associazione culturale Larici – http://www.larici.it Michail Grigor’evič Barchin Il teatro di Mejerchol’d1 In quale modo il contenuto influenza la forma? Per comprenderlo bisogna scoprire che cosa si intende in architettura con l’espressione condensatore sociale2. È più facile partire con un esempio che addentrarci subito nella generalizzazione del problema. Poniamo che si debba realizzare un teatro, per progettarlo correttamente occorre sapere innanzi tutto che cosa accadrà in tale edificio, quale processo tecnologico si svolgerà in esso. Bisogna conoscere bene che cosa rappresenta per se stesso l’evento spettacolo. In esso convengono gli spettatori, in esso lavorano gli attori. Allora è necessario sapere come si muove lo spettatore all’interno del teatro, 1 In M.G. Barchin, Il metodo di lavoro dell’architetto. L’esperienza dell’architettura sovietica 1917-1957 (Metod raboty zodcego. Iz opyta sovetskoj architecktury 1917-1957 gg.), Istituto di Ricerche scientifiche di Belle Arti del Ministero della cultura dell’Urss – Strojizdat, Moskva, 1981, cap. III (parziale). Il libro è stato tradotto dal russo da Marina Daneri e Svetlana Smortchkova e arricchito di premessa e note curate da Maria Pia Belski nel 1989, ma nella sua interezza è rimasto inedito in Italia. Michail Grigor’evič Barchin (1906-1988), figlio di Grigorij Borisovič Barchin – 1880-1969, architetto, collaboratore di P. Klein, docente di architettura a Mosca dal 1909 al 1967 e, alla fine degli anni Venti, caporedattore degli “Annuari dell’Associazione degli architetti di Mosca” (Mao) – è stato uno dei protagonisti dell’architettura sovietica dopo gli studi compiuti nel 1929 all’Istituto tecnico superiore di Mosca (corrispondente alla facoltà di Architettura). Tutte le note sono, come detto, di M.P. Belski, mentre le illustrazioni sono quelle originali del libro. 2 L’espressione condensatore sociale fu coniata dai costruttivisti negli anni Venti. Infatti, Moisej Ginzburg scrisse: «Noi contrapponiamo ai tipi architettonici prerivoluzionari: la casa di affitto, il palazzetto, il circolo della nobiltà ecc. che provengono dalle condizioni sociali, tecniche ed economiche antecedenti la rivoluzione [...], un nuovo tipo di habitat comunitario, un nuovo tipo di club, di comitato esecutivo, di fabbrica che devono diventare il nuovo quadro di vita, il condensatore della cultura socialista». Sulla rivista “SA” (n. 1, 1928) si ribadì: «Noi sosteniamo che nell’epoca della costruzione del socialismo [...] il compito dell’architetto sia soprattutto quello di “inventare” nuovi condensatori sociali della vita, cioè nuovi tipi di architettura [...] Gli architetti costruttivisti sono fermamente convinti che perseguendo l’obiettivo di creare nuovi tipi di architettura capaci di condensare i nuovi rapporti sociali, essi risolvano nella maniera più esatta e più completa il problema del “contenuto ideale dell’architettura”». 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it dall’entrata attraverso il vestibolo, passando per il guardaroba, nei corridoi (o nei foyer) e da qui nella platea. Bisogna ovviamente garantire la maggior facilità di movimento. È inoltre necessario tener presente che, durante gli intervalli, gli spettatori escono nel foyer, che quindi deve essere comodo e collegato con la platea, in esso devono trovar posto il buffet e le toilette. La cosa più importante nell’edificio teatrale è tuttavia data dalla possibilità, uguale per tutti gli spettatori, di vedere e udire bene ciò che si svolge sulla scena. Questa è, in forma molto semplificata, la serie di esigenze tipiche del teatro. C’è però anche l’altra parte del teatro, ossia quella scenica. Il suo principale elemento è il palcoscenico, lo spazio recitativo, dove ha luogo l’azione e dove, di conseguenza, sta il senso dell’edificio teatrale. La scena è alta, con tiranti per la sospensione degli allestimenti, con un sottopalco situato sotto il livello del palcoscenico. Deve essere corredata di molti locali specifici: camerini per gli attori, magazzini per le scenografie, sartorie, locali per gli impianti elettrici; devono trovar posto i macchinari per sollevare e ruotare il palcoscenico per favorire i cambiamenti di scena. La cosa essenziale, naturalmente, è il collegamento della scena con la platea, ottenuto di solito con il boccascena, ossia la grande apertura della parte anteriore della scatola scenica. Il boccascena collega la scena con la sala degli spettatori e allo stesso tempo le divide. Esso trasforma lo spazio scenico in un illusorio quadro piatto, che vive una vita propria, convenzionale, al di là dell’invisibile quarta parete... Questo è l’aspetto – astratto – della tradizionale conformazione dell’edificio teatrale, poi, nella realtà, ogni architetto risolve in modo sempre diverso la stessa funzione e la stessa forma trovandone, secondo la propria esperienza, la soluzione migliore. Proprio in questo sta tutto il fascino dell’arte architettonica. Si potrebbero citare molti esempi inerenti alle trasformazioni subite dalla forma tradizionale dell’edificio teatrale; a ciò sono stati dedicati libri, monografie e tesi di laurea. Nella maggior parte dei casi i cambiamenti erano stati pensati dagli stessi architetti, che quindi si attestavano per lo più su posizioni futuristiche. Ciò accadeva perché le nuove soluzioni architettoniche, di regola, non nascevano in concomitanza con le concezioni scenografiche