunga dall’esterno e utilizzarlo nel suo discorso; deve poi imparare attentamente tutte
le regole e i trucchi del mestiere ed esercitarsi lungamente. Il
maestro, se è bravo, si offrirà da subito come esempio per il
giovane che imparerà a imitarlo e acquisirà così un linguaggio
più raffinato.
I Sofisti, che sono una nuova generazione di insegnanti, dopo
queste prime baldanzose proposte, ripiegheranno su questi
criteri, com’è ovvio; anche i tradizionali manuali di retorica
sono però inservibili per Isocrate. L’eloquenza era insegnata
prevalentemente per avere la meglio nelle cause giudiziarie,
in tribunale: con questo fine così basso e meschino non ci si
deve meravigliare che una disciplina così importante abbia
perso valore.
Questo brano è dunque una lunga denuncia della scorrettezza
dei metodi educativi contemporanei e precedenti, giudicati
insufficienti e usati per procurarsi fonti di guadagno illecite.
Bisogna però notare che proprio da queste righe emerge nettamente il grande interesse degli antichi Greci per l’educazione:
attorno a questa attività erano sorti inganni e truffe di ogni
genere perché i Greci di buona famiglia erano disposti a pagare
(e, in certi casi, a lasciarsi raggirare ingenuamente) pur di assicurare ai loro figli una buona educazione. Questa era necessaria
infatti ai cittadini che volevano prendere parte alla vita politica
o semplicemente essere rispettati in caso di accuse ingiuste.
Ma, commenta saggiamente Isocrate, per prima cosa bisogna
rispettare le inclinazioni individuali, le attitudini di ciascuno.
Q ualche domanda
Ü Che cosa rimprovera Isocrate ai Sofisti, ai maestri di
retorica e ai filosofi?
Ü Di che cosa c’è bisogno, secondo Isocrate, per realizzare
un’efficace azione educativa?
Ü Come deve essere insegnata l’eloquenza?
4 Il mito della caverna di Platone
L’autore e il libro Il grande filosofo Platone (427-347 a.C.) era stato in gioventù
allievo di Socrate (469-399 a.C.), dal quale
aveva imparato l’amore per la virtù e l’esigenza di superare il relativismo dei Sofisti.
Per Socrate e Platone, infatti, il compito
fondamentale della filosofia era quello di
cercare conoscenze e valori assoluti, cioè
validi per tutti.
La preoccupazione principale di Platone
era la costruzione di uno Stato giusto;
egli affronta questo tema soprattutto
nella Repubblica, un lungo e importante
dialogo che ha per protagonista Socrate.
In questa opera Platone concepisce un
ideale di società che sarà molto discusso
in tutta la tradizione filosofica occidentale. Egli è convinto che i cittadini debbano
essere divisi in tre categorie, a seconda
delle loro attitudini individuali: i lavoratori, legati alla vita materiale e agli impulsi
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del corpo; i guardiani o soldati, ossia gli
uomini più coraggiosi; e infine i dirigenti
dello Stato, coloro che sono in grado di
dominare gli impulsi e le passioni grazie
alla loro razionalità. Questi ultimi sono i
filosofi, ossia quegli uomini particolarmente dotati in grado di conoscere la
vera realtà e il Bene. Solo chi conosce il
Bene, infatti, può attuarlo a vantaggio
dell’intera comunità.
Nel libro VII della Repubblica si trova il celebre “mito della caverna”, in cui la condizione dell’essere umano è paragonata a
quella di uno schiavo incatenato in una
grotta. Lo schiavo, rivolto verso la parete
della caverna, percepisce soltanto ombre
imperfette delle vere realtà che stanno
fuori. Secondo Platone, nella vita normale
siamo legati alle esperienze dei sensi e ai
bisogni del corpo e questo ci impedisce
di conoscere la verità. La maggior parte
delle persone rimane sempre in questa
condizione. Solo con grande fatica qualche schiavo riesce a uscire dalla caverna
e a conoscere, illuminate dal sole (che
nel mito rappresenta il Bene), le realtà
come veramente sono. Questi è il filosofo. Il mito simboleggia dunque il faticoso
processo di acquisizione del sapere, che
culmina nella conoscenza delle vere realtà, le idee, illuminate dal Bene.
Il resto del VII libro descrive in dettaglio,
e non più in forma di mito, le varie tappe
del processo conoscitivo. È importante
notare che il programma educativo proposto da Platone è rivolto esclusivamente
ai guardiani e ai filosofi, dato che per la
terza classe di cittadini egli riteneva sufficiente una formazione di carattere solo
professionale. Il brano riportato è quello
immediatamente successivo al mito, o
«immagine», della caverna.
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Leggere la pedagogia
Ebbene, diss’io, mio caro Glaucone1, questa immagine bisogna applicarla tutta a ciò che si è detto dianzi: il
mondo visibile2 somiglia a quel carcere3 e la luce di quel
fuoco4 alla potenza del sole5; e se supponi che la salita
verso l’alto e la contemplazione delle cose di lassù rappresentino l’ascesa dell’anima al mondo intelligibile6,
non t’ingannerai sulla mia opinione, perché è questa appunto che tu desideri di conoscere. Il dio sa se sono nel
vero; ma io credo che sia così: che nel mondo intelligibile l’idea del bene sia la più alta e la più difficile a scorgersi, ma che, quando si sia scorta, bisogna concludere
che essa è per tutti la causa d’ogni cosa buona e bella7;
poiché nel mondo visibile ha generato la luce e il signore di questa, e nel mondo intelligibile, dov’essa egualmente signoreggia, ha prodotto la verità e l’intelligenza;
e che questa idea è quella che deve conoscere chi voglia
condursi saggiamente nella vita privata e nella pubblica8.
Sono, disse, anch’io del tuo parere, a quanto posso giudicare.
Orsù, continuai, sii del mio parere anche in questo, e
non meravigliarti che coloro, i quali sono saliti a tanta
altezza, non vogliano più occuparsi delle faccende umane; ma che, invece, nella loro anima, aspirino senza posa a vivere lassù; giacché questo, credo, è perfettamente
naturale, se, a sua volta, la realtà deve rispondere all’immagine che ne ho tracciata9.
Perfettamente naturale, disse.
E che? soggiunsi; ti pare poi strano che uno, discendendo da questa divina contemplazione alle miserie terrene,
faccia una magra figura e sembri oltremodo ridicolo, se,
mentre ha tuttora la vista abbagliata e prima d’assuefarsi abbastanza alle tenebre che lo circondano, si trovi costretto a contendere nei tribunali o altrove intorno alle
ombre del giusto o ai simulacri che le ombre proiettano
e a disputare intorno alle interpretazioni che di codeste
cose danno quelli che non hanno mai veduto la giustizia in sé?10
Anche in ciò, disse, non c’è nulla di strano. […]
Or dunque, ripresi, se tutto ciò è vero, dobbiamo concluderne quanto segue: che l’educazione non è tale quale certuni pretendono che sia. Questi, credo, affermano,
che quand’anche in un’anima non ci sia la conoscenza,
essi possono mettervela, come si metterebbe la vista in
occhi ciechi11.
