LA RIABILITAZIONE DEL SOGGETTO MIELOLESO Sergio Lotta * 41 CARATTERISTICHE DELLA LESIONE SPINALE La lesione midollare consegue a traumi spinali che comportano alterazioni di moto, sensibilità, funzioni vegetative e delle possibilità relazionali in rapporto al livello di sofferenza midollare. Una completa e ottimale gestione della lesione midollare richiede un approccio coordina- to ed interdisciplinare. Il gruppo che opera deve saper organizzarsi in funzione degli obiettivi fissati, lavora all’interno di un programma che coinvolge il paziente e i suoi familiari e con essi pianifica le soluzioni per un recupero confacente allo specifico patologico ed alle aspettative. EPIDEMIOLOGIA La lesione midollare colpisce con maggior frequenza giovani adulti, prevale nel sesso maschile, la localizzazione cervicale è di più frequente riscontro rispetto alle dorso lombari, consegue primariamente a eventi traumatici. L’incidenza varia in rapporto ai Paesi, negli U.S.A. è di 55 nuovi casi all’anno/1 milione di abitanti, 35/1 milione all’anno di questi sopravvivono al punto da poter essere ospedalizzati, la prevalenza dei soggetti mielolesi viventi è stimata tra 500 e 900/1 milione di abitanti(1), l’età media è 29,7anni, la mediana 25 e la moda 19 anni, i maschi rappresentano l’80% delle mielolesioni, 80% dei mielolesi ha età inferiore a 40 anni, l’estate e il fine settimana sono le epoche di maggiore insorgenza, 75% sono di origine traumatica, 25% di origine non traumatica. In altri Paesi la incidenza per milione di abitanti risulta la seguente: Australia 15,7 Francia 12,7 Germania 13,0 Giappone 27,1 Norvegia 16,5 Svizzera 13,4 * Con la collaborazione di: Bocchi Romeo, Cammi Elisa, Ilari Loredana, Nicolotti Domenico, Nora Monica, Patroni Paola, Pollini Angela, Saitta Angelo, Tramelli Erina, Troglia M. Cristina, Tuzzi Antonella, Verderosa Francesco. Neuroriabilitazione 2318 EZIOLOGIA Le mielolesioni possono essere suddivise in due grandi gruppi eziologici: mielolesioni traumatiche e non traumatiche; le prime conseguono ad una acuta variazione delle dimensioni del canale midollare a causa di una forza estrinseca, le seconde esprimono il risultato di una patologia vascolare, tumorale, displasica, flogistica e iatrogena che con varia sequenza temporale colpisce il contenuto e/o il contenente rachideo. Le cause traumatiche più frequenti sono riportate in Tabella 41.1 e si riferiscono a recenti statistiche italiane (GISEM). La elevata incidenza di traumi da traffico (53,8%), correlata alla età media di maggiore insorgenza, adolescenziale giovanile, induce a riflettere su improcrastinabili azioni di prevenzione. Tab. 41.1 - Cause di Lesione midollare (GISEM 2001). MECCANISMO DEL DANNO MIDOLLARE Un fattore predisponente è la stenosi del canale nel distretto su cui si esprime il trauma: osteofitosi, protrusioni discali, ipertrofia dei legamenti gialli, congenite riduzioni dei diametri del canale, (Hancock,Adams, Logue) specie nei segmenti midollari cervicale e lombare ove è fisiologico il rigonfiamento midollare. Movimenti nei tre piani dello spazio conducono a una variazione fisiologica dei diametri senza che il midollo subisca danni; una for- 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso za esterna che sollecita le strutture capsulari, legamentose, muscolari e ossee di protezione del canale rachideo oltre le loro intrinseche proprietà di resistenza, può determinare la lesione del midollo spinale sia con meccanismo diretto che indiretto. Il 10-14% delle fratture e dislocazioni vertebrali comporta mielolesioni(2) se a sede cervicale nel 40% dei casi, se a sede toracica nel 10%, se nella giunzione toraco-lombare nel 4% dei casi. Le fratture di C1,C2 e C3 solo nel 5% dei casi sono associate a mielolesione perché il diametro del canale è notevolmente superiore a quello del midollo, sono frequentemente fatali perché superiori al livello di origine della innervazione del diaframma(3,4). Da C3 a C7 c’è una correlazione fra il meccanismo del trauma, il tipo di frattura e la probabilità di deficit neurologici. Con un trauma da pura flessione o estensione usualmente non si realizza deficit neurologico(5) perché l’apparato osteo-legamentoso è in grado di proteggere dissipando l’energia traumatizzante: il risultato è una frattura da compressione della porzione anteriore del corpo vertebrale nei traumi da pura flessione, mentre in quelli da pura estensione si produce la rottura del legamento longitudinale anteriore con possibilità di frattura da avulsione della porzione antero superiore del corpo vertebrale e relativo risparmio del complesso legamentoso posteriore (6). La rotazione,combinata alla flessione, è più destruente sulla colonna poiché la componente rotazionale rompe il complesso legamentoso posteriore o produce frattura degli elementi posteriori vertebrali: la componente flessoria, così senza freni, causa una dislocazione anteriore di una o di entrambe le faccette articolari, o una “tear drop” frattura(7), occupando con materiale osseo il canale midollare con conseguente danno midollare, mentre fratture da compressione dovute a un carico assiale (esempio nei tuffi) realizzano il medesimo danno proiettando nell’interno del canale frammenti ossei dovuti allo scoppio del corpo. La sindrome centromidollare (Schneider)(8), è mediata da meccanismo vascolare innescato dal trauma e conduce a una necrosi centromi- 2319 dollare con relativo risparmio dei territori midollari più periferici: per la topografia del tratto corticospinale che dispone più superficialmente le fibre di pertinenza degli arti inferiori e per la maggiore vulnerabilità a insulti ipossici della sostanza grigia centromidollare, si realizza un maggior deficit motorio agli arti superiori rispetto agli inferiori. Le fratture lussazioni del tratto toracolombare sono simili per modalità, stabilità e probabilità di danno midollare a quelle cervicali,tuttavia alcuni meccanismi sono peculiari di questo segmento. La frattura di Chance è conseguenza di una forza distruttiva che causa lesioni estese dal corpo vertebrale ai peduncoli ed agli elementi dell’arco posteriore; è tipica di traumi automobilistici particolarmente violenti allorché è indossata una singola cintura di sicurezza in”diagonale”: si realizza attraverso un meccanismo di flessione rotazione della porzione superiore del tronco. La coesistenza di forze con componente da taglio o di traslazione conduce a una rottura del complesso legamentoso spostando una vertebra sull’altra (9). Le lesioni meccaniche del rachide non sempre comportano una interruzione del midollo spinale che apparentemente mantiene la sua continuità; nella zona di impatto si realizzano importanti fenomeni vasomotori cui possono conseguire zone di ischemia e necrosi midollare più o meno estese. Neurotrasmettitori liberati in abnorme quantità in seguito al trauma all’interno del midollo contribuiscono a mantenere lo stato di sofferenza midollare con meccanismo vasogenico nelle ore immediatamente successive al trauma. Una lesione spinale può essere considerata come espressione di una patologia degenerativa del Sistema Nervoso Centrale scatenata dal trauma: in questa ottica la lesione midollare consegue effetti vascolari (9a, 9b, 9c), a effetti citotossici (9d, 9e, 9f, 9g), ad alterate risposte immunitarie (9h, 9i, 9l), con uno scatenarsi di eventi progressivamente ingravescenti nell’arco di tempo compreso da pochi minuti a numerosi giorni dopo il trauma (9m). Queste ipotesi aprono prospettive nella cura in fase acuta delle lesioni spinali (10). Neuroriabilitazione 2320 A B GRADO DELLA FORZA MUSCOLARE 0 paralisi totale SCALA MENOMAZIONE ASIA ⵧ A = Completa (nessuna funzione motoria o sensitiva è conservata nei segmenti sacrali S4-S5). 1 contrazione palpabile o visibile 2 movimento attivo, completo ROM senza gravità 3 movimento attivo, completo ROM contro gravità 4 movimento attivo, ROM completo contro gravità e moderata resistenza 5* muscolo in grado di esercitare una forza controresistenza considerata normale dall’esaminatore NV non valutabile. Paziente non in grado di effettuare uno sforzo affidabile o non testabile per vari fattori come immobilizzazione, dolore o retrazioni ⵧ B = Incompleta (è conservata la funzione sensitiva ma non quella motoria al di sotto del livello neurologico e si estende ai segmenti sacrali S4-S5). ⵧ C = Incompleta (la funzione motoria è conservata al di sotto del livello neurologico e più della metà dei muscoli chiave al di sotto della lesione hanno un grado di forza inferiore a 3). ⵧ D = Incompleta (la funzione motoria è conservata al di sotto del livello neurologico e almeno la metà dei muscoli chiave al di sotto della lesione hanno un grado di forza superiore od uguale a 3). ⵧ E = Normale (le funzioni motorie e sensitive sono normali). SINDROMI CLINICHE (OPZIONALI) ⵧ ⵧ ⵧ ⵧ ⵧ Centro Midollare Brown-Sequard Midollare Anteriore Cono Midollare Cauda Equina FASI DELLA CLASSIFICAZIONE Il seguente ordine è raccomandato nel determinare la classificazione neurologica di pazienti con lesione midollare. 1. Determinate il livello per il lato destro e sinistro separatamente. 2. Determinate il livello motorio per il lato destro e sinistro separatamente. Nota: nelle regioni sprovviste di un miotoma da testare, il livello motorio coincide con il livello sensitivo corrispondente. 3. Determinare il singolo livello neurologico. Questo corrisponde al segmento più caudale dove sia la funzione motoria che sensitiva è normalmente conservata da entrambi i lati ed è la più rostrale rispetto ai livelli sensitivi e motori determinati nelle fasi 1 e 2. 4. Determinate se il danno è completo o incompleto (funzione conservata nei segmenti sacrali). Se contrazione anale volontaria = No e punteggio sensitivo completo S4S5 = 0 e qualsiasi sensazione anale = No, allora il danno è COMPLETO. Altrimenti il danno è incompleto. 5. Determinare il grado della ASIA IMPAIRMENT SCALE: La lesione è completa? Se SI, AIS = A Regitrate la ZPP (Z Zona di Parziale Conservazione) NO (Per la ZPP registrate il dermatoma o miotoma più caudale con qualche funzione preservata sia a destra che a sinistra-punteggio non pari a zero) La lesione motoria è incompleta? Se NO, AIS = B SI (Si = contrazione anale volontaria O funzione motoria oltre tre livelli sotto il livello motorio da un lato) ↓ ↓ Sono almento la metà dei muscoli chiave al di sotto del livello neurologico (singolo) valutati con punteggi pari o superiore a 3? NO SI ↓ ↓ AIS=C AIS=D Se la funzione sensitivo-motoria è normalmente conservata in tutti i segmenti, AIS = E AIS = E viene utilizzata nelle valutazioni in follow-up quando un individuo con lesione midollare documentata abbia recuperato una funzione normale. Se, nella valutazione iniziale non vengono rilevati deficit neurologici, l’individuo è normale e non si applica l’ASIA Impairment Scale. Fig. 41.1 - (A). Classificazione neurologica standard delle lesioni midollari secondo l’ASIA. (B) ASIA Impairment Scale e modalità da seguire nel processo di classificazione. 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso 2321 LA VALUTAZIONE DEL DEFICIT NEUROLOGICO CON I CRITERI ASIA Alla base della elaborazione degli standard di misura e di valutazione nella Riabilitazione, e ovviamente anche nello studio sulle mielolesioni, vi sono criteri di valutazione obiettiva, di riproducibilità dei risultati, di validazione(11,12,13). Fondamentale appare l’opera della American Spinal Injury Association, che ha definito, sin dal 1982(14), innanzitutto l’uso corretto ed il significato dei termini medici più importanti che sono usati nella descrizione clinica delle mielolesioni (tetraplegia, paraplegia, dermatomero, miomeri, livello neurologico, livello di conservazione della sensibilità, livello motorio, livello scheletrico o vertebrale, lesione completa, lesione incompleta, zone di parziale conservazione (ZPP), sindrome clinica centromidollare, sindrome di Brown-Sequard, sindrome spinale anteriore, sindrome del cono midollare, sindrome della cauda equina.)(14, 15, 16, 17). Attualmente la ASIA Classification rappresenta il fondamentale codice di regole e di terminologia al quale si rifanno tutti coloro che, medici, ricercatori fisioterapisti, hanno in cura pazienti mielolesi. La classificazione A.S.I.A. spiega chiaramente come il livello neurologico di una lesione mielica venga identificato dal più caudale segmento del midollo spinale che presenti integre le funzioni sensitive e motorie da entrambi i lati del corpo Per definire con la maggiore precisione possibile questi livelli la classificazione A.S.I.A. (Fig. 41.1A) ha identificato una: – serie di punti chiave sensitivi riferentisi a 28 dermatomeri per ogni lato del corpo – serie di muscoli chiave riferentisi a 10 differenti miomeri per ogni lato del corpo. Un attento esame neurologico della sensibilità e della forza dei muscoli nei vari punti chiave permette di definire: a) il livello neurologico motorio e sensitivo. b) un punteggio sensitivo finale (per la sensibilità tattile il Light Touch Score, per la dolorifica il Pin Prick Score) utilizzando una scala a punti da 0 (assenza di sensibilità) a 2 (normale sensibilità), assegnando un punteggio ad ogni punto sensitivo chiave testato e procedendo alla somma finale c) un punteggio motorio finale (Motor Score) utilizzando la conosciuta scala per la valutazione della forza muscolare, con punti da 0 a 5, assegnando ad ogni muscolo chiave il rispettivo punteggio e procedendo alla somma finale. I punteggi ed i livelli definiti secondo i criteri della A.S.I.A. Classification danno importanti informazioni sulla gravità della menomazione (impairment) come del resto fa la ASIA IMPAIRMENT SCALE (Frankel) (Fig. 41.1B )(14,18). PROCEDURE CHIRURGICHE Il trattamento chirurgico in caso di mielolesione acuta è necessario se il paziente presenta un deterioramento neurologico in atto, una instabilità vertebrale o in caso di ferita esposta(19,20). La stabilità della colonna vertebrale è legata ai seguenti elementi(20,21): – legamento interspinoso – muro posteriore (contorni somatici posteriori del disco e del legamento longitudinale posteriore) – segmento medio (peduncoli, masse articolari, legamenti) – e ai due sistemi indicati da Louis: – sistema orizzontale, costituito da 3 ponti ossei (i 2 peduncoli e le 2 lamine) 2322 – sistema verticale, costituito da 3 colonne osteo-legamentose, 1 anteriore (corpi vertebrali, dischi, legamenti longitudinali anteriore e posteriore), e 2 posteriori (apofisi articolari, capsule, legamenti interarticolari). Louis ha fornito un indice di instabilità relativo a questi sistemi(22): – 1 per le soluzioni di continuo complete di una delle tre colonne verticali; – 0,5 per le soluzioni di continuo di uno dei tre ponti ossei orizzontali e per le soluzioni di continuo incomplete di una delle tre colonne verticali; – 0,25 per le lesioni delle apofisi spinose e trasverse La somma degli elementi lesionati fornisce l’indice di instabilità. Si considera instabile una colonna con indice uguale o superiore a 2. Gli obbiettivi della chirurgia comprendono: stabilizzazione vertebrale, allineamento vertebrale, decompressione midollare. La stabilizzazione può essere ottenuta tramite innesti ossei autologhi o mezzi di sintesi. Lo strumentario stabilizzante deve avere le seguenti caratteristiche (19,20) – minimo ingombro – massima stabilità – abbandono di sistemi di contenzione esterna (collari, busti gessati) – fusione (blocco) del minor numero possibile di unità funzionali del rachide Deve inoltre consentire una precoce mobilizzazione e verticalizzazione del paziente. A livello cervicale il trattamento chirurgico è standardizzato(19,20): – approccio anteriore con fusione somatica tramite innesto osseo autologo associato o meno a mezzi di sintesi – approccio posteriore in caso di fusione (interlocking, uncinamento) delle faccette posteriori – approccio combinato, con stabilizzazione anteriore e posteriore, in caso sia necessaria una decompressione posteriore. Neuroriabilitazione In caso di fratture/lussazioni toraciche e lombari si ricorre a(19): – approccio posteriore con decompressione del canale vertebrale e stabilizzazione tramite mezzi di sintesi – approccio combinato con stabilizzazione anteriore e posteriore. Il ruolo predominante della chirurgia è il recupero della stabilità e dell’allineamento vertebrale, non il recupero della funzionalità midollare (19) A questo proposito importanti elementi emergono dallo studio NASCI II (23), un trial sull’utilizzo di metilprednisolone o naloxone in caso di mielolesione acuta entro la prime 24 ore. In ogni caso l’azione del farmaco si ha solo sui neuroni non precedentemente distrutti dal trauma(19). Stabilizzazione vertebrale esterna In aggiunta o in sostituzione alle metodiche chirurgiche di stabilizzazione del focolaio traumatico vertebrale vengono comunemente utilizzati strumenti e ortesi che permettono un approccio conservativo al problema della stabilità e della immobilizzazione del segmento vertebrale interessato dal trauma. Per il segmento cervicale, da molti decenni è conosciuto ed usato il sistema Halo costituito da un anello metallico fissato alla teca cranica attraverso viti e da una parte toracica in plastica collegata all’anello. Questo dispositivo ha consentito, per molto tempo e con buoni risultati, il trattamento non chirurgico della instabilità cervicale post-traumatica, mentre recentemente viene usato in pochi casi come ad esempio, sfruttando la trazione che esercita a livello cervicale, nei giorni che precedono l’intervento chirurgico di stabilizzazione, per mantenere allineato il rachide e facilitare la progressione verso la riduzione anche parziale della frattura vertebrale. L’abbandono progressivo di questo sistema, oltre che dalla efficacia del trattamento chirurgico, è stato causato anche dalle complicanze che soventemente si verificavano in seguito al suo uso, tra cui le più 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso frequenti sono la infezione dei siti di penetrazione delle viti, la penetrazione delle viti nella scatola cranica, le paralisi dei nervi cranici e le ulcere da pressione (254,255). Attualmente sono molto più utilizzate delle ortesi cervicali (collari) che svolgono la funzione di immobilizzare il segmento cervicale traumatizzato che venga eseguito o meno il trattamento chirurgico di stabilizzazione vertebrale. Si tratta in genere di collari che hanno un appoggio mentoniero anteriore, uno occipitale posteriore ed il toracico inferiore. Questo collare, ben allacciato e di idonea misura, consente una leggera ed affidabile tutela del rachide cervicale. Come svezzamento del precedente o come tutela in caso di focolai traumatici più modesti (lesioni discolegamentose, o lesioni stabilizzate chirurgicamente con buon allineamento) viene usato un collare più semplice, che manca di una effettiva presa mentoniera ed occipitale, e che consente una maggiore libertà soprattutto a carico della atlo-occipitale e della atlo-epistrofea. Nelle fratture del passaggio cervico-dorsale si utilizzano collari con presa occipito-mentoniera solidarizzata, tramite una barra anteriore ed una posteriore, ad una parte toracica in genere costituita da spalline collegate ad una presa sternale e una fascia sotto mammaria di fissaggio inferiore (minerva cervico-dorsale). Il periodo di uso di questi collari è estremamente vario (da alcuni giorni a 12-24 mesi) e dipende da una serie di fattori di cui i più importanti sono: – la presenza o meno di una lesione instabile – il tempo di consolidamento della frattura (ad esempio maggiore nelle fratture discosomatiche che nelle somatiche) – la avvenuta stabilizzazione chirurgica – utilizzo di stabilizzazione chirurgica con innesti ossei (che richiedono tempi lunghi di immobilizzazione) – grave sintomatologia algica. Per quanto riguarda i traumatismi del rachide toraco-lombare, vengono comunemente utilizzati dei busti realizzati o su misura, dopo aver eseguito un calco gessato del tronco del paziente, oppure già confezionati. 2323 Questi busti sono scelti in base a: – la sede del focolaio traumatico vertebrale – la gravità della lesione – la eventuale stabilizzazione chirurgica eseguita Per i traumatismi dorsali in genere, specie se il paziente ha già subito un intervento di stabilizzazione chirurgica, è sufficiente un busto a tre punti (iperestensore), che associa una presa di bacino a due spinte di cui una anteriore toraco-sternale ed una posteriore centrale. Normalmente si tratta di busti già pronti per cui non resta che scegliere la misura adatta alle dimensioni del paziente. Nel caso di traumatismi più gravi soprattutto a carico delle ultime due vertebre dorsali, del passaggio dorso lombare o del tratto lombare, in presenza di instabilità vertebrale posttraumatica, evenienza molto frequente, sono indicati dei busti dorso-lombari rigidi, costruiti su misura dopo la esecuzione di un calco gessato, in resina o in materiale plastico a cui possono essere aggiunti degli spallacci per rendere più rigido l’insieme. Spesso l’utilizzo di questi busti viene protratto per molti mesi (anche per 12-24 mesi) rispettando la evoluzione naturale della guarigione di fratture particolarmente complesse e per lo svezzamento spesso vengono sostituiti da corsetti a stoffa e stecche per periodi variabili, prima di abbandonare la tutela vertebrale. Molti studi sulla stabilizzazione del rachide nei traumi vertebrali hanno cercato di proporre criteri che permettessero di adottare una scelta semplice tra la stabilizzazione chirurgica e quella ortesica, ma un punto di vista univocamente accettato non è ancora stato raggiunto(256, 257, 258, 259, 260, 261, 262, 263, 264). Alcuni autori, particolarmente favorevoli alla terapia non chirurgica, sostengono che non controindicano al trattamento conservativo né la presenza del danno mielico, né un quadro di politraumatismo e che questa scelta non risulta meno efficace nè più dispendiosa economicamente, anche se aumenta le durata della degenza riabilitativa, ma che tuttavia il trattamento conservativo appare meno indicato in pazienti che mostrano la comparsa di de- Neuroriabilitazione 2324 ficit neurologici progressivamente ingravescenti(265). Allo stato attuale si deve senz’altro osservare, però, che la prassi comune, in Italia come all’estero, è quella di trattare, se è possibile, chirurgicamente tutte le lesioni vertebrali instabili, associando quasi sempre, per periodi variabili, l’uso di ortesi (collari o busti) che immobilizzino temporaneamente il focolaio traumatico. Questa scelta riduce inoltre il periodo di immobilizzazione del paziente e le complicanze che ne derivano e consente un più precoce inizio della attività rieducativa. COMPLICANZE DELLE LESIONI SPINALI COMPLICANZE POLMONARI Le complicanze polmonari(24,25), sebbene rappresentino la causa più comune di morte in fase acuta, sono possibili anche in fase post acuta e cronica. In fase acuta le complicanze polmonari sono rappresentate dall’insufficienza respiratoria, dalle infezioni polmonari e dall’atelettasia. In fase cronica queste stesse complicanze si possono presentare più frequentemente nelle lesioni cervicali alte complete. Il livello neurologico e la completezza o meno della lesione sono i parametri che determinano il grado di compromissione della funzionalità respiratoria nel mieloleso in fase acuta e cronica. Inoltre vi sono fattori che, se presenti, aggravano il quadro funzionale respiratorio: stenosi e trauma tracheale, aspirazione, fumo, cardio- pneumopatia, trauma cranico, trauma toracico o addominale, malnutrizione, obesità. Il diaframma, i mm. della parete toracica (mm. intercostali, porzione clavicolare del m. gran pettorale), i mm. addominali e i mm. del collo sono i quattro gruppi muscolari che partecipano alla meccanica respiratoria e la cui compromissione determina la variazione della ventilazione polmonare. Una lesione cervicale alta, C1-3, compromette la funzionalità del diaframma e dei mm. respiratori toracici e addominali e anche in presenza dei mm. respiratori accessori del collo in genere non vi è la possibilità di una valida ventilazione polmonare spontanea. Una lesione cervicale C4-8 man- tiene integra la funzionalità del diaframma e dei mm. accessori del