1. il trasformatore

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CLASSE 3E1
Anno scolastico 2012/2013
Laboratorio Tecnologico
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TRASFORMATORE
E CURIOSITA’
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1
2
3
4
5
6
IL TRASFORMATORE
VARI TIPI DI TRASFORMATORE
ELEMENTI COSTRUTTIVI DEI TRASFORMATORI
TRASFORMATORI TRIFASI
IMPIEGHI DEL TRASFORMATORE
DATI DI TARGA DI UN TRASFORMATORE
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1. IL TRASFORMATORE
E’ stato in precedenza osservato che muovendo un magnete rispetto ad una bobina, si induce nella
bobina una differenza di potenziale che provoca il passaggio di una corrente tanto più intensa
quanto più veloce è il movimento. Inoltre, si è fatto notare che si può indurre corrente in una
bobina anche affacciandola a un’altra bobina collegata, tramite un interruttore, a una batteria.;
quando si chiude l’interruttore si osserva un impulso di corrente nel circuito della seconda bobina,
e lo stesso avviene quando l’interruttore viene riaperto. Faraday nel 1831 utilizzò, come mostra la
figura, un circuito di questo genere. Egli le bobine le avvolse su un nucleo toroidale di ferro; il
passaggio di corrente nella seconda bobina veniva rivelata da un ago magnetico.
La corrente indotta è
presente se la prima bobina
viene collegata ad un
generatore di corrente
alternata invece che alla
batteria e all’interruttore.
Si ottiene in tal modo un
diffuso dispositivo elettrico
chiama trasformatore.
Quando si inserisce il cavo
per ricaricare le batterie di
un telefono cellulare in una
presa a muro dell’impianto
elettrico
domestico
il
trasformatore riduce la tensione alternata da 230 V a un valore molto minore compreso tra 3 e 9
Volt. Invece il monitor di un computer con tubo a raggi catodici richiede circa 15000 V per
accelerare il fascio di elettroni, e viene usato ancora un trasformatore per ottenere questa alta
tensione partendo da quella fornita da una presa di circa 230Vca.
La figura presenta un disegno schematico di un trasformatore. E’ costituito da un nucleo di ferro
su cui sono avvolte due bobine: un circuito o avvolgimento primario (lato sinistro) con Np spire e
un circuito o avvolgimento secondario (lato destro) con Ns spire. Il primario è collegato a un
generatore di corrente alternata la quale
entrando in circolazione stabilisce un campo
magnetico variabile nel nucleo di ferro. Il
ferro, essendo facilmente magnetizzabile,
aumenta notevolmente il campo magnetico
rispetto a quello esistente in un nucleo d’aria
e guida le linee del campo magnetico verso
il secondario. Poiché il campo magnetico è
variabile, anche il flusso magnetico
concatenato con il primario e il secondario è
variabile e, di conseguenza, in entrambi gli
avvolgimenti viene indotta una f.e.m.
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1.1. CONSIDERAZIONI GENERALI
Il trasformatore è una macchina elettrica “statica” che trasferisce energia da un circuito ad un
altro per il tramite dell’induzione elettromagnetica: è per questo che un trasformatore può
funzionare
solo in regime non stazionario. Nella stragrande maggioranza dei casi i trasformatori vengono
impiegati in regime sinusoidale, alla cosiddetta frequenza industriale (o di rete), che in Europa (e
nella maggior parte del mondo) è di 50 Hz, mentre negli U.S.A. è di 60 Hz.
In linea di principio un trasformatore
è costituito da un nucleo in materiale ferromagnetico
sul quale sono avvolti almeno
due avvolgimenti, detti primario e secondario,
rispettivamente: in tal modo le linee di flusso di
induzione prodotto da ciascuno dei due, e
“confinate” nel nucleo dalla sua bassa riluttanza, si
concateneranno con l’altro.
Si noti che, data la assoluta “reversibilità” della
macchina, ciascuno dei due avvolgimenti può
essere assunto come primario (o secondario), a
seconda che si privilegi l’una coppia di morsetti
(detta anche porta) o l’altra.
Come si vedrà meglio nel seguito, la funzione di
gran lunga più rilevante del trasformatore è
quella di consentire la trasmissione dell’energia
elettrica a distanze anche molto grandi.
Fig. 1
Fig. 2
Studiato già nel 1848 dal fisico tedesco H. Ruhmkorff, fù realizzato dal francese L. Gaulard
in un versione presentata all’esposizione universale di Torino del 1884. La macchina di Gaulard era
alquanto imperfetta e, soprattutto, non era supportata da una piena comprensione teorica. La teoria
completa del trasformatore, in una versione sostanzialmente identica a quella attuale, è dovuta, però,
allo scienziato italiano Galileo Ferraris.
