Disturbi della condotta alimentare: anoressia e bulimia

Disordini alimentari:
un inquadramento medico-psicologico
a cura del Dr. Marco Longo (ABA Roma)
Inizieremo dalle descrizioni nosografiche, epidemiologiche e statistiche di questi disturbi, facendo
particolare riferimento ai dati che sono riportati nel DSM-IV (il manuale di inquadramento
statistico-descrittivo a cui si fa maggiore riferimento in campo psichiatrico).
Esporremo poi qui di seguito le principali ipotesi etiopatogenetiche, trattando prevalentemente della
ricerca teorica e clinica in campo sociopsicologico e psicodinamico.
DSM IV (Anorexia Nervosa/Bulimia Nervosa)
Tabella riassuntiva dei criteri diagnostici.
Anoressia nervosa:
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A. Rifiuto di mantenere il proprio peso corporeo al di sopra o equivalente al peso minimo
ottimale in relazione all'età e all'altezza (indicativamente: perdita di peso tale che il peso
corporeo risulta inferiore all'85% di quello atteso; oppure, in età evolutiva, non si verifica
l'incremento di peso normalmente previsto).
B. Intenso timore di ingrassare o di acquistare peso, anche in condizioni di peso inferiore
alla norma.
C. Disturbo nella percezione del peso e dell'immagine corporea, eccessiva influenza della
forma e del peso corporeo sull'auto valutazione (autostima), diniego della gravità della
perdita di peso.
D. Nelle pazienti di sesso femminile in età mestruale, amenorrea (assenza di almeno tre cicli
mestruali consecutivi; presenza del ciclo solo in conseguenza di somministrazione di
ormoni, ad esempio estrogeni).
Sottotipi:
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1) Restricting Type: il controllo del peso viene realizzato principalmente attraverso diete,
digiuno e/o iperattività. Nel corso dell'episodio corrente di Anoressia Nervosa, non si
verificano regolari abbuffate compulsive e/o purgazioni (vomito autoindotto, abuso di
lassativi, diuretici, ecc.).
2) Binge-Eating/Purging Type: nel corso dell'episodio corrente di Anoressia Nervosa, la
persona si impegna regolarmente in abbuffate compulsive e/o purgazioni (vomito
autoindotto, abuso di lassativi, diuretici, emetici). Rientrano in questo sottotipo anche coloro
che non praticano abbuffate compulsive ma si purgano e/o vomitano dopo l'assunzione di
piccole quantità di cibo.
Bulimia Nervosa:
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A. Episodi ricorrenti di abbuffate compulsive:
- A1. mangiare, in un periodo di tempo delimitato (ad esempio: 2 ore) una quantità di cibo
decisamente superiore a quello che si potrebbe mangiare in circostanze simili nello stesso
periodo di tempo;
- A2. sensazione di perdita di controllo (si sente di non poter smettere di mangiare o
controllare la quantità di cibo che si mangia)
B. Ricorrenti comportamenti di compensazione al fine di prevenire l'aumento di peso, come
digiuno, diete, vomito autoindotto, iperattività, farmaci.
C. Sia le abbuffate che i comportamenti compensatori ricorrono in media almeno due volte a
settimana per almeno 3 mesi consecutivi.
D. L'autovalutazione è indebitamente influenzata dalla forma e dal peso corporeo.
E. Il sintomo non si manifesta esclusivamente nel corso di un'episodio di Anoressia
Nervosa.
Sottotipi:
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1) Purging Type: nel corso dell'episodio corrente la persona ricorre regolarmente alla
purgazione (uso di lassatavi, diuretici, vomito, ecc.).
2) Nonpurging Type: nel corso dell'episodio corrente di Bulimia Nervosa la persona ricorre
regolarmente ad altri comportamenti compensatori (digiuno, iperattività) ma non alla
purgazione.
Disordini alimentari non altrimenti specificati:
In questa categoria diagnostica rientrano quei disturbi alimentari che non soddisfano (o soddisfano
parzialmente) i criteri per una diagnosi di Anoressia o Bulimia.
Esempi:
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1. Per le donne: sono soddisfatti tutti i criteri per una diagnosi di Anoressia Nervosa,
eccettuata l'amenorrea.
2. Malgrado una perdita significativa di peso, il peso attuale rientra nella norma; la
sintomatologia soddisfa per il resto i criteri per una diagnosi di Anoressia Nervosa.
3. La sintomatologia soddisfa i criteri per una diagnosi di Bulimia Nervosa, ma gli episodi
ricorrono meno di due volte a settimana e per un periodo di tempo inferiore ai tre mesi.