dei registi teatrali. Non esistevano quindi delle valide ragioni e dei pretesti per un cambiamento radicale degli edifici, di conseguenza le proposte rimanevano avulse dalla realtà. Solo in presenza di ricerche innovative nel campo della regia, le più imprevedibili costruzioni degli architetti acquistavano nuovi significati. Il mutamento della scenografia introduceva inevitabilmente la necessità di intendere in modo diverso la creazione della forma del teatro e, di conseguenza, di trasformare tutta la struttura architettonica. Ciò è stato dimostrato quando si è verificata la collaborazione fra architetti e registi, come avvenne nella costruzione del teatro per il grande regista Vsevolod Mejerchol’d3, progettato dagli architetti Michail Barchin (cioè il sottoscritto) 3 Vsevolod Emil’evič Mejerchol’d (1874-1940) fu dapprima attore al teatro d’Arte di Mosca, fondò poi una compagnia e iniziò a fare il regista, attività che svolse per dieci anni nei 2 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it e Sergej Vachtangov nel 1930-334. Mi dilungherò su questo lavoro, analizzando le modalità seguite dalla fase di progettazione, il significato della collaborazione tra regista e architetti e l’ordine con cui procedeva la precisazione di tutti gli elementi del teatro, proprio perché lo ritengo interessante per l’approfondimento della questione sul ruolo e sul posto occupato dalla tecnologia (funzione). Durante gli anni Venti e Trenta, il Gostim 5 si sostituì al teatro Zon. Questo edificio si trovava in piazza Sadovo-Triumfal’naja a Mosca6, era piccolo e i posti erano estremamente scomodi. Il teatro Mejerchol’d soffocava nella vecchia scatola e non solo per le sue anguste dimensioni. Anche la struttura dell’edificio, con l’arco che divideva i posti per gli spettatori dallo spazio riservato agli artisti creando l’illusione scenica, era decisamente contraria allo spirito delle concezioni di Mejerchol’d sull’azione scenica. Per di più il vecchio edificio era fatiscente. Quando furono stanziati i mezzi per la ristrutturazione del teatro, Mejerchol’d ebbe l’idea di utilizzarli per una radicale ricostruzione dell’edificio7. La fase preliminare di elaborazione del progetto fu caratterizzata dalla stretta collaborazione fra regista e architetti. Alla fine, dopo tre anni di lavoro, si arrivò a quella soluzione che ha avuto un ruolo primario nella nuova concezione del teatro contemporaneo. Nel corso di infinite discussioni, gradualmente prendevano corpo le idee che da tanto tempo avevano conquistato Mejerchol’d. Prima di tutto, si doveva fare del teatro un teatro di massa, poi bisognava eliminare la 4 5 6 7 Teatri Imperiali di Mosca e San Pietroburgo. Dopo la Rivoluzione, organizzò compagnie e scuole teatrali e nel 1921 costituì un proprio teatro. Morì fucilato nel 1940. L’autore annota che, a partire dagli anni Cinquanta, in merito al problema dei legami dell’architettura teatrale con le concezioni scenografiche di registi come N. Akimov, Brjancev, N. Ochlopkov, T. Tovstonogov, Ju. Ljubimov, molto fecondamente lavorarono I. E. Mal’cin e V. E. Bykov. Le premesse di quelle esperienze risalgono però agli anni Trenta coi lavori di Vs. Mejerchol’d. Infatti, dopo la Rivoluzione, l’architettura teatrale presenta due fronti paralleli e opposti: quello del teatro tradizionale che continua le precedenti acquisizioni culturali e quello dell’avanguardia che ha in Mejerchol’d il capo indiscusso (l’uomo dell’Ottobre teatrale, come fu definito), che già dal 1920 ottenne la direzione dei Dipartimento teatrale della federazione sovietica. Tra i progetti che furono elaborati agli inizi degli anni Trenta, a seguito di altrettanti concorsi, si ricordano quelli per il teatro di Sverdlovsk (ora Ekaterinburg; progettisti Golosov, G. Barchin, 1928-32), di Novosibirsk (Grinberg, 1931), di Rostov sul Don (G. Barchin, Gluščenko, 1930, ai quali fu preferito per la realizzazione un progetto di Ščuko e Gel’frejch) e, infine, i progetti per il teatro di Char’kov (1930-31; cfr. V. De Feo, Architecture et théâtre: concours pour un théâtre d’état à Charkov, 1930, in “VH 101” n. 7-8, 1972, pp. 89 ss.). Inoltre, riguardo al teatro, è da ricordare che l’architetto Sergej Vachtangov (1907-1987), che collaborò con Barchin, era il figlio di Evgenij Bagrationovič (1883-1922), attore, regista teatrale, fondatore e direttore della Scuola di Arte drammatica e del Teatro che poi prese il suo nome sull’Arbat di Mosca. Il Gostim era il teatro statale di Mejerchol’d operante negli anni Venti e Trenta. Ora la piazza in cui è il teatro, recentemente rifatto, si chiama Ploščad’ Majakvstogo. Mejerchol’d era fermamente contrario a trasformazioni, riforme o riparazioni di vecchi teatri, perché «l’edificio teatrale deve essere rivoluzionario. Nel preparare i progetti di un tale edificio dobbiamo superare i dati oggettivi della realtà, fare una proposta avveniristica. Dobbiamo pensare [...] a quello che sarà fra cent’anni». 