Difatti lo affermano, disse.
Mentre invece, diss’io, il nostro ragionamento ci significa
che nell’anima di ognuno di noi c’è la facoltà di apprendere e l’organo mediante il quale ciascuno apprende; e
che, come un occhio che non sia capace di volgersi dalla
oscurità alla luce, se non con tutto il corpo; così quest’organo dell’anima dev’essere stornato con tutta l’anima da
ciò che è divenire, fino a che non si renda capace di con-
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113
templare l’essere e contemplarlo nella sua parte più luminosa che è, come affermiamo noi, il bene. O non ti pare?
Ma sì.
L’educazione, dunque, diss’io, è l’arte di produrre questo
rivolgimento, e produrlo nel modo più facile e più proficuo, non quella di mettere nell’uomo la facoltà visiva,
ma di procurare a chi già possiede la vista, ma è volto
male e non guarda dove dovrebbe, la possibilità di questa conversione.
Difatti così pare, disse12.
Ora si può ammettere che per altre qualità, che si dicono
proprie dell’anima, avvenga suppergiù ciò che si verifica per quelle del corpo: che in realtà, pur non essendoci
prima, possano introdurvisi con l’abitudine e con l’esercizio. Ma la virtù dell’intendere è, mi pare, qualche cosa
che, a preferenza d’ogni altra, partecipa del divino; essa
non perde mai il suo potere, ma secondo che s’indirizza
in un senso o in un altro, diventa utile e giovevole o, viceversa, inutile e dannosa13.
[…] Or dunque, diss’io, se l’anima dotata d’un tal potere [di un’intelligenza adeguata] fosse sin dalla fanciullezza liberata e ripulita intorno di quelle parti che, congeneri14 al divenire, connaturandosi con essa per eccesso
di cibo, di piaceri e di ghiottonerie, le formano in giro
quasi delle concrezioni plumbee15 che ne traggono in giù
la vista; se, ripeto, liberata di questo peso, fosse volta al
vero, anche l’anima di questi medesimi uomini vedrebbe la verità con altrettanta nettezza con quanta vede ora
le cose a cui è volta.
È probabile, disse. […]
Ora spetta a noi, fondatori della repubblica, di costringere le nature meglio dotate ad elevarsi a quella disciplina16,
che nel discorso precedente abbiamo definita la più alta,
e vedere il bene e ascendere quella difficile via; e poiché,
ascesi, abbiano visto sufficientemente il bene, non permettere ad essi ciò che ora si permette loro.
E che è questo?
Il rimanervi, diss’io, e non volerne ridiscendere presso
quegli incatenati, né partecipare alle fatiche e alle dignità di laggiù, poco o molto che sia il conto che se ne
debba fare.
Sicché, disse, li tratteremo ingiustamente e li obbligheremo a vivere peggio, quando potrebbero meglio17. […]
Rifletti, dunque, Glaucone, che non faremo neanche
torto a quelli che tra noi diverranno filosofi, ma addurremo loro dei giusti motivi per costringerli ad aver cura
degli altri e custodirli. Giacché diremo loro che quelli,
i quali nelle altre città divengono filosofi, è ragionevole
che non si mescolino alle beghe della vita politica, dacché essi si formano di loro iniziativa e malgrado il governo di ciascuna città; onde è giusto che chi è venuto su
di per se stesso, e non è a nessuno in debito del proprio
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114
2 La “paidèia” greca
nutrimento, non sia neppur sollecito di pagarne il prezzo a nessuno; ma voi altri, invece, noi v’abbiamo formati
nell’interesse vostro e dello Stato, per essere, come negli
sciami delle api, condottieri e re, e v’abbiamo educati
meglio di quelli e più compiutamente, e resi più capaci
d’occuparvi ad un tempo così di filosofia come di politica18. Ciascuno di voi dunque deve a sua volta discendere nella dimora comune e assuefarcisi a contemplare
gli oggetti nelle tenebre; perché assuefacendovi a questo,
vedrete assai meglio che quelli di laggiù, e riconoscerete ciascuna immagine, quale sia e di che, per aver visto i
veri esemplari della bellezza, della giustizia e del bene. E
così noi e voi costituiremo e governeremo la città vigilando e non sognando, come avviene ora nella maggior
parte delle città, per colpa di costoro che combattono
tra loro per delle ombre e si contendono accanitamente
il potere come se fosse un gran bene19. Ma la verità, se
io non erro, è questa: che quello Stato, nel quale coloro
che son chiamati a reggerlo sono men d’ogni altro premurosi d’assumervi il potere; questo è necessariamente
meglio governato e più tranquillo, mentre accade il contrario in quegli stati i cui governanti facciano il contrario.
Proprio così, disse.
Ebbene, credi tu che i nostri alunni, udendo queste ragioni, ci disobbediranno e si rifiuteranno di collaborare al governo ciascuno a sua volta, pur vivendo tra loro
la maggior parte del tempo nella pura contemplazione
del bene?
Impossibile, rispose, giacché essi sono giusti e noi non
prescriviamo loro se non delle cose giuste; ma è indiscutibile che ciascuno di loro si sobbarcherà al potere unicamente come ad un dovere imprescindibile, al contrario di
ciò che avviene per i governanti odierni in ogni città. […]
Vuoi dunque che ora esaminiamo per prima cosa questo: in che modo si formino codesti caratteri e per qual
via si possa innalzarli alla luce, come di alcuni si dice che
dall’Ade20 fossero stati assunti tra gli dèi?
E come non volerlo?, disse.
