BIOGRAFIA E PENSIERO DI SERGE LATOUCHE

BIOGRAFIA E PENSIERO DI SERGE LATOUCHE
A cura di Natascia DI PAOLO
A.A. 2011-2012
“Non ci può essere una
crescita illimitata in un pianeta
le cui risorse sono limitate e
ormai sono stati raggiunti e
superati i ‘limiti del pianeta’ la decrescita pertanto è
necessaria per risparmiare
all’umanità la gravissima crisi
alla quale ci sta portando
l’attuale
organizzazione
economica e sociale”
Serge Latouche
INDICE
Biografia
Opere
Il modello della crescita
Sviluppo empirico del modello: il programma delle otto R
Sitografia e bibliografia
Biografia
Nato a Vannes il 12 gennaio del 1940, Serge Latouche è uno studioso
di Scienze Sociali ed Economia, ben noto in Italia come teorico della
decrescita.
Dopo una formazione in Scienze Politiche, Filosofia ed Economia, l’interesse
per i temi dello sviluppo e della sua critica nasce in Latouche sia dalle sue
esperienze di insegnamento e di lavoro negli anni Sessanta, in quello che si
chiamava Terzo Mondo, sia dalle sue riflessioni sull’epistemologia delle
scienze sociali ed economiche. Tale interesse lo porta a fondare, insieme ad
altri studiosi, il Mauss (Mouvement Anti-Utilitariste dans le Sciences
Sociales), che nel 1981 pubblica l’importante Revue du Mauss (in origine
Bulettin) rivista interdisciplinare edita per esprimere una critica
all'economismo nelle scienze sociali e al razionalismo strumentale nella
filosofia morale e politica.
Attualmente è presidente dell'associazione «La ligne d'horizon», e
professore emerito di Scienze economiche all'Università di Parigi XI e
all'Institut d'études du devoloppement économique et social (IEDES) di
Parigi.
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Serge Latouche è ormai uno degli avversari più noti dell’occidentalizzazione
del pianeta, della decrescita conviviale e del localismo.
Conosciuto per i suoi lavori di antropologia economica, egli critica il
concetto di economia intesa in modo formale, ossia come attività di mera
scelta tra mezzi scarsi per poter raggiungere un fine. Rifacendosi in tal senso
al pensiero di Karl Polanyi egli mira a proporre nelle sue opere il concetto
dell’economico, rifacendosi alla definizione di economia sostanziale intesa
come attività in grado di fornire i mezzi materiali per il soddisfacimento dei
bisogni delle persone.
Critica, attraverso argomentazioni teoriche e con un approccio empirico
comprensivo di numerosi esempi, il concetto di sviluppo e le nozioni di
razionalità ed efficacia economica. Queste infatti, appartengono ad una
visione del mondo che mette al primo posto il fattore economico; per
Latouche invece si tratta di "far uscire il martello economico dalla testa", cioè
di decolonizzare l'immaginario occidentale, che è stato colonizzato
dall'economicismo sviluppista. Nemico del consumismo e della razionalità
strumentale, Latouche è un intellettuale che presenta tratti assai personali ed è
stato introdotto nel dibattito italiano da case editrici e gruppi culturali della
sinistra radicale.
Latouche è uno dei critici più acuti della ideologia universalista dalle
connotazioni utilitariste: rifacendosi anche alle concezioni di Marcel Mauss e
di Ivan Illich, rivendica la liberazione della società occidentale dalla
dimensione universale economicista.
A coloro che nel mondo contemporaneo mettono in discussione la prospettiva
universalista, cioè la pretesa della civiltà occidentale di imporre a tutto il
mondo una serie di valori considerati validi per tutto il genere umano si
obietta d'altra parte che criticando l'universalismo, si può finire nel
relativismo e nel particolarismo. Non è stato forse il particolarismo, inteso
come l'esaltazione delle culture particolari quello che spesso ha generato
divisioni e lotte in nome di una ristretta, egoistica, visione della propria
identità?
Latouche ribalta questa accusa addossandola proprio all'universalismo che
non è altro che una creazione ideologica occidentale, di un occidente che in
nome della propria identità, dell'identità della tribù occidentale, pretende
d'imporre un imperialismo culturale al resto del mondo.
Opere:
1989 L'occidentalizzazione del mondo, Bollati Boringhieri;
1991 Le Planète des naufragés. Essai sur l'après-développement, La
Découverte, Paris;
1993 Il pianeta dei naufraghi. Saggio sul dopo-sviluppo, Bollati Boringhieri;
1995 I profeti sconfessati. Lo sviluppo e la deculturazione, La Meridiana;
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1995 La megamacchina. Ragione tecnoscientifica, ragione economica e mito
del progresso, Bollati Boringhieri;
1996 Misère de la mondialisation, Marseille;
1997 Miseria della mondializzazione, Strategia della lumaca, Roma;
1997 Il pianeta uniforme. Significato, portata e limiti dell'occidentalizzazione
del mondo, Paravia, Torino;
1998 L'autre Afrique. Entre don et marché, Albin Michel, Paris;
2000 L'altra Africa. Tra dono e mercato, Bollati Boringhieri;
2000 Il mondo ridotto a mercato, Lavoro;
2000 La sfida di Minerva. Razionalità occidentale e ragione mediterranea;
2001 L'invenzione dell'economia, Arianna Editrice, Casalecchio;
2002 Il pensiero creativo contro l'economia dell'assurdo, EMI;
2002 La fine del sogno occidentale. Saggio sull'americanizzazione del mondo,
Eleuthera;
2003 Justice sans limites. Le défi de l'éthique dans une économie mondialisée,
Arthème Fayard, Paris;
2003 Giustizia senza limiti La sfida dell'etica in una economia globalizzata,
Torino, Bollati Boringhieri;
2003 Décoloniser l'imaginaire. La Pensée créative contre l'économie de
l'absurde. Il pensiero creativo contro l'economia dell'assurdo, Bologna,
EMI;
2003. Le retour de l'ethnocentrisme, 2003Il ritorno dell'etnocentrismo.
Purificazione etnica versus universalismo cannibale, a cura di, Torino,
Bollati Boringhieri;
2004 Altri mondi, altre menti, altrimenti. Oikonomia vernacolare e società
conviviale, Soveria Mannelli, Rubbettino.