3 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it divisione fra la sala e la scena, infine occorreva rinunciare alla vecchia distribuzione della sala con il parterre per il pubblico privilegiato e le balconate per le altre classi sociali e così via. Le idee del regista erano molte e appassionanti e ciascuna di esse entusiasmava gli architetti per la sua potenzialità creativa8. La ricca esperienza derivata dalle precedenti messe in scena offriva tante preziose trovate. Le decorazioni e gli scenari dipinti erano in disuso già da molto tempo, le centine e le quinte laterali erano state eliminate, il sipario non esisteva più fin dai primi lavori al teatro di Mosca, la fossa dell’orchestra era ricoperta di tavole orizzontali, speciali elementi piatti delle strutture sceniche si spingevano in sala, nascondendo i bordi del boccascena. Dal foyer, poteva attraversare la platea anche un rumoroso camion. I molti elementi dell’allestimento scenico – linee, piani, volumi, azioni – univano il palcoscenico con la sala. In quel modo, da lungo tempo, sperimentando in continuazione, con tenacia, Mejerchol’d cercò di creare l’unità di tutte le prospettive, che prima di lui erano separate. Tutto questo era servito di riferimento per la realizzazione delle idee del regista ed era inserito nella misera scatola dell’angusto edificio. Tuttavia, anche così, venivano poste le basi della nuova scenografia e qui, in questo vecchio teatro, stretto e scomodo, si espresse l’impegno del grande regista. Proprio da quegli spettacoli cominciò a realizzarsi per la prima volta un programma di progettazione. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, gli autori parlavano, disegnavano, pensavano sempre alla stessa cosa: a ciò che avrebbe potuto avere un rapporto diretto, indiretto o addirittura estraneo con il teatro del futuro, cosa che si rivelò in forma concreta solo dopo, nel progetto. Si parlava dei compiti dell’arte teatrale e dell’arte in generale, del posto dell’artista e del regista nella vita della società, della storia del teatro, della storia dell’architettura, del coro greco e di Shakespeare, dei drammi di Sofocle e di Majakovskij, di Bezymenskij, di Oleša e di Eremburg, del teatro romano, del teatro palladiano e delle opere di Wagner e della nuova architettura di Tatlin, Le Corbusier e Wright, dell’acustica e dell’ottica, della meccanica, delle gru mobili, degli elevatori idraulici, delle automobili, di tutte quelle cose che erano collegate ai piani di Mejerchol’d e ai compiti che erano davanti a noi giovani architetti, ai quali era capitato in sorte un grave e gioioso compito, carico di responsabilità: inventare e costruire per Mejerchol’d un teatro nuovo, mai visto prima d’allora. Durante le discussioni si estrinsecavano i sogni più arditi del regista, i più cari, i più vagheggiati ed essi lasciavano subito il segno nelle nostre menti, nelle più varie interpretazioni architettoniche. La previsione dei futuri spettacoli, la necessità di ottenere la massima libertà e varietà nelle future azioni teatrali, la possibilità di proseguire gli spettacoli delle precedenti stagioni, il bisogno di un rapido rimpiazzamento delle 8 Cfr. Vs. E. Mejerchol’d, L’Ottobre teatrale 1918-1939, introduzione e cura di F. Malcovati, Milano 1977, che raccoglie una serie di scritti del regista. In particolare si veda il capitolo “Utopia di un edificio” alle pagine 92-120, da cui è stato tratto lo scritto riportato alla fine del testo di Barchin. 4 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it attrezzature e delle strutture, il desiderio di spostare il palcoscenico in varie posizioni all’interno della sala, la possibilità di installare le apparecchiature per la proiezione e per la regolazione della luce e del suono, l’impegno nel migliorare le condizioni di lavoro dell’attore (e perciò anche la preoccupazione di illuminare a giorno la sala), il prendersi cura dello spettatore durante lo spettacolo e durante le pause, la ricerca della massima comodità dei guardaroba, delle ampie scale di accesso e di uscita e dell’efficienza delle uscite di sicurezza ecc.: erano le mille questioni che interessavano Mejerchol’d e i mille problemi che stavano innanzi a noi progettisti. Tutto dipendeva dalla volontà del regista di risolvere l’annoso problema del rapporto fra i due elementi indispensabili di ogni rappresentazione teatrale: lo spettatore che assiste allo spettacolo, da un lato, e l’attore che gli muove intorno, dall’altro. Come avverrà questo incontro? Dove sarà realizzato questo contatto, capace di creare lo straordinario miracolo, ansiosamente atteso, della comunione spirituale tra lo spettatore e gli attori, e che, in egual misura, si impossessa di ambedue le parti? Dove si trova, quali forme assume lo spazio indispensabile perché avvenga il miracolo? Cosa vuole costruire il regista? Davanti allo spettatore, frontalmente come nel vecchio teatro o attorno allo spettatore? O tocca allo spettatore circondare l’azione? In queste questioni, puramente formali, si concretizzava il progetto del regista. L’arte teatrale viveva un periodo in cui il ruolo del regista era enorme e la creazione di speciali edifici teatrali, corrispondenti alle esigenze dei registi novatori, era un compito d’attualità. Che cos’altro, nell’architettura del passato (che in quegli anni noi consideravamo preziosa conquista di secoli), oltre alla stessa esperienza teatrale, poteva esserci utile, anche in senso negativo, nella ricerca della nuova forma per il nuovo contenuto? Giuseppe Piermarini, Teatro alla Scala a Milano, 1776-78, pianta 5 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Il primo modello furono i greci. Nei loro teatri gli spettatori sedevano sui gradini degli enormi anfiteatri e circondavano per due terzi il cerchio dell’orchestra. Una piccola scena rialzata, la skené, era aperta e si vedeva frontalmente. In sostanza, si