collo e, a secondo del livello, della porzione clavicolare del m. gran pettorale permettendo un respiro spontaneo valido pur in assenza della muscolatura toracica e addominale e qualora non siano associate patologie polmonari. Per lesioni midollari con livello T 6 è conservata la muscolatura della gabbia toracica mentre rimane compromessa la muscolatura addominale. Per lesioni al di sotto di T12 tutti i muscoli respiratori sono validi. Nell’inspirazione il diaframma si abbassa incontrando una resistenza determinata dalla massa intestinale contenuta dai mm. addominali; tale resistenza migliora le condizioni di lavoro del diaframma che così potrà sviluppare una migliore pressione intratoracica negativa. Nel caso in cui, a causa della paralisi muscolare, si ha un aumento della compliance della parete addominale, il diaframma, non incontrando una valida resistenza, lavora in condizioni sfavorevoli. L’espirazione attiva è realizzata ad opera dei mm. addominali ed intercostali esterni; una loro paralisi riduce l’efficacia della tosse. Tutte le manovre di compressione esterna dell’addome e gli ausili (ad es. fasce addominali) che vicariano la funzione della muscolatura addominale migliorano la ventilazione polmonare, l’efficacia della tosse e sono utilizzate per favorire l’espettorazione nel tetraplegico. La posizione supina, grazie alla gravità, favorisce il contenimento della massa intestinale migliorando la ventilazione rispetto alla posizione seduta. Per ottenere un bilancio del- 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso la funzione respiratoria si prendono in considerazione i seguenti parametri(28, 29, 33, 34). – Forza dei muscoli respiratori principali ed accessori: essa è valutata in modo diretto (per mano dell’operatore) o in modo indiretto (presenza di segni clinici). – Frequenza respiratoria a riposo: un incremento della frequenza a riposo è segno di un diaframma debole. – Pattern respiratorio: esso deve essere valutato sia in posizione eretta che da seduto e da supino; Infatti in posizione supina può evidenziarsi un deficit di forza del diaframma altrimenti compensato. Altri segni di ridotta forza del diaframma sono rappresentati dal coinvolgimento, a riposo, dei muscoli accessori del collo e dai rientramenti inspiratori degli ultimi spazi intercostali. Nelle lesioni che lasciano indenne il solo diaframma sono evidenziabili specie in posizione seduta i movimenti paradossi con riduzione del diametro antero-posteriore della parte superiore della gabbia toracica e riduzione del diametro laterale nella parte inferiore della gabbia toracica. – Mobilità della gabbia toracica: nel caso di compromissione del tratto cervicale e toracico alto, sin dai primi mesi dopo il trauma si instaura una riduzione della compliance spiegabile in gran parte con la paralisi spastica degli intercostali e con la rigidità acquisita delle articolazioni costo-vertebrali(29, 30, 37). – Tosse: l’insufficienza della muscolatura addominale, la riduzione dei volumi inspiratori e il minore ritorno elastico polmonare riducono l’efficacia della tosse e la possibilità dell’igiene bronchiale con maggiore tendenza a sviluppare infezioni delle vie aeree. È necessario insegnare al mieloleso (e alle sue assistenze)la tecnica della tosse assistita, una manovra in grado di favorire la risalita del diaframma e quindi di mobilizzare una quantità d’aria sufficiente all’igiene bronchiale. – Valutazione dei volumi polmonari statici e dinamici. È utile valutare tali parametri 2325 – – – – – – – – nelle diverse posture. In rapporto al livello di lesione si avrà una diversa riduzione del VC, del VIR, VER, e del VR. Valutazione del tono e timbro della voce che risente della riduzione del VC. Saturometria dell’O2 e EGA sia a riposo che dopo sforzo anche per la valutazione della resistenza allo sforzo e per la definizione del carico di lavoro cui i mielolesi possono essere sottoposti. È da considerare che di base il lavoro respiratorio aumenta in presenza della riduzione della compliance della gabbia toracica e dei movimenti paradossi. Sono inoltre da tenere in considerazione le possibili variazioni notturne della PO2 e della PCO2 nei soggetti con livello neurologico alto; in questo senso sono da interpretare alcuni sintomi come difficoltà al risveglio o insonnia, irritabilità o sonno rumoroso o sleep apnea nell’anziano. Il trattamento riabilitativo generale di base ha una ricaduta positiva sulla funzione respiratoria determinando incremento alla resistenza allo sforzo, rinforzo della muscolatura generale residua, posture corrette ed evolute. Il trattamento riabilitativo specifico per la funzione respiratoria è rivolto a(31, 32, 36, 38): mobilizzazione della gabbia toracica per impedire la rigidità attraverso un trattamento manuale eventualmente associato alla pressione positiva intermittente rinforzo manuale e con incentivatori del m. diaframma e degli altri muscoli respiratori per incremento della forza e dell’endurance (attraverso carichi inspiratori) igiene bronchiale mediante drenaggio posturale, manovre di tosse assistita e strumenti che sviluppano una pressione espiratoria positiva. supporto addominale COMPLICANZE CARDIOVASCOLARI Nei pazienti medullolesi la diminuzione della massa muscolare funzionante, del ritor- 2326 no venoso, della funzionalità respiratoria, l’alterazione dei meccanismi omeostatici di controllo alterano la normale cinetica cardiovascolare. L’attività muscolare è maggiormente ridotta nei soggetti con più alto livello lesionale, rispetto a quelli con livello più basso(38), ciò determina una diminuzione di attività fisica che causa anche una riduzione dei livelli di HDL colesterolo e la comparsa di obesità, con aumentato rischio di patologie cardiovascolari(39). Nelle lesioni midollari alte (sopra D6) è frequente l’ipotensione ortostatica con valori pressori inferiori o uguali a 100/60 che si manifesta clinicamente con: vertigini, cefalea, confusione mentale sino alla perdita di coscienza; la gravità della sintomatologia è legata al flusso cerebrale più che al valore assoluto della pressione arteriosa(40). L’ipotensione ortostatica si manifesta spesso nei cambi posturali, nelle attività di trasferimento dalla carrozzina e nel periodo postprandiale. Uno dei principali fattori eziopatogenetici è rappresentato dalla stasi venosa degli arti inferiori che non è associata a meccanismi omeostatici vasocostrittivi di compenso per l’alterazione del sistema nervoso simpatico. La terapia è basata sulla cautela negli spostamenti in ortostatismo, sull’uso di fasce elastiche addominali e di calze elastiche agli arti inferiori, sull’uso del piano di statica con incremento progressivo dell’elevazione. In alcuni casi è necessaria dieta ipersodica, alfa-agonisti(41), mineralcorticoidi(42). Nei tetraplegici si riscontra spesso bradicardia che può spingersi sino all’arresto cardiaco in tutte quelle manovre che aumentano il tono vagale (es. aspirazione tracheale in pz. con cannula) scarsamente controbilanciato, a livello del nodo del seno, dallo stimolo simpatico; in emergenza si rende necessario l’uso dell’Atropina e successivamente di stimolatori cardiaci(43,44). La bradicardia asintomatica, non va trattata. TROMBOSI VENOSA PROFONDA La malattia tromboembolica venosa è una condizione anatomoclinica caratterizzata da Neuroriabilitazione una patologia trombotica a carico del circolo venoso profondo degli arti inferiori (TVP) associata o meno ad embolia polmonare (EP)(45). Momento iniziale nella formazione del trombo venoso è la presenza locale di una concentrazione critica di trombina, tale da sovrastare i fisiologici meccanismi di controllo rappresentati dal flusso ematico, dagli inattivatori della coagulazione e dal potenziale fibrinolitico(46). I soggetti con mielolesione acuta presentano una elevata incidenza di TVP(47) tale rischio è particolarmente elevato nel primo mese dopo il trauma (il 74% delle TVP si verifica nel primo mese dopo il trauma)(48),specialmente nelle prime due settimane e resta elevato sino a circa sei mesi dal trauma(49); i valori percentuali però sono vincolati alla profilassi utilizzata(48,50), ai criteri utilizzati per la diagnosi(67), alla presenza o meno di spasticità(51), alla presenza o meno di completo danno motorio(54). Le vene profonde del polpaccio sono la sede di origine più frequente di trombosi(55), vi è maggiore incidenza a sinistra per il diverso flusso venoso dei due arti(51) ed il coagulo di fibrina solitamente si forma in corrispondenza delle cuspidi valvolari venose dove il flusso del sangue è notevolmente rallentato e la condizione critica di stasi favorisce l’accumulo di attività procoagulanti(56). L’elevata incidenza nei mielolesi è legata a vari fattori quali: l’immobilizzazione, il politraumatismo soventemente associato, patologie venose preesistenti, le infezioni intercorrenti del tratto urinario, delle vie respiratorie, dei decubiti; determinanti poi la perdita del tono vasale (vasoparalisi), la modificazione dell’endotelio con liberazione di fattori che favoriscono la trombogenesi, la perdita della contrazione muscolare attiva per ipotonia muscolare e deficit motorio parziale o totale, che causano stasi a livello del sistema venoso degli arti inferiori(57); importanti anche il danno alle pareti vascolari e l’alterazione dei processi coagulativi quali l’aumento del fibrinogeno per inibizione della fibrinolisi, del fattore di Willebrand e della aggregazione piastrinica 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso che portano ad ipercoagulabilità(58). Significativa inoltre la ridotta dinamica respiratoria nelle lesioni alte del midollo. Come conseguenza della TVP, agli arti inferiori si determinano importanti modificazioni istologiche sia nel distretto venoso che linfatico che rendono ragione delle manifestazioni cliniche (59, 73b). Dal punto di vista clinico non è facile porre diagnosi di trombosi venosa profonda, specialmente nei paraplegici e tetraplegici. Le manifestazioni cliniche più frequenti sono date dall’edema con aumento volumetrico dell’arto, senso di tensione, crampi, calore, iperemia, disreflessia autonomica. Questi segni vanno attentamente ricercati, ma la loro mancanza (come spesso avviene nella trombosi femoro-iliaca) non esclude la flebotrombosi(60). Si deve porre inoltre diagnosi differenziale con fratture, emorragie, paraosteopatie, edema sistemico e postflebitico(61, 62). Per poter fare diagnosi il quadro clinico deve essere supportato da quello strumentale. Sono a nostra disposizione metodiche invasive quali la flebografia, e non invasive quali la pletismografia ad impedenza, l’EcoColorDoppler l’AngioTc. Il Fibrinogeno marcato (I-125) è talvolta usato. Risulta evidente l’obbligatorietà di un EcoDoppler per una valutazione più completa del paziente specialmente se esistono segni di dubbio, esame semplice, affidabile, non invasivo e di facile esecuzione (53). La terapia deve essere la più tempestiva possibile; nei primi momenti della sua formazione infatti il trombo è poco adeso alla parete cioè “ non stabilizzato”. La terapia della trombosi venosa profonda degli arti inferiori ha come principali obiettivi: la risoluzione clinica della TVP, la prevenzione dell’embolia polmonare, la prevenzione delle recidive tromboemboliche venose, la prevenzione della sindrome post-tromboflebitica. L’eparina è il farmaco di prima scelta per la terapia della trombosi ed agisce principalmente arrestando la crescita del trombo, con con- 2327 seguente facilitazione della trombolisi spontanea(63). La terapia con eparina viene in genere mantenuta per una settimana e deve essere seguita dalla somministrazione di antagonisti della vitamina K per almeno tre mesi(64).Il trattamento con anticoagulanti deve essere monitorato almeno settimanalmente e se vi sono controindicazioni agli anticoagulanti o se vi è il pericolo di distacco di emboli voluminosi sarà necessario posizionare un filtro cavale.Il paziente potrà essere mobilizzato dopo almeno dieci giorni se si tratta di una trombosi distale, oltre se prossimale (quando però il trombo sarà stabilizzato e dopo ricontrollo ecografico), gli esercizi di mobilizzazione degli arti inferiori saranno possibili solo successivamente e non dovranno essere energici per il rischio di emorragie. Ampio spazio deve essere dato alla profilassi sia fisica: mobilizzazione, elevazione degli arti, massaggi, bende e calze elastiche(66), rieducazione respiratoria mediante spirometria incentivata(67), stimolazione elettrica dei muscoli del polpaccio praticabile se non in alcuni casi particolari(68) e compressione pneumatica intermittente(69, 70) che farmacologica: eparina calcica a basse dosi per via sottocutanea(64) che deve essere condotta per almeno tre mesi oppure con eparine a basso peso molecolare che riducono il rischio di emorragia e permettono la monosomministrazione giornaliera. Con tale protocollo si ottengono riduzioni notevoli dell’incidenza di TVP(71, 72). Delle complicanze principali della TVP: l’insufficienza venosa e l’embolia polmonare, particolarmente preoccupante la seconda data l’estrema variabilità di presentazione clinica e la elevata letalità(73). IPERPIRESSIA La temperatura corporea (36 - 37°C) espressione dell’equilibrio tra produzione e dissipazione del calore, è controllata dal centro termoregolatore nell’ipotalamo che la mantiene costante a prescindere dal metabolismo e dalla temperatura ambientale esterna. Neuroriabilitazione 2328 Varie patologie tramite i pirogeni endogeni macrofagici e linfocitari, influenzano il centro della termoregolazione spostando la temperatura corporea su valori maggiori. La febbre è una situazione frequente nei mielolesi(74) e deve esser attentamente valutata e rapidamente risolta per il rischio di disidratazione (specialmente se c’è vomito e/o diarrea) e di disturbi cardiocircolatori (tachicardia, ipotensione). Come nei pazienti non mielolesi la diagnosi è essenziale prima di intraprendere qualunque terapia, deve essere suffragata da una attenta anamnesi e da un accurato esame obiettivo, seguiranno accertamenti laboratoristici “di base”: emocromo, VES, es. urine che andranno eventualmente approfonditi sia con altri esami di laboratorio più orientati che con esami strumentali. Le infezioni urinarie devono essere le prime da considerare in caso di febbre nel SCI date le frequenti le disfunzioni vescicali, la diagnosi sarà orientata dall’esame delle urine. Frequenti inoltre le infezioni broncopolmonari legati al deficit respiratorio ed all’alte- razione del meccanismo della tosse, aiuterà la diagnosi un Rx del torace. Anche TVP ed EP possono essere una causa spesso subdola di febbre (75) come del resto anche le patologie a carico del sistema digerente, spesso nei pazienti con PEG oppure nelle lesioni cervicali stabilizzate per via anteriore in cui va sempre considerata la presenza di un diverticolo o di una fistola esofagea; sarà necessario in ogni caso esame in bianco e con contrasto. Non si devono scordare le lesioni da decubito con eventuali osteomieliti sottostanti. La febbre potrebbe inoltre essere legata ad elevata temperatura ambientale (es. errata regolazione della temperatura in letti antidecubito) ed a disturbi della termoregolazione (76). La Terapia causale è influenzata dalla diagnosi, quella sintomatica farmacologica è basata sul paracetamolo e sull’acido acetilsalicilico, la terapia fisica invece sullo scoprire il paziente e sull’applicazione di ghiaccio al capo, ascelle o inguini. COMPLICANZE GASTROINTESTINALI NELLE SCI I problemi gastrointestinali nelle lesioni spinali post traumatiche (SCI) sono in maggior evidenza per il prolungamento della vita dei pazienti e per il maggior controllo cui sono sottoposti i problemi polmonare ed urologico(78). Dopo una lesione spinale, i programmi di gestione dell’intestino nel breve periodo sono spesso seguiti da successo, ma nel lungo periodo le disfunzioni intestinali sono complesse e difficili da trattare(79). In fase acuta la maggior difficoltà nella gestione clinica del tratto gastrointestinale dopo SCI risiede nella scarsa conoscenza del significato degli eterogenei sintomi e segni presentati dai pazienti mielolesi; in fase cronica l’assistenza e la terapia contribuiscono a rendere complessa la gestione del tratto G.I. In un recente, ampio studio osservazionale al controllo dalla dimissione dall’Unità Spinale, in Italia, si è evidenziato che la perdita dell’autonomia vescicale / intestinale era la più frequente variabile di grande valore predittivo per la mortalità, il ripresentarsi di complicazioni e la riospedalizzazione(79b). Studi per la determinazione del tempo di transito colico e delle risposte fisiologiche del retto sono molto utilizzati per dare una base scientifica al trattamento di tali pazienti (80). È d’altronde necessario aumentare le nostre conoscenze sul ruolo dell’innervazione intrinseca ed estrinseca del tratto gastrointestinale(81, 82, 83). Attività complesse ed integrate come la defecazione, che richiede sia un’attività volonta- 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso ria che riflessa, sono le più interessate da una lesione spinale (84). Valles ipotizza, in uno studio su pazienti con lesione spinale completa, 3 patterns funzionali: il livello di lesione T7 è discriminante. Il Pattern A per lesioni sopra T7, si caratterizza per frequente stipsi (86%), seria difficoltà alla defecazione, incontinenza non molto severa (Mean Wexner score 4,5), moderato ritardo nel tempo di transito colico (CTT) soprattutto nel colon sin e sigma: incapacità ad aumentare la pressione intraaddominale e assenza di rilassamento anale durante le manovre defecatorie. Pattern B per lesioni inferiori a T7: conservati i rifl. sacrali, stipsi non tanto frequente (50%) notevole difficoltà defecatoria, incontinenza non molto severa (M.W. score 4,8), moderato ritardo nel CTT, capacità di aumentare la pressione intraaddominale, aumento della resistenza anale nelle manovre defecatorie, presenza della contrazione dello sfintere anale esterno (eas) in risposta ad aumenti della pressione intraaddominalee durante la distensione rettale. Pattern C per lesioni inferiori a T7, in assenza di riflessi sacrali, stipsi non molto frequente (56%), minor difficoltà alla defecazione e grande severità di incontinenza (MW score 7,2) severo ritardo nel CTT (soprattutto colon sinistro), capacità di aumentare la pressione intraaddominale, assenza di resistenza anale durante le manovre defecatorie, assenza di contrazione dello EAS da aumentata pressione intraaddominale o da distensione colica (84b). L’aumento dei problemi gastrointestinali dopo i primi 5 anni può suggerire che le alterazioni funzionali si siano presentate dopo o che col tempo si siano alterati dei sistemi intestinali di compenso. Tempo dal trauma vertebrale, funzione gastrointestinale premorbosa, età diverse al momento dell’insorgenza, completezza o meno della lesione e qualità del trattamento nel lungo periodo sono tutti fattori potenzialmente influenzabili la funzione gastrointestinale. L’importanza della rieducazione all’autonomia intestinale è evidenziata dall’elevata corre- 2329 lazione con il livello di qualità della vita (QOL) dopo il rientro a domicilio(84c). Pazienti con SCI da trauma che hanno ricevuto adeguata informazione e formazione circa il programma di gestione dell’intestino e della defecazione, nel lungo termine definiscono buona la loro qualità della vita relativamente alla gestione intestinale anche se una parte importante di essi indica di essere molto insoddisfatta del programma di gestione intestinale(84d). Mentre la pubblicazione delle Linee Guida di Pratica Clinica (CPG) per la gestione del neurointestino nella lesione spinale (1998 a cura della Associazione Paralized Veterans of America) non cambiò di per sé il livello di aderenza al programma, l’adozione di un piano mirato all’implementazione di alcuni punti specifici delle CPG produsse un aumento di frequenza nell’aderire ad alcune (3 di 6) raccomandazioni delle CPG per la gestione dell’intestino neurogenico nei pazienti mielolesi (84e, 84f, 84g). ADDOME In fase acuta, quando si evidenziano con più facilità emergenze addominali, può essere presente uno shoc spinale. La paralisi post trauma,soprattutto in lesioni mieliche più alte di D6, può mascherare i rumori intestinali (ileo) e la rigidità di parete. Il tono della parete addominale può essere molto variabile da paziente a paziente. Un’emergenza addominale che si sviluppa nell’arco di 24 ore dal trauma è solitamente riferibile ad esso. Oltre a segni più tipici nella mielolesione, quali un dolore riferito alla punta della scapola o la distensione addominale o il dolore addominale con nausea e vomito, anche un inspiegabile aumento della spasticità o la presenza di crisi disriflessiche devono far pensare ad una sofferenza addominale. Per valutare la possibilità di sangue in addome può essere necessario richiedere un lavaggio peritoneale. 