Scheda di Patologia
OSTEOPOROSI
DEFINIZIONE
Osteoporosi è un termine generico che significa aumentata porosità dell’osso. In corso di osteoporosi c’è un
rapporto normale tra la matrice organica e la fase minerale dell’osso, ma vi è una diminuizione della massa
ossea per unità di volume.
Le patologie che possono determinare questa alterazione sono molteplici. Nell’80% dei casi, i pazienti sono
affetti dalla forma postmenopausale o senile, mentre il 20% è interessato da forme di osteoporosi secondarie a
differenti patologie.
EZIOPATOGENESI
L’osteoporosi si classifica dal punto di vista patogenetico in forme idiopatiche e forme secondarie.
Tra le forme idiopatiche si distinguono 2 tipi.
L’osteoporosi di tipo I colpisce caratteristicamente le donne nel periodo postmenopausale con un’età
compresa tra 50 e 65 anni causando una rilevante perdita di osso trabecolare e un relativo risparmio dell’osso
corticale. I disturbi più comuni sono le fratture dell’avambraccio e i crolli vertebrali.
L’osteoporosi di tipo II colpisce gli individui di entrambi i sessi al di sopra dei 75 anni. In questo caso sono
frequenti le fratture del collo del femore, della parte prossimale dell’omero, della tibia e della pelvi.
Sono state formulate diverse ipotesi per spiegare l’osteoporosi senile, postmenopausale e quella giovanile e
adulta. E’ stata data importanza a una carenza di calcitonina, mentre alcuni autori hanno ritenuto più rilevante
il ruolo degli estrogeni. In effetti donne entrate precocemente in menopausa hanno avuto una comparsa
precoce dell’osteoporosi.
L’immobilizzazione può avere un ruolo rilevante nell’osteoporosi e la vita sedentaria con mancanza di attività
fisica può aumentarne la progressione. Non è stato ancora definito il ruolo del paratormone e gli effetti delle
prostaglandine nella patogenesi della osteoporosi.
Le forme secondarie di osteoporosi sono associate a patologie endocrine, a malattie ereditarie e a deficit
nutrizionali.
L’eccesso di corticosteroidi, sia esogeno sia endogeno (sindrome di Cushing) induce osteoporosi aumentando
il riassorbimento dell’osso e riducendone la formazione.
L’osteoporosi che accompagna l’acromegalia, il diabete mellito e l’ipertiroidismo ha patogenesi poco
conosciuta.
Inoltre si accompagnano a osteoporosi anche malattie ereditarie del connettivo, come la sindrome di Marfan,
l’osteogenesis imperfecta e l’omocistinuria.
L’osso subisce un processo di rimaneggiamento durante tutta la vita. L’osteoporosi è correlata a una
deposizione ossea ridotta o a un aumentato riassorbimento. Nell’individuo anziano la deposizione sembra
mantenersi costante, mentre è aumentato il riassorbimento osseo. Questo processo determina un allargamento
dei canali vascolari dell’osso, una ridotta ampiezza delle trabecole, un aumento di lacune osteocitarie riempite
di sali minerali e un aumento della superficie di riassorbimento. Quando queste lesioni aumentano, l’osso non
è più in grado di resistere alle sollecitazioni meccaniche e può subire delle fratture.
EPIDEMIOLOGIA
L’osteoporosi è la più comune malattia metabolica dell’osso. Differenti studi condotti su ampie casistiche
hanno mostrato che il 25% delle donne e il 18-20% degli uomini sopra ai 70 anni ne è affetto.
QUADRO CLINICO
Maggiormente colpito è il sesso femminile in epoca post menopausale. Le manifestazioni cliniche più
rilevanti dell’osteoporosi sono a livello della colonna vertebrale e della pelvi, ma possono essere colpiti anche
l’anca, il polso, l’omero o la tibia. La sintomatologia più frequente è il dolore dorsolombare, con
un’irradiazione che comprende il territorio di distribuzione delle radici nervose interessate. Il dolore è causato
dal crollo di un corpo vertebrale, generalmente a livello toraco-lombare. Si tratta di un dolore acuto e spesso
conseguente ad un trauma o a uno sforzo acuto. Obiettivamente la dolorabilità è rilevabile a livello delle coste
o dei processi spinosi del territorio colpito. Può essere evidente una deformazione della colonna. Il dolore è
esacerbato dal movimento o dalla manovra di Valsalva, si riduce generalmente entro due settimane o persiste
come senso di oppressione nell’area interessata. Nelle forme avanzate si nota una riduzione della statura del
paziente con una caratteristica cifosi dorsale.
ESAMI DI LABORATORIO E STRUMENTALI
Gli esami di laboratorio come il dosaggio di calcemia e fosfatemia sono generalmente normali. La fosfatasi
alcalina può aumentare nel sangue del paziente dopo una frattura, per rientrare subito nei limiti di normalità.
L’idrossiprolina urinaria è normale o solo moderatamente aumentata. Quando la perdita di calcio è superiore
al 25% si assiste a modificazioni ossee che hanno un corrispettivo radiologico. La radiografia della colonna
mostra striature verticali a livello delle vertebre dovute alla ristrutturazione dell’osso che, nel tentativo di
resistere alla compressione, ispessisce le trabecole verticali. La conseguenza delle rarefazioni dell’osso è il
cedimento o la frattura vertebrale: in questi casi le vertebre appaiono biconcave e si evidenzia un
appiattimento della vertebra o una sua deformazione a cuneo trapezoidale anteriore. Radiologicamente, a
livello delle ossa lunghe è evidente l’assottigliamento della regione corticale. La densitometria ossea e la
tomografia computerizzata possono essere eseguiti a completamento dello studio e forniscono utili indicazioni
relativamente alla composizione ossea.
PRINCIPI DI TERAPIA
L’esercizio fisico è fondamentale per migliorare il tenore calcico osseo per cui con l’attività fisica a partire
dall’età giovanile si può ridurre il rischio di osteoporosi aumentando il valore della massa ossea e riducendone
le fisiologiche perdite successive. Vanno evitati il fumo e l’abuso di alcolici evitati e devono essere utilizzati
con cautela i farmaci che inducono perdite di calcio. L’apporto adeguato di calcio nell’adolescente deve essere
di 1200-1500 mg al giorno e di almeno 800 mg nell’adulto. La terapia di fondo dell’osteoporosi primitiva si
basa anche sull’utilizzo di farmaci appartenenti a diverse famiglie. Si tratta comunque di terapie non ancora
definitivamente standardizzate. L’utilizzo di estrogeni può ridurre la perdita ossea postmenopausale e
diminuire l’incidenza delle fratture a essa correlata. Gli estrogeni vanno comunque somministrati con cautela
visti i rischoi emersi dal loro utilizzo a seguito degli studi effettuati. La calcitonina è in grado di aumentare la
massa ossea nelle donne con osteoporosi postmenopausale e ha anche proprietà analgesiche. I difosfonati
hanno una potente azione inibente il riassorbimento osseo e vengono utilizzati ampiamente in terapia.