riunivano due modalità percettive riferite all’azione: la prima garantiva un’ottima veduta in prospettiva di quello che si svolgeva nell’orchestra, l’altra appiattiva la percezione della scena che risultava perciò ben visibile solo dai settori centrali dell’anfiteatro. Nonostante ciò, si trattava di una soluzione brillante applicata all’organizzazione scenica. Charles Garnier, Teatro dell’Opéra di Parigi, 1861-75, sezione longitudinale della sala e della scena Jacques Polieri, Teatro mobile con scena anulare, 1958-60: pianta, sezione e assonometria 6 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Solo duemila anni dopo, in altre condizioni e con altri metodi, fu trovata una soluzione simile nei teatri shakespeariani realizzati in Inghilterra nel sec. XVI. Qui il palcoscenico era visto non soltanto dal piccolo parterre, ma principalmente dalla galleria, che circondava per tre lati la scena principale e il proscenio. Anche in questo caso, tuttavia, c’era una piccola scena posteriore, collegata con i locali riservati agli attori. Hans Poelzig, Grosses Schauspielhaus (Grande teatro drammatico) di Reinhardt a Berlino, 1919, pianta Bisogna arrivare al nostro secolo (1919) per trovare la stessa concezione e realizzata nel teatro del regista Max Reinhardt a opera dell’architetto Hans Poelzig a Berlino9. Il proscenio, fortemente avanzato, era circondato su tre lati dagli spettatori. Tuttavia, non si aveva, evidentemente, molta fiducia nella sua funzionalità se si realizzò, oltre al proscenio, anche una grande, vera e propria scatola scenica. Solo questi erano gli esempi storici relativi al collegamento organico fra attore e spettatore. Nell’intervallo di secoli tra l’uno e l’altro esempio dominava lo schema del teatro romano, che fu in sostanza il precorritore del teatro moderno. Nel teatro romano gli spettatori e i senatori trovavano posto tanto nell’orchestra che in platea; l’azione si svolgeva sulla skené, molto sviluppata, rialzata e visibile frontalmente; apparve il sipario. Il teatro era chiuso da tutti i lati e non c’era più l’apertura sulla natura come nel teatro greco. 9 L’elenco dei progetti innovativi esteri si limita qui ai lavori di Hans Poelzig e, più avanti nel testo, di Walter Gropius, perché, all’inizio degli anni Trenta, non se ne conoscevano altri, in quanto i lavori teorici e pratici che consideravano in modo nuovo i problemi scenografici apparvero in Russia solo più tardi. 7 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Da quello romano trasse origine il teatro europeo, che diede inizio alla divisione radicale fra sala e scena. L’attore fu così separato dal pubblico e si ritirò nel suo mondo convenzionale, chiuso dalle tre pareti della scena, con il boccascena nella quarta parete. Gradualmente questa scena, da piatta che era, si fece sempre più profonda. Varie gallerie sovrapposte allontanarono lo spettatore dalla scena. Lo sprofondamento della fossa dell’orchestra accentuò ancor più tale divisione. Questo schema non poteva più soddisfare le nascenti concezioni scenografiche dei registi d’avanguardia. Già Wagner, nel suo teatro a Bayreuth (architetto G. Semper, 1872) 10, passò all’anfiteatro intero, che garantiva la democratizzazione della sala e migliorava la visibilità scenica. Nei secoli XVII e XVIII questo tipo di teatro raggiunse in Italia il suo acme. Gottfried Semper, Teatro di Robert Wagner a Bayreuth, 1872, pianta Nel 1912 l’architetto Van de Velde (e, dopo di lui, A. Perret) riorganizzò la scena. Invece del boccascena, costruì una scena composta di tre parti, con tre portali, che abbracciava la parte anteriore del parterre. 10 Il teatro di Bayreuth è, nei testi di architettura, generalmente attribuito a Gottfried Semper. Tuttavia, Semper fu chiamato solo come consulente di «nota inventività ed eccellente esperienza in materia di sistemazione interna dei teatri», mentre la realizzazione esecutiva fu affidata a Otto Brückwald (o Brükwald; 1841-1917). 8 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Auguste Perret, Teatro all’Esposizione delle Arti decorative a Parigi, 1925, pianta Nel loro famoso progetto, il regista Erwin Piscator e l’architetto Walter Gropius portarono ancor più avanti questa idea circondando la sala con un intero anello scenico. Oltre all’anello, era previsto anche il palcoscenico per creare, con la trasformazione dell’anfiteatro, un’arena centrale circondata da ogni parte dagli spettatori. Walter Gropius, progetto di Teatro totale per Erwin Piscator, 1927, assonometria Per inciso, esaminando a posteriori il carattere analitico della fase iniziale del nostro lavoro, si nota un ritorno, impensabile dieci anni prima, alle eterne architetture. 