4. In presenza di un peso nella norma, i comportamenti compensatori ricorrono dopo
l'assunzione di piccole quantità di cibo (es.: vomito autoindotto dopo aver mangiato anche
solo due biscotti).
5. Masticare e sputare, senza ingoiare, grandi quantità di cibo.
6. Iperalimentazione compulsiva; episodi ricorrenti di abbuffate in assenza di
comportamenti compensatori caratteristici della Bulimia Nervosa.
Epidemiologia
La frequenza epidemiologica dell'anoressia nella popolazione caucasica e nordamericana, anche se
molto elevata, viene oggi considerata abbastanza stabile, con una incidenza dello 0,5-1%; la bulimia
viene invece ritenuta in costante aumento, attestandosi attualmente intorno al 2-3%. Negli altri
raggruppamenti etnici si rileva al contrario una bassa incidenza di queste affezioni, e in molti casi
addirittura la loro assenza.
Da notare che almeno il 65% delle persone diagnosticate come anoressiche in base ai criteri del
DSM-IV sono in realtà anche bulimiche, essendo in effetti classificate come anoressiche del
sottogruppo bulimico.
Gli individui colpiti sono infatti prevalentemente bianchi o persone appartenenti a gruppi etnici
diversi che tuttavia condividono, per motivi geografici o socio-politici, la cultura alimentare ed
estetica dei bianchi (es: neri d'america, giapponesi, ecc.).
L'esordio è in entrambe le forme tra i 14 e i 18 anni, con una netta prevalenza nel sesso femminile,
attestata attualmente intorno al 90%, anche se sono in forte aumento i casi maschili.
I dati del follow-up indicano poi che col tempo e col crescere dell'età l'anoressia può trasformarsi
spesso in franca bulimia.
La mortalità è in entrambe le forme superiore al 3%, riconoscendo complessivamente tra le
principali cause di morte:
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- emaciazione e defedamento da inedia (forme restrittive)
- arresto cardiaco da alterazione dell'equilibrio elettrolitico (vomito)
- conseguenze patologiche di diete troppo rapide e/o squilibrate
- suicidio, per la concomitante depressione, dovuta alla difficoltà ad affrontare i conflitti con
l'ambiente ed a dare un senso alla propria vita.
La Posizione Anoressico-bulimica
Tuttavia, a parte la comprensibile esigenza classificatoria del DSM-IV, in accordo con l'ipotesi del
continuum, sempre più autori preferiscono oggi parlare di Sindrome Anoressico-bulimica, o meglio,
secondo un più specifico punto di vista psicoanalitico, di Posizione Anoressico-bulimica; ciò
corrisponde ad un inquadramento dei disturbi alimentari in una categoria nosografica globale,
sottesa da una comune posizione psicodinamica, anche se con forme di espressione individuale che
portano a manifestazioni cognitivo-comportamentali diverse, che si è venuta a creare all'interno
della nostra cultura di matrice occidentale, .
Condividiamo questo punto di vista, e questo perché:
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- molti pazienti presentano una commistione delle due forme
- non pochi di loro passano da una forma all'altra
- in entrambe le forme si rileva un identico terrore di ingrassare
- in entrambe l'apparenza estetica è determinante per lo stato psicologico
Tra le differenze, laddove i due disturbi non coesistono, è importante invece rilevare come:
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il disturbo di tipo anoressico si presenti nella maggior parte dei casi come egosintonico,
accettato ed anche esibito, un atteggiamento di fanatica ricerca di una magrezza estrema di
cui vantarsi;
la bulimia tenda invece ad essere avvertita come un disturbo egodistonico, un impulso
rifiutato ed irrefrenabile che ha per conseguenza un comportamento da nascondere con forte
vergogna.
Nella letteratura scientifica, circa l'80% dei lavori riguarda l'anoressia; e ciò a dispetto dei dati
epidemiologici: forse perché l'anoressia ci spaventa di più per le più rapide ed evidenti conseguenze
sul piano psico-fisico e socio-familiare, ma forse anche in quanto situazione patologica non solo
decisamente incontrollabile, ma anche fin troppo strettamente correlata alla nostra attuale cultura
occidentale, consumistica ed edonistica, che non smette mai di martellarci con l'ideale di una
magrezza socialmente vincente.
Fattori socioculturali dell'Anoressia-bulimia
Richard Gordon (1990) suggerisce che ogni tentativo di comprensione dell'anoressia-bulimia si
debba collocare in una prospettiva culturale, considerandola come uno di quei disturbi che
Devereux definisce 'etnici', cioè caratterizzati da un modello cognitivo-comportamentale deviante
che, per le sue dinamiche, viene ad essere un'espressione delle contraddizioni cruciali e dell'ansia di
fondo di una particolare parte della società umana in un particolare momento storico.