E in ciò, a quanto pare, non si tratta del capovolgimento d’una piastrella, ma del rivolgimento dell’anima da
un giorno tenebroso al giorno vero, ad un’ascesa, cioè,
verso l’essere, che è, come lo definiamo, il compito della vera filosofia.21
(Platone, Repubblica, in Tutte le opere, trad. it. di G. Pugliese Carratelli,
Sansoni, Firenze 1988, VII, 516b-520a)
1. È l’interlocutore principale di Socrate nel dialogo platonico. 2. Cioè la
realtà che cade sotto i nostri sensi, fatta di materia. 3. La realtà materiale è
come un carcere per la nostra anima, che non riesce a elevarsi e a contemplare il Bene a causa delle molteplici occupazioni del corpo. 4. Il fuoco nella caverna rappresenta il sole, cioè il Bene, che è presente nel mondo intelligibile. 5. Il sole è il Bene, di cui noi percepiamo solo un vago riflesso nel
mondo sensibile. 6. L’anima del filosofo è infatti quella che riesce a distaccarsi dalle cose materiali e a cogliere il Bene. 7. Il Bene è la causa di tutto
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ciò che a noi appare bello e buono, anche se in modo parziale, imperfetto,
perché legato alla materialità. Solo l’idea del Bene è perfetta e compiuta in
sé. 8. La conoscenza del Bene è la condizione necessaria per la pratica della
virtù, sia nella vita quotidiana sia nella vita politica. 9. Chi conosce il Bene è completamente appagato e non vorrebbe distaccarsene; per cui la vita
quotidiana, materiale, gli sembra inutile e dannosa. 10. Platone allude qui
al disagio di colui che conosce il Bene in sé e si trova a confrontarsi con la
miseria delle ingiustizie della vita quotidiana: egli non riuscirà mai più ad
ambientarsi. 11. Platone paragona la conoscenza alla vista: nessuno può far
vedere qualcosa a qualcuno se questi non è dotato della vista. Allo stesso
modo nessuno può infondere la conoscenza in un altro, come se travasasse
qualcosa in un recipiente. 12. La conoscenza non si trasmette direttamente
da un maestro a un allievo, come pensano alcuni; può essere solo suscitata
nell’animo del discepolo. Questi è già provvisto della facoltà necessaria, deve solo rivolgersi verso il Bene, con tutta l’anima. L’educazione è appunto
questo rivolgimento. 13. La facoltà razionale è di origine divina: secondo
Platone l’anima umana è infatti immortale. Essa può dunque essere convertita al bene o al male, ma non c’è dubbio che ogni uomo sia naturalmente dotato di ragione. 14. Dello stesso genere, natura del divenire, cioè
del mondo sensibile. 15. Prosegue la similitudine della conoscenza con la
vista. La conoscenza è come la vista: come le «concrezioni plumbee» (masse oscure di piombo) che ricoprono gli occhi impedirebbero a chiunque di
vedere, così i vizi dell’anima la appesantiscono impedendole di conoscere
il Bene. 16. La dialettica. 17. Costringendo i filosofi a «tornare sulla terra», cioè a occuparsi dell’amministrazione della repubblica, forse si fa loro
torto, perché li si allontana dalla contemplazione del Bene, che per loro è
il massimo desiderio. Il senso è che i migliori governanti sono coloro che
non solo non si gloriano della loro posizione, ma addirittura non la desiderano neppure: solo così si può avere un’amministrazione giusta ed equa.
18. Pur non desiderandolo, i filosofi dovranno occuparsi della cosa pubblica, perché riconoscenti della formazione ricevuta, che è a carico dello Stato.
19. Coloro che “sognano” sono i governanti delle altre città, che corrono
ingiustamente dietro alle ombre, alla brama di potere, perché non hanno
visto il Bene. 20. Il regno degli inferi. 21. Il rivolgimento dell’anima verso la
filosofia non è come il capovolgimento di una piastrella, scrive ironicamente
Platone: è l’ascesa dell’anima verso l’essere, verso la vera realtà, che ha come suo compimento la conoscenza del Bene. La filosofia è ciò che permette
questo percorso, mutando la condizione dell’anima dalla schiavitù della vita.
Per capire il mito della caverna bisogna tener
presente che Platone fa una distinzione fondamentale tra il mondo che percepiamo con i sensi (il mondo
sensibile, che è solo ombra della vera realtà) e quello che conosciamo con l’intelligenza, ossia con l’anima (il mondo intelligibile, che è la vera realtà). Nel mito della caverna, al mondo
sensibile corrispondono le ombre proiettate dal fuoco nella
caverna, al mondo intelligibile la vera realtà, che è illuminata
dal sole, cioè il Bene. Finché siamo legati al mondo materiale,
siamo come schiavi incatenati che sono costretti a vedere solo
ombre della vera realtà. L’educazione è quel percorso che ci
libera, mostrandoci che la vera realtà non è quella che abbiamo
tutti i giorni sotto gli occhi, ma ciò che possiamo conoscere
attraverso l’anima. Solo nell’anima, infatti, possiamo scorgere
il Bene. Chiunque voglia comportarsi con saggezza, sia nella
vita privata sia in quella pubblica, deve appunto guardare al
Bene.
L’educazione è perciò il rivolgimento dell’anima al Bene tramite
la conoscenza, e non è, scherza Platone, come capovolgere
una piastrella.
Non tutti infatti sono destinati a una simile educazione: solo
quelli che sono naturalmente predisposti, dotati di carattere mi-
Commento
31/01/11 10:28
Leggere la pedagogia
gliore e di pronta intelligenza, che amano il sapere e non sono
invece minimamente interessati al potere. La loro formazione
sarà a spese dello Stato, che li chiamerà poi a occupare le più
alte responsabilità. Essi non avranno alcun interesse nell’assumere la direzione dello Stato, ma rimpiangeranno senza
sosta la loro formazione, gli anni in cui sono vissuti liberi dalle
occupazioni materiali, dediti solo alla cura dell’anima e alla
conoscenza. Chi coglie la vera natura del Bene, infatti, soffrirà
nel distaccarsene e tornare alle beghe quotidiane, alle miserie
cittadine, nel mondo delle ombre. Questi giovani saranno i
reggenti dello Stato per ripagarlo del privilegio dell’educazione
ricevuta; per giustizia e riconoscenza non potranno rifiutarsi
senza approfittare del loro ruolo e della loro posizione.
Per capire la teoria di Platone, bisogna pensare che egli era un
aristocratico ateniese che avrebbe dovuto diventare un uomo
politico, ma rimase profondamente deluso dai governi che si
115
susseguirono: quello oligarchico, detto “dei Trenta Tiranni”, e anche dalla democrazia che si istituì successivamente. Fu proprio
il regime democratico a condannare ingiustamente a morte
Socrate, il suo maestro. Per questo Platone non abbandonò
mai l’interesse politico, ma teorizzò uno Stato in cui i reggenti,
i migliori tra gli uomini, fossero educati alla vera conoscenza
del Bene e della virtù.
Q ualche domanda
Ü Secondo Platone, possiamo conoscere la verità tramite
i sensi?
Ü Perché per Platone è importante l’educazione?
Ü Perché i filosofi sono i migliori governanti?
5 Morale, politica, educazione di Aristotele
L’autore e il libro Aristotele (384-322
a.C.) fu, insieme a Platone, il più grande
filosofo dell’antichità. Allievo di Platone,
Aristotele si discostò su alcuni punti fondamentali dal maestro. Egli, per esempio,
giudicava il mondo sensibile molto più
positivamente di Platone e studiò con
grande passione i più svariati fenomeni
naturali. Aristotele rimase tuttavia legato
a un’idea trasmessagli dal suo maestro: la
vita di studio, che coltiva la ragione tramite la conoscenza e l’anima attraverso la
virtù, è superiore a ogni altro stile di vita.