9 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Mejerchol’d intendeva il problema delle interrelazioni tra attore e spettatore in un altro modo. Egli aspirava a dare allo spettatore la possibilità di vedere l’attore in tutti i suoi movimenti, di seguire l’azione e il suo sviluppo spaziale, perché il movimento non si articolava più soltanto da sinistra a destra, ma anche avanti e indietro, attraverso la sala. Bisognava pure decidere le basi stesse del nuovo teatro. L’azione teatrale doveva rimanere circoscritta, oppure doveva occupare l’intero spazio della sala? Si doveva lasciare la cornice scenica, che dividesse la scena dalla sala, o lo spettatore e l’attore dovevano in qualche modo avvicinarsi? Qual era il modo migliore per osservare l’azione, soltanto frontalmente come un tempo o risultava forse più interessante vista da altri punti di osservazione: di fianco, dall’alto, angolata? Qual era la posizione più favorevole per l’attore nella recitazione: avere innanzi a sé la cavità buia che inizia subito dopo l’arco scenico o lavorare in un’unica direzione, verso la sala, “difeso” dai tre lati del palcoscenico o sentirsi come nel circo, circondato da ogni parte dagli spettatori? Era meglio recitare isolati al centro o avere un muro, uno sfondo, un appoggio posteriore? Dove far sostare l’attore tra un’azione e l’altra? Tenerlo molto vicino alla scena per permettergli di inserirsi organicamente nello spettacolo dopo aver ascoltato le scene precedenti? E così via. Ovviamente, tali domande potevano ricevere risposte concrete e valide soltanto nel corso di un lungo lavoro in comune. L’elaborazione delle idee, delle funzioni, dei processi che si svolsero in quella data costruzione fu dunque lavoro comune tra il regista tecnologo e gli architetti e predeterminò la forma del teatro. La funzione trascinò con sé il lavoro di progettazione. Tale era il metodo funzionalista in azione. I principi del nuovo teatro non vennero elaborati immediatamente, ma restarono alla base di tutta l’attività successiva: l’unità della sala e della scena, la presenza degli spettatori su tre lati, la profondità della costruzione dell’azione e l’assonometrismo11 della sua percezione, l’assenza di elementi separatori come il sipario, la ribalta e la fossa dell’orchestra, il diretto collegamento dei camerini per gli attori con il palcoscenico, l’illuminazione della sala con la luce del giorno per garantire le migliori condizioni di lavoro durante le prove. Così si delineava la prima ipotesi del progetto. Naturalmente, per risolvere quei problemi, era impossibile limitarsi alla riparazione del vecchio teatro Zon. Si rendeva necessario demolire tutta la vecchia scatola, ma, dato che formalmente si sarebbe dovuto trattare solo della sua ricostruzione, si conservarono i muri perimetrali che vincolarono tutta la soluzione costruttiva. Tutto l’interno, le pareti, il boccascena, le gallerie, le scale furono demoliti. Fu allora approvato il progetto del nuovo palazzo che mirava a sfruttare al massimo il suo volume interno riorganizzandolo completamente. Fu disegnato un cilindro a base ellittica, strettamente accostato ai muri preesistenti, che raccoglieva tutti gli elementi dell’azione teatrale. Venne finalmente creato il tanto atteso spazio 11 Con assonometrismo si intendeva la percezione dell’azione dall’alto e lateralmente. 10 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it unitario della scena e della sala. Michail Barchin e Sergej Vachtangov, Teatro Mejerchol’d, «schema della struttura ad anfiteatro che garantisce la percezione “assonometrica” dell’azione», 1930-33 Michail Barchin e Sergej Vachtangov, Teatro Mejerchol’d, prima variante, 1930-31, pianta del secondo piano 11 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it In questo volume si doveva ora trovare il punto esatto in cui collocare il palcoscenico e una posizione nuova e corretta per gli spettatori. Il palcoscenico oblungo, anch’esso ellittico, aderente alla parete posteriore del teatro fu fortemente avanzato all’interno della sala. I posti a sedere (dai 1500 ai 2000 spettatori secondo le diverse soluzioni) lo circondavano su tre lati. Fu in tal modo risolto il problema della costruzione in profondità dell’azione scenica e della sua inclusione nel cerchio degli spettatori. Bisognava ancora assicurare l’ottimale percezione dall’alto e dai lati, in tutte le variazioni tridimensionali della messinscena. Fra le soluzioni proposte, fu accettata la migliore, cioè quella con la disposizione ad anfiteatro dei posti per gli spettatori, su ripidi gradini. Infatti, solo l’anfiteatro (greco, romano, palladiano, wagneriano) offriva le migliori condizioni di visibilità, la piena percezione dello spettacolo da tutte le posizioni e l’eliminazione di qualsiasi elemento di disturbo proveniente dalle prime file. Gli spettatori riempivano uniformemente la sala, accedendo attraverso i diversi passaggi radiali. Ma la cosa più importante era che si realizzava un teatro senza distinzioni di classe, un edificio veramente nuovo, di massa, democratico. Michail Barchin e Sergej Vachtangov, Teatro Mejerchol’d, seconda variante (ipotizzando la radicale distruzione del vecchio teatro), 1931-32, prospettiva Mejerchol’d parlava molto di spettacoli all’aperto. Realizzare un tetto apribile non fu possibile, ma la luce del giorno entrava ugualmente nella sala del teatro, dall’alto come quella elettrica, e proveniva dal tetto, completamente ricoperto da vetri lattescenti. Per gli spettacoli del vecchio repertorio, che prevedevano degli intervalli, vennero aperti passaggi ai buffet. Mejerchol’d sognava anche spettacoli senza intervalli. Per questo bisognava garantire almeno due condizioni: la possibilità di fumare in sala e la facoltà, durante lo spettacolo, «ai ragazzi delle arance» (come diceva Vsevolod Emil’evič Mejerchol’d) di passare tra le file, come nelle corride spagnole. Pertanto, nelle larghe spalliere delle poltrone fu inserito l’impianto di ventilazione che portava aria fresca dal basso verso l’alto, il fumo era così aspirato dai fori di aerazione situati sotto 12 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it