Il Corpo nella filosofia occidentale 2. Il pensiero medico antico Dalle cure praticate dai sacerdoti a quelle di dottori specializzati, nel mondo antico si assiste a una parabola evolutiva delle conoscenze sul corpo umano e a una progressiva laicizzazione del sapere medico. La medicina filosofica Con Ippocrate la medicina si emancipò in Grecia dalle pratiche magico-religiose – amministrate dai sacerdoti presso i tempi dedicati ad Asclepio – e subito si caratterizzò come un sapere strettamente legato alla filosofia. Con essa la medicina stabilì uno stretto legame destinato a sfilacciarsi solo con l’età moderna, con l’apparire di una progressiva specializzazione in senso scientifico. Tuttavia, tale legame non si è dissolto mai del tutto, basti pensare alle questioni di bioetica e deontologia connesse alla professione. Dalla filosofia i medici della cosiddetta Scuola di Coo, seguaci e prosecutori dell’opera di Ippocrate, mutuarono una comprensione ‘scientifica’ del mondo, che sostituiva alle pratiche curative suggerite dal dio, che in sogno visitava i pazientidegenti nei tempi di Asclepio, i più ‘moderni’ metodi terapeutici. Questi erano approntati, dopo aver elaborato articolate strategie diagnostiche, sulla base dei principi costitutivi (gli “umori”, successivamente identificati come sangue, flemma, bile gialla e bile nera). La medicina “cura col discorso” sostengono i testi ippocratici: il paziente viene indagato dal medico che ricostruisce la sua storia (anamnesis), si informa sul contesto e cerca di capire quale sia il “regime” che abbia originato il disequilibrio tra gli elementi, allo scopo di correggerlo e di esortare il malato alla guarigione. La medicina di Ippocrate si basa su un’idea semplice: il corpo è un organismo unitario, che non può essere curato se non nel suo insieme. C’è un equilibrio (krasis), la cui rottura può essere determinata da diversi fattori, tra i quali anche quelli ambientali. L’equilibrio, infatti, non vale solo all’interno del corpo, ma anche per il rapporto tra uomo e “ambiente”, intendendo con questo termine il complesso dei fattori naturali (clima, acqua, alimenti, ecc.) e sociali con cui l’individuo interagisce. Il corpo è un complesso di “umori” di varia natura che rappresentano le diverse qualità da cui esso è composto (la vischiosità, l’acidità, ecc.). La prevalenza di una qualità sulle altre produce la malattia, che in parte l’organismo tende a superare, tramite 1 l’espulsione degli umori in eccesso e la krisis, momento cruciale in cui il massimo disequilibrio del corpo – segnalato da febbri, vomito, sudorazione, ecc. – si trasforma nell’inizio della guarigione. La natura da sola non è capace, però, di superare le fasi più critiche e le malattie più tenaci, ed è qui appunto che diventa indispensabile l’arte del medico. Più che con primordiali tecniche chirurgiche, è con l’idea di profilassi, con le norme igieniche, con i farmaci di origine naturale e con il “regime”, insieme condotta alimentare e disciplina di vita, che il corpo può risanarsi. Medicina ed educazione Parte integrante della terapia è anche il dialogo tra medico e paziente, che pone le basi per un positivo atteggiamento da parte di quest’ultimo alle cure offerte. Il discorso ha un valore di supporto psicologico, soprattutto quello di tipo persuasivo, che deve disporre il malato a seguire un determinato regime. Il discorso, però, è legato anche da un lato alla trasmissione e alla comunicazione del sapere medico e dall’altro alla paideia, la formazione del cittadino greco colto che deve essere anche in grado di afferrare i rudimenti della disciplina, pur non essendo medico. La diffusione della cultura medica, infatti, reca beneficio alla stessa attività terapeutica, perché il paziente più edotto sarà in grado di descrivere con una terminologia più efficace i sintomi da cui è affetto e può potenziare le attività di prevenzione e di presidio sanitario del territorio. L’ultima espressione può apparire esageratamente moderna, ma rispecchia una preoccupazione reale anche dei medici antichi: troppo pochi per poter curare tutti, spesso si trovavano a dover fronteggiare epidemie devastanti. Una tempestiva, precisa segnalazione dei sintomi avrebbe potuto consentire ai medici di mettersi in viaggio per