È importante notare come l’impiego del trasformatore acquistasse rilievo particolare dal momento
in cui era stato inventato dallo stesso Galileo Ferrarsi e si stava diffondendo il motore a corrente
alternata, detto asincrono o a induzione, che rendeva possibile trasformare in energia meccanica
l’energia elettrica, trasmessa a distanze fino ad allora impensabili: nel 1891 l’impianto da Tivoli
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a Roma arrivava a 35 km mentre quello da Lauffen a Francoforte si estendeva su 75 km.
1.2. PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO
Se si fanno le seguenti ipotesi semplificative:
• permeabilità magnetica del nucleo grandissima (µ →_ ⇒ ℜ → 0): il nucleo ferromagnetico
può essere considerato un tubo di flusso perfetto: tutte le linee di flusso del vettore
induzione generato da un circuito si concatenano con l’altro
• potenza dissipata nel nucleo nulla
• resistività dei conduttori degli avvolgimenti nulla
l’insieme dei due avvolgimenti può considerarsi coincidente con il cosiddetto trasformatore
ideale, caratterizzato completamente dalle semplici relazioni fra le grandezze alle due porte:
(V1/V2=N1/N2) =a (vedi fig. 3)
alla grandezza “a” si dà il nome di rapporto spire o rapporto di trasformazione.
Il simbolo del trasformatore ideale è quello di fianco riportato, ove si sono fatte due diverse
convenzioni alle due porte:
dell’utilizzatore alla porta primaria: il complesso del trasformatore e del suo carico vengono
“visti” dalla rete di alimentazione come un carico complessivo del generatore a quella
secondaria: visto dal carico, il trasformatore viene identificato con l’ente erogatore.
(vedi fig. 3)
Se si indica con V 1 x I 1 la potenza apparente primaria impegnata e con V 2 x I 2 quella
secondaria, utilizzando le relazioni appena scritte per esprimere le grandezze primarie in
funzione di quelle secondarie:
V1xI1=(axV2)x(I2/a)=V2xI2
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la relazione scritta giustifica anche l’affermazione secondo la quale il trasformatore ideale è
trasparente per le potenze: non trattiene, cioè, alcuna aliquota di potenza, che si trasferisce frà
primario e secondario, pertanto, completamente da una porta all’altra, giustificando, così, un valore
unitario del rendimento (ή=1).
Se si alimenta uno dei due avvolgimenti (primario) con una tensione alternata, nel nucleo nasce un
flusso magnetico alternato la cui ampiezza dipende dalla tensione di alimentazione, dalla frequenza e
dal numero di spire dell'avvolgimento. Grazie all'azione del nucleo, questo flusso si concatena quasi
per intero con il secondo avvolgimento (secondario) e induce in esso una f.e.m. la cui ampiezza
dipende dal numero di spire secondarie e dalla frequenza.
Scegliendo opportunamente i numeri di spire primarie e secondarie è possibile variare il valore del
rapporto tra la tensione di alimentazione primaria e la tensione indotta secondaria.
In genere, l'avvolgimento che viene alimentato alla tensione da trasformare _e detto avvolgimento
primario, mentre quello che fornisce ai morsetti la tensione trasformata viene detto avvolgimento
secondario.
Tuttavia, essendo il funzionamento del trasformatore perfettamente reversibile, la distinzione tra
avvolgimento primario e avvolgimento secondario non è legata ad alcun fatto costruttivo.
Costruttivamente, invece, i due avvolgimenti possono essere distinti in.
. avvolgimento in alta tensione (AT), quello con maggior numero di spire . avvolgimento in bassa
tensione (BT), quello con minor numero di spire Il trasformatore può, allora, funzionare come
elevatore di tensione se si alimenta come primario l'avvolgimento in BT, mentre funziona come
abbassatore (riduttore) se si alimenta come primario l'avvolgimento in AT.
2. VARI TIPI DI TRASFORMATORI
2.1 Di tensione (TV)
È il trasformatore classico descritto precedentemente. La tensione sul secondario è costante e
determinata dal rapporto nel numero di spire; dove N2> di N1 si dice in elevazione (salita), mentre se
N1> di N2 si dice riduttore (in discesa).
Alla luce di ciò si può dire che i fattori della potenza cambiano mentre la potenza non cambia.
Gli avvolgimenti possono avere prese intermedie che permettono di decidere all'installazione tra
diversi rapporti, per esempio per utilizzare una apparecchiatura su reti elettriche a diversa tensione
nominale. Le prese intermedie sul secondario, oppure avvolgimenti secondari aggiuntivi, permettono
di avere a disposizione diversi valori di tensione contemporaneamente (ricordati la potenza assorbita
dal primario viene tutta a meno delle perdite trasferita al secondario).