il soffitto; per il passaggio dei ragazzi furono creati larghe corsie fra le file. Questo per quanto riguardava gli spettatori, ma nel teatro una particolare attenzione doveva essere dedicata anche agli attori. Bisognava avvicinare alla scena i camerini e le zone in cui sostare in attesa dell’entrata in scena. Mejerchol’d attribuiva una grande importanza a questa particolarità. L’attore non doveva arrivare di corsa, ansimando, dal quinto piano (come accadeva nel vecchio teatro) ed entrare in scena sapendo solo sommariamente ciò che era avvenuto in precedenza in sua assenza. Al contrario, Mejerchol’d immaginava una situazione in cui l’attore, non impegnato in un certo episodio, potesse aspettare con calma il momento di uscire sulla scena, fuori della luce dei riflettori ma a pochi passi di distanza, continuando a immedesimarsi nel ritmo dello spettacolo, nella sua dinamica per poter entrare subito nel mezzo dell’azione. A questo scopo furono realizzati due piani a forma di mezzaluna per i camerini, costruiti lungo la parete superiore della sala. Avevano due ingressi, che si affacciavano sulla sala, collegati da un corridoio che seguiva la mezzaluna: il primo ingresso si apriva in galleria, direttamente sull’impiantito della scena, il secondo su uno speciale balcone. La nicchia dell’orchestra, posta sopra i camerini, poteva essere visibile dagli spettatori oppure chiusa12. Michail Barchin e Sergej Vachtangov, Teatro Mejerchol’d, variante prospettica La meccanizzazione conservava il proprio ruolo, si eliminarono solo le centine che reggevano le scenografie. Il palcoscenico fu corredato di due 12 In seguito, in quella posizione, fu situato l’organo. 13 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it piattaforme circolari rotanti, di diametro differente, poste su un asse longitudinale: ciò determinò la forma del palco. Per meccanizzare anche gli elementi superiori ci si proponeva di far scorrere lungo il soffitto un binario curvilineo con un carrello e un gancio per il trasporto in sala delle quinte delle costruzioni ad altezze differenti e in varie posizioni. Allo stesso scopo, nella parte superiore della sala correva una galleria che poteva servire per l’illuminazione, la proiezione e persino per la recitazione. Tutto ciò arricchiva le possibilità spettacolari, sia per il cambiamento delle scene, che per lo sfruttamento di tutto il volume della sala. Al termine di ciascun atto si spegnevano i riflettori, le piattaforme circolari della scena scendevano nella doppia stiva e nuovamente si alzavano con nuovi montaggi. Alla fine, si cercò un sistema affinché negli intervalli la scena fosse lasciata libera per gli spettatori, i quali, oltre a recarsi nei foyer avrebbero potuto scendere i gradini dell’anfiteatro e riempire il grande palcoscenico sgombro dalle scenografie. Qui avrebbero percepito in modo nuovo l’unità dello spazio teatrale ed essi stessi avrebbero rappresentato un quadro vivo e animato per chi era rimasto al proprio posto. Michail Barchin e Sergej Vachtangov, Teatro Mejerchol’d, soluzione realizzata, 1933, pianta dell’ultimo piano In certi vecchi spettacoli era richiesto il passaggio di autovetture sulla scena13. Questo collegamento tra l’esterno e la scena poté essere garantito, malgrado l’estrema esiguità dello spazio disponibile, anche nel nuovo teatro, 13 Nello spettacolo di propaganda La terra in subbuglio (Zemlja dybom; rielaborazione del testo francese La nuit di Marcel Martinet, a opera di S.M. Tretjakov e S. M. Gorodeckij, e messo in scena da Mejerchol’d nel 1923 con la scenografia della costruttivista L.S. Popova ), furono inseriti in scena automobili, motociclette, mitragliatrici, telefoni da campo e macchine trebbiatrici autentiche. 14 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it in quanto parte organica e indispensabile dello spazio scenico. In seguito, ancora per molto tempo e in molti progetti di altri edifici teatrali, l’esigenza di Mejerchol’d di avere un passaggio trasversale per i mezzi di trasporto e per gli attori fu accettata come un fatto ovvio, come una delle caratteristiche del nuovo teatro. Mejerchol’d pensava non solo all’attore e al suo posto nell’edificio, ma anche al regista, al drammaturgo, al pittore, al costruttore, al compositore. La ristrettezza dello spazio ci costringeva a comporre in modo insolito l’edificio. In quel periodo eravamo riusciti a conquistare un pezzetto di terreno nei pressi, appartenuto a un panificio che si trovava sull’angolo del teatro. Perciò, avevamo deciso di realizzare presso il teatro una torre “di creazione artistica” dove, su piani diversi, potevano situarsi i laboratori per ogni autore dello spettacolo. I laboratori dovevano essere distribuiti su due piani ed essere molto confortevoli. Questa torre rese estremamente difficoltoso il destino del progetto. L’insolita presenza della torre nell’immagine storica dell’edificio teatrale causò molte perplessità durante il procedimento di approvazione della facciata presso gli organi competenti. Inoltre, le nostre concezioni artistiche non consentivano elementi superflui né qualsiasi tipo di decorazione della facciata: eravamo fermamente convinti che tutto quanto era necessario alla forma è dato dalla funzione. Oltre a ciò, avevamo pure pensato di costruire ai piedi della torre, all’angolo fra via Gor’kij e piazza Majakovskij, degli insoliti ripiani, i gradini della tribuna per le