2330 ESOFAGO Benché non vi siano dati certi o studi specifici circa alterazioni della motilità dell’esofago nei pazienti tetraplegici da lesione traumatica spinale, questi, sia in fase acuta che cronica, presentano un’incidenza anomala di polmoniti con rischio di vita(85). Questo fatto pone il problema se l’inalazione, o per reflusso gastroesofageo o per alterata funzione dello sfintere esofageo inferiore, si manifesti nei tetraplegici con frequenza superiore alle altre lesioni spinali. Pazienti che hanno paraplegia in fase acuta possono presentare lo stesso tipo di problemi: difficoltà respiratoria e ileo adinamico. Si possono trattare questi pazienti alla stregua di tetraplegici. Nei tetraplegici da trauma cervicale stabilizzati chirurgicamente per via anteriore, può manifestarsi una fistola tra un focolaio settico vertebrale e l’esofago; il paziente presenta dolore alla regione tracheale, disfagia variabile con l’inclinazione o la rotazione del capo, febbre e aumento degli indici di flogosi. La tracheostomia o una prolungata intubazione sono causa di processi flogistici cronicizzati a carico della trachea (con possibile iniziale stenosi) ed in seconda istanza dell’esofago (fistola tracheoesofagea). Il rischio di inalazione aumenta se il paziente, in ridotto stato di coscienza, è nutrito con una sonda nasogastrica o una PEG. Manicotti fibrosi da cicatrizzazione di flogosi peritracheale, raccolte ematiche post traumatiche prevertebrali e decubiti a livello faringeo da sondino n.g. possono alterare la funzionalità esofagea. L’uso routinario dell’endoscopia a fibre ottiche può essere un valido supporto per controlli seriati nella fase acuta e post acuta del trauma cervicale. STOMACO In fase acuta i pazienti spinali non tollerano cibi nello stomaco. Il riempimento gastrico e la secrezione acida gastrica possono essere alterati nei tetraplegici per alterazione della funzione autonomica. I pazienti con SCI sono ad alto rischio per lo sviluppo di atonia gastrica e Neuroriabilitazione di ileo, che possono causare, oltre a dolore e aumento della spasticità, vomito ed aspirazione nelle vie aeree(86). Pollock ritiene utile, in tutti i pazienti acutamente colpiti da SCI, il posizionamento di una sonda nasogastrica per detendere lo stomaco e per aspirare l’eccesso di succo gastrico che ristagna a livello del fondo e dell’antro(87). Dopo che i normali tentativi terapeutici sono risultati insufficienti ed il paziente non tollera la sonda nasogastrica, in certi casi si è dimostrata risolutiva per rimediare alla distensione acuta dello stomaco la gastrostomia per via endoscopica(88). Una volta decisa la via di alimentazione, il tipo e la quantità di cibo usato dipendono da una serie di fattori quali: richieste nutrizionali dell’individuo, integrità dello intestino, deficit funzionali del rene e del polmone. La tollerabilità dell’alimentazione enterale è valutata monitorando il volume dei cibi aspirati, l’andamento dello svuotamento intestinale, la nausea ed il vomito ed in accordo è variato il regime alimentare. Durante la fase acuta, non si somministrano routinariamente cibi arricchiti in fibre. In caso di diarrea è importante identificare e trattare le cause iniziali che possono includere: – antibiotici a largo spettro, – funzione meccanica del piccolo intestino (per esempio parziale ostruzione), – sovrappopolazione batterica del piccolo intestino (C. Difficilis) – ipoalbuminemia, – velocità d’ingestione dei cibi. Questo succede quando i cibi sono somministrati per bocca o tramite un piccolo tubo nasogastrico o tramite una gastrostomia. La tendenza all’aspirazione è associata con una disfunzione dello sfintere esofageo inferiore; misurazioni delle pressioni intraesofagee ed intragastriche suffragano questa ipotesi. Da ciò si conclude che la nutrizione in fase precoce nei pazienti con quadriplegia debba avvenire per via endovenosa. In fase precoce una complicanza comune è il sanguinamento gastrointestinale. Di solito è 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso causato da un’ulcera da stress. Il rischio è maggiore in pazienti con lesione completa sopra a D5 perché lo sbilanciamento orto para simpatico può incrementare la secrezione acida. Il sanguinamento gastrointestinale è inusuale in pazienti con lesione al di sotto di D5. La ventilazione artificiale e l’eparinizzazione aumentano questo rischio. Le feci dovrebbero essere testate di routine per la ricerca del sangue occulto. È pratica comune somministrare degli inibitori di pompa protonica a dose piena come profilassi contro i sanguinamenti gastrointestinali per 3 mesi almeno dopo il trauma. L’instaurazione di un preciso protocollo alimentare nelle prime fasi della lesione spinale, con somministrazione parenterale del totale fabbisogno energetico, può ridurre significativamente il rischio di sanguinamento gastrico(89). Se la paralisi gastrica è prolungata, essa può rispondere a farmaci procinetici, come la Metoclopramide o la Clebopride utilizzabile anche per via endovenosa o intramuscolare per os prima dei pasti e prima di coricarsi. In fase subacuta, dopo un periodo di alimentazione parenterale, si può ricorrere ad una via di alimentazione alternativa, con una sonda nasogastrica, con una gastrostomia posizionata per via endoscopica, con una digiunostomia. Quest’ultima può dare, come rischio, la produzione di un volvolo digiunale, con quadro di addome acuto. Correlabile alla presenza della digiunostomia sembra essere una ipersecrezione gastrica della durata di una settimana circa, che può essere affrontata tramite il posizionamento di una sonda nasogastrica. La somministrazione di cibi prosegue attraverso la gastrostomia o la digiunostomia finché il paziente non riesce a tollerare i cibi per bocca senza rischio di ab ingestis, e questo richiede 3 o 4 settimane. In caso di dilatazione cronica dello stomaco in pazienti spinali con lesione cervicale, può essere utile lasciare a dimora una sonda nasogastrica e somministrare un farmaco tensioattivo come il Simeticone; nei casi ostinati può essere giustificato ricorrere alla gastrostomia. PANCREAS La pancreatite può essere occasionalmente osservata dopo SCI(90). La pancreatite deve 2331 essere sospettata in caso di nausea e vomito ricorrente o in caso di febbre non spiegata. Il dolore classico può essere assente. La pancreatite può essere dovuta al trauma o ad una stimolazione parasimpatica non bilanciata dello sfintere di Oddi. Può essere d’aiuto la determinazione delle amilasi. Il rischio può essere aumentato dalla somministrazione di corticosteroidi. L’ipercalcemia può essere associata alla pancreatite. DUODENO La sindrome dell’arteria mesenterica superiore è stata riportata nella tetraplegia come causa non rara di vomito ricorrente. La sindrome (91) risulta dall’occlusione della terza parte del duodeno tramite la compressione tra l’aorta sottostante e l’arteria mesenterica superiore soprastante, che abbandona l’aorta appena più in alto. Fattori di predisposizione includono la postura supina prolungata e la perdita acuta di grasso retroperitoneale: entrambi questi fattori possono essere presenti dopo un trauma spinale. L’occlusione del duodeno causa vomito 1 o 2 ore dopo il pasto. La sindrome è usualmente più grave in posizione supina e può essere mitigata ponendo il paziente in decubito laterale sinistro o tenendolo seduto eretto con compressione forzata del contenuto addominale verso l’alto(92). Radiografie del tratto gastrointestinale superiore mostreranno una netta interruzione nella 3° porzione del duodeno che può essere influenzata dalla posizione. COLECISTI L’esame autoptico di pazienti portatori di esiti di SCI, rileva una prevalenza di calcoli biliari del 29% rispetto al 4% dei controlli testati. I pazienti con lesione spinale al di sotto di D10 hanno uguale incidenza dei normali. Il rischio di litiasi inoltre riguarda solo il primo anno di lesione. La possibile assenza di sintomatologia addominale tipica per litiasi ed il ri- 2332 schio di favorire l’insorgenza di una colecistite, pongono problemi sul tipo di trattamento dopo il riscontro casuale di calcoli colecistici senza una sintomatologia in atto(93). INTESTINO Il piccolo intestino è talvolta coinvolto nella pseudo occlusione cronica intestinale. Anche se dati RX in armonia con ostruzione del tenue sono frequentemente presenti nei pazienti spinali cronici da trauma vertebromielico, attualmente una ostruzione del tenue è poco comune. Il riscontro di stipsi e diarrea in continuo peggioramento può manifestarsi in patologie diverse, anche molto gravi, e la diagnosi tardiva di patologia tumorale maligna in un paziente con SCI(93b) chiarisce l’importanza di considerare le altre entità cliniche in pazienti con SCI quando stipsi e diarrea persistono nonostante una gestione adeguata. Lesioni complete al di sopra di D7 hanno spesso livelli di liquido e ombre gassose, che sembrerebbero essere segno di ostruzione del piccolo intestino, ed è frequente il dato RX di dilatazione dell’ileo(94). La distensione del piccolo intestino può essere causata da un volvolo ileocecale che ostacola il passaggio fecale, ed è motivo di alterazioni della motilità del colon. La valutazione colturale delle feci del paziente all’ingresso in U. S. può evidenziare una preesistente situazione di infezione intestinale da Clostridi(94b). La soddisfacente gestione dell’intestino in pazienti spinali adulti con lesione occorsa in età giovanile, trova motivo nel rallentato transito che riduce la frequenza delle evacuazioni ed aumenta la consistenza delle feci(95). COLON L’innervazione della parte terminale dell’intestino (le porzioni superiori del tratto GI sono sotto il controllo del nervo Vago), cioè il Neuroriabilitazione colon distale, il retto e l’ano è sotto il controllo simpatico tramite fibre emergenti da diverse radici toraciche e lombari (T5-L2) (95c, 95d) ma soprattutto dalle radici T9-L2, attraverso i gangli mesenterico sup. ed infer.che decorrono nei nervi ipogastrici. Il controllo parasimpatico avviene tramite fibre che nascono dalle radici sacrali S2-S3-S4 e decorrono nei nervi pelvici. Il controllo volontario sullo sfintere anale esterno nasce da piccoli motoneuroni nelle corna anteriori dei tratti S2S3S4 (nucleo di Onuf ). Nelle SCI la funzione mioelettrica del colon è anormale (95b). L’attività di base è aumentata. A ciò può corrispondere il riscontro di una riduzione della compliance del colon. Tra le metodiche strumentali di valutazione dell’attività elettrica dell’intestino inferiore, l’elettrorettogramma(96) evidenzia nei pazienti spinali un quadro di alterazione del sistema di conduzione intrinseco: silenzio elettrico nelle lesioni di tipo periferico, quadro disritmico nelle lesioni di tipo centrale, con frequenza, ampiezza e velocità irregolari, senza potenziali d’azione, che nel normale sono irregolari e associabili ad aumenti della pressione intrarettale. Il programma riabilitativo deve prevedere una valutazione esaustiva della funzione intestinale già nel primo periodo post lesionale (con controlli almeno annuali nel periodo del post ricovero in Riabilitazione). Le fasi della valutazione contemplano un’anamnesi con indagine approfondita sulla gestione intestinale precedente alla lesione midollare, informazioni complete sull’attuale funzionalità, con frequenza, tempi e modi, con i sintomi prevalenti nei momenti di preparazione ed in corso di svuotamento, la necessità assistenziale, le eventuali terapie adottate per facilitare la canalizzazione e modi d’utilizzo. L’esame obiettivo deve includere la valutazione dell’addome, l’esplorazione rettale e l’analisi neurologica dei riflessi locali anali (RA, RAC, RBC,). Il programma contempla tra gli esami strumentali: rx addome, analisi chimica e colturale delle feci, tempo di transito intestinale e colico,studio neurofisiologico del piano perineale, mano- 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso metria colica e anorettale. Lo studio dinamico della defecazione, la retto-colon scopia e l’ Rx clisma opaco possono rendersi necessari come completamento. Il paziente va controllato individualmente per il tipo di risposta ottenuta dalla modifica di ogni parametro, sia alimentare, sia farmacologico, sia gestionale. Gonzales fa un’attenta descrizione dei vari tipi di esplorazione neurofisiologica del pavimento della pelvi: emg dei distinti muscoli (sfinteri parauretrale e anale, m.bulbocavernoso, puborettale), eng dei nervi pudendi e dorsale del pene, studio dei riflessi sacrali, potenziali evocati corticali somato sensoriali del n. dorsale del pene, potenziali evocati motori nei muscoli della pelvi con stimolazione magnetica(96b). Le funzioni del colon e del tratto anorettale sono il trasporto, l’immagazzinamento e l’evacuazione del materiale fecale. Il tempo globale di transito nel colon, nelle lesioni spinali, è globalmente aumentato(97). Vi è dimostrazione di un minor rallentamento a livello del colon di destra, mentre nel colon sinistro e nel retto il transito è molto rallentato(98). La motilità del tratto retto sigmoideo è stata studiata in rapporto al livello di lesione spinale ed al normale, evidenziando sia un aumento di attività nelle lesioni inferiori a D9 e una riduzione nelle lesioni superiori a D9, sia un aumento di attività motoria rispetto ai soggetti normali di controllo(99, 100, 101). L’evacuazione resta uno dei più evidenti problemi del tratto gastrointestinale dei pazienti spinali. Le cause più frequenti sono l’indurimento delle feci, la distensione del colon, il meteorismo intestinale, la spasticità dello sfintere anale, la lentezza dello svuotamento, l’incontinenza fecale. Come per il tratto vescicouretrale, con cui ha in comune l’embriogenesi e l’origine ectodermica, anche a livello del tratto sigmoidoretto-anale bisogna considerare sia una forza propulsiva dall’interno (forza contrattile colorettale e pressione intraaddominale) che una forza resistiva dall’esterno (tono sfinterico e angolo ano-rettale). Dall’equilibrio delle due forze dipende il successo nello svuotamento 2333 intestinale. La presenza di una dissinergia anorettale crea il problema, nel caso in cui cioè ad una elevata pressione intrarettale corrisponda un ipertono sfinterico anale. Varie proposte riabilitative strumentali vengono elencate in letteratura(101b, 101c, 101d, 101e, 101f, 101g) per il miglioramento della gestione dell’intestino neurologico in rapporto ai problemi di controllo della defecazione. Nei casi in cui si possa escludere un danno ostruttivo meccanico, si può utilizzare un clistere a pressione positiva, con blocco intra ampollare della testina della sonda anale (idrocolonterapia). Tale metodica deve essere preceduta da un’accurata visita della regione anale e perianale, con esplorazione anale, che si può completare se necessario con una retto sigmoido scopia per escludere lesioni di tipo infiammatorio, post traumatico, degenerativo, vascolare, o anche neoplastico. Questo sistema di svuotamento del colon, se utilizzato regolarmente e con le dovute avvertenze, riesce a garantire, con l’infusione di acqua di rubinetto tiepida, una buona pulizia del colon. Circa le modalità di esecuzione, i risultati migliori si ottengono nel trattamento al letto, in quanto il paziente può essere comodamente fatto ruotare sui fianchi, può integrare il trattamento con un massaggio addominale e decidere il momento dello scarico. Il trattamento, nei casi con notevole quantità di materiale fecale, può essere ripetuto una seconda volta per garantire una completa pulizia del colon. L’autogestione del lavaggio intestinale da parte del paziente para o tetraplegico richiede un periodo di addestramento con personale specializzato, in quanto il sistema, pur essendo di facile gestione, in chi ha problemi di controllo del tronco o di manualità, o di deficit muscolare agli arti superiori, può essere di difficoltosa utilizzazione per la necessità di ripristinare frequentemente le pressioni nel palloncino intra ampollare e nella sacca dell’acqua. In alcuni casi selezionati, ove il tono anale è serrato, può essere provato il passaggio dal let- Neuroriabilitazione 2334 to al bagno attraverso il trasferimento in carrozzina, oppure dal letto alla comoda. Nella nostra esperienza la completezza del risultato ottenuta a letto è migliore se confrontata con il risultato ottenuto sul WC. Associamo sempre, in previsione del trattamento con clistere a circuito chiuso, lo studio del transito intestinale con markers radioopachi: per 6 giorni il paziente, mentre viene trattato normalmente dal punto di vista alimentare e per le modalità di canalizzazione intestinale, assume 10 markers di transito intestinale radioopachi al giorno, alla stessa ora (60 mks in totale). Il settimo giorno esegue una rx addome in bianco in PA, estesa dallo sterno alle spine ischiatiche. In tal modo è visualizzata tutta l’area intestinale. Dopo la lastra noi eseguiamo una prova al letto di lavaggio intestinale con sistema a circuito chiuso. Il giorno seguente rivalutiamo con rx addome in bianco l’efficacia del trattamento (vedi Fig. 41.2A, Fig. 41.2B). La localizzazione dei markers sulla rx danno indicazione sulla localizzazione del ristagno. L’apporto frequente di cibi ricchi in fibre (almeno 15 g al dì in incremento graduale) ed acqua (almeno 2 litri/dì), e la combinazione con stimolazione digitale, uso di clisteri, supposte di glicerina, può costituire un utile approccio non farmacologico. La conoscenza delle stigmate anorettali del singolo paziente (forze espulsive e forze di resistenza) permette di ottimizzare il programma di rieducazione intestinale(101h). Le costipazioni croniche intrattabili, che necessitano di un attento monitoraggio e di uno studio della motilità intestinale, possono portare ad una forte limitazione della vita in pubblico, ed a volte può essere richiesta una derivazione anale, sia per permettere una maggior continenza che per salvaguardare decubiti a rischio di continui inquinamenti (96). Concludendo, la gestione dei problemi intestinali nei pazienti spinali è complessa, integrandosi alle peculiari caratteristiche fisiopatologiche precedenti al trauma vertebromielico nuove dinamiche di espressione dei riflessi spi- A Fig. 41.2 - Vedi testo. B 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso nali sulla muscolatura a controllo volontario e del controllo autonomico del tratto gastrointestinale. È indispensabile il lavoro integrato 2335 di tutta l’équipe riabilitativa, soprattutto per la lettura dei segni e dei sintomi del singolo paziente(102, 103). ORMONI, METABOLISMO ED ELETTROLITI La secrezione ormonale ipofisaria è alterata dopo SCI. La secrezione di ACTH è normale in risposta a stimoli umorali ma non appropriata in risposta a stimoli neuromediati(104). Anche le risposte agli stress possono essere insufficienti, pur restando la corteccia surrenale capace di rispondere alla stimolazione dell’ACTH. I livelli di TSH sono normali ma i livelli di ormone periferico mostrano un piccolo transitorio decremento. L’ormone della crescita può risultare insolitamente alto dopo SCI. FSH e Testosterone calano transitoriamente dopo SCI.(105) anche l’LH si riduce transitoriamente nella paraplegia ma permanentemente nella tetraplegia. La PRL può aumentare dopo SCI. Queste modificazioni ormonali possono giustificare l’atrofia testicolare, la sterilità e la ginecomastia osservata dopo SCI. Appena dopo il truma midollare si osserva una riduzione del peso corporeo, legata ad un incremento della diuresi ed al danno ai tessuti molli e all’osso(106,107). L’incremento della diuresi può persistere sino ad un mese dopo il trauma ed è particolarmente pronunciato nelle ore notturne; per tale motivo i soggetti che praticano cateterismo intermittente possono presentare sovradistensione vescicale (108). È possibile monitorare il grado di riassorbimento dei tessuti molli e dell’osso con il dosaggio dell’Idrossiprolinuria che in fase acuta quasi raddoppia(109). L’idrossiprolina è un aminoacido costituente del collageno che a sua volta è il maggior componente dei tessuti molli, della cute e della matrice ossea. Tale situazione è aggravata dall’immobilità, è necessaria una precoce mobilizzazione per ridurre il riassorbimento. Dopo SCI in pazienti senza pregresso diabete si può a volte osservare intolleranza al glucosio probabilmente legata sia ad una ridotta sensibilità all’insulina che ad una deficiente risposta insulinica(110). Transitoria anemia, morfologicamente normocromica, normocitica(111) in genere accompagnata da aumentati valori di eritropoietina è di frequente riscontro(112). L’anemia che compare in fase post-acuta è in genere associata ad infezione cronica (113). Il metabolismo basale ed il consumo di energia sono ridotti dopo SCI(114). In fase acuta è possibile evidenziare una riduzione del peso corporeo che però potrà aumentare successivamente sino all’obesità sino a limitare l’autonomia del paziente. L’Ipercalciuria si sviluppa presto dopo SCI e può persistere per mesi(108,115). Come conseguenza di un aumentato riassorbimento di calcio dall’osso delle pari immobili; ipercalciuria può essere presente in individui immobilizzati che non hanno SCI. Al contrario la mobilizzazione limita l’ipercalciuria in SCI(116,117) l’ipercalcemia generalmente non si sviluppa perchè l’incrementato carico di calcio è escreto dai reni. L’incrementato carico di calcio però causa un decremento dell’ormone paratiroideo e dell’1,25-diidrossivitamina D, una limitazione dell’assorbimento di calcio dal tratto gastrointestinale, (le restrizioni di calcio nella dieta hanno pochi effetti sulla ipercalciuria),la formazione di calcoli del tratto urinario,osteoporosi e può contribuire ai problemi dell’OE (Ossificazione Eterotopica). 2336 In alcuni pazienti giovani, di sesso maschile dopo SCI può a volte comparire anche ipercalcemia le cui manifestazioni cliniche sono quanto mai varie e vanno dai disturbi del SNC come letargia,mal di testa, irritabilità, confusione, convulsioni e coma sino a sintomi gastrointestinali come nausea e vomito, poliuria e polidipsia.Per tale variabilità è necessario uno screening di laboratorio che comprenda la calcemia. L’ipercalcemia è presumibilmente legata al fatto che l’aumentato riassorbimento del calcio osseo sovrasta la capacità escretoria renale. Neuroriabilitazione Inoltre l’associata nausea e vomito provocano disidratazione con riduzione della clearance renale e quindi peggioramento dell’ipercalcemia. Terapeuticamente si possono utilizzare varie strategie(118, 119): mobilizzazione, incremento della diuresi (per incrementare l’escrezione di calcio, per mantenere diluite le urine per minimizzare la probabilità di precipitazione) con sali e furosemide, riduzione del’assorbimento di calcio gastrointestinale con fosfati orali,steroidi orali e dieta; possono essere usati calcitonina(120), difosfonati(121). LE OSSIFICAZIONI ETEROTOPICHE PARAOSTEOARTROPATIE Le ossificazioni eterotopiche o paraosteoartropatie si riscontrano in una percentuale oscillante fra il 16%- 53% dei pazienti medullolesi(122). Si localizzano con il seguente ordine di frequenza nelle articolazioni dell’anca, del ginocchio, della spalla e del gomito. Si segnalano unicamente nell’area sede di paralisi, sempre che non sia presente un altro fattore causale, quale ad esempio un trauma cranico o ustioni. Si sviluppano in pazienti con paralisi spastica e flaccida per lesioni complete o incomplete del Midollo spinale, tipicamente in periodo di tempo compreso fra 1 e 4 mesi, casi ad insorgenza molto precoce (19 giorni) o molto tardiva (anni dall ’evento traumatico) sono riportati(123). Le O. E. hanno un’eziologia poco definita: la diminuita ossigenazione tissutale o qualche altro fattore poco noto indurrebbero una metaplasia a condroblasti e osteoblasti delle cellule multipotenziali del tessuto connettivo(124). Nei soggetti paraplegici affetti da ossificazioni eterotopiche le biopsie cutanee eseguite a livello della cute sovrastante alla lesione mostrano modificazioni del microcircolo che potrebbero essere concausa dell’ipossiemia e delle modificazioni metaboliche responsabili della formazione di O.E. (124b). Il nuovo osso, formandosi in piani fra gli strati del tessuto connettivale, riconosce quale fattore scatenante nella localizzazione in un’area particolare, il trauma stesso,sebbene di ciò vi potrebbe non esser l’evidenza clinica(125). Le O.E. progrediscono naturalmente verso la formazione di un osso maturo, dalla cui estensione dipenderà la riduzione dell’articolarità della articolazione coinvolta ed i rapporti che assumerà con l’articolazione stessa(126). L’O.E., prima dei moderni trattamenti, evolveva in circa il 20% dei pazienti verso l’anchilosi della articolazione colpita ed in poco più del 10% risultava completa.La compromissione dell’articolarità,anche se di grado modesto, interferisce significativamente con l’acquisizione di un adeguato grado d’autonomia da parte del paziente. Le O.E. sviluppandosi, possono intrappolare i nervi periferici e/ o i vasi artero -venosi adiacenti determinando una compressione dolorosa ed inducendo l’adozione di posture scorrette nel paziente con aumento di pressione in sede cutanea opposta all’O.E. stessa (ad esempio una O.E. all’anca induce un aumento di pressione al di sotto della controlaterale tuberosità ischiatica con frequente fomazione di ulcera da decubito). L’O.E può dare generalmente segni clinici precoci, quali la tumefazione e il calore nella sede stessa di formazione,con contemporaneo 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso 2337 rialzo febbrile; un’eventuale comparsa agli arti inferiori richiede perciò una diagnosi differenziale con una trombosi venosa profonda (127), ma anche con ematomi, infezioni cutanee localizzate, fratture e tumori(128). Più sporadicamente l’O.E. può presentarsi direttamente come una tumefazione solida e localizzata, quando la fase infiammatoria abbia avuto un decorso silente;in tal caso allora si evidenzierà direttamente la riduzione articolarità nella sede colpita. L’O.E. viene diagnosticata con una radiografia che rileva il processo solo quando sia sufficientemente avanzata l’ossificazione o con terza fase di una immagine tomografica dell’osso, che precede usualmente il reperto radiografico di almeno 7 - 10 giorni dalla sua comparsa. In particolare attualmente è l’indagine ultrasonografica (ecografia bidimensionale) che può,molto più precocemente della radiografia, evidenziarne l’insorgenza nel tessuto connettivale periarticolare(129). Durante la fase attiva è suggestiva di O.E. il riscontro di un aumento dell’enzima Fosfatasi alcalina, della Lattico Deidrogenasi, della Creatinfosfokinasi o la combinazione di elevati livelli bioumorali di fosforemia e fosfatasemia alcalina(130). Dalla precocità della diagnosi di O.E dipende l’inizio tempestivo di un programma terapeutico. L’O.E. può essere trattata farmacologicamente con il disodio etidronato che somministrato ab initio, sembra limitare l’estensione del processo di ossificazione alla posologia di 20 mg /Kg /die per 2 settimane dalla comparsa della O.E. e successivamente di 10 mg /Kg /die(130). E un trattamento con questo farmaco viene suggerito debba continuare per non meno 12 settimane(131). Una terapia delle O.E. può avvalersi della radioterapia, soprattutto dopo che l’ossificazione ectopica si sia formata, dando una sindrome compressiva vasculo-nervose con dolore o con notevole riduzione dell’articolarità. Il trattamento chirurgico dell’O. E. è indicato quando vi sia una marcata limitazione articolare o una franca anchilosi con perdita della funzione. Viene di solito eseguita una resezione a cuneo dell’osso. È indispensabile, prima dell’intervento chirurgico,accertarsi con valutazione scintigrafica della raggiunta maturazione dell’osso ectopico neoformato, per prevenirne con l’asportazione le recidive, che, in tale caso, risultano frequenti. Su immagini seriate dell’osso, la captazione di un radioisotopo con la stessa modalità con cui avviene nell’osso normale, da informazioni ottimali sul grado di maturità dell’osso stesso. Il lasso di tempo intercorso dall’esordio, un esame clinico stabile, un ’immagine radiografica più volte confermata come uguale alle precedenti, ed un livello ematico di Fosfatasi Alcalina rientrato in quelli di normalità, sono dati sufficientemente attendibili, anche se non sempre, per esprimere un giudizio di stazionarietà clinica di P. Per la prevenzione delle recidive di P. dopo intervento chirurgico delle stesse viene suggerito il disodio etidronato(132). Infine la terapia radiante e l’indometacina sono riportati quali ulteriori mezzi terapeutici nella profilassi postoperatoria delle O.E.