2.2 Di isolamento
Sono trasformatori con rapporto unitario (o leggermente maggiore per compensare le perdite) ma
con isolamento elettrico tra gli avvolgimenti particolarmente curato. Sono usati per disaccoppiare la
massa di un apparecchio di misura dalla massa del circuito in esame quando entrambi siano messa a
terra. La separazione tra gli avvolgimenti viene generalmente assicurata mediante doppio isolamento
oppure per mezzo di uno schermo metallico messo a terra.
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Possono essere anche usati per aumentare la sicurezza delle apparecchiature mediche connesse alla
rete, ma in questo caso il trasformatore deve essere conforme anche alla norma IEC 61558-2-15,
specifica per l'applicazione in locali adibiti ad uso medico. Tra le caratteristiche peculiari, la
potenza di uscita non può superare 10 kVA e, se viene utilizzato per alimentare più di un apparecchio
medicale contemporaneamente, deve essere dotato di un dispositivo di controllo permanente
dell'isolamento non disinseribile.
2.3
Trasformatore trifase
Sono macchine in grado di convertire una tensione trifase e sono comunemente usati nella rete di
distribuzione elettrica. Possono essere costituiti da tre trasformatori monofasi indipendenti, ma quasi
sempre sono realizzati con tre avvolgimenti primari e tre secondari montati su un unico nucleo con tre
rami paralleli.
Gli avvolgimenti possono essere collegati a stella (sigla Y per alta tensione - sigla y per bassa
tensione), a triangolo (sigla D per alta tensione - sigla d per bassa tensione) o a zig-zag (sigla Z per
alta tensione - sigla z per bassa tensione). Vengono di solito abbinati a degli Isoltester (o "controllori
di isolamento"), che permettono di regolare tramite pannello sinottico le varie soglie di resistenza
verso terra.
Nel caso si debbano mettere in parallelo due o più trasformatori trifase bisogna, preventivamente,
accertarsi che appartengano entrambi al medesimo gruppo.
Il gruppo di un trasformatore trifase si definisce come l'angolo di ritardo della bassa tensione rispetto
all'alta tensione assumendo come senso antiorario in senso di rotazione dei vettori di tensioni.
Solo in questo caso siamo certi di non collegare in cortocircuito i due trasformatori che vogliamo
mettere in parallelo. Nei trasformatori commerciali i gruppi di sfasamento più utilizzati sono
quattro:
•
•
•
•
Gruppo 0 (nessun sfasamento tra primario e secondario)
Gruppo 5 (sfasamento di 150° tra primario e secondario)
Gruppo 6 (sfasamento di 180° tra primario e secondario)
Gruppo 11 (sfasamento di 330° tra primario e secondario)
Questo angolo di ritardo è dovuto al diverso montaggio degli avvolgimenti del trasformatore. Per fare
un semplice esempio se gli avvolgimenti sono stati collegati a stella (sia del primario che del
secondario) possiamo avere un trasformatore sia con gruppo 0 sia con gruppo 6. Nel caso uno dei due
sia collegato a triangolo e l'altro a stella possiamo avere un trasformatore sia con gruppo 5 sia con
gruppo 11.
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2.4 AUTOTRASFORMATORE
Autotrasformatore, con multi-prese in uscita
L'autotrasformatore è un particolare tipo di trasformatore costituito da un unico avvolgimento
dotato di prese intermedie. Rispetto al comune trasformatore, l'avere un solo avvolgimento semplifica
molto la costruzione, riduce di molto le perdite ohmiche dovute alla resistenza dei conduttori ed
elimina i problemi di isolamento fra avvolgimenti, ma d'altro canto, al contrario del normale
trasformatore, primario e secondario non sono galvanicamente isolati.