esibizioni degli attori sulla strada. Ma le idee sull’architettura stavano cambiando e, anche se in quel momento la costruzione era già avviata secondo i disegni approvati, le difficoltà per l’approvazione della facciata aumentarono. Devo tuttavia ammettere che non riuscivamo a rispettare quell’unità che distingue l’architettura compiuta. Ciò trova spiegazione nel fatto che il teatro, pur essendo nuovo per concezione, veniva costruito nei limiti della vecchia, cieca, vuota scatola di mattoni. Il problema dell’aspetto esteriore si acuiva nei disegni delle facciate, indipendentemente dalla sostanza della disposizione interna, a causa del rigido parallelepipedo esistente. Intanto il lavoro proseguiva. A partire dagli anni Trenta, nel corso di alcuni anni, furono progettate tre soluzioni, che sviluppavano coerentemente le idee accennate fin qui. Si riuscì anche a realizzare tra le vecchie pareti le cose più importanti: un’enorme sala ellittica in cemento armato, i gradini in calcestruzzo del grande anfiteatro, il palcoscenico con le due piattaforme e la cavea, la copertura della sala con i fari dell’illuminazione superiore montati, i foyer, le scale ecc.14 È dunque possibile affermare che un ruolo decisivo nella composizione della forma fu svolto dal contenuto, dalla fruizione. 14 Nel libro, Barchin non dissimula il proprio compiacimento per il fatto che Mejerchol’d mostrasse spesso e con grande entusiasmo l’interno dell’edificio agli ospiti e ribadisce che per «non voler rinunciare ai propri principi architettonici», i progettisti si ritirarono dall’incarico nel 1933. Il completamento delle facciate e la decorazione dell’interno furono affidati a A. Ščusev prima e a D. Čečulin poi. Oggi, questo edificio è la sede della sala da concerto P. I. Čajkovskij. 15 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it Vsevolod Emil’evič Mejerchol’d La rivoluzione dell’edificio teatrale 15 In questi tempi vengono spesso a trovarmi degli architetti che vogliono trasformare il vecchio edificio teatrale. Ho sempre rifiutato ogni proposta, poiché le riforme, le riparazioni di cose vecchie non mi interessano. L’edificio teatrale deve essere rivoluzionato. Nel preparare i progetti di un tale edificio dobbiamo superare i dati oggettivi della realtà, fare una proposta avveniristica. Dobbiamo pensare a un futuro magnifico, a quello che sarà fra cent’anni. Il nostro progetto non deve partire dagli edifici già esistenti, come quello del Bol’šoj, del Malyj o del Teatro d’Arte, poiché si tratta di edifici inadeguati. Il nostro progetto dev’essere invece fantastico, utopistico. Solo così potremo operare una vera rivoluzione in questo settore. Si tratterà di un progetto di massima. Ma esiste già un programma di minima, ossia le cose da rinnegare completamente: sposteremo così il problema dal punto morto in cui si trova. Elencherò ora una serie di compiti utopistici che voi dovrete tradurre in un linguaggio concreto. Fino ad oggi si era soliti dividere l’edificio teatrale in sala e palcoscenico. Riteniamo superata questa divisione. Oggi dobbiamo affermare: esiste un edificio unico, un tutto unico, il teatro. Non esiste uno spettatore passivo e un attore attivo. Lo spettatore di oggi, domani parteciperà allo spettacolo. Per una rappresentazione di massa mi occorre un palcoscenico capace di contenere 700-1000 persone, pronte a sfilare sulla scena. Nelle condizioni attuali, sono costretto a rivolgermi ai soldati di qualche reparto dell’esercito. Se il teatro non fosse diviso in platea, balconata, galleria, e se l’orchestra non costituisse un sia pur minuscolo abisso tra palcoscenico e platea, se non esistesse una ribalta, se il teatro fosse un tutto unico, se tra pubblico e palcoscenico esistesse un ponte naturale, io sposterei questa massa passiva di gente seduta, riuscirei a scuoterla, e gli spettatori, dopo aver sfilato sulla scena, ritornerebbero ai loro posti a sedere… Nel mettere in scena La terra in subbuglio, abbiamo fatto passare 15 In V.E. Mejerchol’d, L’Ottobre teatrale 1918/1939, op. cit., pp. 92-95. Il brano riproduce un colloquio di Mejerchol’d con un gruppo di giovani architetti avvenuto l’11 aprile 1927. 16 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it un’automobile attraverso il pubblico, che però si sentiva a disagio: la macchina puzzava, poteva urtare o schiacciare qualcuno. Così mi sono posto il problema di una sistemazione meno sbagliata della platea. Con un giovane architetto del Vchutemas, morto di recente, ho parlato di un progetto di teatro nuovo in cui si tenesse conto dei guai che avevo passato con quell’automobile: l’ho pregato di costruirmi un teatro in cui l’auto potesse passare direttamente dalla strada al palcoscenico, in modo da non spaventare gli spettatori, e che sotto la platea vi fosse un passaggio sul palcoscenico senza complicati sistemi di scale. Dobbiamo lottare contro la staticità dell’edificio teatrale, per un dinamismo organico, quel dinamismo che ci entusiasma nel porto di Amburgo, dove le macchine passano facilmente da un piroscafo in navigazione a un treno in movimento. Nel preparare un progetto simile occorre tener conto dell’utilità, delle esigenze organiche. Create condizioni di maggiore facilità di trasferimento, ecco il compito dinamico di un palcoscenico moderno. Ignoriamo sinora tutto sulla struttura verticale del palcoscenico. Se durante la rappresentazione dovessimo mostrare