(133133b). IL DOLORE Il dolore neuropatico conseguente a Lesioni del Midollo Spinale è distinto in quello che il pz esperisce al livello della lesione ed uno più distale (134,135). Il dolore originato dalle radici nervose è acuto o lancinante o può avere la qualità di scossa elettrica; esso si irradia nei dermatomeri interessati dalla lesione ed è associato a parestesie(136,137). Il dolore fantasma o da interessamento diretto del Midollo Spinale viene di solito riferito in un area distale alla lesione;viene de- Neuroriabilitazione 2338 scritto come trafittivo, bruciante, come sensazione di freddo, costrittivo o come scossa elettrica. Più frequentemente il dolore viene riferito nella regione perineale ed alle estremità inferiori e meno frequentemente in regione addominale o alle estremità superiori (138). Più comunemente esso compare circa sei mesi dopo l’evento lesivo. Vengono riportate varie incidenze ampiamente oscillanti fra il 90%, in cui è descritto come dolore diffuso a carattere bruciante ed il 13%,in cui è solo riportato. L’origine del dolore spinale riconoscerebbe secondo alcuni Autori una sede nel Midollo Spinale stesso ed una nel Troncoencefalo. La perdita delle afferenze sensoriali si ritiene influenzi il dolore fantasma,ovvero vari gruppi neuronali, a più livelli nel M. S. e S.N. C., avvierebbero impulsi proiettanti verso la corteccia, con precisa localizzazione e percepiti come dolorosi. Altri autori sostengono invece che il relativo risparmio delle sensazioni condotte lungo le colonne dorsali,con contemporanea interruzione delle sensazioni portate dalla via spinotalamica, (evenienza tipica delle lesioni incomplete del M. S.) potrebbe permettere un’alterata interpretazione delle sensazioni condotte lungo le vie delle colonne dorsali nel tronco encefalo inferiore o nel talamo, determinando così l’esperienza dolore. Il trattamento del dolore non può prescin- dere dal programma rieducativo complessivo del paziente, in quanto spesso il dolore non sta ad indicare la presenza di un problema medico contingente(139, 140),tenendo sempre presente che la mobilizzazione e la ripresa di una significativa vita di relazione rimangono comunque lo scopo principale del trattamento rieducativo. La stimolazione elettrica transcutanea dei nervi, gli antidepressivi triciclici, gli antiepilettici (carbamazepina, valproato), la somministrazione intratecale di miorilassanti centrali (baclofen) ed una psicoterapia breve di supporto sono presidi terapeutici efficaci in molti pazienti (141, 142, 143). Gli analgesici narcotici non sono mai consigliabili, nè appropriati (144). Alcuni successi sono stati riportati con il trattamento chirurgico, anche se è limitato il ruolo della chirurgia nella gestione del dolore neuropatico (145). Si dovrà distinguere quest’ultimo dal dolore muscoloscheletrico che insorge secondariamente al trauma iniziale o all’intervento chirurgico;ad esempio il dolore delle spalle è comune durante la fase acuta di una tetraplegia, per cui andranno scelti ed eseguiti un insieme di esercizi specifici di mobilizzazione (136). Non è da sottovalutare la comparsa agli arti superiori di una sindrome neuroalgodistrofica, che riconosce patogenesi e trattamento in parte diversificato. SIRINGOMIELIA POST-TRAUMATICA La siringomielia è la formazione di cavità di liquido che si estendono per diversi segmenti del midollo spinale (136x). La siringomielia post traumatica è una complicanza relativamente rara ma piuttosto seria dei pazienti paraplegici e tetraplegici(136 a). La comparsa della patologia è più frequente nel primo anno dopo il trauma e nei pazien- ti con lesione toracica completa o lombare rispetto alle altre sedi di lesione(136 d 136 d1 136 d2). I meccanismi scatenanti la formazione della cisti e il suo progressivo allargamento non sono noti ma si presume che la presenza di aracnoidite e la compressione del midollo spinale così come la completa o parziale ostruzione 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso del liquido cerebro spinale nello spazio sub aracnoideo possano essere mecanismi favorenti la malattia(136 b, 136 b1) I sintomi clinici sono frequenti, comunemente è presente dolore e variazioni del livello di sensibilità specie per quelle a localizzazione centro midollare (fascio spino talamo corticale per la sensibilità termo-dolorifica) e alterazioni del trofismo dei muscoli di pertinenza delle cellule delle corna anteriori interessate dall’evento siringomielico ma qualsiasi alterazione neurologica può essere una manifestazione clinica della patologia(136 d). La diagnosi viene posta mediante l’esecuzione di una RMN (mediante scansioni assiali e sagittali pesate in T1 e T2) che mostra un’area con la stessa intensità di segnale del liquido cerebro spinale che si estende dal sito iniziale della lesione ad almeno due segmenti successivi(136d). La metà dei pazienti con deterioramento neurologico in seguito a siringomielia post traumatica non rispondono al trattamento. Alcuni studi hanno mostrato che la decompressione ed il riallineamento vertebrale precoce possono essere d’aiuto nella prevenzione della formazione della sirignomielia post traumatica(136e) anche se altri studi hanno mostrato i benefici della decompressione a distanza anche di anni dal trauma(136 f ). Sono comunque necessari ulteriori studi per definire il corretto trattamento dei pazienti con danno midollare(136F2) L’approccio chirurgico prevede oggi anche la possibilità di posizionare uno shunt teco-peritoneale incorporato ad una valvola a bassa pressione; ad uno anno dal posizionamento le risposte sono state eccellenti sia dal punto di vista del recupero delle funzioni 2339 neurologiche che sul riassorbimento della cavità (136g). Nonostante tutto la metà dei pazienti con deterioramento neurologico in seguito a siringomielia post traumatica non risponde al trattamento (Fig. 41.3A, 41.3B). Fig. 41.3A-B - Immagini RM cervico-bulbari (pesate in T1) che mostrano diffusa cavità siringomielica (frecce) interessanti anche il distretto bulbare. M.P., maschio di anni 40, paraplegico da esiti di lesione traumatica midollare occorso il 22.10.2004, ASIA A con livello neurologico T12 alla dimissione dal Dipartimento di Medicina Riabilitativa “San Giorgio” di Ferrara e completamente autonomo nelle ADL primarie e secondarie. RM vertebro-midollare negativa per cavità siringomieliche alla dimissione. Nel luglio 2007 si ripresenta allo stesso centro denunciando parestesie, deficit sensitivi ed impaccio motorio alla mano sinistra. L’esame RM effettuato il 07.08.07 evidenzia un’ampia cavità siringomielica a “rosario” che si diffonde dal distretto dorsale inferiore sede della lesione traumatica, sino al livello bulbare. Il caso richiama la necessità di una precisa valutazione del livello sensitivo ed un suo attento monitoraggio nei vari follow-up. Neuroriabilitazione 2340 Fig. 41.3A-B (segue) - Stesso caso della figura 41.2 A: RMN del tratto dorsale con cavità siringomieliche diffuse (frecce) (immagini pesate in T2). LA DISREFLESSIA O IPERREFLESSIA AUTONOMICA La Disreflessia o Iperreflessia Autonomica è una sindrome caratterizzata da un ricco corteo sintomatologico, innescato da una massiva scarica simpatico-riflessa a partenza da stimoli nocicettivi prevalentemente provenienti dalla vescica e dal retto, ma anche da altri organi in pazienti con lesione del M. S. al di sotto del metamero dorsale T6 ed al di sopra dell’emergenza dei nervi splancnici, con midollo sottostante integro(146,147). Possono essere associati ai sintomi principali e prodromici di D. A. la cefalea e l’ipertensione arteriosa, sintomi quali la sudorazione, la piloerezione, uno stato d’ansia, la tachicardia o la bradicardia.L’Ipertensione Arteriosa, se non trattata precocemente, può sfociare secondariamente in altri sintomi acuti gravi, che mettono a rischio di vita il paziente mieloleso: crisi comiziali, fibrillazione atriale vs arresto cardiaco, emorragia cerebrale o subaracnoidea o retinica, coma(148). La patogenesi della D. A. riconosce stimoli nocicettivi quali impulsi afferrenti,che entrano nel M. S. e scatenano la risposta simpatica, rappresentata dalla vasocostrizione generalizzata, dalla sudorazione e dalla piloerezione. Dopo una lesione del M. S., le risposte sono esagerate rispetto a quelle che si osservano normalmente, a causa della perdita della inibizione sopraspinale. Gli effetti sono più marcati per le lesioni al di sotto di T6, perchè c’è un coinvolgimento del letto vascolare splancnico. La vasocostrizioine determina l’ipertensione e a sua volta questa può stimolare una bradicar- 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso dia e un iperemia cutanea al di sopra della lesione (149). Poichè la D. A. è potenzialmente una minaccia di vita per il paziente medulloleso, qualora quest’ultimo lamenti cefalea o sudorazione copiosa, andrebbe controllata immediatamente la pressione arteriosa. Il riscontro di una ipertensione arteriosa richiede il posizionamento immediato del paziente dall’ortostatismo (se sta in standing) alla posizione assisa o in clinostatismo e la ricerca di un fattore scatenante della D. A., quale una distensione vescicale o rettale (150), oppure altre possibili patologie internistiche (trombosi venosa in atto, ulcere da decubito, patologia del tratto gastroenterico dall’ulcera gastrica o duodenale ad una appendicite ecc.) (151, 152). Una mancata remissione dell’episodio ipertensivo,dopo l’esecuzione delle manovre di svuotamento vescicale o rettale, richiede il trattamento urgente con un farmaco Calcio antagonista per via sublinguale, quale la nifedipina o il verapamil. Ancora nella persistenza del sintomo possono essere usati altri farmaci, quali i nitroderivati o i ganglioplegici o se necessario l ‘anestesia spinale. Abbastanza maneggevoli e molto usati, in particolare per controllare e prevenire le crisi disriflessiche a partenza vescicale per un alterato tono dello sfintere liscio, sono i farmaci alfasimpaticolitici inibitori adrenergici, che bloccano l’effetto della noradrenalina ed adrenalina impegnando i recettori alfa a livello vasale e dello sfintere liscio vescicale (fenossibenzamina e prazosina, doxazosina). La D. A. ricorrente può essere controllata con dosi regolari di agenti quali la guanetidina, cominciando con 5 mg per os pro die. La 2341 mecamilamina (non prescrivibile in Italia) è efficace se somministrata con dosi di 2.5 mg x 2 /die fin a raggiungere dosi di 0.25 mg, suddivise nella giornata. In medullolesi che manifestano copiosa sudorazione senza segni di D. A., la sintomatologia può essere prevenuta con il rilascio transdermico di scopolamina. Le indicazioni ad un trattamento chirurgico della D. A., in particolare la sfinterotomia dello sfintere liscio vescicale, persistentemente ipertonico, si verificano in condizioni ben individuate,quali: – vescica iperreflessica con marcata dissinergia vescico sfinterica resistente farmacologicamente – reflusso ureterale ed elevato rischio di infezioni renali – disreflessia autonomica acuta ricorrente. In alternativa alla sfinterotomia può essere proposta la stimolazione delle radici sacrali anteriori o l’interruzione definitiva dell’arco riflesso con una radicotomia. In realtà le indicazioni chirurgiche al trattamento della D. A. sono oggigiorno diventate eccezionali sia per gli efficaci presidi farmacologici utilizzati, ma soprattutto per le misure preventive e rieducative -riabilitative che sono precocemente messe in atto nella gestione del paziente con lesione midollare(153), che hanno consentito una drastica riduzione di incidenza della stessa fra le complicanze delle medullolesioni. Queste sono: – nursing del paziente – rieducazione vescicale – rieducazione intestinale – prevenzione dei decubiti – prevenzione in corso di manovre endoscopiche – sorveglianza internistica. Neuroriabilitazione 2342 LE ULCERE DA PRESSIONE Eziologia e fattori scatenanti Un tempo attribuite all’evoluzione naturale della paralisi(154), in seguito riconosciute nella loro unica eziologia scatenante (155, 156), le ulcere da pressione (pressure sores) fanno parte del danno terziario delle patologie vertebromieliche. Esse sono il risultato di una pressione applicata per un tempo eccessivo da due superfici dure (di cui una di solito è una salienza ossea) su un tessuto tra loro interposto. Il quadro può evolvere verso una importante perdita di tessuto, complicandosi in infezione settica, osteomielite, o fistole enterocutanee. In passato le ulcere da pressione erano una delle cause di morte nei para-tetraplegici(157). La pressione applicata(158, 159, 160) deve essere tale da chiudere i capillari o le arteriole che irrorano il tessuto, il tempo deve essere sufficiente per creare una trombosi dei piccoli vasi arteriosi seguita da un’ischemia e quindi dalla morte del tessuto(161). Facilitano l’insorgenza del decubito l’aumento del tempo di esposizione alla pressione, la presenza di oggetti comprimenti (cateteri, sonde, padelle e pappagalli, compresse di garza), la forzata immobilità della parte sottoposta alla pressione per motivi neurologici (paralisi -ove manca anche l’autoregolazione del microcircolo-, coma, obnubilamento della coscienza), per applicazione di presidi ortopedici o chirurgici (gessi, tutori, busti, letto operatorio, cinghie di contenimento), un nursing carente (oggetti dimenticati nel letto, pieghe delle lenzuola)(162). Determinante è la riduzione delle difese organiche che si manifesta nella magrezza o nell’assenza di un sufficiente pannicolo adiposo, nella disidratazione, nel ristagno di sangue venoso o della linfa, nell’ipotensione arteriosa, nell’ipoproteinemia, nella febbre settica, nelle malattie metaboliche come diabete mellito, ins. renale, iperuricemia, nella scarsa igiene del paziente con macerazione cutanea, contaminazione urinaria e fecale. Vi sono sedi di presentazione tipiche (sacro, ischio, trocantere, tallone) e meno tipiche (in corrispondenza dell’occipite, del malleolo, della testa distale del quinto metatarso, dell’articolazione delle dita dei piedi, della testa del perone, delle apofisi spinose, delle scapole, degli acromion, dei gomiti, degli zigomi, dei padiglioni auricolari). Sono insoliti i riscontri in sedi quali lo sterno (busto), le apofisi stiloidi radioulnari (palmari), l’uretra (catetere), il nasofaringe e l’esofago (SNG), la trachea (cannula tracheale o intubazione). L’applicazione della forza compressiva può agire perpendicolarmente alla superficie o con angolo di taglio, fino allo sfregamento che per l’attrito può dare quadri simili all’ustione. La forma del decubito all’inizio può ricalcare la forma dello strumento comprimente: catetere, bordo della padella, pieghe delle lenzuola. I decubiti da pressione vengono classificati per dimensione, sede, modalità d’insorgenza, forma dei bordi, stato flogistico, affondamento nella cute e piani profondi. Quest’ultimo parametro prevede un primo grado corrispondente all’eritema, un secondo grado corrispondente alla lesione dello strato epidermico e del derma (pomfi, flittene, erosione, disepitelizzazione); il terzo grado si affonda al sottocute o alla fascia muscolare. Certi autori classificano oltre a questo solo un quarto grado(157, 159), come presenza di necrosi e/o affondamento al piano osseo. Trattamento Il miglior trattamento è la prevenzione Un efficace trattamento del problema decubiti deve prevedere che in reparto e nell’organizzazione sanitaria il problema sia sentito(163). Il solo costo in giornate di degenza di pazienti allettati, inattivi a livello di trattamento riabilitativo, deve fare meditare sulla reale utilità di risparmiare sulle spese per una effica- 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso ce prevenzione (164). La prevenzione deve nascere nei reparti d’urgenza, dove si crea la maggior parte dei decubiti nei pazienti spinali. Una collaborazione aperta, efficace ed efficiente tra amministrazione, personale di assistenza e medici è presupposto indispensabile per sconfiggere questo problema sanitario ed assistenziale. La formazione in reparto di una squadra operativa costituita da un medico e da un gruppo infermieristico preparato e motivato è una garanzia per i pazienti. Il parere di questa équipe deve essere rispettato dai colleghi. Le piaghe devono assumere la stessa importanza in ambito rieducativo delle altre patologie terziarie. La sofferenza tessutale inizia non solo a livello della cute, ma nel tessuto soprastante l’eminenza ossea comprimente. L’integrità della cute non deve essere considerata assenza di lesione da compressione. Una esposizione dei presidi antidecubito è trattato altrove in quest’opera; si dispone attualmente di validi presidi che, come i letti a microsfere di ceramica(163), se correttamente utilizzati, garantiscono una pressione d’appoggio inferiore alla pressione precapillare (30-35 mmHg). Ogni altro materasso deve prevedere la regolare rotazione del paziente di almeno 30 gradi dalla posizione supina, almeno ogni 2 ore se vi sono condizioni di normale trofismo tessutale, idratazione e temperatura. Va evitato l’uso sulla cute di prodotti contenenti alcool (acqua di colonia o altri profumi); creme idratanti, vasellina filante e l’olio d’oliva possono più efficacemente mantenere l’elasticità e l’idratazione cutanea. L’igiene nel letto ha la massima importanza. Un registro-calendario di tutti gli strumenti potenzialmente capaci di dare decubito (cateteri, sonde n.g., cannule tracheostomiche, ortesi, contenitori a sacca per le urine ecc.) può migliorare il nursing. Il trattamento dei decubiti è conservativo e chirurgico. La chirurgia plastica provvede a riparare le lesioni difficilmente guaribili con cure conservative, oltre ad abbreviare notevolmente i tem- 2343 pi di ripresa delle attività funzionali del paziente. Nelle lesioni destinate a lunghissimi trattamenti conservativi è quindi ipotizzabile, dove possibile, un intervento ricostruttivo con lembo fasciocutaneo o, come ultima risorsa, miocutaneo. La terapia conservativa si avvale innanzitutto della continua osservazione del corpo del paziente e della possibilità di scaricare completamente il peso della parte offesa, variando la postura, o creando scarichi alla compressione agendo sulle parti vicine con ampi cuscinetti in materiale diverso (gommapiuma, poliuretano, materiali siliconici, cuscini d’aria ecc.). L’applicazione di ausili per le pratiche sfinteriche (pappagalli e padelle) deve essere considerata a rischio di lesione cutanea, e limitata al tempo minimo indispensabile. La medicazione delle piaghe deve permettere all’organismo di rispondere in senso riparativo al meglio delle possibilità. Non è credibile che la velocità di crescita del tessuto possa essere significativamente influenzata dall’uso di medicamenti locali. La validità dei prodotti commerciali deve essere definita sullo specifico meccanismo d’azione. Considerando le zone necrotiche come il principale inibitore della crescita del tessuto di granulazione, a parte la toilette chirurgica che deve essere effettuata appena possibile, l’uso di prodotti proteolitici è utile per completare la pulizia della piaga. Un protocollo di trattamento conservativo si articola in due fasi principali. La prima fase prevede la sterilizzazione, pulizia dalle zone necrotiche, ottimizzazione della situazione nutrizionale e di sanguificazione del paziente. Viene definita l’organizzazione delle posture, il tipo di letto, l’uso della barella da prono per gli spostamenti, la necessità dei presidi per ridurre la pressione d’appoggio. Viene valutata l’opportunità di variare il tipo di gestione vescicale (catetere a permanenza temporaneo) e le pratiche per il ricondizionamento intestinale se vi è incontinenza sfinterica. Possono essere necessarie più medicazioni al giorno. I famigliari entrano attivamente nel programma, se disponibili, per aiutare nella gestione degli spostamenti. Neuroriabilitazione 2344 La seconda fase presuppone che il decubito sia in fase di miglioramento. Si valuta la possibilità di conciliare lo scarico posturale con la carrozzina e le necessità della rieducazione funzionale. Si rivaluta l’alimentazione e l’idratazione. La medicazione tende a conservare l’asepsi ed il grado di umidità ideale per la crescita del tessuto. L’utilizzo di medicazioni occlusive è definito dal regolare campionamento del fondo del decubito con tampone e coltura delle colonie batteriche, se presenti. La presenza o anche solo il sospetto di inquinamento del decubito porta all’utilizzo di una medicazione disinfettante in attesa dell’esito dell’antibiogramma. La terapia antibiotica è somministrata, in rapporto al caso specifico, per via generale e per via locale. In fase di avanzata riepitelizzazione viene favorita l’esposizione della lesione all’aria. La chirurgia plastica può essere un valido ed efficiente rimedio alla presenza di ulcere da pressione. Non deve mai essere considerata materasso della nostra impreparazione. ASPETTI FUNZIONALI DELLA RIABILITAZIONE RISULTATI FUNZIONALI ATTESI La definizione dei risultati funzionali attesi nel mieloleso è frutto di una prognosi fisiatrica che tiene conto di diversi elementi(165, 166). In fase acuta (shock spinale) è possibile prospettare le linee di evoluzione della lesione tenendo conto dei seguenti elementi(165): – condizioni generali del paz.; in particolare per i politraumatizzati concomitanza di trauma cranico, toracico, addominale. – entità del danno subito: danno scheletrico e/o lesioni associate – lesione midollare: completa o incompleta – livello di lesione mielica completa (per questa determinazione si considera il mielomero più basso completamente innervato) In fase post-acuta (riabilitativa) il tipo di lesione midollare, completa o incompleta, è un elemento discriminante. I risultati funzionali in caso di lesioni incomplete sono difficilmente prevedibili in quanto dipendono da diversi fattori(166, 167, 168): – condizioni cliniche, – estensione della lesione midollare – tempo di ripresa dalla funzione midollare – presenza o meno di spasticità I programmi riabilitativi devono mantenersi flessibili in modo da potersi adattare ai cam- biamenti delle condizioni neurologiche del paz. e richiedono una corretta personalizzazione degli obiettivi individuati. Per il raggiungimento degli stessi è importante suscitare nel paziente spinte motivazionali(166e) aggiornando il quadro clinico perché il progetto riabilitativo sia corrispondente all’entità del danno e della disabilità che ne consegue(166f ). I risultati funzionali in caso di lesioni complete sono più facilmente individuabili. Per lesioni a diverso livello midollare, in base ai deficit sensitivi e motori, si possono rilevare indici di funzionalità residua e definire così i risultati funzionali attesi che sono riportati nella Tabella 41.2 e nella Tabella 41.3(165, 166, 169). Il massimo traguardo funzionale che ogni paz. può raggiungere è influenzato da una serie di fattori, legati all’individuo e all’ambiente. Fattori legati all’individuo: – età – dimensioni fisiche (peso, statura) – ortesi per il rachide o per gli arti (es. SOMI