2.4.1 Caratteristiche
In un autotrasformatore la corrente che fluisce nel primario crea un flusso magnetico che induce una
corrente di verso opposto nel secondario, come nel normale trasformatore: ma poiché in questo caso il
secondario è parte del primario le due correnti si sottraggono, con il risultato che in parte
dell'avvolgimento scorre una corrente molto più bassa di quella assorbita ed erogata. Il rapporto tra le
correnti è l'inverso del rapporto tra il numero di spire degli avvolgimenti:
ma essendo le correnti di verso opposto la corrente totale che scorre nel secondario (cioè nella parte di
spire in comune, Ns) sarà
Quindi, se il rapporto di conversione è molto vicino all'unità, gran parte dell'avvolgimento sarà
percorso da correnti molto basse, e nelle poche spire non in comune circolerà tutta la corrente
assorbita dal primario: perciò la potenza dissipata dall'autotrasformatore sarà
Confrontandola con la potenza Pt richiesta da un trasformatore tradizionale con lo stesso rapporto di
trasformazione R, abbiamo
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2.4.2 Vantaggi
Quindi un autotrasformatore rispetto a un trasformatore tradizionale equivalente è:
•
•
•
•
più piccolo
più leggero
più economico
assorbe meno potenza (meno perdite), questo è tanto più vero quanto più il rapporto di
trasformazione si avvicina a 1
Il vantaggio fondamentale è che uscita/ingresso non sono separati tra loro. Trattandosi infatti dello
stesso circuito (avvolgimento), se utilizzato con tensioni maggiori di 50 volt, garantisce l'intervento
delle protezioni (salvavita) poste a monte, perché in caso di contatto diretto, la eventuale corrente di
guasto a terra riesce a tornare al centro stella del trasformatore trifase M.T./B.T. della cabina di
fornitura facendo scattare l'Interruttore differenziale.
Utilizzando un Trasformatore con Ingresso/uscita isolati, non sarebbe possibile a meno che il
neutro del circuito (secondario) non venga posto a terra, come una vera e propria cabina. In questo
caso la protezione differenziale andrebbe inserita anche sull'uscita del trasformatore a protezione delle
utenze alimentate.
2.4.3 Svantaggi
Tuttavia, come già detto, l'autotrasformatore:
•
•
non offre isolamento galvanico fra gli avvolgimenti, con rischi per la sicurezza e il
funzionamento degli apparecchi a esso collegati, ed è necessario prendere delle precauzioni
speciali se si vuole mettere a terra il secondario.
meno sicuro, un'eventuale rottura del trasformatore può sottoporre il carico all'intera tensione
del primario.
2.5 Di corrente (TA)
Forniscono sul secondario una corrente proporzionale alla corrente circolante nel primario. Sono
spesso usati nei sistemi di misura per correnti elevate al fine di ridurle a valori più facilmente
misurabili.
Sono costituiti da un nucleo toroidale al cui interno passa il cavo
(anche isolato) su cui compiere la misura e su cui è avvolto il filo del
secondario.
È importante che il secondario sia sempre in cortocircuito sullo
strumento di misura per evitare la formazione di tensioni
pericolosamente elevate. Sono usati nei sensori di una pinza
amperometrica.
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Trasformatore variabile
2.5 A corrente costante
Questi trasformatori mantengono costante entro certi limiti la corrente fornita sul secondario piuttosto
che la tensione. In pratica la tensione prodotta si regola automaticamente per mantenere una corrente
costante sul carico. Sono costituiti da nucleo interrotto da un traferro la cui apertura è regolata da una
sezione mobile del nucleo tirata da un contrappeso.
La presenza del traferro determina un aumento della riluttanza, ovvero il rapporto tra la forza
magnetomotrice generata dal primario e il flusso di induzione prodotto nel nucleo.
Quando il circuito secondario assorbe troppa corrente, le forze elettromagnetiche provocano
l'allargamento del traferro, da cui ne deriva una diminuzione del flusso e quindi la diminuzione della
tensione indotta.
Questi trasformatori sono usati anche per alimentare le lampade di illuminazione pubblica collegate
in serie a corrente costante.
Versioni con traferro regolabile manualmente sono usati nelle saldatrici elettriche: in questo caso
l'apertura del traferro non è automatica ma impostata dall'utilizzatore con una manopola.
La corrente è quindi limitata ad un valore prefissato ma non regolata.
2.6 Risonante
Un trasformatore risonante opera alla frequenza di risonanza di uno (o più) avvolgimenti,
solitamente il secondario, sfruttando la capacità parassita fra una spira e l'altra dell'avvolgimento.
Se il primario è alimentato con una tensione periodica ad onde quadre o dente di sega, ad ogni
impulso viene fornita energia sul secondario, che sviluppa progressivamente una tensione molto
elevata alla frequenza di risonanza del circuito oscillante. (La tensione prodotta è limitata da fenomeni
di scarica distruttiva fra le spire dell'avvolgimento risonante e la corrente è molto più elevata di quella
ottenuta dai generatori elettrostatici come il Generatore Van de Graaff e il Generatore Wimshurst).
Di solito questi trasformatori lavorano a frequenze piuttosto elevate, per cui non hanno bisogno di
nucleo magnetico. La bobina di Tesla è un tipico trasformatore risonante.
2.7 Di impulso
Un trasformatore di impulso è ottimizzato per trasferire un impulso rettangolare.