tempo, salvando un maggior numero di vite. Per queste ragioni la conoscenza delle tecniche di costruzione del discorso da parte dei medici è ritenuta importante: chi cura non può permettersi di essere solo un ricercatore specializzato nel suo campo e per il resto incolto e illetterato. Il paziente dell’antichità non poteva essere curato con le tecniche di cui oggi si dispone, ma era oggetto di un grande rispetto da parte del medico. Per un paradosso di cui è consapevole Karl Jaspers, ne Il medico nell’età della tecnica, meno si dispone di strumenti tecnici e più i medici si prodigano per costruire relazioni autentiche coi pazienti e li considerano dal punto di vista umano – secondo la figura leggendaria del “medico 2 di campagna” – più si dispone di strumenti diagnostici tecnologicamente raffinati meno il medico si sente responsabilizzato. Il suo margine di errore si assottiglia. È la macchina a dirgli cosa debba diagnosticare e prescrivere. Le medicine del XX e XXI secolo si approssimano all’utopia della curabilità totale. Addirittura, secondo qualcuno, il medico potrà in futuro essere sostituito da uno scanner. In Ippocrate, ovviamente, non c’è nulla di tutto questo. Vi è invece la più illuminante pagina dell’etica antica, ossia il cosiddetto “Giuramento del medico”, ove troviamo scritto anche questo: “In quante case io entri mai, vi giungerò per il giovamento dei pazienti tenendomi fuori da ogni ingiustizia e da ogni altro guasto, particolarmente da atti sessuali siano donne o uomini, liberi o schiavi. Quel che io nel corso della cura o anche a prescindere dalla cura o veda o senta della vita degli uomini, che non bisogna in nessun caso andar fuori a raccontare, lo tacerò ritenendo che in tali cose si sia tenuti al segreto”. Oltre all’indispensabile rispetto, il medico ippocratico trascende il genere, lo stato e il ruolo sociale del paziente e si vincola a un’assoluta tutela della riservatezza. In 3 nessuna pagina di nessun filosofo antico troviamo qualcosa di altrettanto potente e fecondo dal punto di vista etico. I filosofi e la medicina Come vi sono medici che hanno bisogno di fondare la pratica medica sui principi primi necessari per la comprensione della natura e del corpo, così vi è anche un approccio che procede in direzione opposta, dalla filosofia, per inglobare al proprio interno la medicina. Platone riteneva che non ci si potesse dedicare allo studio della salute dell’uomo senza impegnarsi prima nella riforma della società contemporanea che, corrotta dal lusso, era la causa prima del disequilibrio. La tesi è sostenuta nel II libro della Repubblica e rappresenta, ovviamente, un’inversione di tendenza rispetto al rapporto che la medicina ippocratica aveva prospettato nei confronti dell’antropologia filosofica. Per Platone spetta al filosofo stabilire ciò che è sano per una società: la salute dello Stato può provenire solo dalla retta conoscenza, il vero medico è il filosofore. Per quanto concerne la teoria medica più propriamente detta, Platone espone i suoi princìpi nel Timeo: il corpo umano, come tutto ciò che è natura, non può essere oggetto di una scienza certa, che può esservi solo per le idee della matematica. La conoscenza delle componenti del corpo umano si fonda, per Platone, sul modello geometrico di materia proprio del Timeo e sul finalismo di cui si serve per spiegare le funzioni e l’utilità degli organi. Occorre soprattutto fare riferimento alla dottrina dell’anima, che è il vero fulcro della medicina platonica. Se la medicina può avere uno scopo, in funzione della vera conoscenza, è quello di rendere possibile che la conoscenza del corpo si armonizzi con quella dell’anima, mostrando in quale modo i due mondi, corporeo e psichico, siano congiunti. In questo schema l’anima razionale è la parte più importante, la cui sede è collocata nella scatola cranica, nel cervello. L’anima razionale è unita all’encefalo pur non essendo per Platone, ovviamente, una realtà materiale e sensibile essa stessa. L’anima irascibile ha sede nel torace, presso il cuore e i polmoni: da lì provengono, infatti, i sentimenti, la collera, il coraggio. L’anima irascibile è collegata all’anima razionale tramite una sorta di istmo, che è rappresentato dal collo, la cui funzione è determinata, pertanto, finalisticamente. Nella