brace, KAFO) – spasticità (incontrollabile o viceversa contenibile) – limitazioni articolari – variazioni individuali nell’innervazione segmentale 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso 2345 Tab. 41.2 - Vedi testo. Uso della carrozzina Trasferimenti Trasporto Cammino C3-C4 dipendente o indipen- dipendente dente in carrozzina elettrica a comando dal capo indipendente in carrozzina elettrica a comando dal capo non realizzabile dipendente C5 indipendente in carroz- con aiuto zina elettrica a comando dal capo o manuale idem idem C6 indipendente in carroz- potenzialmente indi- idem zina manuale con cer- pendente con ausilii chioni adattati (tavoletta, ecc.) indipendente con sistemi di guida adattati C7 indipendente in carroz- indipendente ad ec- idem zina manuale cezione dei trasferimenti da e per il pavimento idem, in grado anche di posizionare la carrozzina in auto C8-T1 idem indipendente con tutori di tronco e arti idem inferiori e con ausilii per gli arti sup, cammina in palestra o a casa T2-T10 idem idem idem, può camminare idem anche all’esterno T11-L2 idem idem con tutori per gli arti inf. e idem ausilii per gli arti sup. L3-S3 idem idem cammino funzionale, con possibile la guida anausilii per gli arti sup., che senza sistemi con o senza tutori adattati Tab. 41.3 - Vedi testo. Alimentazione Abbigliamento Igiene Cura personale C3-C4 dipendente dipendente C5 con aiuto con ausilii con aiuto per la parte dipendente o con aiuto indipendente con ausili sup. del corpo per la parte sup. del corpo C6 indipendente con ausi- indipendente per la indipendente per la parte idem lii parte sup., con aiuto sup. con ausilii, con aiuto per la parte inf. per la parte inf. C7 idem idem o indipendente indipendente per la parte idem con ausilii sup., con ausilii per la parte inf. C8-T1 indipendente indipendente idem indipendente T2-T10 idem idem indipendente idem T11-L2 idem dem idem idem L3-S3 idem dem idem idem dipendente dipendente Neuroriabilitazione 2346 – lesioni associate e/o complicanze (es. paraosteopatie, trauma cranico) – motivazione e aspirazioni del soggetto Fattori ambientali: – sostegno familiare e di persone significative – stile di vita precedente – condizioni economiche e lavorative – servizi territoriali(165, 166). I fattori legati all’individuo e all’ambiente risultano determinanti per il livello di funzionalità che ogni paz. può raggiungere, a parità di livello lesionale. CONDOTTE IN FASE ACUTA Le priorità in questa fase sono rappresentate soprattutto dalla prevenzione delle piaghe da decubito, delle complicanze respiratorie e dell’instaurarsi di pericolose retrazioni tendinee che potrebbero portare in seguito a limitazioni articolari e deformità. In questo periodo, inoltre, inizia il monitoraggio clinico (condizioni generali, pressione arteriosa, stato nutrizionale, circolo venoso e arterioso agli arti inferiori, trofismo cutaneo, condizioni psicologiche), neurologico (sensibilità, esame muscolare, attività riflesse, funzioni sfinteriche, inquadramento ASIA) e funzionale (valutazione nelle ADL) delle condizioni del paziente. Vengono iniziate alcune attività di vita quotidiana tra le più semplici come la alimentazione, l’igiene del viso o delle mani o del cavo orale, sempre in dipendenza della gravità e del livello di lesione, e si informa il paziente ed i suoi familiari di quello che sarà il programma rieducativo. FUNZIONE RESPIRATORIA IN FASE ACUTA Soprattutto, ma non solo, nei casi di tetraplegia e nelle lesioni mieliche dorsali alte, in cui si associa la paralisi dei muscoli addominali a quella degli intercostali, la funzionalità respiratoria viene cospicuamente limitata e viene richiesta una grande attenzione per il mantenimento di una adeguata funzione ventilatoria. Innanzitutto è necessario esaminare la funzione respiratoria sia clinicamente che stru- mentalmente tramite spirometria per poi ripetere periodicamente le valutazioni monitorando le modificazioni di parametri importanti come il volume corrente e la capacità vitale. Solo in casi di importante compromissione respiratoria può rendersi necessaria la valutazione emogasanalitica. Per combattere il ristagno delle secrezioni bronchiali e facilitare la espettorazione si usano tecniche di vibrazione, percussione e drenaggio posturale con aiuto meccanico (compressione addominale) nella espettorazione. Se necessario vengono usati fluidificanti e mucolitici delle secrezioni, strumenti di ventilazione a pressione positiva, strumenti che favoriscono il distacco delle secrezioni dalle pareti dei bronchi. Ancora in caso di necessità viene eseguita anche la broncoaspirazione dei secreti stagnanti. Per incrementare la capacità vitale del paziente si esegue una specifica cinesiterapia di rinforzo del diaframma e dei muscoli accessori respiratori residui anche tramite l’uso di ministrumenti che oppongono resistenza al transito dell’aria in inspirazione o in espirazione, oppure con la spirometria incentivante. Importante è raggiungere velocemente la postura seduta e una periodica e regolare evacuazione dell’alvo, situazioni facilitanti entrambe la dinamica diaframmatica. PREVENZIONE DELLE RETRAZIONI ARTICOLARI Al fine di evitare l’instaurarsi di deformità articolari sono importanti sia un corretto posi- 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso zionamento del paziente che la mobilizzazione precoce dello stesso. Un corretto posizionamento del tronco e degli arti del paziente, inoltre, previene il formarsi delle piaghe da decubito.Il paziente viene di norma posizionato supino e di fianco e la sua posizione viene cambiata di frequente. Di grande aiuto l’uso di cuscini antidecubito al letto, o nel caso di tetraplegici, di letti speciali antidecubito. Il posizionamento dei quattro arti, del collo e del tronco viene ottenuto con l’aiuto di cuscini o ausilii di posizionamento utili allo scopo. La mobilizzazione articolare deve iniziare già dalla fase dell’emergenza. I movimenti articolari eseguiti sono lenti, ripetuti, atraumatici, tesi a conservare il più possibile l’escursione articolare, possibilmente eseguiti in assenza di sensazioni dolorose. LE ADL IN FASE ACUTA Al momento dell’ingresso del paziente viene eseguita, subito dopo l’inquadramento ASIA, una valutazione delle capacità funzionali tramite adeguate scale (FIM, Barthel, VFM, SCIM, o altro). 2347 Al più presto si stimola il paziente ad iniziare ad occuparsi di sè stesso. Nel tetraplegico è importante subito fornirlo di ausili idonei come il campanello a soffio (nelle gravi lesioni) o sensibile al tocco, il leggio girapagine per leggere, gli occhiali prismatici per vedere restando sdraiati. Per l’alimentazione del tetraplegico qualora possa mantenere la posizione seduta, si usano posate con adeguate impugnature in grado di consentirgli di compiere da solo almeno alcune delle fasi della alimentazione. Nel caso del paraplegico vengono iniziate precocemente alcune più semplici attività quali il lavarsi le mani ed il viso, pettinarsi, lavarsi i denti, mangiare e bere da solo. Utile sarebbe il poter disporre di una serie di strumenti (televisione, radio, chiusura ed apertura porte e finestre,accensione e spegnimento luci e così via) comandabili tramite controllo ambientale computerizzato specie nel caso di pazienti tetraplegici. Ancora nel paziente tetraplegico l’abilità funzionale dell’arto superiore può venire incrementata, in questa fase, tramite la sospensione dell’arto potendo compiere alcuni movimenti senza dover vincere il peso dello stesso. FASE RIABILITATIVA ARTICOLARITÀ E FUNZIONE Il mantenimento di una normale escursione articolare è molto importante nel para e nel tetraplegico e per provvedere a ciò è sicuramente necessaria una frequente valutazione della condizione delle principali articolazioni dei quattro arti e del rachide. Per ottenere ciò si eseguono continue e attente, nonchè precoci, manovre di mobilizzazione articolare e trattamenti di allungamento tendineo tramite stiramento, comunemente definite come stretching muscolare. L’evoluzione della sofferenza midollare conduce, dopo un fase di shock spinale caratterizzata da flaccidità, alla fase di ipertono che si esprime con il sintomo spasticità; rari sono i casi di persistenza della flaccidità. L’intensità delle condotte riabilitative va rapportata al controllo della componente ipertonica muscolare affinché, per fenomeni di irradiazione, non risulti di disturbo all’esercizio. In questa ottica vanno adottate posture inibenti di rilassamento e stretching muscolare. Condotte particolari vengono adottate allorché l’incremento del tono muscolare è espressione di una esagerata attività cutaneoriflessa conseguente a stimoli tattili e/o nocicettivi che vanno attentamente considerati. Lo stretching muscolare viene eseguito soprattutto a carico di alcuni gruppi muscolari, in quanto la retrazione di questi inciderebbe 2348 profondamente sulle capacità funzionali del paziente riducendone la autonomia. Nel paziente con lesione cervicale va garantito il mantenimento delle escursioni articolari di tutte le articolazioni che concorrono alle fasi inspiratorie ed espiratorie per ovviare alla rigidità delle articolazioni sterno-claveari, costoclaveari, costo-vertebrali e soprattutto della rieducazione funzionale della articolazione scapolo-costale per contrastare anche l’atteggiamento espiratorio post-allettamento. Sono previsti esercizi che, nel rispetto della stabilità del rachide traumatizzato, prevedono anche la postura prona, assumendo la quale, per persone con lesione cervicale, è importante tener conto dell’insorgere di possibili stimoli vagali correlati alla pressione dei globi oculari o dei seni carotidei, in una situazione che già contempla, per il livello lesionale, un possibile ipertono vagale. Nell’assumere la posizione prona, con appoggio fronte fuori dal letto, deve essere garantito l’allineamento dei segmenti del rachide evitando l’iperestensione del tratto cervicale (169b,169c). Nel tetraplegico, per consentire il migliore espletamento di attività quali quella del trasferimento sulla carrozzina, la spinta della carrozzina, attività in cui è indispensabile una buona estensione di spalla, si provvede ad un selettivo stretching del muscolo grande pettorale. Concomitante al recupero articolare ottenuto attraverso la mobilizzazione passiva, viene posta particolare attenzione al rinforzo dei muscoli sovralesionali e dei muscoli addominali laddove questi risultino elicitabili. Il ricorso a contrazioni isometriche dei muscoli sovralesionali è particolarmente adottato perché garantisce una maggior tutela del rachide traumatizzato e prelude all’abbandono di ortesi (collare-corsetti) qualora siano state adottate. In particolare il rinforzo dei muscoli addominali, in posizione di long-sitting e/o in posizione seduta a ginocchia flesse, precede le attività di controllo del tronco, premessa indispensabile per le autonomie nelle AVQ, nei trasferimenti dalla carrozzina ed alla successiva verticalizzazione. Un momento importante di questa fase è caratterizzato dagli esercizi di sollevamento del bacino con l’appoggio degli arti superiori propedeutico ai trasferimenti. Neuroriabilitazione All’arto inferiore il costante stretching dei flessori di anca e del tricipite surale, evita retrazioni degli stessi (frequenti nel mantenere per lungo tempo la postura seduta) che limiterebbero la possibilità di mantenere la postura eretta e di utilizzare ortesi per il cammino. Inoltre retrazioni in flessione dell’anca limiterebbero sino a renderli difficoltosi, attività quali i trasferimenti o i rapporti sessuali. Nelle lesioni midollari verificatesi in età giovanile ad accrescimento osseo non ancora concluso, il rischio di deformità strutturate del rachide è più elevato rispetto alla popolazione di pari età non mielolesa(169d). In questa prospettiva vanno adottate condotte posturali e rieducative finalizzate alla prevenzione delle deformità sia sul piano frontale che sagittale(169e). L’obiettivo della verticalizzazione consiste nel garantire il carico per prevenire distrofie ossee, per un miglioramento delle funzioni connesse alla peristalsi e per ricondizionare il sistema cardio-circolatorio. Il ritorno venoso in questa circostanza è favorito dall’impiego di calze elastiche agli AA.II. Il concomitante impiego di una fascia elastica addominale agevola la fase espiatoria: è importante adattarla con opportuna tensione elastica che non ostacoli la fase inspiratoria. La verticalizzazione è raggiungibile adottado un letto di statica e va ricercata con precocità, gradualità e costante monitoraggio della P.A. e della F.C. del paziente per possibili episodi di ipotensione più frequenti nelle prime fasi di verticalizzazione. Il mantenimento della postura eretta tramite lo standing e l’uso eventuale di successive ortesi per il cammino continua l’azione di conservazione delle escursioni articolari funzionali del ginocchio e dellla caviglia. Anche i muscoli ischiocrurali e spesso i muscoli della regione vertebrale lombare tendono a retrarsi se non opportunamente allungati e rendono spesso viziata la posizione seduta imponendo carichi anomali vertebrali, secondarie deviazioni vertebrali, instabilità nella posizione seduta con difficoltà nel corretto uso degli arti superiori soprattutto nel tetraplegico. È indispensabile conservare la articolarità migliore dell’anca per consentire al paziente 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso paraplegico di vestirsi la parte inferiore (dall’indossare calze, slip e pantaloni) di indossare le calzature, di poter vestire i tutori tipo K.AF.O. e poterli correttamente utilizzare. In casi particolari, in cui le retrazioni tendinee e articolari si sono già verificate o per gravi squilibri di tono muscolare, può rendersi necessario intervenire chirurgicamente con tenotomie di allungamento o tenodesi-artrodesi cercando di ripristinare una situazione articolare funzionale. IDROTERAPIA L’idroterapia risulta uno strumento efficace per contenere situazioni di dolore, di spasticità e di tendenza alle retrazioni muscolo-capsulotendinee. Si ricorre a questo strumento terapeutico allorché il paziente è in buon compenso cardio circolatorio, non ha patologie cutanee, il neurointestino e la neurovescica risultano bilanciati. La ridotta risposta dei muscoli antigravitari tipica dell’idroterapia favorisce tutte le condotte kinesiterapiche volte al rinforzo muscolare con maggior selettività sui muscoli ipostenici enfatizzando la loro attività e concorre nel ridurre l’azione dei muscoli antagonisti al movimento ricercato. Nei pazienti candidabili alla locomozione costituisce un notevole rinforzo per l’esercizio locomotorio anche da un punto di vista psicologico e motivazionale. La temperatura idonea è compresa tra i 30-34 gradi C. (169f, 169g, 169h) FUNZIONE DELLE MANI Gran parte del trattamento riabilitativo nel tetraplegico è volto al recupero della funzione delle mani, rinforzando da un lato la muscolatura deficitaria e contrastando dall’altro lo squilibrio muscolare. La chirurgia e il trattamento elettrico(170b, 170c) prospettano una funzionalità sicuramente più ampia e migliorativa dell’arto superiore 2349 rispetto a quella raggiungibile con l’approccio conservativo classico che porta alla formazione della mano funzionale(170d). Tuttavia quest’ultimo diviene di fatto l’approccio più importante per l’arto superiore del tetraplegico in quanto rappresenta una premessa necessaria ai trattamenti innovativi. Infatti i requisiti richiesti per l’approccio chirurgico ed elettrico sono sovrapponibili con una unica variante relativa al tempo intercorso dal momento del trauma che risulta maggiore per la protesi elettrica impiantabile (12-24 mesi). Il paziente deve raggiungere la massima funzionalità ed il massimo recupero motorio compatibile con il livello lesionale.Di conseguenza un buon approccio rieducativo diventa importante. Questo comporta una variazione della visione riabilitativa del tetraplegico investendo l’intera equipe riabilitativa di responsabilità maggiori(170e). Se prima con il trattamento conservativo classico terminava il lavoro della intera équipe e il paziente rientrava definitivamente a domicilio, ora inizia il cammino per il recupero funzionale dell’arto superiore e la conclusione del percorso riabilitativo diviene posticipata. Se il lavoro specifico sull’arto superiore non viene portato avanti mantenendo una completa articolarità senza retrazione capsulo-legamentose con il raggiungimento della massima funzionalità possibile, viene precluso qualsiasi altro tipo di approccio innovativo. Il posizionamento dell’arto superiore Come, quando e quanto(170f ) posizionare l’arto superiore è divenuto ormai patrimonio comune degli operatori delle Unità Spinali impegnati nel comune scopo di garantire una buona funzionalità all’arto superiore del paziente tetraplegico Tabella 41.1. In questa progettualità vengono coinvolte tutte le figure della équipe riabilitativa ciascuna per la propria competenza(170g). Al fine di evitare stiramenti capsulari (170h) al comparto anteriore della spalla e mantenere l’arto superiore in scarico si utilizza in cuneo in materiale morbido con la parte bassa posta sotto la spalla. Si alterna Neuroriabilitazione 2350 – rotazione esterna/supinazione – rotazione interna/pronazione – abduzione Occorre evitare retrazioni al bicipite soprattutto in caso di ipertono. Il posizionamento della mano (Tab. 41.4) richiede un maggior impegno da parte degli operatori impegnati sia nell’utilizzo di materiali diversi sia nella vigilanza al fine di evidenziare alterazioni cutanee sia da pressione che da macerazione. Anche durante le manovre di igiene occorre evitare lo stiramento passivo dei flessori delle dita per non compromettere la formazione della mano funzionale. Nei casi nei quali questo progetto è attuabile il posizionamento viene logicamente abbandonato quando si è raggiunto lo scopo. Nelle lesioni incomplete (170i), attualmente sempre più in aumento, si può assistere ad un passaggio veloce da un livello di lesione ad un altro anche nel giro di pochi giorni. Tuttavia questo non esonera gli operatori dall’adottare il posizionamento che varierà con il mutare delle condizioni motorie sia nella tecnica che nella tempistica lasciando spazi liberi per l’allenamento dei muscoli attivi presenti. Una corretta valutazione della funzione delle mani nel tetraplegico deve tenere conto dell’arto superiore inteso come insieme di unità funzionali(171). – mano: funzione = manipolare unità funzionale = avambraccio, polso, dita – spalla-gomito: funzione = spostare a velocità variabile e utilizzare le articolazioni di polso e mano in posizioni prestabilite unità funzionale = articolazione scapoloomerale e articolazioni connesse, articolazione omero-ulnare Tab. 41.4 - Vedi testo. Livello C1-C3 Strumento Scopo Ortesi volare lunga Prevenzione delle contratture Polsiera volare o Formazione mano dorsale rigida ce- funzionale passiLesioni Incom- rotto di carta va o attiva plete paragonabili C4-C6 C6-C7 Cerotto di carta Ortesi in cuoio Formazione mano funzionale attiva Metodo Polso: 30° estensione Arco 24ore Dita: 90° fless. metacarpofalangea 0° interfal. pross. e dist. Pollice: 0° metacrpofal. ed interfal. Polso: 30° estensione Arco 24ore Dita: 90°flessione metacarpo-falan.e Polso forza 3 posiinterfalangee prossimali zionamento notturno 0° interfalangee distali Pollice: 0°-30° flessione metacarpo-falan. 0°interfalangea Polso: libero Dita: come sopra Lesioni incomplete paragonabili C8 con flessori Cerotto di carta dita forza inferiore a 3 Lesioni incomplete paragonabili Tempo Arco 24 ore Polso forza 3 posizionamento notturno Formazione mano funzionale attiva Polso libero Dita: come sopra Arco 24 ore 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso Ogni unità funzionale, per mantenersi tale, dovrà conservare una sufficiente escursione articolare (166, 168, 170, 77). Gli strumenti a disposizione per ottenere e/o mantenere questo risultato sono rappresentati da: – trattamento fisioterapico: posizionamento, mobilizzazione, stretching – trattamento farmacologico contro l’ipertono – ortesi, che possono essere statiche o dinamiche. Le ortesi statiche assolvono da un lato a compiti di igiene posturale, cioè di prevenzione e/o correzione di deformità (es. docce in gommmapiuma) dall’altro mediante stabilizzazione articolare, all’utilizzo funzionale di movimenti residui. Le ortesi dinamiche facilitano una determinata funzione, mediante l’assistenza o la sostituzione di un’azione muscolare o mediante la stabilizzazione articolare (es. splint di stabilizzazione del polso in estensione per facilitare la flessione delle dita). Spesso si ricorre ad ortesi miste, che assolvono a compiti statici e dinamici(168, 77). Le ortesi statiche per l’arto sup. possono essere prefabbricate, su misura e possono essere costituite da diversi materiali: metallo, resina, tessuto, termoplastica, cerotto di carta, gommapiuma ecc. Le ortesi dinamiche permettono e favoriscono il movimento. Questo movimento è attivato dal paz. e/o da forze esterne (es. forza di gravità, elastici). La più comune ortesi dinamica di polso (ortesi semplice di mano) si basa sull’effetto tenodesi. L’effetto tenodesi consente di ottenere la flessione delle prime 3 dita tramite l’estensione attiva del polso permettendo così una presa sul pollice tipo Key grip(77). È necessario che l’estensore radiale del carpo abbia una forza sufficiente per ottenere l’opposizione del pollice all’indice e alle dita lunghe. Lo splint è disegnato in modo tale che anche una debole estensione attiva del polso determini la flessione passiva dell’indice e del medio(171, 77, 173). 