Modelli di piccola potenza (detti di segnale) sono usati in elettronica digitale e telecomunicazioni, in
genere per adattare i circuiti alle linee di trasmissione e per attivare triac o scr (particolari
semiconduttori i quali si comportano come dei veri e propri interruttori di comando).
Modelli di medie dimensioni sono usati per controlli su circuiti di potenza, come per esempio per
innescare i flash fotografici.
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Per limitare la distorsione nella forma dell'impulso, il trasformatore deve avere basse perdite, bassa
capacità distribuita ed alta induttanza a circuito aperto.
Nei modelli di potenza deve essere bassa la capacità di accoppiamento tra primario e secondario, per
proteggere i circuiti collegati al primario dagli impulsi di elevata tensione creati dal carico.
Per la stessa ragione deve essere elevato l'isolamento.
2.1 D'uscita
Questo tipo di trasformatore è utilizzato solitamente come adattatore d'impedenza. Normalmente è
usato negli amplificatori audio valvolari per trasferire al primario, di norma ad impedenza più alta, la
bassa impedenza del carico applicato al secondario.
Infatti, solitamente, per questo tipo di trasformatori non viene definito direttamente il rapporto di
trasformazione N delle tensioni ma il rapporto delle impedenze tra primario e secondario. Dal punto
di vista matematico risulta che:
con
e
le impedenze del primario e del secondario.
Inoltre, in questa specifica applicazione, svolge anche il compito di separare la componente continua
da quella alternata.
Dal punto di vista costruttivo è come un normale trasformatore monofase con degli accorgimenti
particolari. Prima di tutto il materiale dei lamierini: si usano solitamente lamierini con percentuale di
silicio, però a grani orientati, oppure altri materiali più costosi (permalloy, etc.). Un altro
accorgimento che si pratica è quello di intercalare il primario con il secondario, in modo tale da
aumentare l'accoppiamento tra gli avvolgimenti e diminuire la capacità parassita (e quindi estendere la
banda passante) degli avvolgimenti. Nei trasformatori d'uscita per stadi single end occorre aggiungere
del traferro (aria o carta) al nucleo in modo tale da evitare premature saturazioni, visto che in questa
configurazione l'avvolgimento primario è attraversato dalla corrente continua del tubo in un solo
senso e non in due (ma opposti) come in quelli per push-pull, i quali non richiedono il traferro. In un
amplificatore audio è un componente fondamentale, in quanto se di scarsa qualità può limitare
pesantemente le prestazioni.
2.2 Rotante
Parte fissa di un trasformatore rotante a 6
canali usato in un videoregistratore a 6 testine.
Parte rotante del trasformatore, con visibili tre
delle sei testine.
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Un trasformatore rotante è un tipo specializzato di trasformatore, usato per accoppiare segnali
elettrici tra due parti rotanti tra di loro. Un trasformatore rotante permette di superare i difetti tipici
degli anelli collettori, come attrito, frizione, intermittenza del contatto e limitazione della velocità di
rotazione.
Un trasformatore rotante è costruito con gli avvolgimenti primari e secondari in metà separate,
montate poi una di fronte all'altra. La connessione tra le due metà degli avvolgimenti è assicurata dal
flusso magnetico che fornisce l'induttanza reciproca dal primario al secondario.
L'uso più comune dei trasformatori rotanti è nei videoregistratori, per la trasmissione dei segnali di
pilotaggio delle testine video montate su un tamburo rotante. La maggior parte dei videoregistratori
richiede più di un segnale, e in questo caso si usano trasformatori rotanti a più canali, con più
avvolgimenti concentrici. Nella foto si vede un trasformatore rotante con 6 avvolgimenti individuali.
Un altro uso è per trasmettere segnali dai sensori di coppia sui motori elettrici, per controllarne la
velocità e la coppia generata tramite retroazione.
2.3 pompa di fase
Sono trasformatori in cui viene aggiunto un avvolgimento ausiliario genericamente costituito da
poche spire. La tensione prelevata ai capi di tale avvolgimento si modifica proporzionalmente alla
potenza erogata. Collegando un opportuno circuito a questo avvolgimento è possibile misurare
l'erogazione istantanea di potenza ed agire mediante circuiti appositi di compensazione (come ad
esempio un trasformatore ausiliario posto in serie all'avvolgimento primario) per variare la tensione
primaria. Da qui la "pompa di fase", che dà il nome a questa tipologia di trasformatori.
3 ELEMENTI COSTRUTTIVI DEI TRASFORMATORI
In perfetta analogia con tutte le macchine elettriche, anche il trasformatore è costituito da
due elementi strutturali fondamentali: il nucleo ferromagnetico (detto anche ossatura) e gli
avvolgimenti, generalmente in rame o in alluminio.