l’atterraggio di un aereo, non potremmo farlo, data la struttura a gabbia dell’edificio teatrale. Dovete costruire un edificio in cui poter far scendere dall’alto per esempio un aeroplano, senza disturbare gli spettatori seduti ai loro posti. I palcoscenici girevoli limitano la possibilità del teatro, diminuiscono i passaggi tra la scena e il sottoscena. Pensate a una nave. Si è sul ponte e a due passi c’è un boccaporto che porta sotto. Questo passaggio, indispensabile per il rapidissimo movimento del corpo nello spazio, con il palcoscenico girevole scompare. Il palcoscenico dev’essere organizzato in maniera da poter salire e scendere in qualsiasi istante, in qualsiasi punto. Occorre costruire una scena a vari livelli ispirandosi alla struttura di una nave. Che cosa balza agli occhi apppena si entra in teatro? La lunga fila per depositare il cappotto. Durante gli intervalli lo spettatore non ha il tempo di andare al gabinetto o al buffet, dovunque ci sono lunghe file, è difficile conquistarsi un panino. Tutti questi problemi importanti devono essere risolti prima della costruzione di un nuovo edificio teatrale. Ricordo il caffè espresso italiano: c’è un uomo dietro al banco, il quale con una macchina prepara caffè, tè, cioccolata, distribuisce biscotti e panini. Il cliente non può stare al banco a lungo: è costretto a consumare rapidamente, per lasciar posto a chi è dietro di lui. Lì non esistono file. Da noi, invece, un barista grasso e panciuto perde del gran tempo affaccendandosi intorno ai panini, mentre sua moglie stappa le bottiglie d’acqua minerale, versandone qualche goccia sul pavimento, o magari sul cliente. Bisogna creare una zona di passaggio e non un buffet tradizionale. Lo spettatore vi capita, quasi senza volerlo, prende un panino e prosegue. Il cinema è superiore al teatro, perché non c’è bisogno del guardaroba. La questione del guardaroba dev’essere riesaminata: occorre far sì che lo spettatore non si preoccupi dei suoi indumenti, non corra il rischio di perdere l’ultimo tram, per aver fatto una lunga fila al guardaroba. Forse, è il 17 1 associazione culturale Larici – http://www.larici.it caso di consegnare allo spettatore alla cassa, insieme al biglietto, la chiave di un armadietto. E ora dagli spettatori passiamo agli attori. L’attore dev’essere sano, sentirsi in un ambiente igienico e in una buona disposizione di spirito. Invece nei teatri attuali il camerino è una specie di cuccia dove sono ammassati una decina di attori. L’attore è stretto, il suo vicino gli dà noia, gli manca l’acqua calda per togliersi il trucco. Invece di preparare un attoretribuno, l’edificio teatrale, così com’è oggi, contribuisce a trasformare l’attore in una comare. Proprio come il cane raccoglie nella cuccia gli ossi, l’attore porta con sé nel camerino pettegolezzi, intrighi. In un edificio teatrale enorme come quello di cui disponiamo manca il posto per dei camerini decenti. Mancano gli ascensori e gli attori che non sono stati sistemati al primo piano sono costretti a raggiungere di corsa il quarto, a rischio di un infarto. Quanta energia preziosa viene sprecata in teatro! La questione della tutela del lavoro non potrà essere risolta finché non verrà risolta quella dell’edificio teatrale. Una volta, entrato in un camerino per parlare con gli attori mentre si truccavano, ho dovuto scappar via: uno stanzone buio, privo di ventilazione, vi si stava stretti tanto da non poter fare un passo per guardarsi allo specchio, il trucco colava sui volti sudati. Non starò ad elencare tutti gli orrori cui deve sottostare un attore. L’attore ha bisogno di un bagno, di una doccia, per potersi togliere di dosso la polvere e la sporcizia accumulate durante il lavoro. L’edificio teatrale oggi non permette di utilizzare tutte le possibilità musicali ed acustiche del teatro. Gli orchestrali sono costretti a rimanere seduti o in un buco dietro le quinte, senza mai trovare di solito posto sufficiente. A noi occorre che il suono si propaghi in varie altezze, da vari punti, ora dal fondo, ora dal basso, ora dall’alto. Ecco un compito per voi, architetti: dovete costruire, inventare macchinari capaci di trasferire nei vari punti del teatro qualsiasi apparecchiatura musicale. Gli spazi laterali del palcoscenico sono la disgrazia di tutti gli edifici teatrali attuali. Gli spazi laterali devono essere ancor più larghi dello stesso palcoscenico, che già dev’essere un’enorme piazza d’armi. Quando sulla scena si svolge una danza sfrenata, in platea vi sentite solleticare il naso dalla polvere. Pensate a una nave: ogni giorno l’intero ponte viene lavato e i passeggeri non hanno nemmeno un granello di polvere. Ovunque voi, architetti, non dovrete dimenticare il problema del lavaggio dei pavimenti, che dovranno essere costruiti in maniera diversa. Per preparare progetti veramente nuovi, non dobbiamo rifarci al Bol’šoj o al Malyj ma al mondo dell’utopia. Da lì, poi, ridiscenderemo sulla terra. Nel 1920-1921, quando facevamo a pezzi le case di legno per farne combustibile, potevamo forse pensare che nel 1924 avremmo costruito case di pietra? Nel preparare i progetti non bisogna temere gli alti costi o l’impossibilità di costruire nuovi edifici con i mezzi della tecnica moderna. Nel preparare un progetto di edificio teatrale non si deve perdere di vista un nuovo elemento costruttivo: lo spettatore nuovo che di giorno in giorno collabora sempre più con noi. 18 1