2351 Le ortesi possono infine essere utilizzate per simulare i risultati di un intervento chirurgico e fornire nuovi dati per guidare la scelta chirurgica(174) ADDESTRAMENTO PER I TRASFERIMENTI Il programma di addestramento per i trasferimenti va inserito nell’iter riabilitativo del paz, in correlazione ai traguardi che vengono via via raggiunti. Ad ogni livello di lesione completa corrisponde un risultato funzionale atteso - vedi tabella 1-che condiziona lo svolgimento di una attività in modo(165,166): – autosufficiente – con supervisione – con aiuto – dipendente. Il raggiungimento di un determinato risultato funzionale è condizionato dai seguenti elementi(166, 169): • tipo di lesione completa o incompleta, livello di lesione • limitazioni articolari • variazioni del tono muscolare (ipertono o ipotono) • rapporto tra dimensioni corporee e forza muscolare residua • problemi internistici (cardiopatie, ipotensione...) • aspetti attitudinali • grado di assistenza disponibile da parte di altre persone Ogni trasferimento proposto deve tener conto di(175): – tempo di esecuzione – sicurezza – dispendio minimo di energia – rispetto delle norme di prevenzione (es. lesioni cutanee da attrito; stiramenti tendinei o capsulari) L’esecuzione di queste attività è basata su alcuni principi elementari: 2352 – sequenzialità dell’azione – esecuzione di un compito complesso tramite la sua scomposizione in unità semplici – allenamento dei gruppi muscolari negli schemi in cui saranno utilizzati per l’esecuzione dei trasferimenti – utilizzo di compensi, realizzati atttaverso il ricorso a • peso, • inerzia, • sostituzioni funzionali (es. utilizzo dello slancio in avanti delgli arti sup. per passare dalla posizione semiseduta alla posizione seduta). Il programma di addestramento ai trasferimenti prevede le seguenti attività(166): – mobilità a letto, cioè passaggio sul fianco, passaggio prono-supino e viceversa, spostamento verso la testata e verso il fondo del letto – trasferimenti di base, cioè dalla carrozzina al letto, al wc, alla doccia, alla vasca da bagno, e viceversa – trasferimenti avanzati, cioè in automobile con posizionamento della carrozzina; da e verso il pavimento, da e verso piani d’appoggio più alti e più bassi della carrozzina, – uso funzionale della carrozzina, cioè autospinta su terreni piani, sconnessi, in salita, in discesa, resistenza su lunghe distanze, superamento di ostacoli, gradini. Il grado di autosufficienza raggiunta condiziona la necessità o meno di assistenza da parte di familiari, amici o operatori. In caso di non completa autosufficienza o di completa dipendenza occorre provvedere alla preparazione degli assistenti da un lato,e dall’altro del paz. stesso che deve essere in grado di dare le istruzioni necessarie a chi lo assiste. ATTIVITÀ DI VITA QUOTIDIANA Una parte importante del trattamento rieducativo del mieloleso è costituita dal training nelle attività di vita quotidiana (AVQ). Ovviamente occorre specificare che esiste una stretta relazione tra il livello delle lesione mielica e la possibilità funzionale residua del paziente. Neuroriabilitazione L’addestramento nelle attività di vita quotidiana è particolarmente complesso ed intenso nel caso del paziente tetraplegico, in cui l’uso degli arti superiori ed il controllo del tronco sono compromessi talvolta anche in notevole misura. Nelle lesioni spinali le principali attività che vengono testate e proposte al paziente riguardano i seguenti ambiti: – la cura della persona (nutrirsi, lavarsi, vestirsi, igiene personale) – il controllo sfinterico (vescica ed alvo) – la mobilità (trasferimenti dal letto alla carrozzina o sul water o nella vasca o nella doccia o sull’automobile; cammino o uso della carrozzina). Nei casi di lesioni mieliche cervicali complete di livello alto (soprattutto da C6 in su) in gran parte delle attività suddette sarà necessario l’intervento di un assistente che materialmente e cospicuamente aiuti il paziente (ad esempio nel lavarsi, nel vestirsi, nei trasferimenti, nella spinta della carrozzina, nella gestione sfinterica). L’uso di vari ausili o di dispositivi specifici che compensino i deficit di mobilità e di funzione (dal gira pagine, a posate e bicchieri adattati, carrozzina elettrica, dispenser di sapone liquido o di dentifricio, chiusure a velcro per abiti o calzature e così via) rappresentano una arma in più nell’ambito del recupero funzionale. Per quanto riguarda il paraplegico, tutte le attività risultano più semplici da affrontare e il training viene iniziato molto più precocemente e in modo più completo Alcune attività vengono iniziate prestissimo, e tra queste sicuramente il nutrirsi, il lavarsi ed il vestirsi almeno in parte, mentre altre si affrontano quando vi sono condizioni di sicurezza (ad esempio la stabilità della colonna traumatizzata) o comunque più tardi come il bagno, i trasferimenti sulla carrozzina, la deambulazione con tutori). La gestione sfinterica nel paraplegico è ottenuta, eccetto rarità, dopo specifica educazione del paziente, affidandola al solo paziente che in prima persona provvede alle manovre necessarie (dalle battiture sovrapubiche all’esecu- 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso zione dei cateterismi vescicali ad intermittenza, alle manovre per l’evacuazione dell’alvo). Riassumendo, nel paraplegico, anche se non tutte le attività di vita quotidiana possono iniziare subito in fase acuta, il raggiungimento della autosufficienza in queste è uno dei principali obiettivi raggiungibili dell’intero programma rieducativo, mentre nel tetraplegico l’autonomia nelle AVQ è sempre parziale e riguarda in genere le attività più semplici. A seconda del campo di utilizzo, è possibile suddividere gli ausilii per tetraplegici per le AVQ nelle seguenti categorie (169, 170, 171, 172, 176). Alimentazione cinturini posate-bicchieri-piatti adattati impugnature superfici antisdrucciolo cannucce Igiene della parte superiore del corpo dispensatore di sapone e dentifricio impugnature per spazzolini guanti o spugne adattate impugnature per rubinetti Cura della persona impugnature per pettini, rasoi, accessori per il trucco taglia-unghie Bagno o doccia impugnatura per doccia flessibile sedia per doccia o vasca spazzole con impugnature Abbigliamento abiti adattati chiusure lampo adattate chiusure in velcro o con bottoni a pressione pinze LA CARROZZINA La scelta della carrozzina è un compito complesso. Chi prescrive la carrozzina deve essere a conoscenza dei modelli reperibili sul mercato, con i vari accessori e optionals. 2353 Il paz. è un soggetto attivo nella scelta di questo strumento che risponde alle reali necessità della vita sua quotidiana e consente la realizzazione dei suoi obbiettivi (es. scelta della carrozzina elevatrice per esigenze di lavoro). A questo scopo il paz. deve avere la possibilità di provare la carrozzina prima della prescrizione(175). Gli elementi guida nella scelta della carrozzina sono i seguenti(165, 175, 177, 178, 179): – quadro motorio – età – sesso – proporzioni corporee – complicanze (limitazioni articolari, cifosi, scoliosi ecc) – ambiente d’utilizzo (terreni sconnessi, salite, trasporto ecc) – aspettative occupazionali (tipo di lavoro, studio ecc.) – necessità o meno di accompagnatore – fattori estetici – tipo di manutenzione – modalità di ottenimento (presidio fornito dal SSN o no) – disponibilità economica. Di prioritaria importanza è la valutazione del rapporto tra aspetto antropomorfo del paziente e dimensione-assetto della carrozzina, in quanto la carrozzina rappresenta il primo sistema di postura(180, 181, 182). La scelta degli optionals è determinante nelle tetraplegie in quanto può influenzare il grado di indipendenza del paz. (es. sistema di sbloccaggio delle spondine, cerchioni adattati). Nelle tetraplegie con livello lesionale alto la carrozzina elettronica rappresenta l’unico strumento che permette l’autosufficienza nella mobilità. Le carrozzine elettroniche(175,179) permettonono scelte differenti in base a: – tipo di comando, azionato da: spalla,polso, mano, mento, lingua, soffio ecc. – possibilità di cambiamento di postura: schienale reclinabile e poggiapiedi rialzabili, schienale e sedile con grado di inclinazione variabile ecc – potenza – ambiente di utilizzo previsto. 2354 I modelli più sofisticati consentono la gestione di tutte le funzioni della carrozzina da parte del paz., compreso il gonfiaggio dei pneumatici. È possibile interfacciare la carrozzina a un sistema di controllo ambientale (2, 11). Neuroriabilitazione occorre prendere in considerazione l’utilizzo di un sistema di postura(175, 182, 186). Un sistema di postura può essere deputato a: – correggere un atteggiamento scorretto dal punto di vista articolare – contenere una deformità articolare – prevenire l’instaurarsi di deformità articolari e di lesioni cutanee. Postura in carrozzina Un posizionamento corretto e precoce in carrozzina garantisce (175): – migliore funzione respiratoria e alimentare – benessere – possibilità di mantenimento della posizione seduta per periodi di tempo prolugati senza necessità di periodi di riposo a letto – controllo ambientale – prevenzione dell’insorgenza di deformità, specie in età evolutiva (cifosi, scoliosi) – prevenzione dell’insorgenza di piaghe da decubito – utilizzo ottimale delle capacità motorie residue – migliore immagine di sè. Per rispondere a questi requisiti occorre innanzitutto che nella scelta della carrozzina si rispettino i seguenti parametri di base (175, 181, 183, 184, 185): – larghezza del sedile: distanza fra bacino e protezione laterale che consente il passaggio della mano di taglio – profondità del sedile: distanza di circa 8 cm. tra tra bordo anteriore del sedile e cavo popliteo – altezza dello schienale: 3 cm sotto l’angolo inferiore della scapola – altezza e posizione delle pedane: tale da garantire un angolo di 90° tra coscia e bacino, tra gamba e coscia, tra piede e gamba – angolo di inclinazione tra schienale e sedile: in correlazione alla linea orizzontale. Nelle tetraplegie alte può essere necessario adottare uno schienale alto, reclinabile, con appoggiatesta. Qualora il posizionamento non fosse adeguato nonostante la scelta di una carrozzina idonea, È costituito da sedile e schienale, separati o uniti. Può essere di serie o modellato direttamente sul paz. Nella messa a punto di un sistema posturale gioca un ruolo fondamentale la possibilità di farlo provare al paziente. Ultimo, ma spesso determinante nella scelta, è l’aspetto economico(166). DEAMBULAZIONE CON ORTESI Un cammino che risulti valida alternativa all’impiego della carrozzina, per pazienti paraplegici dorsali, acquista significato allorché si ricerca da un lato la soddisfazione delle esigenze locomotorie e dall’altro l’attuazione della prevenzione di patologie associate alla postura seduta prolungata. La proposta del cammino al paziente paraplegico non può porsi come solo obiettivo il raggiungimento dell’avanzamento del proprio corpo nello spazio avvicinandosi il più possibile ad una sequenza cinematica propria del passo normale: nessun tutore attualmente soddisfa appieno questa esigenza e spesso il paziente soffre amare delusioni allorchè si candida in questo modo alla scelta dell’ortesi. La stazione eretta ed il cammino con ortesi, pur con innegabili intrinseci limiti comuni ad ogni tutore, ha un significativo valore preventivo di numerose patologie articolari, ossee, cardiopolmonari, vegetative che una prolungata postura in carrozzina comporta anche quando questa soddisfa a esigenze di compiuto reinserimento sociale e di avanzati traguardi nella autonomia di attività della vita quotidiana. In questa ottica si tratta di operare con il paziente per la scelta del tutore più idoneo tenendo conto di criteri di inclusione e di esclusione alla sua 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso scelta, operando con una visione dinamica e riconoscendo una perfettibilità che via via andrà maturando(248, 249, 250, 251). Secondo la Classificazione accettata a livello europeo, le ortesi o tutori rientrano nel più vasto campo degli ausili tecnici, che sono definiti come “quegli strumenti che servono in particolare ai disabili ed a coloro che li assistono per sostituire una funzione lesa, compiere attività in minore tempo, con minor sforzo, con maggiore sicurezza e con maggiore accettazione psicologica, nonchè a prevenire l’aggravamento e l’estensione delle disabilità”(252, 253, 254). 2355 – – – – Controindicazioni Assolute 1)Limitazioni articolari: – paraosteopatie(POA) con attento monitoraggio radiologico, scintigrafico ed enzimatico della evolutività; – retrazioni capsulo-legamentose non suscettibili di correzione incruenta o cruenta; – fratture con riparazione esuberante; – deformità scheletriche; – flogosi articolari specifiche ed aspecifiche in atto; – minime limitazioni coxo-femorali e di ginocchia non correggibili con interventi sul tutore o con interventi rieducativi pre-ortesi. Tali limitazioni devono comunque consentire la stabilità e l’equilibrio nella stazione eretta ad arti superiori liberi da appoggi; – l’equinismo del piede è accettabile quando, non riducibile, non superi i 20°; – spalle e gomiti devono avere corrette escursioni articolari tali da garantire una buona presa degli anti-brachiali ed una buona spinta sugli stessi. 2) Peso: – oltre il 10% del peso forma; – superiore a 75 Kg (materiali ed accessori impiegati, se soddisfano ad un criterio di maggiore resistenza alle sollecitazioni, conferiscono minor rilievo a questo criterio). 3) Inadeguata conoscenza e motivazione: – natura e tipo di tutore da acquisire attraver- so filmati, diapositive, descrizione tecnica e da colloqui con altri pazienti che già usano ortesi; benefici offerti non solo sul versante locomotorio, ma anche di parametri cardio-circolatori, respiratori e di funzionalità vescicale ed intestinale; aspettative locomotorie acritiche: il tutore non è una vicarianza completa di un cammino normale, si caratterizza per cammino robotico; training all’uso: vestizione e svestizione devono essere attentamente valutate cosi pure la compliance del paziente; motivazione: può essere diversa all’epoca in cui il paziente decide di adottare il tutore: il paziente che sceglie l’ortesi dopo un periodo di inserimento in ambiente familiare e dopo che ha raggiunto soddisfacenti livelli di autonomia con la carrozzina ha più possibilità di valorizzazione della opzione deambulatoria con ortesi rispetto al paziente che la adotta immediatamente dopo l’evento traumatico; importante il rinforzo di un buon supporto socio-familiare ed auspicabile la messa a punto di una scheda di indagine motivazionale. 4) Livello lesionale – D11-D12(questo livello può essere allargato contemplando, in casi particolari, anche lesioni cervicali basse). 5) Condizioni generali: – labile compenso cardiaco, valutazione elettrocardiografica da sforzo; – gravi squilibri pressori: attenta valutazione dei fenomeni di ortostasi con frequenze cardiache che non superino le 140 pulsazioni al minuto; – disreflessia autonomica, caratteristica nelle lesioni superiori a D6. Relative 1) Decubiti, specie se in sede di spinta del tutore e nei punti corrispondenti alle valve del tutore; 2) Osteoporosi marcata, da documentarsi con mineralometria ossea compiuterizzata per evitare rischi di fratture patologiche; 2356 Neuroriabilitazione 3) alterazioni di tono muscolare in ortostatismo, valutazione della variazione degli spasmi dei muscoli addominali, ischio-crurali, tricipite surale in stazione eretta e durante il carico alternato; 4) edemi agli arti inferiori, specie se non risolvibili con posture di scarico; 5) tromboflebite e trombosi venose profonde (alta, vegetante in vena iliaca o cava); valutazione ecoDoppler venoso necessaria(255, 256) Classificazione 1) Le ortesi meccaniche 2) la stimolazione elettrica funzionale(FES) o stimolazione funzionale neuromuscolare (FNS); 3) i sistemi ibridi, costituiti dalla combinazione delle ortesi meccaniche con la FES. Ortesi meccaniche La stabilizzazione dei segmenti distali consente cosi di utilizzare le funzioni prossimali conservate. I tutori meccanici più usati e definiti ortesi statiche sono: Cruro-Pedidi o Knee-Ankle-Foot Orthosis (KAFO) o Long-Leg-Brace (LLB) Gli insuccessi verificatisi con l’uso delle ortesi meccaniche statiche hanno stimolato numerose ricerche, volte a risolvere soprattutto due problemi: a) migliorare l’accettazone dei tutori, b) permettere l’esecuzione di attività funzionali altrimenti non consentite. In particolare la fase oscillante del passo ed il mantenimento della stazione eretta a braccia libere. Rappresentano questi tutori: il parawalker o Hip Guidance Orthosis (HGO), il Reciprocating Gait Orthosis (RGO) e l’Advanced Reciprocating Gait Orthosis (ARGO). L’impiego delle FES consente soprattutto la stimolazione di muscoli antigravitari sottolesionali(257, 258) (Figg. 41.4A, 41.4B). Sistemi Ibridi In considerazione del fatto che sia le ortesi meccaniche dinamiche che la FES comportano un elevato consumo energetico, si è realiz- Fig. 41.4A - Deambulazione con R.G.O. e deambulatore, vista di fronte. Fig. 41.4B - Deambulazione con R.G.O. e deambulatore, vista di lato. zata una riduzione di questi consumi grazie all’uso contemporaneo dei due sistemi. Le ortesi stabilizzano le articolazioni del ginocchio e dell’anca, mentre la FES facilita la fase di ap- 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso poggio e di oscillazione durante l’esecuzione del passo(259, 260). Accanto a strategie di trattamento neuromotorio convenzionale, vengono adottati interventi finalizzati al cammino con l’utilizzo di piattaforme mobili “Treadmill” abbinato ad un sistema di sostegno del peso corporeo del paziente “BWS”. Il presupposto alla base di queste condotte è la evocazione di “Generatore Centrale di Pattern” (CPG) dei muscoli estensori e flessori dell’arto inferiore (260b). Il ritmo indotto dal Treadmill, la cui velocità è regolabile e costante, faciliterebbe l’innesco di questo automatismo spinale. Un contributo alla evocazione del CPG è fornito da una recente strumentazione mutuata dalla robotica: Lokomat. Tali esoscheletri evocano lo schema del passo attraverso un supporto robotizzato che produce e assiste le fasi cinematiche del passo; scopo di tale metodica è la riprogrammmazione degli schemi locomotori spinali. ACCESSIBILITÀ AMBIENTALE L’accessibilità ambientale costituisce spesso un problema importante che può ostacolare il reinserimento familiare, sociale e lavorativo e deve quindi essere affrontato precocemente. Se le distanze tra abitazione e centro di riabilitazione sono percorribili si esegue una visita domiciliare, altrimenti si valuta la struttura architettonica tramite piantina dettagliata. Agli operatori deve essere chiaro il quadro funzionale del paziente e le sue possibili evoluzioni in modo da poterlo rapportare alla struttura abitativa. Gli elementi chiave sono rappresentati da(165, 166, 187): – rapporto tra funzione e struttura architettonica – bisogni del mieloleso e della famiglia – risorse economiche. In caso di paraplegia si valuta la possibilità di adattare le capacità funzionali del soggetto alla struttura architettonica. In questo caso già in fase di ricovero si simulano situazioni ana- 2357 loghe a quelle che il paziente troverà a domicilio. Durante i rientri domiciliari nei fine settimana il paziente potrà verificare le abilità apprese e rapportarle con l’ambiente che lo accoglierà alla dimissione. Gli elementi strutturali da considerare sono: – accessibilità all’abitazione: scale, ascensore, dislivelli – disposizione dell’abitazione: piano unico, più piani – bagno: con vasca, con doccia, dimensioni – cucina: abitabile o meno,disposizione e struttura dei mobili – camera da letto: dimensioni, armadio, struttura del letto. Mieloleso e familiari vengono informati di tutte le soluzioni apportabili alla propria abitazione, dalle più semplici alle più complesse(166). Le soluzioni semplici includono la scelta di ausilii quali sgabelli e sedili per la vasca, rialzi per il wc, sedia per doccia, montascale mobili, letti elettrificati. Le soluzioni complesse includono montascale fissi, elevatori e ascensori, rampe di accesso, ristrutturazione di ambienti. Per tutte le lesioni midollari cervicali e soprattutto per questi soggetti con funzionalità altamente compromessa, l’uso di ausili diventa determinante. L’aspetto più innovativo ci viene dalla domotica(166b). Questo termine deriva dalla fusione di domus ed informatica cioè informatica applicata alla abitazione caratterizzata dalla progettazione e realizzazione di edifici che prevedano dei sistemi centralizzati e integrati di gestione delle informazioni da sonde o sensori che, confrontate con le regolazioni stabilite dall’utente, vengono trasformate in comandi relativi al funzionamento di apparecchi e impianti(166b). Nata per la progettazione in generale risulta sicuramente di grande aiuto nelle persone con abilità ridotte o altamente compromesse.Quando il sistema è informatizzato la modalità attraverso la quale si impartisce il comando ossia l’interfaccia è estremamente variabile. Sicuramente quello che richiede meno capacità funzionali residue è quello vocale. Qualora venis- Neuroriabilitazione 2358 se meno anche l’uso della voce si può utilizzare un sistema a scansione azionato da qualsiasi parte del corpo che presenta un movimento residuo come il capo. Al computer vengono collegati tutti gli elementi presenti nella abitazione che possono essere elettrificati e che sono necessari nella vita di tutti i giorni (166b). Si può controllare l’accensione e lo spegnimento di luci, l’apertura di porte e finestre, tapparelle o imposte, porta di accesso, citofono, radio, televisore, elevatore o ascensore, letto elettrico e qualunque parte della abitazione sia strutturale che legata all’arredamento. Al comando “apri o chiudi,”, “accendi o spegni”, “alza o abbassa” e altri associato all’elemento da controllare come “ porta” piuttosto di “finestra” si controllano i vari elementi che sono stati inseriti nel progetto domotico. Se il sistema è a scansione occorrerà spostare un cursore su di un visore posto sulla carrozzina dando poi un comando di invio. Dalla propria carrozzina si può in questo modo controllare parte degli impianti e degli arredi della propria abitazione. Indubbiamente là dove parte della funzionalità è mantenuta si riducono gli elementi controllabili affidando agli arti superiori il comando di interruttori resi comunque più accessibili(sfioramento). Ai sistemi domotici è affidato il compito di: – aumentare il livello di autonomia – migliorare il livello di sicurezza – ridurre il carico assistenziale – migliorare il confort L’aspetto relativo alla sicurezza(166d) rappresenta sicuramente l’altro elemento innovativo e importante nella vita della persona con tetraplegia. Riguardano la capacità del sistema di attivarsi o essere attivato nel momento in cui l’emergenza si presenta e rispondere in modo da porre la persona in sicurezza. Una necessità potrebbe essere quella di attivare semplicemente la chiamata di persone poste in altre stanze o fuori dalla abitazione. Un altro tipo di emergenza può attivarsi automatica- mente qualora il paziente rimanga in casa da solo attraverso una analisi delle azioni o della mancanza di azioni relative alle funzioni utilizzate quotidianamente nell’impianto. In questi casi un allarme passivo invia all’esterno una segnalazione qualora dopo una certa ora questi sistemi di controllo non siano stati attivati perché la persona potrebbe trovarsi in difficoltà. L’elevato costo di tutte queste attrezzature non le rende però accessibili a tutti. Inoltre per accettare e volere dispositivi così sofisticati il soggetto deve avere una preparazione psicologica particolare che lo porta a desiderare fortemente una autosufficienza anche se così alternativa. Per questo è importante un appoggio psicologico al paziente. USO DELL’AUTOMOBILE L’utilizzo dell’automobile permette il superamento di molti problemi relativi al reinserimento familiare, lavorativo e sociale in genere. È possibile la guida con veicoli con comandi adattati. La distinzione principale viene fatta valutando l’integrità dell’uso degli arti superiori. In caso di utilizzo conservato degli arti superiori l’automobile è corredata di(166,189): – servofrizione o cambio automatico – acceleratore e freno manuale In caso di parziale compromissione degli arti superiori l’automobile è corredata di: – presa di volante adattata – acceleratore e freno manuali – sistema adattato per indicatori di direzione, luci, freno di servizio. In caso di lesioni incomplete gli adattamenti sono vari e legati essenzialmente all’entità del deficit. Il paz. già in possesso di patente di guida deve effettuare la visita alla Commissione patenti per verificare la conferma della stessa o il passaggio alla B speciale sostenendo un esame di guida con auto adattata. 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso Il paziente non ancora in possesso di permesso di guida segue il normale iter burocratico e in seguito sostiene un esame di guida con auto adattata. Già in fase riabilitativa il paziente può affrontare il conseguimento della patente di guida in regime di ricovero con gli automezzi adattati eventualmente in dotazione all’ospedale. L’accesso all’automobile o ad altro veicolo (es. pulmino) è un elemento importante sia per chi guida sia per chi viene trasportato. L’uso di sollevatori per auto, pedane elevatrici, scivoli, ecc. consente l’accesso al veicolo. Sistemi per riporre la carrozzina dentro l’automezzo risolvono infine il problema di molti tetraplegici. RICREAZIONE E TEMPO LIBERO L’impiego in modo soddisfacente del tempo libero rappresenta un grande contributo alla qualità della vita del paziente mieloleso. Il computer ha ampliato lo spazio di azione nei casi in cui i movimenti residui sono pressochè nulli e nei casi in cui anche la comunicazione è compromessa. Tramite sensori meccanici, pneumatici, acustici, elettromagnetici, bipotenziali e altro, il paziente può comunicare, scrivere, disegnare, utilizzare programmi tecnici, talora con sbocchi professionali. Il giardinaggio e il bricolage sono attività piacevoli e rilassanti, facilitate dall’uso di impugnature adattate e di ripiani ad altezze adeguate. I sistemi di controllo ambientale a telecomando consentono la gestione agevole dell’ambiente domestico in cui spesso il paziente trascorre gran parte del proprio tempo libero. La musicoterapia in gruppo permette al soggetto anche tetraplegico di sperimentare l’uso di strumenti musicali oltre a vivere esperienze rasserenanti anche per i familiari. L’organizzazione di feste, spettacoli, di animazione culturale, con il coinvolgimento dei pazienti, dei familiari e delle risorse del territorio quali la biblioteca comunale, sono utilissime per il sostegno psicologico e lo svago. 