Come si è accennato in precedenza, gli avvolgimenti, due o più, risultano meglio accoppiati
se disposti su una struttura di materiale ferromagnetico, che costituisce la rete magnetica a
bassissima riluttanza entro la quale si sviluppano in misura prevalente le linee di flusso di
induzione magnetica.
Forme costruttive, materiali impiegati e particolari soluzioni tecnologiche dipendono dalle
specifiche esigenze, dal campo di impiego di ciascuna categoria di trasformatori.
Le considerazioni che si possono fare (e che qui si fanno) hanno carattere di assoluta
generalità, allo scopo di evidenziare i soli elementi essenziali.
A completare il quadro delle caratteristiche costruttive occorre poi considerare che il
trasformatore, sede di calore cha va comunque smaltito, deve essere corredato di un idoneo
sistema di raffreddamento.
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3.1 IL NUCLEO
Le due forme costruttive più comuni sono
quelle usualmente indicate come nucleo a
colonne (con gli avvolgimenti disposti
intorno a ciascuna delle colonne) e nucleo a
mantello o corazzato (con entrambi gli
avvolgimenti disposti sulla colonna centrale
e parzialmente “circondati” dal nucleo), come
illustrato dalla figura a lato.
Una struttura “chiusa” (ovvero continua) varrebbe certamente a eliminare i traferri (facendo
diminuire la riluttanza) ma renderebbe molto difficile, se non impossibile, l’inserimento degli
avvolgimenti: il nucleo viene, perciò, costruito per assemblaggio di parti, con le due colonne
vere e proprie che vengono serrate fra due elementi orizzontali, detti gioghi.
L’inconveniente di questa struttura è costituito dalla presenza (ineliminabile) di pur ridottissimi
traferri (dell’ordine di 0,05 mm o meno nei migliori trasformatori), che finiscono per penalizzare
la riluttanza complessiva, che, come si è detto ripetutamente, si vorrebbe la più bassa
possibile.
L’unica eccezione è rappresentata dai cosiddetti trasformatori a nucleo avvolto (o bobinato),
costituiti da un lamierino ferromagnetico avvolto a spirale in più strati, fino a costituire la
struttura, priva di discontinuità, intorno alla quale sistemare gli avvolgimenti.
Nelle immagini due esempi di nuclei corazzati: sopra, un piccolo trasformatore di alimentazione, a destra il nucleo in
ferrite di un trasformatore speciale
4. TRASFORMATORI TRIFASI
Anche se, per ragioni di semplicità, si è fatto fin qui riferimento al solo trasformatore
“monofase”, la quasi assoluta totalità dei casi reali è costituita da trasformatori trifasi, che
presentano tre coppie di avvolgimenti, una coppia per ogni fase.
Per ogni coppia di avvolgimenti continuano a valere le relazioni prima esposte per il rapporto
fra le tensioni e le correnti primarie e secondarie.
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In linea di principio un trasformatore trifase potrebbe essere realizzato facendo ricorso a tre
trasformatori monofasi, uno per ciascuna delle tre fasi.
Ragioni di convenienza economica e di ingombro inducono a preferire, però, una
struttura compatta: su un unico nucleo sono sistemati le tre coppie di avvolgimenti, dando
luogo a tipologie che riprendono quelle già presentate per l caso monofase, rispettivamente a
colonne o a mantello.
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4.1 GLI AVVOLGIMENTI
Gli avvolgimenti sono realizzati in rame o, abbastanza spesso, in alluminio, che, come al
solito, offre i vantaggi di costi e pesi inferiori al solo prezzo di una conducibilità appena minore
di quella del rame.
Le sezioni dei conduttori sono circolari (fig. a) ma,
quando si vuole ottenere il riempimento ottimale degli
spazi disponibili, si dà la preferenza a sezioni
rettangolari, dette a “piattina” (fig. b), che consentono
di eliminare in maniera completa gli spazi inutilizzati.
In un certo numero di casi, infine, quando
l’avvolgimento è fatto di poche spire di grande
sezione, il conduttore
presenta una struttura “a nastro” (fig. c)
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Nella quasi assoluta totalità dei casi il necessario isolamento dei conduttori è affidato a un
opportuno materiale “organico” (una resina sintetica).
Gli isolanti sono perciò piuttosto sensibili alla temperatura, dalla quale dipende
apprezzabilmente la sua cosiddetta “vita media”.
Occorre, perciò, prevenire il riscaldamento eccessivo degli avvolgimenti, mediante idoneo
raffreddamento. Allo scopo di poter contare su una vita media analoga per i diversi
avvolgimenti del trasformatore, occorre che, a parità di trasmissione del calore, l’apporto di
calore agli avvolgimenti sia sostanzialmente identico.