Questa convinzione è il presupposto delle
sue riflessioni sull’educazione, sviluppate nell’Etica Nicomachea e nella Politica,
opera di cui riportiamo di seguito un brano. In questo testo Aristotele spiega che
Chi vuol fare una ricerca conveniente sulla costituzione
migliore deve precisare dapprima qual è il modo di vita
più desiderabile. Se questo rimane sconosciuto, di necessità rimane sconosciuta anche la costituzione migliore,
perché è naturale che stiano nel modo migliore quelli che
nelle loro reali condizioni si governano nel modo migliore, sempre che non capiti qualcosa di imprevisto. Per ciò
bisogna dapprima accordarsi su questo: qual è il modo
di vita più desiderabile per tutti, diciamo così, poi, se è
lo stesso per la comunità e per gli individui presi singolarmente o diverso1. […]
In verità, riportandoci a una sola distinzione dei beni, dal
momento che ce ne sono tre specie, quelli esterni, quelli
del corpo e quelli dell’anima, nessuno può dubitare che
chi è beato li deve possedere tutti quanti: e infatti nessuno direbbe beato chi non ha neppure un po’ di coraggio,
né di temperanza, né di giustizia, né di prudenza, ma sta
in apprensione per le mosche ronzanti, non indietreggia di fronte a nessuna delle azioni peggiori, se ha brama di mangiare o di bere, tradisce per un quarto d’obolo gli amici più cari e parimenti è così insensato e sviato
nell’intelletto come un bambino o un folle. Ma queste
cose, quando si dicono, le accetterebbero tutti, mentre
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l’educazione ha come scopo il bene e la
felicità dell’individuo che viene educato,
così come l’arte politica ha come scopo il
bene e la felicità dei cittadini nel loro insieme. Per questo buon educatore è chi
sa che cosa sia il vero bene per il singolo
individuo, e buon politico chi sa quale costituzione si adatti meglio alle diverse comunità di persone che formano uno Stato.
poi discordano riguardo alla quantità che desiderano di
ogni bene e alla loro relativa superiorità. Così di virtù
ritengono sufficiente averne una quantità qualsiasi, di
ricchezze, invece, di beni, di potenza, di fama e di tutte
le altre cose simili cercano un accrescimento illimitato.
Noi diremo a costoro che su tale questione è facile arrivare a una convinzione, fondandosi sulla prova dei fatti,
giacché si vede che gli uomini acquistano e mantengono
non le virtù coi beni esterni ma questi con quelle, e che la
vita felice, consista nel godere o nella virtù o in entrambi, compete maggiormente a quelli che curano in sommo grado il carattere e l’intelletto e hanno un possesso
modesto di beni esterni anziché a coloro che possiedono
di questi più di quanto non esiga il bisogno e mancano
in quelli. Non solo, ma anche a chi lo considera alla luce della ragione, il problema diventa ben comprensibile. I beni esterni hanno un limite, come uno strumento,
e ogni cosa utile serve a una cosa determinata: ora una
sovrabbondanza di questi necessariamente danneggia o
non comporta utilità alcuna a chi li possiede, mentre
ciascun bene dell’anima, quanto più è in sovrabbondanza, tanto più è utile, se si deve attribuire a tali beni non
solo la bellezza, ma anche l’utilità2. […] Inoltre in vista
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116
2 La “paidèia” greca
dell’anima queste cose sono naturalmente desiderabili3
e tutte le persone assennate le devono desiderare, e non
invece l’anima in vista di quelle4. […]
Basti ora stabilire questo, che la vita migliore per ciascuno, da un punto di vista individuale, e per gli stati, da
un punto di vista collettivo, è quella vissuta con la virtù, provvista di mezzi adatti a compiere azioni virtuose5.
A quanti poi muovono obiezioni, tralasciandoli per ora
durante questa ricerca, s’ha da prenderli in considerazione più avanti, se qualcuno per caso non rimane persuaso
da quel che si dice. […]
Che tutti desiderino il vivere bene e la felicità, è evidente: ma taluni hanno la possibilità di ottenerli, altri no,
sia per circostanze fortuite o naturali […], altri, poi, pur
avendone la possibilità, non cercano già in partenza come si deve la felicità. Ora poiché l’oggetto che ci proponiamo è di scoprire la costituzione migliore, quella cioè
sotto la quale uno stato può essere governato nel modo
migliore, e poiché uno stato sarà governato nel modo
migliore sotto la costituzione che gli garantisce di essere
felice al massimo, è chiaro che non ci deve sfuggire che
cos’è la felicità.
Noi diciamo […] che [la felicità] è perfetta attività e pratica di virtù […]6.
Ora gli uomini diventano buoni e virtuosi col concorso di
tre fattori e questi tre fattori sono la natura, l’abitudine,
la ragione. In primo luogo bisogna avere la natura qual
è quella dell’uomo e non di uno degli altri animali, poi
bisogna avere una certa qualità nel corpo e nell’anima.
Ma con certe qualità non giova affatto nascerci, perché
le abitudini le fanno mutare e in effetti talune qualità,
che per natura tendono in entrambe le direzioni, sotto
la spinta dell’abitudine vanno verso il peggio o verso il
meglio. Ora gli altri animali vivono essenzialmente guidati da natura, taluni, ma entro limiti ristretti, anche
dall’abitudine, e l’uomo pure dalla ragione perché egli
solo possiede la ragione: di conseguenza in lui questi tre
fattori devono consonare l’uno con l’altro7. Spesso gli
uomini agiscono contro le abitudini e la natura proprio
in forza della ragione, se sono convinti che sia preferibile agire diversamente. Abbiamo precisato in precedenza
quale dev’essere la natura di coloro che vogliono riuscire
maneggevoli al legislatore; il resto è ormai opera d’educazione, e, in effetti, essi apprendono talune cose mediante
l’abitudine, altre mediante precetti8 orali. […]
Di conseguenza, guardando a questi scopi, si devono
educare gli uomini e quando sono ancora ragazzi e poi
nelle altre età, quante han bisogno di educazione9. […]
Abbiamo già in antecedenza stabilito che si richiede natura, abitudine e ragione; […] rimane da studiare se
nell’opera educativa si deve cominciare con la ragione o
con le abitudini. Queste devono essere armonizzate tra
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loro nell’armonia più piena perché la ragione può fallire
nel determinare il fine migliore e ugualmente essere trascinata dalle abitudini. Comunque è evidente in primo
luogo che, come in ogni altra cosa, la generazione procede da un principio e che il fine raggiunto da un principio è inizio di un altro fine; ora, la ragione e il pensiero
sono per noi il fine della natura, sicché verso essi bisogna orientare la formazione e l’esercizio delle abitudini10.
Inoltre, come l’anima ed il corpo sono due, così vediamo
che l’anima ha due parti, l’una irrazionale, l’altra fornita
di ragione e che i loro stati sono due di numero: l’uno è
l’appetito, l’altro l’intelletto. Ora, come il corpo precede
nella generazione l’anima, così la parte irrazionale quella fornita di ragione. E pure questo è chiaro: impulso e
volontà e anche desiderio si trovano nei bambini subito appena nati, ma il ragionamento e l’intelletto appaiono per natura quando sono già cresciuti. Per questo è
necessario prima di tutto che la cura del corpo preceda
quella dell’anima e che poi venga quella degli appetiti, e
la cura degli appetiti va fatta in funzione dell’intelletto,
quella del corpo in funzione dell’anima11.
Se, dunque, spetta al legislatore cercare fin dall’inizio
che il fisico dei fanciulli allevati raggiunga le condizioni
migliori, deve in primo luogo prestare attenzione al congiungimento dei sessi, quando cioè e quali persone conviene che abbiano tra loro rapporti matrimoniali. […]
Le donne incinte devono prendersi cura del corpo, senza
darsi all’inerzia12 né attenersi a una dieta scarsa: e questo
il legislatore lo può facilmente ottenere ordinando di fare
ogni giorno una passeggiata come atto di culto verso le
dee che hanno avuto in sorte di presiedere alla nascita.