2359 Il ritrovo annuale degli ex ricoverati e dei loro familiari non è solo esperienza ricreativa, ma di aggiornamento e di sensibilizzazione pubblica. LA RIABILITAZIONE SESSUALE La riabilitazione sessuale del mieloleso deve tener conto sia del vissuto sessuale e della personalità del mieloleso sia della valutazione clinica delle principali funzioni sessuali: libido, erezione, eiaculazione ed orgasmo(190, 191, 192, 193, 194, 195, 196). La libido è da considerarsi nella norma, ma deve essere inquadrata nella nuova realtà psicofisica e sociale del mieloleso che incide sulla qualità del desiderio sessuale. Vi sono due tipi di erezione, la psicogena e la meccanica. L’erezione psicogena è regolata dal centro midollare ortosimpatico toracolombare D12-L2; perché il mieloleso abbia questo tipo di erezione è necessario che persista il controllo dei centri sovraspinali attivati da stimoli visivi, uditivi, olfattivi, da fantasie, da ricordi. L’erezione meccanica o riflessa è regolata dal centro midollare parasimpatico sacrale S24(197). La lesione del centro midollare o dei nervi periferici che da essa originano abolisce l’erezione riflessa; la lesione midollare sovranucleare, liberando l’attività riflessa sottolesionale, si manifesta con la presenza dell’erezione riflessa. La persistenza del riflesso sacrale non permette da sola di prevedere la qualità dell’erezione che dipende da fattori neurologici quale il livello della lesione e la sua completezza, da fattori farmacologici e dalle condizioni cliniche degli altri organi e apparati. Nel mieloleso uomo la terapia del deficit dell’erezione è rappresentata dalla farmacoprotesi intracavernosa (FIC), cioè dall’introduzione nei corpi cavernosi del pene di farmaci in grado di provocare per tempi brevi l’erezione(198, 199) Il farmaco più comunemente utilizzato in passato era la PGE1 (10-80 mcg). Attualmente la terapia di prima scelta per il trattamento della disfunzione erettile del mieloleso è costituita dalla somministrazione di 2360 farmaci inibitori della fosfodiesterasi 5 quali sildenafil, tadalafil, vardenafil che inducendo una vasodilatazione dei corpi cavernosi permettono una erezione sufficiente alla penetrazione e duratura in una percentuale variabile tra l’85% del sildenafil ed il 74% del vardenafil e il 72% del tadalafi(200). Generalmente le dosi di farmaco necessario sono medio alte ( es. sildenafil tra 50 e 100 mg). Per provocare l’erezione sono in uso anche mezzi meccanici il principale dei quali è la vacuumterapia(200). È possibile inoltre l’applicazione di protesi peniene mediante intervento chirurgico(201). Nella donna mielolesa la ridotta lubrificazione vaginale, espressione del deficit erettile, può essere affrontata utilizzando creme per favorire la penetrazione. L’eiaculazione nella donna corrisponde alla contrazione della muscolatura del piano perineale. Una lesione al di sopra del centro sacrale S2-4 può dare la possibilità di una contrazione riflessa della muscolatura del piano perineale; una lesione che coinvolge il centro sacrale annulla tale possibilità. Nell’uomo si distingue una fase di emissione dello sperma dai testicoli all’uretra, al cui controllo nervoso è preposto il centro midollare ortosimpatico localizzato nei metameri D12-L2, e la fase di eiaculazione propriamente detta, l’espulsione cioè dello sperma dall’uretra, dipendente dalla contrazione dei muscoli bulbo ed ischio- cavernoso ad innervazione somatica S2-4. Una lesione che coinvolge i metameri D12L2 impedisce che si realizzi l’eiaculazione. Una lesione localizzata al di sopra di tali metameri dà la possibilità di un’eiaculazione riflessa.Una lesione localizzata solo nei metameri sacrali impedisce l’eiaculazione propriamente detta e l’eventuale fuoriuscita di sperma, nel caso di attività del centro ortosimpatico, avviene per gocciolamento in assenza dell’attività del m. bulbo-cavernoso.Anche in presenza della eiaculazione riflessa si può avere l’assenza di fuoriuscita dello sperma dall’uretra in quanto lo spasmo della muscolatura uretrale striata associata al rilasciamento del collo vescicale favorisce il passaggio dello sperma in vescica realizzando l’eiaculazione retrograda caratteristica della mielolesione. Neuroriabilitazione Nel maschio, pur in presenza del riflesso, non è frequente la eiaculazione realizzata con la masturbazione o con il rapporto sessuale. Per ottenerla si ricorre al vibromassaggio(202), una tecnica priva di grossolani effetti collaterali e ripetibile che permette di potenziare gli stimoli afferenti idonei a scatenare il riflesso. Questa tecnica è utilizzata per dimostrare la presenza del riflesso e per permettere la raccolta e l’analisi dello sperma ai fini della inseminazione artificiale della partner. Un’altra tecnica, più invasiva e meno ripetibile, per ottenere l’eiaculazione è rappresentata dall’elettroeiaculazione(203), che utilizza stimoli elettrici applicati alla parete anteriore del retto. Altre tecniche, come l’eserina s.c.,sono ormai meno frequentemente usate. L’orgasmo nel mieloleso, uomo o donna, subisce delle variazioni in rapporto alla gravità della lesione. Nei casi più gravi dal punto di vista della riabilitazione sessuale il mieloleso qualunque sia il livello di stimoli provenienti dall’apparato genito-sessuale non avvertirà alcuna sensazione. Nella maggior parte dei casi comunque il mieloleso durante un rapporto sessuale o una masturbazione avvertirà una serie di stimoli che lo informano del modificarsi degli eventi. Questi stimoli nelle lesioni più complete non sono riconducibili alle esperienze precedenti alla lesione. Ben presto ripetendo l’esperienza sessuale il mieloleso riconoscerà sempre più chiaramente le sensazioni che provengono dall’apparato genitale. In presenza di queste sensazioni il mieloleso costruirà un vissuto piacevole che permetterà di completare la propria vita sessuale. La valutazione delle funzioni sessuali residue si avvale dell’esame obiettivo neurologico e quindi della conoscenza del livello neurologico della lesione, dell’esame obiettivo dell’apparato genito-sessuale, degli esami strumentali alcuni dei quali utilizzati per l’inquadramento delle disfunzioni vescico-sfinteriche(204, 205, 206). L’inquadramento clinico delle residue capacità sessuali e la conseguente terapia sono una parte del cammino che il mieloleso deve compiere per ritornare ad una vita sessuale gratificante. La vita sessuale non è la semplice somma delle varie funzioni sessuali e il riabilitatore 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso Tab. 41.5 - Esame urodinamico. Esame urodinamico Studio dei riflessi sacrali: – r. bulbo-cavernoso – r. anale – r. pelvico-pudendo (r.vescico-uretrale,vescicoanale) Studio dei potenziali evocati somatosensoriali corticali PES per stimolo del n. dorsale del pene PES per stimolo del n. pelvico al collo vescicale Studio dei potenziali evocati motori registrazione a livello del m. bulbo-cavernoso e del m. sfintere anale esterno Velocità di conduzione motoria del n. pudendo Velocità di conduzione sensitiva del n. dorsale del pene Studio elettromiografico della muscolatura del piano perineale deve contribuire affinché il mieloleso riscopra il proprio ruolo sociale e relazionale premessa per il recupero della propria sessualità. Il riabilitatore ha la possibilità clinica e strumentale di valutare le funzioni sessuali e di formulare le proposte riabilitative che devono nascere da un diretto coinvolgimento del mieloleso il quale potrà scegliere i percorsi riabilitativi più rispondenti alla proprie esigenze. Inoltre il mieloleso, uomo o donna, può concretamente pensare di procreare (207, 208, 209, 210) Questo gesto di maturità affettiva può essere realizzato in quanto le premesse riabilitative abbiano mantenuto integro non solo le residue capacità fisiche ma abbiano contribuito al superamento dell’handicap. Nella donna, superata in tempi variabili, da poche settimane a molti mesi, la fase dell’amenorrea post-traumatica, si ripresenta l’ovulazione e quindi la possibilità della fecondazione. Nell’uomo, nei casi di assenza dell’eiaculazione spontanea, si raccoglie lo sperma ottenuto con il vibromassaggio per realizzare la inseminazione artificiale. Altre tecniche 2361 sono state proposte per garantire la procreazione anche in assenza di eiaculazione provocata. RIEDUCAZIONE VESCICALE Sin dal momento dell’insorgenza del trauma è necessario garantire il drenaggio dell’urina mediante catetere endovescicale transuretrale a dimora (o in alternativa catetere endovescicale sovrapubico) da tenere aperto, per evitare sovradistensioni vescicali, e in posizione corretta, per evitare l’insorgenza di sacche uretrali, fistole e ascessi secondari al decubito del catetere sull’uretra. In questo senso è utile fissare la parte libera del catetere all’addome, nell’uomo, e alla coscia, nella donna. Il periodo durante il quale è consigliabile tenere il catetere endovescicale dipende dalla durata dell’emergenza e dalla prognosi quoad vitam, dall’iter terapeutico (eventuale intervento di decompressione-stabilizzazione), da eventuali alterazioni del metabolismo idro-salino (ad es. diabete insipido), dal tipo di alimentazione, dall’esperienza del reparto d’urgenza nel gestire la pratica del cateterismo ad intermittenza. La fase successiva, ancora in corso di shock spinale, è rappresentata dal passaggio dal catetere endovescicale a dimora al cateterismo ad intermittenza pulito CIC (clean intermittent catheterization) nel numero di 4-6 al giorno, eseguito dal personale infermieristico e, successivamente, nei casi possibili, dal mieloleso stesso (autocateterismo)(211, 212, 213). Il riempimento vescicale non deve superare i 400 cc per evitare sovra distensione vescicale. L’apporto idrico deve essere controllato mantenendo la diuresi giornaliera intorno ai 2 litri. DIAGNOSI DI LIVELLO Nel midollo spinale sono presenti centri nervosi di controllo della funzionalità vescicouretrale(214, 215). 2362 A livello dei metameri T11-L2 è localizzato il centro ortosimpatico che attraverso i nn. ipogastrici controlla il detrusore e lo sfintere uretrale interno; in particolare la stimolazione alfa-adrenergica determina una contrazione dello sfintere liscio uretrale o sfintere interno, mentre la stimolazione beta-adrenergica determina il rilasciamento detrusoriale, favorendo quindi la ritenzione. A livello dei metameri S2-S4 è localizzato il centro parasimpatico che attraverso i nn. pelvici provoca la contrazione del detrusore favorendo lo svuotamento vescicale. A livello dei metameri S2-S4 è localizzato anche il centro somatico che attraverso il n. pudendo provvede all’innervazione dello sfintere uretrale striato o sfintere esterno e della restante muscolatura del piano perineale. È necessario che i centri sopraelencati agiscano sinergicamente per garantire un corretto funzionamento dell’apparato vescico-sfinterico. Dalla struttura vescico-sfinterica e dalla muscolatura striata perineale, attraverso i nn. ipogastrici, pelvici e pudendo, giungono al midollo informazioni estero e propriocettive. Inoltre i centri midollari sono sottoposti al controllo dei centri superiori della minzione. L’inquadramento topografico della lesione dei centri midollari è possibile in base all’esame clinico neurologico generale, all’esame clinico neurourologico e ad alcuni esami strumentali(216, 217, 218). Esame clinico neurourologico: – riflesso bulbo-cavernoso (RBC) – riflesso anale (RA) – tono muscolare dello sfintere anale esterno – attività volontaria dello sfintere anale esterno e della restante muscolatura del piano perineale Esami strumentali: – Studio urodinamico – Studio neurofisiologico (vedi riabilitazione sessuale) Una lesione midollare localizzata al di sopra dei metameri T12-L2 e S2-S4 e che lascia integri i centri midollari della minzione realizza Neuroriabilitazione un quadro di neurovescica di tipo centrale e, come per tutte le lesioni neurologiche che disconnettono un centro midollare dal controllo e dalla modulazione dei centri superiori, si realizzerà un’attività riflessa la cui espressione clinica dipenderà da fattori neurologici quali il livello di lesione, la completezza della stessa con persistenza o meno di vie inibitorie e\o eccitatorie, i fenomeni di irradiazione e da fattori estrinseci quali il programma riabilitativo, le complicanze secondarie e terziarie. La neurovescica di tipo centrale o vescica iperreflessica è caratterizzata da contrazioni detrusoriali che si scatenano spontaneamente o provocate da particolari manovre eseguite dal paziente. Queste contrazioni possono determinare fughe di urina e conseguente svuotamento della vescica. Una lesione midollare che coinvolge direttamente i centri midollari della minzione o le radici nervose che da questi metameri originano, realizza un quadro di neurovescica di tipo periferico o vescica ipo-areflessica; e come per tutte le lesioni periferiche che coinvolgono i centri midollari e le loro radici si avrà un quadro clinico caratterizzato dall’assenza di attività riflessa. La vescica areflessica non presenta contrazioni del detrusore e lo svuotamento può avvenire aumentando la pressione vescicale o comprimendo direttamente la vescica (manovra del Credè) o indirettamente aumentando la pressione endoaddominale (m. del Valsalva). Sono state proposte varie classificazioni delle neurovesciche: 1) di Bors e Comarr (1971) su base neuro-anatomica e clinica I Lesione del neurone sensitivomotore Lesione del motoneurone superiore completa, bilanciata completa, non bilanciata incompleta, bilanciata incompleta, non bilanciata Lesione del motoneurone periferico completa e incompleta bilanciata o non bilanciata 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso II Lesione del neurone sensitivo Incompleta, bilanciata completa, non bilanciata Lesione del neurone motorio bilanciata non bilanciata III Lesioni miste 2) Gibbons (1976) su base neuroanatomica I Lesione sopranucleare sacrale Completa Incompleta II Lesione sacrale Motoria e sensitiva Sensitiva Motoria III Lesioni miste 3) Lapides (1976) Neurovescica non inibita Neurovescica iperreflessica Neurovescica autonoma Neurovescica per lesione dei nn. sensitivi Neurovescica per lesione dei nn. motori 4) di Bradley (1979) su base neuro-anatomica Loop I: collega i centri superiori a quelli pontini ed è inibitorio dell’attività detrusoriale. Loop II: collega il centro pontino a quello sacrale (detrusore) Loop III: coordina il centro detrusoriale con l’attività sfinterica Loop IV: Collega i centri corticali motori con il n. del pudendo. 5) di Krane e Siroky (1979) su base clinica e urodinamica Iperreflessia detrusoriale con attività coordinata degli sfinteri con dissinergia dello sfintere striato con dissinergia dello sfintere liscio Areflessia detrusoriale con attività coordinata degli sfinteri con mancato rilasciamento dello sfintere striato con denervazione dello sfintere striato 2363 con mancato rilasciamento dello sfintere liscio 6) di Wein (1981) su base clinico-sintomatologica Difetto di riempimento vescicale (Incontinenza) per cause vescicali per cause sfinteriche Difetto di svuotamento vescicale (Ritenzione) per cause vescicali per cause sfinteriche 7) di Herschorn e Gerridzen (1986) su base urodinamica Vescica (detrusore) ad alta pressione superiore a 60 cmH2O a bassa pressione inferiore a 60 cm H2O Sfintere prossimale e\o distale ostruttivo non ostruttivo La gestione della neurovescica negli ultimi anni ha subito dei grandi cambiamenti grazie a risultati di studi osservazionali di lunga durata e soprattutto alla elaborazione di ottime linee guida generate dalla revisione sistematica della letteratura sull’ argomento e contenenti raccomandazioni terapeutiche sostenute da studi di alta qualità .In particolar modo segnaliamo : la linea guida della International Continence Society ICS(219) del 2005 e quella del Consortium for Spinal Cord Medicine CSCM(220) del 2006 che sono complete e ben fatto contenendo precise e ben documentate raccomandazioni di pratica clinica. Di minore qualità le linee guida della European Association of Urology EAU(221) del 2003 e del Groupe d’ etude neuro-urologique de langue francaise GENULF(222) del 2006. La principale rivoluzione nel campo è stata quella di relegare la minzione riflessa, che sino a pochi anni fa veniva regolarmente consigliata e sostenuta (evocata spesso con le battiture ritmiche sovrapubiche), ad un ruolo del tutto marginale nella gestione del paziente con vescica iperreflessica (quella legata a lesioni midollari sovrasacrali) preferendole come migliore scelta (in tutte le forme di neurovescica da lesione midollare o del cono-epicono-cauda) il cateterismo ad intermittenza pulito (CIC). Neuroriabilitazione 2364 Vale quindi la pena soffermarsi sulle principali misure terapeutiche e di nursing della neurovescica valutandone, grazie all’ ausilio dei dati delle linee guida più aggiornate, le principali indicazioni e i punti di forza e di debolezza (219, 220, 221, 222). A) Cateterismo ad intermittenza CI Si tratta di una terapia che, attraverso la esecuzione di cateterismi ripetuti ad orari che coprono le 24 ore, garantisce lo svuotamento vescicale alternando la fase di riempimento vescicale e il suo svuotamento. La frequenza dei cateterismi dipende da vari fattori (il volume della vescica, l’ introito di liquidi, l’entità di residui postminzionali, le pressioni vescicali). Usualmente si eseguono da 4-6 cateterismi al di. Può essere un CI o un autocateterismo ad intermittenza ISC e spesso è associato a terapie che riducono l’ iperattività riflessa del detrusore (per esempio la ossibutinina)(219). Indicazioni (CSCM 2006 Livello di evidenza III, Grado di raccomandazione C, Opinione del panel alta). È consigliato a quei soggetti che: • hanno conservato buone capacità manuali o che hanno un buon caregiver, • che non presentano “false vie” o gravi ostruzioni al collo vescicale di qualsiasi tipo • con capacità vescicale superiore ai 200 ml Controindicazioni: È sconsigliato a chi: • Scarse motivazione o compliance del paziente o del caregiver Complicanze più frequenti sono: 1. Infezioni urinarie, 2. sovradistensione vescicale, 3. incontinenza urinaria (fughe) tra i cateterismi, 5. traumi uretrali ed ematuria, 5. false vie uretrali, 6. crisi disreflessiche. B) Catetere a permanenza Evidenze e raccomandazioni a sostegno del CIC • Il CIC è efficace e sicuro nel trattare la neurovescica sia nel breve che nel lungo periodo (GENULF 2006 Livello di evidenza II, ICS 2005 Livello di evidenza I) • Deve essere raccomandato l’uso del CIC come prima scelta nel trattamento di qualsiasi disfunzione per ottenere uno svuotamento vescicale adeguato e sicuro. Il CIC è un prezioso strumento per raggiungere la continenza nelle disfunzioni vescicali neurogene (ICS 2005 Grado di raccomandazione A) • Le complicanze come le infezioni delle vie urinarie inferiori (UTI) sono correlate sia al cateterismo che alla esistenza di alterazioni delle vie urinarie. (ICS 2005 Livello di evidenza I) • Una adeguata frequenza del CIC, una tecnica non traumatica, e l’ uso di materiali idonei sono la chiave di un risultato di successo (ICS 2005 Livello di evidenza I) Evidenze e raccomandazioni • Non è un trattamento sicuro a lungo termine nel paziente neurologico (ICS 2005 Livello di evidenza 2). • Il catetere a permanenza durante la fase acuta è un mezzo sicuro per i pazienti neurologici (ICS 2005 Grado di raccomandazione A/B). • Le lavande vescicali e la profilassi antibiotica non sono raccomandati come misura di routine per il controllo delle infezioni. Solo le UTI sintomatiche devono essere trattate con antibiotico terapia a spettro più stretto possibile (ICS 2005 Grado di raccomandazione A/B). • L’ uso di cateteri a basso livello di traumatismo- irritazione e un drenaggio chiuso minimizza le complicazioni (ICS 2005 Livello di evidenza 2). • Quando occorre applicarlo preferire i cateteri a silicone o rivestiti da idrogel (ICS 2005 Grado di raccomandazione A/B). 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso C) Catetere sovrapubico • Non è considerato un metodo sicuro per l’uso a lungo termine nel paziente neurologico (ICS 2005 Grado di raccomandazione B). • Può essere considerato in quei pazienti che presentano complicanze a livello uretrale (ostruzioni, false vie, fistole), gravi difficoltà durante l’inserimento del catetere ad intermittenza/permanenza, prostatiti, uretriti, epididimiti ricorrenti) (CSCM 2006 Livello di evidenza III, Grado di raccomandazione C, opinione del panel alta). • Le complicanze del SC sono sovrapponibili a quelle dell’ ID eccetto per la perforazione intestinale e per le complicanze uretrali. (ICS 2005 Livello di evidenza 3). D) Manovra di Credé o Valsalva Sono manovre che mirano a svuotare la vescica attraverso un aumento di pressione endovescicale. La manovra di Credé: viene eseguita esercitando una pressione in zona sovrapubica che fa aumentare la pressione endovescicale e favorisce lo svuotamento della vescica; La manovra di Valsalva: viene eseguita in ispirazione contraendo i muscoli addominali a glottide chiusa favorendo l’aumento della pressione endoaddominale e, di conseguenza, lo svuotamento vescicale. 2365 • Lo stress sul pavimento pelvico può determinare un diminuizione della continenza sfinterica, prolassi genito rettali, emorroidari, incremento della incontinenza urinaria e fecale (Livello di evidenza III). • Prima di consigliare tali metodiche occorre provare che nel LUT vi sia una condizione di sicurezza urodinamica, di norma tale metodo è pericoloso (ICS Grado di r. B). • In generale tali manovre possono essere sostitutite dal CIC nella maggior parte dei pazienti affetti da disfunzioni neurogene della vescica (ICS Grado di r. B). • Sono sconsigliate a coloro che presentano dissinergia detrusore-sfintere, ostruzioni al collo vescicale, reflusso vescico-ureterale, idronefrosi. • Se vengono usate va considerata la associazione con terapie (farmacologiche o no) che riducano la ostruzione al flusso (ICS Grado di r. B). Complicanze possibili 1. svuotamento vescicale incompleto, 2. pressioni endovescicali elevate, 3. reflusso vescico-ureterale, 4. aumentato rischio di infezioni renali e delle vie urinarie, 5. ernie addominali o inguinali, 6. emorroidi. (CSCM 2006 Livello di evidenza III, Grado di raccomandazione C) E) Minzione riflessa Le evidenze di sicurezza a favore di tale metodica sono estremamente scarse(ICS 2005): • Tali manovre sono potenzialmente pericolose per il tratto urinario (Livello di evidenza III). • Durante l’ uso di queste manovre in più del 50% dei pazienti è stato possibile dimostrare un reflusso urinario nella prostata e nelle vescichette seminali e altre complicanze quali orchi-epididimiti (Livello si evidenza III). • Le alte pressioni createsi possono determinare reflussi vescico ureterali (Livello di evidenza III). È utilizzata essenzialmente in neurovesciche da lesione midollare sovrasacrale cioè in quelle forme in cui sono conservati i centri minzionali sacrali. Avviene tramite la applicazione di una serie di stimoli (es. battiture sovrapubiche) in grado di evocare per via riflessa la contrazione del detrusore, che nella durata, frequenza e intervallo dello stimolo variano da paziente a paziente. Prima di pensare alla sua scelta è requisito indispensabile che: 1. La situazione urodinamica della vescica sia urodinamicamente sicura (vescica che svi- Neuroriabilitazione 2366 luppa sempre basse pressioni, senza ostruzioni al flusso, basso residuo, non complicanze in atto, imaging normale, es.siero ematici normali), 2. sia garantito un regolare follow-up. Complicanze possibili: – pressione endovescicale elevata, infezioni urinarie ripetute, crisi disreflessiche (lesioni spinali superiori T6), svuotamento vescicale incompleto, reflussi v-ureterali, diverticoli vescicali. Occorre considerare che, contrariamente a quello che si pensava, lo svuotamento vescicale riflesso del mieloleso si basa su un riflesso sacrale non fisiologico nel suo sviluppo (coiè non adeguatamente controllato e modulato dai centri superiori), per cui è potenzialmente pericoloso ed ha un ruolo limitato nella gestione della neurovescica iperreflessica (ICS 2005, Livello di evidenza III). Indicazioni e controindicazioni Lo svuotamento vescicale riflesso può essere raccomandato in pazienti con: 1. Stabilità urodinamica e di follow-up, 2. In pazienti con sfinterotomia e/o incisione del collo vescicale e/o con alpha bloccanti e/o infiltrazione t. botulinica intrasfinterica. (ICS 2005, Livello di evidenza III. Raccomandazione C). La minzione riflessa è associata all’utilizzo del condom urinario e spesso anche di terapie farmacologiche : alfa bloccanti, tossina botulinica. Il paziente va seguito assiduamente in un follow-up semestrale/annuale per evitare complicanze e se vi sono complicanze occorre passare al CIC. • È sconsigliata alle femmine, a chi ha residui post minzionali elevati, reflussi ureterali, forti dissinergie, • Le complicazioni a lungo termine sono più rare del cateterismo a dimora, tuttavia si consiglia di abbandonare la minzione riflessa nella neurovescica con detrusore iperattivo (ICS 2005, Livello di evidenza III). F) Terapia farmacologica I farmaci rappresentano una risorsa importantissima nella gestione ottimale della neurovescica e si possono suddividere tre grandi gruppi: – Farmaci per la incontinenza dovuta a iperattività o bassa compliance del detrusore 1. F. che bloccano il detrusore (Ossibutinina, tolterodina,cloruro di trospio, flavoxato, propantellina) 2. F. Bloccanti i nervi verso detrusore (Tossina botulinica, capsaicina, resiniferatoxina) – Farmaci per incontinenza dovuta a deficienza neurologica dello sfintere (es alfa adrenergici, estrogeni,Beta adrenergici,antidepressivi triciclici) – Farmaci che facilitano lo svuotamento vescicale 1. Alfalitici (Es alfuzosina, terazosina) 2. Colinergici Indicazioni: Farmaci anticolinergici orali (ossibutinina, tolterodina, cloruro di trospio) • Controllo della iperattività detrusoriale ed aumento della capacità vescicale • Trattamento incontinenza neurogena riflessa in pazienti in cui il CIC non è sufficiente a garantire la continenza (ICS 2005, livello di evidenza I Grado di Raccomandazione A). NB Possono aumentare la ritenzione e interferire con la motilità intestinale. Tolterodina, propiverina e trospio hanno significativamente meno effetti collaterali della ossibutinina (ICS 2005, livello di evidenza I Grado di Raccomandazione C/D). Farmaci alfabloccanti (alfuzosina, terazosina, ecc) • Ridurre le resistenze al flusso urinario • Migliorare i disturbi ostruttivi (ICS 2005, Grado di Raccomandazione C) (CSCM 2006 Livello di evidenza II-III, Grado di raccomandazione B-C). NB Possono aumentare la incontinenza e interferire con la attività sessuale. 