4.2 RAFFREDDAMENTO
Come si è accennato, a un efficace smaltimento del calore prodotto (dalle perdite nel nucleo e
da quelle nei conduttori, per effetto joule) è legata la sopravvivenza stessa del trasformatore:
un sistema di raffreddamento è adeguato se riesce a contenere la temperatura entro livelli che
non compromettano la consistenza (e la tenuta) degli isolanti organici.
Nei casi più semplici (macchine di potenza contenuta, entro qualche centinaio di kVA), il
raffreddamento non prevede accorgimenti particolari: è affidato ai moti convettivi naturali che
stabiliscono nell’aria che lambisce il trasformatore. Un saggio criterio costruttivo è quello di
lasciare piccole intercapedini fra i due avvolgimenti e fra questi e il nucleo, in modo da favorire
la convezione naturale.
Quando condizioni ambientali sfavorevoli (temperature molto alte o ambienti chiusi di
relativamente piccole dimensioni) lo richiedano, anche i trasformatori più piccoli possono
essere dotati di un raffreddamento forzato, mediante ventole (generalmente tangenziali); in tal
caso il sistema di raffreddamento deve prevedere un idoneo filtraggio dell’aria, per evitare che
il flusso d’aria forzata imbratti la macchina proiettando su di essa particelle di diversa
consistenza o quant’altro.
Allo scopo di indirizzare più efficientemente il flusso dell’aria (oltre che per ridurre
l’immissione di rumore in ambiente) il trasformatore viene confinato entro apposito armadio,
dotato di idonee feritoie.
I trasformatori di maggior potenza vengono invece raffreddati mediante immersione completa
in un bagno d’olio minerale speciale, caratterizzato da una elevatissima resistività. Olio e
trasformatore vengono contenuti in un cassone la cui superficie laterale presenta
caratteristiche specifiche dipendenti dalla quantità di calore che occorre scambiare con
l’ambiente.
Nei casi più semplici il cassone presenta parti del tutto lisce; altrimenti si fa ricorso a pareti
corrugate da nervature, tanto più profonde quanto più energica si richiede che sia l’azione di
raffreddamento.
Nelle macchine più importanti l’olio viene raffreddato con un sistema a circolazione forzata
entro un sistema di fasci tuberi che offrono una elevata superficie di contatto con l’aria,
capace di assicurare il richiesto coefficiente di scambio termico (espresso in Watt/m2/°C).
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Le macchine destinate all’esterno vengono
protette sigillando completamente il cassone:
la piastra superiore, dotata di apposita
guarnizione, viene serrata al cassone con una
buona quantità di bulloni.
Allo scopo di consentire la normale dilatazione
dell’olio, la piastra di chiusura del cassone
riporta un serbatoio, detto conservatore d’olio,
che funge da vaso di espansione dell’olio ed è
dotato anche di un indicatore di livello
In figura trasformatore di media tensione con isolamento in olio costruito secondo le norme CEI 144 IEC 76.
Sono disponibili con potenza da 50 kVA a 3000 kVA, in classe di isolamento da 12 a 24 kV.
Esecuzione con serbatoio, costruzione su cassoni a onde, completi di accessori standard e commutatore
a vuoto (elemento per poter commutare una tensione primaria in + o – di circa il 10%) .
Non sarà superfluo segnalare che le spesso grandi quantità di olio nei cassoni presentano un
elevato rischio di incendio: i locali che ospitano trasformatori in olio sono, perciò, soggetti a
prescrizioni specifiche intese a limitare il rischio incendio e a circoscrivere l’impatto ambientale
in caso di perdita d’olio.
Le caratteristiche di elevata resistività dello speciale olio per trasformatori possono essere
anche severamente degradate dalla presenza di pur piccole quantità di acqua: è per questo
che entro il cassone viene sempre posta una sufficiente quantità di sali igroscopici (capaci di
assorbire l’umidità), eventualmente rigenerabili.
5. IMPIEGHI DEL TRASFORMATORE
5.1 TRASFORMATORI DI POTENZA
La quasi assoluta totalità dei trasformatori di un certo rilievo è destinato a gestire la
trasmissione e la distribuzione della potenza elettrica, dalle centrali elettriche di produzione
fino al punto di consegna all’utente.
5.2
RENDIMENTO
Come per tutte le macchine, elettriche e non, anche per il trasformatore si può definire il
rendimento come il rapporto fra la potenza in uscita P u e la potenza in entrata P e :
La valutazione effettiva del rendimento rende palesi i pesanti limiti “operativi” della definizione
appena fornita.
Si supponga, infatti, di volerne effettuare la misura mediante l’impiego di due wattmetri, uno
per ognuna delle due porte (ingresso – uscita).