zona del diaframma è invece collocata l’anima concupiscibile, sede delle passioni e di tutto ciò che è irrazionale e inconscio e un po’ più sotto, nel ventre, sotto l’ombelico, sono situati gli impulsi sessuali, totalmente irriducibili alla ragione. Per Aristotele, figlio di medico, la medicina in senso stretto è una tecnica più che una vera e propria scienza e studia il vivente dal punto di vista della salute e della malattia. Le conoscenze che essa ricava si collegano alle informazioni provenienti 4 da altri studi, quelli biologici e zoologici, di anatomia e fisiologia comparata. Lo studio degli animali, infatti, può servire come indicazione per la medicina, nella misura in cui un animale è simile o dissimile nei confronti dell’uomo. Da questo punto di vista, Aristotele è l’autore con cui si compie definitivamente il passaggio dalla classificazione degli animali in base al loro comportamento da vivi – in cui prevale anche una moralistica tendenza a vederli come specchi dei comportamenti umani – alla classificazione più strettamente morfologica, che richiede la pratica della dissezione, in quanto le distinzioni più rilevanti vengono individuate negli organi interni e invisibili, le ossa e l’apparato di riproduzione. Una distinzione importante, per Aristotele, è quella tra i medici empirici e quelli teorici. I primi non interessano Aristotele, perché si basano solo su osservazione e memoria, mentre i secondi ricercano le cause della malattia e quelle che rendono efficace una terapia. Praticano dunque una tecnica che si avvicina alla scienza. Medicina e scienza nel mondo tardo antico In epoca ellenistica, invece, la scienza medica procedette a importanti scoperte con Erofilo di Calcedonia. Questi sfruttò il fatto di vivere e operare ad Alessandria, dove i centri di studio e ricerca del Museo e della Biblioteca si stimolavano a vicenda. Egli, infatti, condusse un sistematico studio dell’anatomia umana, individuando le funzioni del cervello, dei nervi, distinguendoli in sensori e motori, e descrivendo numerosi organi e apparati, in particolare l’occhio. A consentire le scoperte anatomiche di Erofilo fu il fatto che egli praticò la dissezione dei cadaveri umani, cosa che invece né Ippocrate né gli altri medici greci, tanto meno i filosofi, avevano mai effettuato. Ciò spiega anche la conoscenza approssimativa della struttura degli organi interni umani che essi dimostravano (si pensi che Aristotele riteneva che il cervello fosse un organo destinato a refrigerare il sangue). A Erofilo, poi, si deve anche l’introduzione della misurazione del battito cardiaco in relazione alla temperatura corporea. Rispetto a Platone e ad Aristotele, e alla medicina che a essi si ispirava, Erofilo ritornò a considerare di estrema importanza la somministrazione di farmaci di origine animale, vegetale e minerale. Tuttavia, i progressi medici compiuti da Erofilo erano destinati a svanire col ritorno, con Galeno, a una medicina razionale, fondata più sulle conoscenze teoriche e sulla applicazione dei principi fissati da altri filosofi (Empedocle, Anassagora, ma soprattutto Aristotele) che non sull’osservazione del singolo caso. Al corpo concreto di Erofilo si contrappone il “corpo astratto” di Galeno, la cui fortuna, dovuta anche al carattere eclettico ed enciclopedico delle sue opere, si protrasse per tutto il Medioevo, epoca nel quale il medico non entra in contatto col corpo del 5 malato, sul quale interviene il cerusico, il chirurgo-barbiere. Contro la medicina dogmatica si scaglia Sesto Empirico, appartenente alla scuola medica degli empirici, in nome della quale si accosta allo scetticismo diventandone uno dei principali esponenti antichi. Gli empirici contrastavano l’idea che si potessero definire schemi astratti di malattie da cui dedurre come una regola i rimedi terapeutici, ma, al contrario, ritenevano che ogni paziente costituisse un unicum e che, pertanto, ogni corpo andasse curato secondo metodologie individuali, perché ognuno reagisce diversamente a una condizione patologica e a una cura prescritta. Si tratta di una disputa, evidentemente, ancora assai attuale, che nonostante i grandi progressi in termini di strumenti e di strutture, ed evoca il fatto che, in fondo, la medicina è ancora un’arte. 6