Ma lo spirito conviene che, al contrario del corpo, se ne
rimanga in completa rilassatezza, perché i bambini sono
evidentemente influenzati dalla madre che li porta, come
le piante dalla terra. Quanto all’esposizione e all’allevamento dei piccoli nati sia legge di non allevare nessun
bimbo deforme, mentre le disposizioni consacrate dal
costume impongono di non esporne13 nessuno, a causa
dell’eccessivo numero dei figli: si deve fissare un limite
alla procreazione e se alcune coppie sono feconde oltre
tale limite, bisogna procurare l’aborto, prima che nel feto
siano sviluppate la sensibilità e la vita […].
Nati i fanciulli, si deve ritenere che ha grande importanza
per la vigoria del corpo il particolare modo di nutrizione. Dall’esame condotto sugli altri animali e sui popoli
che si preoccupano di promuovere un fisico guerriero,
appare che è quanto mai congeniale al corpo l’alimentazione ricca di latte e con poco vino, per le malattie che
procura. Giova pure che si compiano tutti quei movimenti che sono possibili con creature tanto piccine. E
perché le loro membra, tenere come sono, non subiscano
distorsioni, alcuni popoli ricorrono anche adesso a certi
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Leggere la pedagogia
apparecchi meccanici che mantengono corpi così delicati
in posizione rigida. Giova abituarli subito fin da piccoli
al freddo: questo è quanto mai utile e per la salute e per
imprese di guerra. Per ciò presso molti popoli barbari si
usa da taluni immergere i neonati in un fiume gelato,
da altri, per esempio i Celti14, avvolgerli in pochi panni.
Perché con qualsiasi mezzo si possono abituare, è meglio
abituarli subito, fin da principio, ma abituarli gradatamente; e poi la costituzione del bambino, per il calore
naturale, è ben disposta a tollerare il freddo.
Nel primo periodo di vita conviene usare un trattamento
di tal genere o uno simile a questo: in quello successivo,
fino ai cinque anni, in cui non è ancora opportuno indirizzarli verso lo studio o le fatiche del lavoro per non
pregiudicarne la crescita, si richiede quel tanto di attività
per cui evitino l’inerzia del corpo – e ciò si deve ottenere
con vari mezzi, pure col gioco. Ma anche i giochi non
devono essere volgari né faticosi né rilassati. Quanto al
genere di discorsi e di favole che devono ascoltare i ragazzi di tale età, stia a cuore ai magistrati che chiamano
«pedonomi»15. In realtà tutte queste cose devono preparare la via alla loro successiva attività e quindi i giochi
devono essere per la maggior parte imitazioni delle loro
successive occupazioni. C’è chi16 vieta nelle leggi i gridi
e i pianti dei fanciulli: questa proibizione è un errore,
perché giovano allo sviluppo, in quanto sono, in certo
senso, ginnastica per il corpo – e, infatti, la ritenzione17
del fiato dà forza a chi fatica, ed è questo che accade ai
bambini quando gridano.
Spetta pure ai pedonomi sorvegliare la loro ricreazione
e badare in particolare che rimangano il meno possibile
cogli schiavi. Bimbi di quest’età, e fino a sette anni, sono di necessità allevati in casa; è ben ragionevole, quindi, che essendo così piccini, apprendano le volgarità da
quanto sentono e vedono. Insomma il turpiloquio18, più
di tutto, il legislatore deve bandirlo dallo stato (perché
dal dire sconsideratamente qualsiasi sconcezza si passa
ben presto al farle) e soprattutto dai giovani, onde non
dicano né ascoltino niente di tal sorta: e se c’è chi apertamente dice o fa taluna di queste cose proibite, se è libero e non ha ancora privilegio di sedere ai sissizi19, deve
colpirlo con punizioni disonorevoli e con pene corporali,
se poi ha passato quest’età, con punizioni non degne di
un libero, per il suo atteggiamento da schiavo. E poiché
bandiamo ogni discorso di tal genere, è chiaro che proibiamo pure di vedere quadri e rappresentazioni indecenti. Curino dunque i magistrati che non ci sia nulla, né
statua né pittura, rappresentante siffatte azioni, se non
nei templi di certe divinità a cui la legge permette anche
la scurrilità20 […].
Passati i cinque anni, per i due seguenti fino ai sette, bisogna che ormai assistano come spettatori agli insegna-
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menti che dovranno apprendere. Ci sono due periodi
in rapporto ai quali è necessario dividere l’educazione:
dai sette anni alla pubertà e poi dalla pubertà ai ventuno anni21. Quelli che dividono l’età per settenni22 generalmente non dicono male: in realtà bisogna seguire
la divisione della natura, perché ogni arte e educazione
intende supplire le manchevolezze della natura. Bisogna
quindi esaminare in primo luogo se si deve stabilire un
regolamento nell’educazione dei ragazzi, poi, se è vantaggioso che la cura di loro sia pubblica o privata (come
si fa ancor oggi in moltissimi stati), in terzo luogo di che
tipo dev’essere. […]
Che dunque il legislatore debba preoccuparsi soprattutto
dell’educazione dei giovani nessuno può dubitarne: in
realtà è questo che, negletto23 in uno stato, rovina la costituzione24. Bisogna che l’educazione si adatti a ciascuna
costituzione, perché il costume proprio di ciascuna suole
difendere la costituzione stessa e la pone in essere già in
origine, ad esempio il costume democratico la democrazia, quello oligarchico l’oligarchia e sempre il costume
migliore promuove la costituzione migliore. Inoltre per
ogni attività ed arte ci sono delle nozioni che bisogna
in antecedenza imparare o rendere abituali in vista delle
operazioni di ciascuna di esse; è chiaro di conseguenza,
che questo vale anche per le azioni della virtù. E poiché
lo stato nella sua totalità ha un unico fine, è evidente di
necessità che anche l’educazione è unica e uguale e per
tutti, che la cura di essa è pubblica e non privata, come
adesso fa ognuno prendendosi cura in privato dei propri figli e impartendo loro l’insegnamento che gli piace.
Delle cose comuni comune dev’essere anche l’esercizio.