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I trasformatori, soprattutto quelli di potenza maggiore, presentano, tuttavia, rendimenti molto
prossimi al fatidico valore unitario (spesso non troppo lontano da 0,99):
La potenza assorbita in entrata dal trasformatore viene considerata quale somma delle
potenze perdute (nel rame degli avvolgimenti, P Cu , e nel ferro del nucleo, P Fe ) e della
potenza convenzionale V 2 I 2 cosϕ 2 trasferito ad un carico “convenzionale” assolutamente
generico applicato alla porta secondaria; si definisce, così, un rendimento convenzionale:
che può essere determinato dalla misura delle sole potenze perdute mediante apposite prove.
Il rendimento varia con la condizione di carico: in particolare è zero se si annulla la potenza
trasferita al carico.
5.3
PARALLELO DEI TRASFORMATORI
In molti casi il trasformatore eroga potenza a carichi fortemente variabili nel corso della
giornata.
Si pensi ad insediamento urbano che veda la compresenza di edifici abitativi e piccole
aziende: ad un assorbimento piuttosto rilevante di potenza durante il giorno, connesso alle
molteplici attività lavorative, fa riscontro un assorbimento molto più ridotto nelle ore serali e
notturne.
Nel periodo corrispondente al carico ridotto, il trasformatore sarà penalizzato da un
rendimento certamente lontano dal massimo: le perdite energetiche nel rame saranno ridotte
mentre quelle nel ferro, legate al livello di magnetizzazione e, quindi, alla tensione di
alimentazione, saranno costanti.
Per ripristinare un rendimento accettabile accorerebbe ridurre le perdite nel ferro in modo da
rispettare, anche a carico ridotto, l’uguaglianza fra l’energia perduta nel rame e quella perduta
nel ferro.
Tale condizione può, tuttavia, trovare un obiettivo impedimento in precisi limiti tecnologici.
È allora che occorre prendere in considerazione l’opportunità di affidare il servizio non più ad
un solo trasformatore, destinato, come si è visto, a rendimenti variabili nel corso della
giornata, ma al parallelo di due o più trasformatori, che concorrano a fornire la richiesta
potenza intervenendo ciascuno in relazione alle precise esigenze dell’utenza: un carico pari a
100 verrà suddiviso, ad esempio, fra 3 trasformatori, proporzionati, rispettivamente per 20, 30
e 50.
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Funzioneranno insieme solo nelle ore di punta: man mano che le attività vanno scemando si
spegneranno via i due più potenti fino a lasciare attivo il più piccolo a far fronte le richieste più
modeste del periodo notturno.
In tal modo tutti i tre trasformatori lavoreranno in condizioni prossime a quelle di massimo
rendimento: su un arco di tempo più o meno lungo, il vantaggio economico ottenuto varrà a
compensare i maggiori oneri derivanti da acquisto, installazione e manutenzione di tre distinte
unità.
L’utilizzazione di due o più trasformatori in parallelo offre l’ulteriore vantaggio di garantire
una migliore continuità di esercizio rispetto al servizio offerto da un unico trasformatore.
6. DATI DI TARGA DI UN TRASFORMATORE
Con l’esclusione delle macchine più piccole, tutti i trasformatori sono dotati di una targhetta
che ne riassume i dati caratteristici. Fra questi vanno citati:
• Nome del costruttore
• Anno di costruzione
• Potenza nominale, in VA o in kVA
• Tensioni nominali, primaria e secondaria in V. o in kV
• Correnti nominali, primaria e secondaria in A. o in kA
• Rapporto di trasformazione (in discesa)
(es: 10:1 o altri valori) // ( 230 V – 23 V) (400 V – 40 V) (20000 V – 2000) V
• Rapporto di trasformazione (in salita)
(es: 1:10 o altri valori) // ( 230 V – 2300 V) (4 V – 40 V) (200 V – 2000) V
• Frequenza in Hz (in Italia 50Hz)
Vale la pena di fare qualche precisazione.
Le tensioni nominali sono riferite al livello di isolamento garantito (con un assegnato
coefficiente di sicurezza) dai dielettrici utilizzati: il superamento di queste tensioni comporta il
rischio di guasto da perforazione dei dielettrici.
Le correnti nominali vengono, invece, riferite (con un assegnato coefficiente di sicurezza)
agli effetti termici che queste determinano nei conduttori con un innalzamento della
temperatura che, come si è detto prima, va contenuto per non compromettere l’integrità dei
dielettrici organici.
La potenza nominale risulta dal prodotto fra tensione e corrente nominali; è facile convincersi
che, in mancanza di qualunque indicazione sul carico specifico, non può che essere fornita in
VA o kVA.
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