Scrive Devereux (1970): “ Definisco come psicosi o nevrosi etnica ogni disordine psichico che
presenti queste caratteristiche:
a) il conflitto sotteso alla nevrosi o alla psicosi colpisce in egual misura la maggior parte degli
individui [di una certa società e cultura]: il conflitto del nevrotico o psicotico è semplicemente più
violento di quello degli altri [considerati 'normali']
b) i sintomi caratteristici della nevrosi o psicosi etnica non sono improvvisati. Non sono inventati
dal malato: gli sono forniti 'prêt à porter' dal suo ambiente culturale e rappresentano [...] dei 'modelli
di de-comportamento’.
È come se la società dicesse al nevrotico o allo psicotico potenziale: 'Non essere pazzo [... ovvero
sii 'normale', cioè conforme agli schemi generalmente accettati dalla società...], ma, se devi o sei
costretto ad esserlo, manifesta la tua pazzia [... intesa come posizione alienata basata su presupposti
erroneamente trasgressivi ...] in questo certo modo, e non in un altro [... ancora una volta in maniera
'conformista'... >>.
Anche per Bion (1961) la possibile espressione del malessere di un individuo viene sempre
coattivamente condizionata dalle dinamiche e dalla cultura del gruppo di cui fa parte: è il gruppo
che definisce le modalità sintomatiche con cui si esprimerà il dis-agio (in inglese: dis-ease).
Fattori psicodinamici dell'Anoressia-bulimia
A) il comportamento anoressico-bulimico è un sintomo ambivalente e multideterminato,
interpretabile come:
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1) un tentativo disperato di ottenere ammirazione e conferma, di sentirsi unici e speciali, non
importa se poi finisce per essere un modo per ricevere danno o punizione (ipotesi che pone
un forte accento sulle caratteristiche culturali alienanti e massificanti della nostra società
occidentale)
2) un tentativo di attacco alle eccessive aspettative genitoriali (se i genitori tendono a
prendersi cura del bambino in funzione dei propri bisogni, piuttosto che di quelli del figlio,
il bambino sviluppa allora nella prima infanzia un falso Sé, per far piacere ai genitori, ma
cova le matrici di futuri comportamenti testardi e negativisti, che in adolescenza userà per
aggredirli)
3) un tentativo narcisistico-onnipotente di sviluppare, attraverso la disciplina del corpo e il
controllo del cibo, un senso di autonomia e di individualità (un 'falso movimento' messo in
atto per tentare di uscire da una dimensione psicologica ed esistenziale di dipendenza ed
impotenza);
B) la preoccupazione riguardo al cibo e al peso è dunque una manifestazione relativamente tarda,
emblematica di un disturbo più fondamentale del concetto di Sé. La maggior parte dei pazienti con
anoressia e/o bulimia nervosa riferiscono di aver percepito 'da sempre' dentro di sé la convinzione di
essere completamente inadeguati ed impotenti, sentendosi incapaci di sostenere il giudizio degli
altri.
C) questi fattori sono anche accompagnati da certi tratti cognitivi caratteristici, che comprendono:
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1) un'errata percezione della propria immagine corporea
2) un pensiero infantile di tipo tutto-o-nulla, perlopiù concentrato solo sul presente
3) pensieri e rituali ossessivo-compulsivi
4) una percezione della realtà sociale ed un pensiero di tipo magico-persecutorio (bisognopaura di essere 'visti')
D) Le abbuffate e l'uso di purganti non sono solitamente problemi impulsivi isolati. Generalmente
in questi pazienti coesistono molti altri comportamenti tendenzialmente o scopertamente impulsivi
o autodistruttivi, soprattutto nelle relazioni più intime e nella sessualità. Sempre più spesso si rileva
inoltre anche l'abuso di molteplici sostanze psicoattive.