Nello stesso tempo nessuno tra i cittadini deve ritenere
di appartenere a se stesso, ma tutti allo stato, perché ciascuno è parte dello stato e la cura di ciascuna parte deve
naturalmente tener conto della cura del tutto. A questo
proposito si potrebbero lodare gli Spartani: essi, infatti,
prestano il più grande interesse all’educazione dei ragazzi
e la perseguono in comune25. […]
Quattro sono all’incirca le materie con cui si suole impartire l’educazione, la grammatica, la ginnastica, la musica e quarta, secondo alcuni, il disegno: grammatica e
disegno si insegnano perché sono utili alla vita e di vasto
impiego: la ginnastica in quanto concorre a sviluppare il
coraggio: ma sulla musica potrebbe già sorgere qualche
dubbio26. Adesso, è certo in vista del piacere che i più vi
si dedicano, ma dapprincipio l’inclusero nell’educazione
perché la natura stessa cerca, s’è già detto più volte, non
solo di poter operare come si deve, ma anche di stare in
ozio nobilmente: perché è questo il principio unico di
ogni azione, ripetiamolo anche a questo proposito. E se
entrambe le cose sono necessarie, ed è preferibile l’ozio
all’azione, anzi ne è il fine, bisogna cercare di stare in ozio
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2 La “paidèia” greca
facendo quel che si deve. Non certo giocando, ché allora di necessità il fine della vita sarebbe per noi il gioco:
ma se questo è impossibile e si deve piuttosto ricorrere
al gioco durante l’attività (perché chi lavora ha bisogno
di riposo e il gioco è proprio in vista del riposo, mentre l’attività va di pari passo con la fatica e la tensione)
ne segue che bisogna introdurre i giochi badando bene
all’opportunità del loro impiego, perché l’introduciamo
a scopo di medicina. In effetti un siffatto movimento
dell’anima è rilassamento e, mediante il piacere, riposo.
Ma lo stare in ozio par che contenga da sé il piacere, la
felicità, uno stato di vita beato27. […]
I migliori, comunque, cercano il piacere migliore e che
deriva dalle fonti più belle. Di conseguenza è chiaro che
bisogna imparare ed essere educati in talune cose in vista dell’ozio che c’è nello svago nobile, e che queste discipline e queste nozioni sono in funzione di se stesse,
mentre quelle che servono alla attività pratica vanno riguardate come necessarie e in funzione di altro. Per ciò
gli antenati inclusero la musica nell’educazione, non in
quanto necessaria (perché non ha niente di necessario)
né in quanto utile (come la grammatica lo è per gli affari e per reggere la casa e per acquistare il sapere e per
molte attività della vita civile e pare che anche il disegno
sia utile per dare un giudizio più preciso sulle opere degli artigiani) né al modo della ginnastica, in vista della
salute e dell’ardore in battaglia (perché nessuno di questi due risultati vediamo prodotti dalla musica): rimane
dunque ch’essa serve a ottenere lo svago nobile che c’è
nell’ozio e per questo pare che l’abbiano introdotta. In
realtà essi le danno un posto in quella forma di ricreazione che ritengono propria degli uomini liberi28. […]
È chiaro perciò che esiste una forma di educazione nella
quale bisogna educare i figli non perché utile, né perché
necessaria, ma perché liberale29 e bella: se poi è unica o
di più specie e in questo caso, quali sono e come, si deve dire in seguito. Per ora solo di tanto ci siamo spinti
avanti nella questione perché abbiamo anche da parte
degli antichi una conferma, derivata proprio dagli insegnamenti comunemente riconosciuti: ed è la musica che
lo dimostra. È pure chiaro che talune delle materie utili
non devono essere insegnate ai ragazzi solo per l’utile,
come ad esempio lo studio della grammatica, ma anche
perché per loro mezzo si possono apprendere molte altre
conoscenze: allo stesso modo impareranno il disegno non
per evitare errori nelle loro compere private e quindi non
per non essere ingannati nella compera o nella vendita
delle cose, bensì piuttosto perché rende osservatori della bellezza del corpo. Cercare da ogni parte l’utile non
s’addice affatto a uomini magnanimi30 e liberi. E poiché
è evidente che bisogna educare i ragazzi con le abitudini prima che con la ragione, e nel corpo prima che nella
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mente, è chiaro da ciò che si devono affidare i fanciulli
agli esercizi ginnastici e pedotribici31, perché di questi gli
uni conferiscono una certa qualità alla costituzione del
corpo, gli altri insegnano gli esercizi32. […]
(Aristotele, Politica, a cura di L. Laurenti,
Laterza, Roma-Bari 2002, VII, 1-VIII, 5)
1. Per comprendere qual è la migliore costituzione di uno Stato è necessario
capire quale sia la forma migliore di vita. Se ci accordiamo su questo, secondo Aristotele, ci chiariremo anche sul modo in cui debba essere organizzata
la società. Una volta stabilito che cosa renda l’uomo felice, possiamo anche
delineare un tipo di educazione che indirizzi i giovani verso la vita migliore e l’appagamento. 2. Questo lungo discorso vuole mostrare che non tutti
quelli che noi giudichiamo beni sono ugualmente importanti: i beni esteriori, come le ricchezze, devono essere considerati un mezzo e non un fine.
L’eccesso di beni materiali fa perdere infatti il senso della realtà e delle cose importanti e finisce perciò per danneggiare la vita di chi li possiede. 3. I
beni esterni. 4. Il fine è sempre la cura dell’anima, e i beni esteriori devono
essere sempre usati come strumento. Se pieghiamo l’anima alla ricerca scriteriata dei beni esteriori finiamo per perdere la libertà e la virtù, che sono i
nostri beni più preziosi. 5. Per Aristotele la vita migliore è quella virtuosa;
per praticare la virtù, però, c’è bisogno di mezzi adeguati (per esempio, per
essere generoso devo disporre di beni), che non siano illimitati o sproporzionati: l’eccesso di beni corrompe infatti l’animo. 6. Sia il discorso politico
sia quello pedagogico, che vedremo tra breve, hanno come fine l’ottenimento della felicità. 7. Oltre alla natura, che deve essere predisposta, gli uomini
possono acquisire la virtù (dunque anche la felicità) per mezzo dell’abitudine
e dell’esercizio della ragione. 8. Comandi, insegnamenti. 9. La costituzione
di uno Stato deve tener conto di questi fattori che abbiamo esaminato (che
cosa sia la felicità, come sia composto l’animo umano), così come ogni teoria educativa. 10. L’abitudine e la ragione rivestono un ruolo importante
per l’uomo, perché tramite queste egli può ottenere la virtù e la felicità. Tra
le due, però, la ragione è superiore, perché essa è l’elemento specifico della
specie umana, che gli animali non hanno. È dunque in vista dello sviluppo
della ragione che bisogna educare il fanciullo. 11. Aristotele qui stabilisce le
linee generali dell’educazione del bambino: dato che la ragione si sviluppa
nell’età matura, è necessario orientarsi in precedenza alla cura del corpo e
degli appetiti, cioè dei desideri corporei; entrambi vanno sviluppati in modo
corretto, tenendo cioè presenti il fine ultimo, la ragione e l’anima. 12. Immobilità, staticità. 13. «Esporre» significa qui abbandonare, condannando
a morte certa il neonato. Era purtroppo una pratica tanto comune quanto
barbara nelle società antiche, che riguardava per lo più i bambini con problemi fisici. 14. Popolazione del Nord Europa. 15. Magistrati che controllavano il sistema educativo. 16. Platone. 17. L’atto del trattenere. 18. Discorso
volgare e offensivo. 19. Pasti consumati in comunità. 20. Di nuovo, volgarità, trivialità. 21. Queste sono le tappe dell’educazione secondo Aristotele:
cinque, sette, quattordici circa (pubertà), ventuno anni. 22. Periodi di sette
anni. 23. Trascurato, dimenticato. 24. La trascuratezza dell’educazione dei
giovani, cioè delle generazioni future, porta secondo Aristotele alla decadenza dello Stato. 25. L’educazione dei giovani è una responsabilità dello
Stato, che promuoverà i valori e i costumi che più si addicono alla propria
costituzione. 26. Mentre sull’utilità della grammatica, della ginnastica e del
disegno non vi sono dubbi, qualcuno può mettere in discussione l’idea che
la musica sia compresa nell’educazione. 27. Nell’educazione devono essere
incluse delle attività che si compiono nell’ozio, per riposarsi, in modo che
l’animo non venga corrotto da passatempi volgari e dannosi. 28. La musica non è né utile, né necessaria: può però essere una piacevole occupazione
che riempie i momenti di ozio, degna dell’uomo libero. 29. Ossia, propria
dell’uomo libero, non dello schiavo. 30. Grandezza, nobiltà d’animo. 31.