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso Infiltrazioni di tossina botulinica: Se si eseguono a livello sfinteriale ogni 3-6 mesi • Migliora lo svuotamento vescicale in quei soggetti mielolesi che presentano dissinergia detrusore sfintere (CSCM 2006 Livello di evidenza III, Grado di raccomandazione C, Opinione del panel alta) (ICS 2005, livello di evidenza II) • Può essere una alternativa alla sfinterotomia in caso di dissinergia detrusore-sfintere (ICS 2005, livello di evidenza II, Grado di Raccomandazione B). Se si eseguono a livello del detrusore • Fortemente consigliata a quei soggetti che presentano una iperattività detrusoriale non controllata da anticolinergici (CSCM 2006 Livello di evidenza I-III, Grado di raccomandazione A/C) (ICS 2005, livello di evidenza II, Grado di Raccomandazione B). G) Elettroterapia Stimolazione elettrica dei muscoli del pavimento pelvico: Azione: Riduce la incontinenza migliorando la azione dello sfintere. Indicazione: pazienti con incontinenza da denervazione incompleta dei muscoli del pavimento pelvico o dello sfintere striato (ICS 2005, livello di evidenza V, Grado di Raccomandazione C-D). Neuromodulazione Azione: Riduce la incontinenza inibendo il riflesso minzionale o incrementando il tono sfinterico. Indicazione: pazienti con incontinenza da iperreflessia detrusoriale in lesioni spinali incomplete con scarsa risposta ai farmaci (ICS 2005, livello di evidenza III, Grado di Raccomandazione C-D). IVES Azione: Migliora la capacità di svuotamento vescicale incrementando la minzione ed il suo controllo volontario. 2367 Tab. 41.6 - Complicanze dell’apparato urinario nella persona mielolesa. Complicanze – vescica piccola da sforzo nelle vesciche ipereflessiche – vescica grande nelle vesciche areflessiche – infezioni recidivanti sintomatiche delle vie urinarie – calcolosi urinaria – reflusso vescico-ureterale – idronefrosi – orchiepididimite – sacche e fistole ureterali – stenosi uretrali – insufficienza renale acuta e cronica – disreflessia autonoma Indicazione: Pazienti con neurovescica ipocontrattile con vie afferenti vescica-corteccia cerebrale indenni e detrusore in grado di contrarsi. L’IVES è la sola opzione possibile per indurre/ incrementare la sensibilità vescicale e aumentare il riflesso minzionale in pazienti con incompleto danno centrale o periferico (ICS 2005, livello di evidenza III, Grado di Raccomandazione B). Un corretto approccio riabilitativo consente nella maggior parte dei casi una prevenzione delle complicanze cui è predisposto l’apparato urinario del mieloleso (Tab 41.6)(222, 223). L’introduzione del cataterismo ad intermittenza pulito ha segnato una tappa fondamentale nella riabilitazione vescicale e nella prevenzione delle complicanze facendo prevalere nettamente l’impostazione conservativa e non interventista nel programma riabilitativo del mieloleso.Il cateterismo ad intermittenza pulito nella maggior parte dei casi è una pratica Tab. 41.7 - Esami per l’apparato urinario. Studio urodinamico Urografia Cistografia retrograda minzionale Ecografia rene-vescica Scintigrafia renale 2368 ben accettata dal mieloleso.Le complicanze cui può andare incontro riguardano principalmente le stenosi uretrali(224). In alcuni casi,però, nonostante un corretto approccio riabilitativo il rischio di complicanze specie per le alte vie urinarie rimane elevato per cui è necessario ricorrere alla chirurgia urologica funzionale. La rieducazione vescicale non può dirsi mai esaurita in quanto nel corso della storia naturale della mielolesione si realizzano spesso variazioni anche importanti della gestione della vescica. Queste variazioni possono essere legate a modifiche del quadro neurologico generale, ad es. aggravamenti legati a siringomielie, o più frequentemente a variazioni anatomo-funzionali dell’apparato vescico-sfinterico dovuti,ad esempio, a processi infettivi.Occorre ricordare come l’insufficienza renale cronica è sempre da considerare come un costante rischio che il mieloleso corre.È necessario quindi che il mieloleso, sia in fase acuta e postacuta sia in fase cronica, esegua una serie di accertamenti clinico-strumentali in grado di monitorare lo stato di funzionalità del proprio apparato urinario. Questi esami devono essere eseguiti inizialmente per una valutazione di base e successivamente devono essere ripetuti in rapporto alla situazione clinica che il mieloleso sviluppa. 2) Terapia chirurgia neurourologica La chirurgia della vescica neurologica si può suddividere in due branche: – chirurgia classica rivolta alle complicanze urologiche quali calcolosi,stenosi uretrali, fistole e sacche uretrali, ipertrofia prostatica.Occorre in ogni caso sottolineare che,anche per queste complicanze, il mieloleso presenta delle peculiarità che il chirurgo deve tener presente. – chirurgia funzionale rivolta a rispondere a problemi specifici della funzionalità delle neurovesciche. Neuroriabilitazione Tab. 41.8 - Finalità e tipologia di interventi chirurgici. Aumento della capacità vescicale: (225, 226, 227, 228) • enterocistoplastica • rizotomia delle radici posteriori • rizotomia delle radici posteriori associata a • stimolazione della radici anteriori Riduzione delle resistenze uretrali:(229,230,231) • sfinterotomia dello sfintere esterno • resezione del collo vescicale • wall stent Aumento delle resistenze uretrali:(232) • sfintere artificiale Tra gli interventi proposti possiamo, in estrema sintesi, individuare due grandi gruppi (219): Interventi in caso di deficit di svuotamento vescicale (vescica che ritiene) Per aumentare la contrazione detrusoriale: Stimolazione delle radici anteriori sacrali (Racc. grado C, ICS 2005) Aumento componente muscolare (trasp gran dorsale) (Racc. grado C, ICS 2005) Per diminuire la resistenza al flusso: sfinterotomia (Racc. grado C, ICS 2005) stents impiantabili (Racc. grado C, ICS 2005) Interventi in caso di deficit di capacità vescicale ( vescica incontinente) Per diminuire la contrazione detrusoriale: Enterocistoplastica (Livello di ev. 4 , ICS 2005) Gastrocistoplastica o ureterocistoplastica (Livello di ev. 4 , ICS 2005) Miectomia del detrusore Denervazione del detrusore Distensione della vescica Rizotomia sacrale Incisione o infiltrazione fenolica dell’area sopratrigonale. 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso 2369 INTERVENTI DI MIGLIORAMENTO FUNZIONALE TRASFERIMENTI TENDINEI (CHIRURGIA FUNZIONALE) L’obbiettivo dei trasferimenti tendinei nel tetraplegico consiste nell’ottenere il controllo di una articolazione dell’arto superiore o nel creare i presupposti per la prensione (174). È importante conoscere non solo gli obbiettivi ma anche i requisiti di questi interventi, come pure le conseguenze e i potenziali rischi(166). Due convegni internazionali tenutisi a Edimburgo nel 1978 e a Giens nel 1984 hanno definito i principi fondamentali della chirurgia dell’arto superiore nel tetraplegico(166, 234, 235, 236): 1) progressione prossimo-distale degli interventi 2) il programma inizia dall’arto meglio classificato sul piano motorio e sensitivo, o da quello dominante 3) i processi chirurgici devono essere reversibili 4) intervallo di tempo superiore a 1 anno dalla lesione 5) sono operabili solo i pazienti in grado di spingersi in carrozzina 6) conservazione della sensibilità a livello del pollice 7) assenza di dolori lesionali 8) assenza di grave spasticità agli arti superiori 9) paziente motivato e cooperante. Fondamentale è la stabilità del quadro neurologico(166, 174). Per decidere se intraprendere o meno la scelta chirurgica è necessario valutare (atti): – esame della sensibilità – esame della forza, dell’escursione articolare e della spasticità – valutazione funzionale. Gli obbiettivi della chirurgia sono rappresentati da: A) Gomito: recupero dell’estensione attiva B) Polso: recupero dell’estensione attiva C) Mano: realizzazione di una presa digitale sul modello della pinza pollice-indice terminolaterale o key grip, ristabilimento della flesso-estensione delle dita lunghe(236, 237). Tecniche chirurgiche di base(166, 236, 237, 238, 239, 240) (vedi anche cap. 45.) A) Gomito – trapianto del deltoide posteriore sul tricipite descritto da Moberg – trapianto del bicipite sul tricipite descritto da Zancolli B) Polso – trasposizione del brachio-radiale sull’estensore radiale del carpo descritta da Freehafer C) Mano – stabilizzazione in estensione dell’interfalangea del pollice con chiodo di Kirschner e tenodesi del flessore lungo del pollice sull’estremità inferiore del radio tramite un tunnel transosseo, secondo Moberg: key grip passiva – medesima tecnica associata a trasposizione del brachio-radiale sul flessore lungo del pollice al pollice: key grip attiva – artrodesi trapezio-metacarpale, attivazione del flessore lungo del pollice tramite il brachioradiale, attivazione del flessore lungo del pollice tramite un estensore radiale del carpo, secondo Zancolli: key grip attiva – tenodesi dei flessori – tenodesi degli estensori Generalmente si procede su un arto alla volta. Un elemento da non trascurare è il peso complessivo dell’iter chirurgico e riabilitativo. Infatti il recupero della funzionalità richiede un trattamento fisioterapico di circa 3 mesi per ogni intervento, con un minimo di 6 mesi per ogni arto(166, 234, 239). La valutazione pre e post operatoria della capacità motoria mirata al riconoscimento dell’eventuale successo dell’intervento chirurgico sarà formulata sulla base di metodiche strumentali (test di Jansen, test di Renzi, test di Pinch, test di Jamar, misurazione della forza muscolare 2370 dei trapianti secondo la scala MRC, misurazione delle escursioni attive e passive, della sensibilità tatto –pressoria e descriminativa secondo i test di Semmes –Weistein e Weber – Moberg (240a)), del giudizio tecnico degli specialisti e quello soggettivo del paziente(240b) STIMOLAZIONE ELETTRICA FUNZIONALE (F.E.S.) L’elettrostimolazione muscolare nelle mielolesioni è in genere utilizzata con due scopi: – o per prevenire complicanze o danni muscolari legati alla inattività (atrofia, retrazioni e rigidità articolari) – o per produrre movimenti funzionali, altrimenti impossibili, tramite la contrazione muscolare che si verifica in seguito alla stimolazione elettrica (F.E.S.) (vedi anche cap. 23). È utile ricordare inoltre che la F.E.S. ha importanti effetti positivi anche sul piano fisico, fisiologico e psicologico tra i quali citiamo(241): – aumento della circolazione per effetto spremitura e delle capacità cardiovascolari – aumento del metabolismo muscolare – aumento della massa muscolare – riduzione dellla spasticità(242) – miglioramento estetico per ripristino della forma – riduzione della gravità dell’osteoporosi da inattività muscolare (242b). Per quanto riguarda l’aspetto funzionale della elettrostimolazione muscolare nel mieloleso, occorre precisare che la F.E.S. è usata principalmente nel paraplegico per consentire: – il raggiungimento dell’ortostatismo – l’esecuzione del cammino. Attualmente, vengono usati in genere degli elettrodi di superficie,applicati con fascie elastiche sulla cute al di sopra dei gruppi muscolari da esaminare (243), collegati ad opportuni stimolatori miniaturizzati e programmati per inviare impulsi elettrici in sequenza prestabilita. Gli impulsi, in genere rettangolari, di breve Neuroriabilitazione durata e in treni con frequenza tetanizzante (sup. a 20 Hz), vengono inviati dopo che il paziente attiva la stimolazione agendo su interruttori posti in genere sul deambulatore in vicinanza delle impugnature. La F.E.S. per il cammino viene fatta precedere da un opportuno training di elettrostimolazione dei muscoli interessati, con durata e intensità di stimolazione crescente, per abituare muscolo e sistema cardiovascolare, che viene intensamente coinvolto, alla stimolazione. Oggi l’uso più soddisfacente della F.E.S. è quello che la vede accoppiata ad ortesi meccaniche dinamiche per il cammino del paraplegico (ad esempio il R.G.O.), nel costituire i cosiddetti sistemi ibridi che hanno il vantaggio di realizzare i più bassi consumi energetici nel cammino(244, 245). Gli stimolatori più innovativi, attualmente in corso di sperimentazione, sono alimentati a batterie ricaricabili per garantire la totale sicurezza del paziente, sono a doppio canale capaci di erogare impulsi bilanciati bifasici o monofasici a voltaggio costante con ampiezza fino a +/- 80V contro resistenze di 300 W. Il paziente possiede un minima possibilità di regolare i parametri dello stimolatore che al contrario possono essere modificati da personale autorizzato mediante un lap top o un computer PDA. Oltre agli impulsi di tipo rettangolare altri impulsi possono essere erogati in base alle necessità dei soggetti. Gli impulsi possono essere modificati per lunghezza tra i 10 e i 300 msec e l’intervallo tra gli impulsi fino a zero per permettere i migliori parametri in relazione al lavoro eseguito dal muscolo. Lo strumento inoltre registra qualsiasi impostazione dei programmi. Gli elettrodi di superficie sono di gomma siliconica applicati con gel e quando la cute si è rafforzata è possibile usare elettrodi autoadesivi(245 a). Miglioramenti strutturali e metabolici a livello muscolare sono stati dimostrati dall’allenamento del muscolo denervato mediante la stimolazione indotta dalla FES(245b). Sono allo studio anche stimolatori impiantabili a lungo termine(245c). 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso 2371 Modificazioni Morfologiche delle fibre muscolari sottolesionali – contribuire alla costruzione e alla ricostruzione di una identità. La lesione del 1°motoneurone nelle SCI conduce ad ipotrofia muscolare e spasticità, l’impiego di ortesi per il cammino ed il ricorso a stimolazione elettrica funzionale possono intervenire positivamente sulle proprietà contrattili e sul microcircolo muscolare(253, 276). Studi longitudinali di microscopia elettronica e di istoenzimologia(277, 278) documentano nei primi 4 mesi un relativo mantenimento delle percentuali di fibre tipo I° e II° riscontrando una relativa ipotrofia delle fibre di II°tipo; dopo 4 - 9 mesi l’atrofia coinvolge entranbi i tipi con significativa riduzione della percentuale di fibre di I° tipo, mentre dopo 10-17 mesi dalla lesione si ha un incremento di fibre di II° tipo e concomitante riduzione percentuale di fibre di I° tipo, tali osservazioni sono state confermate da studi sulle catene pesanti di miosina M.H.C. (279, 280). Dopo stimolazione elettrica ed esercizio fisico migliorano le capacità ossidative, si prevengono le atrofie e le alterazioni legate al disuso e le modificazioni indotte risultano reversibili(281, 282). Per chi utilizza abitualmente la carrozzina la sport-terapia rappresenta uno strumento per migliorare la capacità di autospinta e le capacità di bilanciamento ed equilibrio anche in situazioni estreme, superando la paura di cadere. L’equipe riabilitativa, dopo aver valutato le condizioni motorie e cliniche del paziente, stabilisce il tipo di attività sportiva, i tempi da dedicarvi e gli ausili da utilizzare(262). Le attività sportive più frequentemente proposte sono: – nuoto – corsa – tiro con arco – tennis da tavolo – tennis – basket – sci da discesa o slalom o fondo – bocce – hockey – scherma – equitazione – rugby – canoa – pallavolo – vela SPORT-TERAPIA La sport-terapia rappresenta nell’ambito della terapia occupazionale un ottimo strumento di lavoro, piacevole e gratificante. Diverse sono le figure professionali che ruotano attorno a tale attività, ad esempio istruttori ISEF, terapisti animatori. Inserita nel programma riabilitativo la sport-terapia mira a(1): – migliorare il gesto fisico, la coordinazione dei movimenti – incrementare la forza muscolare – migliorare le capacità respiratorie, gli scambi gassosi e l’ossigenazione del sangue – migliorare la resistenza alla fatica – favorire l’aggregazione e i rapporti sociali – stimolare la persona ad affrontare le difficoltà – apprendere capacità attraverso esperienze motorie La Federazione Italiana Sport Disabili (FISD) si occupa della informazione e divulgazione dello sport ed è riconosciuta dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI). Per la pratica di alcuni sport si rende necessario l’uso di ausili tecnici,previsti dal regolamento stesso, mentre per altri non è previsto alcun ausilio. Alla FISD fanno riferimento tutte le polisportive sorte sul territorio nazionale. Le discipline più diffuse sono il basket, il tennis da tavolo, il tiro con l’arco, il nuoto e l’atletica leggera. Negli sport di squadra e nelle attività che richiedono l’uso dinamico della carrozzina, il riabilitatore trova un alleato al recupero funzionale del paziente. La spinta veloce della car- 2372 rozzina, i cambi rapidi di direzione, gli scarti, i recuperi di palla aiutano il paziente a familiarizzare con la carrozzina e a migliorare le proprie capacità funzionali. PIANO DI DIMISSIONE E REINSERIMENTO SOCIALE Il programma di dimissione dovrebbe avere inizio al momento del primo contatto del paziente con la struttura riabilitativa e svilupparsi poi per tutta la durata del ricovero avendo come criterio informatore che il reinserimento sociale è scopo finale di ogni decisione(166). La messa a punto del programma di dimissione e di reinserimento sociale richiede un percorso che si sviluppa durante tutta la permanenza del mieloleso nella struttura riabilitativa. È un processo che trova alcune espressioni nell’impostazione “diversa” del sistema degenziale quali il coinvolgimento dei degenti nell’accoglienza del nuovo ricovero e dei familiari, l’accesso ai visitatori in fasce orarie molto ampie, in orari elastici adottando la metodologia dei permessi di fine settimana e delle uscite assistite;facilitando la animazione del tempo libero. Si tratta di un processo che vede coinvolti diversi operatori, ciascuno in base alle specifiche proprie competenze: il fisiatra, il fisioterapista, il terapista occupazionale, l’assistente sociale, il personale infermieristico e lo psicologo che quotidianamente ricercano in riunioni strutturate di equipe l’attuazione del progetto riabilitativo assumendo importanza e significato la relazione interpersonale, la condivisione degli obiettivi tra curante, paziente e familiari preparando le reti sociali del territorio ad accogliere e prendersi carico della nuova condizione, facendo emergere il potenziale correlato alle nuove abilità. Il paziente assume in questa logica il ruolo di soggetto che recupera l’empowerment necessario a riprogettare il proprio futuro. Il modello operativo di molte strutture riabilitative è già orientato verso il ritorno a casa, l’impatto con una realtà non funzionale alla nuova condizione biologica richiede comunque un adattamento del soggetto e la parziale Neuroriabilitazione trasformazione della realtà in cui vive in stretta collaborazione con i servizi socio - sanitari territoriali(246, 247). Il programma di dimissione e di reinserimento sociale costruito già durante il ricovero tende a preparare il paziente e la sua famiglia al rientro a casa. In questa ottica si collocano i rienti a domicilio da parte del paziente durante i fine settimana; come le uscite orientate ai primi contatti nella nuova realtà, conseguente alla mielolesione effettuate già in fase di degenza dagli operatori e/o dai familiari presso supermercato, ristorante, stadio concerti etcc… Queste attività sono parte integrante del programma riabilitativo in quanto consentono al paziente e ai suoi familiari una verifica “sul campo” di quanto appreso nell’iter riabilitativo e consentono agli operatori di individuare eventuali problematiche non emerse durante la degenza. Queste esperienze sono inoltre positive sollecitazioni psicologiche al reinserimento sociale. Per aiutare il soggetto e i familiari nell’adattamento alla nuova condizione sono proposti gruppi di autoaiuto distinti, con ex ricoverati ben integrati nel territorio o con i familiari. Durante la degenza vengono verificate con i soggetti le possibilità di progetti personalizzati di reinserimento lavorativo o di qualificazione professionale o di reinserimento scolastico e universitario anche attraverso l’uso di Internet. Il programma di dimissione coinvolge il paziente, la sua famiglia, i servizi socio-sanitari territoriali e tiene conto degli elementi relativi alle esigenze e le risorse del paziente e della sua famiglia nonché della situazione socio-economica e dall’offerta delle reti e dei servizi socio sanitari del territorio (ADI, trasporto servizi per il reinserimento scolastico – lavorativo, sport, tempo libero). Assume crescente rilevanza la prevenzione attuata attraverso la sensibilizzazione ai fattori di rischio che generano lesione midollare specie per le fasce d’età adolescenziale e giovanile con il coinvolgimento degli studenti degli ultimi anni delle Scuole Medie Superiori attraverso visite guidate e incontri con gli Operatori e gli ex Ricoverati dell’Unità Spinale. 41. La riabilitazione del soggetto mieloleso 2373 BIBLIOGRAFIA 1) Stover SL, Fine PR,eds. Spinal cord injury: the facts and figures, Birmingham: University of Alabama at Birmingham, 1986. 2) Riggins RS. Kraus JF. The risk of neurologic damage with fractures of the vertebrae. J. Trauma 1977;17:126-33. 3) Heppenstall R. Fractures and dislocations of the cervical spine. In: Heppenstall R. ed. Fracture treatment and healing. vol.13. Philadelphia: W B Saunders, 1980:292-330. 4) Steel H. Anatomical and mechanical considerations of the atlantoaxial articulation. Proceedings of the American Orthopaedic Association. J. 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