Terapia nei disturbi della condotta alimentare
Relazione tenuta dal Prof. Walter Vandereycken in occasione del Convegno Aidap di Milano del
23 marzo 2002a cura del dott. Fulvio Susanna
L’approccio terapeutico ai disturbi della condotta alimentare considera:
1. Ospedalizzazione, trattamento in Day-Hospital e trattamento ambulatoriale
2. Qual'è l'obiettivo di peso corporeo da raggiungere
3. Utilità della terapia farmacologia
4. Ruolo della Psicoterapia
Trattamento ospedaliero
Oggi il trattamento ospedaliero si effettua sostanzialmente per affrontare problemi acuti e per
favorire l'uscita da un contesto familiare poco favorevole. Il problema è che non basta trattare
correttamente dal punto di vista medico la patologia acuta (ipopotassiemia, denutrizione,
disidratazione, calo di peso, psicosi acuta, comportamenti autolesionistici e suicidari), perché
ricoverare una paziente gravemente malata in una struttura ospedaliera poco orientata ai problemi
alimentari (Medicina generale o Psichiatria) può esporla ad un atteggiamento paternalistico e
talvolta superficiale nei confronti del disturbo dell'alimentazione. In questi casi sarebbe importante
che nell'ospedale fosse creata una "unità di crisi" (composta da medico, dietologo, psicologo) in
grado di affrontare il disturbo alimentare nel suo complesso.
Nel caso in cui il ricovero sia giustificato dalla necessità di allontanare la paziente da un contesto
familiare o sociale "tossico" (per aiutarla a cambiare aria) o nel caso di persone che si trovano in
completo isolamento sociale (come capita spesso alle pazienti bulimiche), bisogna chiedersi se
sradicare completamente la persona sia un metodo vantaggioso o presenti qualche svantaggio, in
quanto pone la persona in un ambiente atipico, non noto. Ma potremmo anche chiederci se il
ricovero di queste pazienti è giustificato o se ci potrebbero essere altre opportunità meno
traumatiche come quella di creare dei centri di accoglienza (come accade per gli anziani),
consultare uno psicologo, al fine di orientare queste pazienti ad un'alternativa al ricovero
ospedaliero.
Il trattamento giornaliero (tipo day-hospital) è indicato ed utilizzato in pazienti con condizioni
cliniche complesse, in presenza di co-morbidità (uso di stupefacenti, alcol, droghe, fenomeni di
autolesionismo) e cronicità della malattia (che duri da almeno dieci anni) oltre che dopo il
fallimento della terapia ambulatoriale.
Nella scelta del trattamento, comunque, bisogna ricordare che non esiste una scaletta
universalmente valida che stabilisca di iniziare dal trattamento più semplice e meno costoso per
passare, in un percorso a tappe, al trattamento più caro e problematico in caso di insuccesso. È
estremamente importante porre una corretta definizione clinica della gravità o meno della situazione
per scegliere da subito il trattamento più opportuno, senza considerare il ricovero in struttura
protetta come estrema ratio quando sono falliti tutti gli altri trattamenti. Esistono, infatti, anche delle
controindicazioni alla terapia ambulatoriale come la presenza di rischi medici acuti, dipendenza da
droghe o farmaci, comportamenti suicidari, psicosi acute, ambiente familiare stressante, ripetuti
fallimenti della terapia ambulatoriale.
Ma ritornando alla domanda iniziale, esiste evidenza scientifica che giustifichi il ricorso all'uno o
all'altro trattamento? Finora nessuno studio clinico controllato è stato pubblicato e i motivi non
mancano: innanzitutto chi potrebbe rischiare di non ricoverare una paziente anoressica gravemente
denutrita solo perché la randomizzazione la pone tra le pazienti da trattare ambulatoriamente? E che
dire del possibile atteggiamento dei genitori o familiari di fronte all'ipotesi di inserire la figlia in un
trial clinico randomizzato in cui il successo è da verificare? L'anoressia nervosa è una malattia
grave e i parenti (ed anche i medici) sono sempre giustamente preoccupati. C'è poi il problema della
diffusione delle strutture ben attrezzate in grado di curare con competenza le pazienti: nelle zone
dove mancano queste strutture il ricorso al trattamento ambulatoriale potrebbe essere "obbligato",
come del resto dove le strutture ospedaliere abbondano ci potrebbe essere il fenomeno inverso
dell'eccesso di ricovero per occupare tutti i posti letto.
L'analisi costi/benefici ha senso nella scelta del trattamento? Dato per scontato che il trattamento
ambulatoriale è il meno caro sia per i costi diretti che per quelli indiretti, in sanità la prima (e unica)
valutazione da fare è se una determinata terapia sia efficace in termini di guarigione: solo quando
due diverse terapie avranno gli stessi risultati clinici potremo scegliere la meno costosa.