Ossia, propri dell’addestramento fisico. Raramente Aristotele distingue, come
qui, i compiti del maestro di ginnastica da quelli del pedotriba: il primo cura
che tutto il corpo dei ragazzi sia in buona condizione, il secondo fa svolgere
agli allievi determinati esercizi. 32. Aristotele è convinto che l’utilità non
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Leggere la pedagogia
debba essere l’unico criterio che guidi i diversi aspetti della vita umana: gli
uomini di animo più elevato devono infatti poter accedere ad attività che
non sono orientate alla vita pratica.
Aristotele costruisce un discorso molto lungo
e articolato, collegando l’indagine sulla vita
migliore per il singolo all’indagine sulla vita migliore per l’insieme dei cittadini di uno Stato. Egli si domanda in primo luogo quali siano i beni più importanti per l’uomo: prima vengono
i beni dell’anima, poi quelli del corpo e infine quelli esterni,
come per esempio la ricchezza. I beni esterni vanno ricercati
con moderazione e devono essere messi al servizio dell’anima.
Essi sono un mezzo utile per ottenere un fine e mai un obiettivo da conseguire di per sé. Per raggiungere la felicità, infatti,
c’è bisogno di possedere dei beni, ma solo in misura non eccessiva: perché la vera felicità si ottiene con la cura dell’anima,
quindi con la pratica della virtù.
Lo scopo dello Stato allora non sarà, come i tanti pensano, il
dominio sugli altri popoli e la pratica della guerra; il vero compito dello Stato è invece orientare i cittadini alla felicità, che si
ottiene con l’esercizio della virtù. Allo stesso modo, lo scopo
dell’educazione sarà quello di guidare i giovani ad apprendere
la virtù perché possano vivere nel modo migliore.
Aristotele comincia allora a esaminare quali siano le condizioni
che permettano la pratica della virtù: c’è bisogno di una natura
adatta, dell’abitudine a comportarsi nel modo giusto e infine
della ragione, che deve guidare tutte le azioni umane.
La ragione, che è la specificità dell’essere umano, si divide a
sua volta in due parti: teoretica e pratica. La prima è quella
con cui ci dedichiamo alle attività puramente intellettuali, nel
tempo libero, ossia il tempo dell’ozio; la seconda è quella che
utilizziamo invece nelle attività che hanno uno scopo pratico
immediato. Aristotele è convinto che la ragione teoretica sia
superiore a quella pratica, cioè che le attività svolte per il puro
piacere intellettuale o artistico procurino maggiore felicità delle
altre. L’educazione della parte razionale dell’anima sarà dunque
la più importante.
Solo dopo questa lunga premessa, Aristotele inizia la trattazione dell’educazione.
Bisogna prima di tutto tener conto delle tappe della crescita
del bambino, che inizialmente non ha una ragione pienamente
sviluppata: per questo è necessario prima occuparsi dell’educazione del corpo e della parte irrazionale dell’anima, quella
legata agli impulsi e ai desideri del corpo. In questo senso, è
fondamentale insegnare ai bambini atteggiamenti corretti che
devono diventare abitudini. Quando saranno adulti, capaci di
riconoscere e apprezzare la virtù, non potranno che confermare
con il ragionamento ciò che avranno appreso dapprima con
la semplice abitudine.
Commento
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Aristotele rispetta così le effettive fasi di sviluppo del bambino,
e fornisce una serie di suggerimenti concreti per tutte le età e
per tutte le esigenze dell’infanzia. Si comincia con la salute fisica
del bambino, che deve essere preparata fin dal concepimento e
dalla gravidanza della madre; molta importanza è poi attribuita
alla nutrizione e all’irrobustimento fisico. Aristotele descrive
inoltre i tipi di gioco da preferire, e i discorsi e gli spettacoli da
evitare in presenza dei bambini: essi non devono mai essere
esposti a giochi, discorsi o rappresentazioni volgari.
L’istruzione vera e propria può cominciare solo dopo i cinque
anni (esattamente quello che succede ancora oggi). Essa dovrebbe essere pubblica, e non privata come invece accade di
solito; e ogni Stato dovrebbe impartire l’educazione più adatta
al tipo di ordinamento generale, la costituzione, che si è dato.
Ogni Stato, infatti, dovrà sviluppare valori e virtù che sono
fondamentali per la sua conservazione e la sua crescita.
Le discipline che vengono insegnate sono di solito la grammatica, la ginnastica, la musica e il disegno. Solo la musica non
ha come scopo l’utilità pratica; essa non è cioè legata direttamente a un’attività lavorativa; ciononostante essa costituisce
un ottimo esercizio per la mente e procura grande piacere.
Aristotele considera infatti estremamente importante che anche nell’ozio l’anima possa essere indotta a svolgere attività
nobili ed elevate, il che la distoglierà dai passatempi bassi e
indegni. È anche chiaro che alcune materie (come per esempio
la grammatica) non devono essere insegnate ai ragazzi solo
perché utili nell’immediato, ma anche perché tramite esse si
possono apprendere molte altre conoscenze, che arricchiscono l’individuo. Tutte queste attività devono essere svolte in
modo misurato, affinché il giovane cresca armoniosamente,
senza eccessi. Anche la ginnastica, indispensabile per preparare, in caso di necessità, i cittadini alla guerra, non deve essere
mai considerata fine a se stessa e proposta in modo esagerato.
L’idea alla base del modello educativo proposto da Aristotele
è infatti quella della misura e dell’armonia, che rispecchi la
struttura e le caratteristiche proprie dell’essere umano e che
lo conduca alla felicità e alla partecipazione fruttuosa alla vita
dello Stato.
Q ualche domanda
Ü A quale età doveva cominciare, secondo Aristotele,
l’istruzione vera e propria? E chi la doveva impartire?
Ü Perché è importante che i bambini apprendano
mediante l’abitudine dei costumi virtuosi?
Ü Quali erano le discipline comunemente insegnate al
tempo di Aristotele?
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2 La “paidèia” greca
PER RIASSUMERE
Sintesi
w La civiltà greca Già in epoca omerica si
manifestarono alcuni caratteri tipici della cultura greca: l’importanza della religione, la
ricerca del bene pubblico rispetto a quello
privato: in un primo tempo ad incarnare questo ideale fu l’eroe guerriero; in seguito divenne il politico, che primeggiava per la sua
capacità di parlare e discutere. Con l’avvento
della filosofia, nacque la pedagogia classica, che intendeva elevare l’uomo mediante
il talento speculativo. Ma in età ellenistica,
con la nascita di grandi imperi e la fine delle
città stato tipiche del mondo greco, si sviluppò una nuova pedagogia, che proponeva un
modo di vivere adatto al singolo individuo.
Nell’etica del mondo greco resta centrale il
concetto di virtù (aretè), termine con il quale si indicano le doti ritenute importanti. Alla
virtù militare degli eroi omerici, si affiancò
quella del lavoro, proposta dal poeta Esiodo, e quella del controllo di sé, tipica di una
società militare come quella di Sparta. Ad
Atene invece nacque un modello educativo
che aveva finalità di generare il senso della bellezza e della bontà propedeutico allo
sviluppo morale.
w La forza della parola: i Sofisti e Socrate La prima riflessione pedagogica in Grecia
compare con i Sofisti, intellettuali di professione che insegnavano l’arte della dialettica, necessaria a chi voleva intraprendere la
carriera politica. I Sofisti erano sostenitori
del relativismo, ossia negavano che si potesse conoscere la verità. Perciò l’educazione
che essi fornivano aveva come scopo imparare a sostenere la propria opinione e convincere gli altri della sua validità attraverso
la dialettica e la retorica.
Contemporaneo ai Sofisti fu Socrate, che
costituì un autentico spartiacque nella storia della cultura e dell’educazione, ma che
non fu compreso dai suoi concittadini e venne condannato a morte. Egli mise al centro
il problema delle vie adatte per la ricerca
della verità. Socrate praticò il metodo dialogico, ossia la discussione critica delle tesi degli interlocutori in vista del raggiungimento della verità. Mediante la maieutica,
egli esercitava la funzione di “ostetrico”, accompagnando gli interlocutori a partorire
la verità che era in loro. Egli smascherava in
modo “ironico” le contraddizioni dei punti di
vista deboli, affermava quello più forte e verosimile o approdava alla consapevolezza di
non sapere, la cosiddetta “dotta ignoranza”.
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w Filosofia contro retorica: Platone e
Isocrate Il pensiero di Platone ha degli importanti risvolti pedagogici. Egli fondò una
scuola, l’Accademia, costituita come una
comunità tra maestro e allievi, e fu autore
di numerosi opere scritte in forma di dialogo. Nell’uso del dialogo sta una prima indicazione pedagogica: il sapere e l’etica non
sono frutto di ricerca individuale ma di un
confronto tra maestro e allievo. Platone sviluppò l’insegnamento socratico nella direzione della dottrina delle idee, che doveva
permettere di raggiungere la verità. La stessa morale si configurava come una consapevolezza intellettuale del vero bene. Una
seconda indicazione pedagogica tratta dal
pensiero platonico è che lo scopo della saggezza consiste non solo nel liberarsi dalle
catene dell’opinione erronea e della sensibilità, ma anche nel favorire la libertà degli
altri.
Da qui nasce l’ideale politico di uno Stato
ben governato solo perché composto da
cittadini che governano bene se stessi. Nella
prospettiva platonica esistono specie diverse di uomini a seconda della loro capacità
di dominare la propria natura sensibile attraverso la razionalità. Lo Stato deve quindi
essere organizzato in tre classi (che rispecchiano le tre parti dell’anima): i lavoratori,
i custodi o guerrieri, e i filosofi, i saggi che
con la loro razionalità possono governare
per il bene comune. Ma poiché non tutti
gli uomini sono uguali, occorre un rigoroso sistema di selezione dei giovani. Ecco la
terza parte della proposta pedagogica di
Platone: un’educazione distinta a seconda
dei compiti che gli uomini devono svolgere
nella vita sociale e politica.
A differenza di Platone, Isocrate offriva un
ideale pratico di saggezza su cui si fondava anche la capacità espressiva, ovvero
le competenze professionali necessarie per
svolgere l’attività politica e l’avvocatura. Il
modello educativo di Isocrate non ambiva
a svelare l’essenza della realtà e a edificare
una società nuova ma a sostenere con gli
argomenti più forti posizioni e idee giuste.
w Il sapere universale: Aristotele e l’ellenismo Aristotele, l’altro grande filosofo
dell’antichità, considera come caratteristica distintiva dell’uomo la razionalità, che
gli consente di perseguire la saggezza (phrònesis). La virtù è ciò che specifica l’agire
dell’uomo secondo la sua ragione; il virtuo-
so è l’uomo che agisce secondo ragione e
che trova, perciò, la vera felicità, consistente
nel vivere in maniera adeguata alla propria
natura. L’educazione è intesa come formazione delle virtù e come loro esercizio sempre più saldo, finalizzato al raggiungimento
dell’equilibrio in cui risiede la vera felicità.
Se il fine dell’uomo è il godimento del bene
intellettuale, vale a dire la contemplazione,
quello di Aristotele è un ideale di cultura
che privilegia le attività teoretiche (la conoscenza fine a se stessa e disinteressata, la
contemplazione dell’esistente ecc.).
Con la fine dell’età classica i filosofi si orientarono verso un’indagine che poneva al centro un ideale di vita pratica. Plutarco trattava la virtù in chiave biografica, evidenziando
come le vicende della vita si innestino sulle
doti naturali dell’individuo fino al compiuto prender forma della sua personalità. Le
principali scuole ellenistiche, lo Stoicismo
e l’Epicureismo proponevano un ideale di
saggezza pratica: l’uomo saggio è quello
che è in grado di affrontare la vita, anche
nelle avversità più negative, senza perdere
la propria serenità e senza cedere agli impulsi o alle passioni.
In questo stesso periodo della storia antica
si accentuò il ruolo educativo dei “circoli”
intellettuali.
w Luoghi e forme dell’educazione In Grecia non vi fu un vero e proprio sistema formativo, ma esistevano comunque la scuola
e un curriculum di studi. Inoltre, a partire
dall’importanza attribuita all’educazione del
corpo, ebbe qui origine l’articolazione degli
studi letterari e scientifici in un ciclo primario e uno superiore. La scuola vera e propria
iniziava a sette anni. Tra le figure educative
vi era il pedagogo, uno schiavo con funzioni educative, e il didàskalos, il maestro
elementare, scarsamente considerato. Si imparavano la lettura, la scrittura, il computo
numerico, lo studio a memoria di alcuni testi letterari. Nel grado ulteriore del sistema
scolastico vi era una netta prevalenza della
cultura letteraria. L’inizio del ciclo di studi secondario avveniva all’età di quattordici anni, mentre l’ingresso nell’efebia (una sorta
di periodo di addestramento paramilitare)
ne fissava la conclusione. Gli studi superiori
erano svolti per lo più attraverso le scuole
di retorica aperte nelle principali città da
insegnanti altamente qualificati.
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