Recupero del peso
Le domande a questo proposito sono: a quale peso dobbiamo riportare la paziente? In quanto tempo
e che tipo di controllo esercitare? Non c'è uniformità di vedute su questi punti, anche se la maggior
parte dei centri si pongono come obiettivo l'aumento di 1-1,5 kg la settimana (Villa Garda) ed in
alcuni centri degli Stati Uniti si giunga a 2 kg la settimana (pare per motivi legati ai rimborsi delle
assicurazioni). In realtà dovremmo interrogarci sulla pericolosità di esagerare nell'incremento del
peso, con pazienti che associano l'aumento di pochi etti ad una perdita di controllo e facilmente si
fanno prendere dal panico. Inoltre l'obiettivo principale deve includere una riabilitazione
nutrizionale a tutto tondo che comprenda, oltre all'incremento ponderale, una normalizzazione dei
comportamenti alimentari e il raggiungimento di una normale percezione delle sensazioni di
fame/sazietà. Anche sul peso di riferimento ci sono opinioni diverse: si può menzionare il classico
obiettivo del raggiungimento di un BMI >=19; il raggiungimento del 90% del peso ideale sostenuto
dall'Associazione Psichiatri Americani (l'espressione peso ideale non è, però, un concetto
scientifico, ma legato alle tabelle delle assicurazioni vita nord-Americane e non applicabile
universalmente); altri puntano ad una percentuale di grasso corporeo del 20-25% ritenendo che a
questi livelli la situazione ormonale si normalizzi ripristinandosi il normale ciclo mestruale; altri
ancora indicano come obiettivo il peso al quale si normalizzano le mestruazioni.
Per finire, il controllo deve essere flessibile o stretto, esterno o interno? Sappiamo che il controllo è
fondamentale nel successo della terapia dell'anoressia nervosa, l'opinione di Vandereycken è che
comportamenti estremamente fiscali da parte di parenti e staff medico siano pericolosi: in tal senso
la paziente deve progressivamente imparare ad assumere una sua personale forma di controllo per
evitare che si sviluppi una guerra senza vincitori, ma solo vinti.
Utilità della terapia con farmaci
In questo caso la ricerca clinica ci aiuta di più. Trial clinici dimostrano che i farmaci non
influenzano l'aumento di peso corporeo (neanche gli antidepressivi che possono avere come effetto
un aumento del senso di fame), possono anzi essere utili dopo che è stato ripristinato il peso, per
mantenerlo, per evitare ricadute controllando i sintomi da depressione e quelli ossessivocompulsivi, gli aspetti di binge e purging. Ma questo solo nel breve periodo, nel lungo periodo
sembra elevata la frequenza di drop-out (tipico delle bulimiche) e la maggior parte degli studi si
fermano a 6-12 mesi.
Attenzione nell'uso dei farmaci: non sempre l'assorbimento è certo (in presenza di vomito, abuso
lassativi e diuretici); c'è rischio di overdose (soprattutto nelle persone con bulimia nervosa che
hanno anche atteggiamenti suicidari); certi farmaci possono produrre stipsi (e questo può creare
ansia nelle pazienti che subito ricorrono a lassativi); si può verificare sovradosaggio (nelle persone
sottopeso affette da anoressia nervosa); ci può essere interazione con altri farmaci o droghe; la
complience non è mai certa (soprattutto per le persone con bulimia nervosa, ma anche in quelle con
anoressia nervosa se temono che il farmaco che noi somministriamo possa far loro perdere il
controllo e farle aumentare indiscriminatamente di peso). Inoltre come la paziente percepisce
l'effetto del farmaco? Gli attribuisce un effetto fantastico di guarigione, miracolistico? Se tutto il
risultato del trattamento si scarica sull'azione del farmaco, questo alla fine ridurrà l'autoefficacia,
l'autostima con la necessità, poi, di ricostruire questi importanti elementi del processo terapeutico di
guarigione .
Psicoterapia
Le ricerche cliniche evidenziano che la terapia individuale è più utile della terapia familiare nei
pazienti con lunga durata di malattia. La combinazione di psicoterapia e farmacoterapia ha un
successo superiore alla monoterapia.
La terapia cognitivo comportamentale (CBT) è quella più studiata nella bulimia nervosa grazie al
contributo di Fairburn, rispetto ad altre terapie sembra avere un'efficacia superiore a livello dei
sintomi soprattutto nelle prime fasi, anche se a un anno la terapia interpersonale raggiungerebbe gli
stessi risultati. La differenza sta nel fatto che, nella CBT, il recupero del peso corporeo e di uno stile
alimentare sano rappresentano il cuore del programma terapeutico.
Molti clinici sono convinti che il recupero di un adeguato peso sia pre-requisito essenziale per
l'inizio di una terapia psicologica, psicanalitica anche se non esiste alcuna evidenza scientifica.
Risulta evidente l'importanza di focalizzarsi su aspetti che riguardano le abitudini alimentari, il
raggiungimento di un adeguato peso corporeo, l'immagine corporea, anche se il superamento di
questi problemi non è conditio sine qua non per iniziare la terapia psicologica.