2004. Obiettivo decrescita, con altri, Bologna, EMI;
2004.Survivre au développement. De la décolonisation de l'imaginaire
économique à la construction d'une société alternative, Paris, Mille et
une nuits;
2005 Come sopravvivere allo sviluppo. Dalla decolonizzazione
dell'immaginario economico alla costruzione di una società alternativa,
Torino, Bollati Boringhieri;
2005 L'invention de l'économie; L'invenzione dell'economia, Torino, Bollati
Boringhieri, 2010.
2006 Le pari de la décroissance; La scommessa della decrescita, Milano,
Feltrinelli, 2007.
2007 Petit traité de la décroissance sereine;
2008 Breve trattato sulla decrescita serena, Torino, Bollati Boringhieri;
2008 La sfida della decrescita. Il sistema economico sotto inchiesta, con
Riccardo Petrella ed Enrique Dussel, Città di Castello, L'Altrapagina;
2008 Sortilegi. Racconti africani, con Enzo Barnabà, Torino, Bollati
Boringhieri;
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2008 Entre mondialisation et décroissance. L'autre Afrique, Lyon, A plus d'un
titre;
2009 Mondializzazione e decrescita. L'alternativa africana, Bari, Dedalo;
2010 Sortir de la société de consommation;
2011 Come si esce dalla società dei consumi. Corsi e percorsi della decrescita,
Torino, Bollati Boringhieri;
2010 Le temps de la décroissance, con Didier Harpages, Thierry Magnier
2011 Il tempo della decrescita. Introduzione alla frugalità felice, Milano,
Eleuthera;
2011 Vers une société d'abondance frugale. Contresens et controverses sur la
décroissance;
2012 Per un'abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita,
Torino, Bollati Boringhieri.
Il modello della crescita
La parola decrescita è da intendere non come il termine opposto di
crescita (come invece è a-crescita) e non identifica un modello pronto per
l’uso, ma è piuttosto, come riferisce Latouche in diverse interviste, «uno
slogan politico con implicazioni teoriche, una parola d’ordine che significa
abbandonare radicalmente l’obiettivo della crescita per la crescita». Tale
slogan si riferisce a qualcosa di completamente nuovo, che porti ad un
cambiamento radicale della situazione attuale in cui la felicità e il benessere
delle persone vengono misurate con un indice puramente economico, il Pil,
che, in realtà, misura la ricchezza secondo un metro prettamente capitalistico,
dimenticando che il ben-essere di un popolo non coincide con il ben-avere.
Ormai è un dato di fatto che, seppur abbiamo una quantità enorme di oggetti e
abbiamo prospettive di lunga vita, la nostra serenità non è maggiore di quella
dei nostri antenati e la nostra felicità, è evidente, non è direttamente
proporzionale al Pil.
La società della decrescita è per Latouche, una società che deve innanzitutto
ristabilire le sue priorità, basandosi sul ben-essere ed eliminando tutti quei
valori che hanno un effetto negativo sulla serena sopravvivenza umana; una
società che torni a vivere la dimensione locale, riscoprendo una vita più sobria
e frugale, quasi di sussistenza, all’interno della propria comunità in cui il
valore principale è la solidarietà.
Il tutto nel totale rispetto dell’ambiente, senza per questo dover arretrare e
regredire ad uno stato primitivo, verso il quale, anche volendo, è impossibile
rivolgere lo sguardo.
L’autore ci mette in guardia su concetti apparentemente simili a quello della
decrescita, ma che in realtà non sono poi tanto differenti da ciò che la
decrescita combatte. Infatti, la decrescita non è paragonabile né allo sviluppo
sostenibile, né allo stato stazionario, né tanto meno alla crescita zero; tutti
concetti, questi, che ancora non abbandonano l’idea di una società del ben4
avere, necessariamente legata ad una società capitalista. L’espressione
“sviluppo sostenibile”, in particolare, viene accusato – e a ragione – di essere
un ossimoro. Attraverso lo “sviluppo sostenibile”, infatti, si pretende di
mantenere costante la crescita economica – attraverso il continuo aumento dei
profitti e del tenore di vita – senza però danneggiare l’ambiente, bensì
salvaguardandolo. Praticamente si vuole continuare a depredare l’ambiente
senza recargli danno...
È chiaro dunque come il concetto di sviluppo sostenibile sia una
semplice trovata pubblicitaria utilizzata dalla politica su indicazione delle
lobbies industriali e finanziarie, al fine di continuare a percorrere
indisturbatamente la strada della crescita a tutto scapito dell’ambiente, quindi
a svantaggio della qualità della vita della popolazione mondiale e, ancor più,
delle popolazioni del sud del mondo, che, incolpevoli e impotenti, vedono
depredare le loro terre e mutare i loro stili di vita.
Di conseguenza, il percorso da compiere per arrivare alla decrescita non passa
per presunte scorciatoie, che in realtà sono ingannevoli, ma punta
inequivocabilmente ad abbandonare il modello capitalista, che per la sua
esistenza pretende la crescita senza limiti.
Chiarito ciò, è facile capire qual è la prima tappa che ci viene posta:
decolonizzare l’immaginario.
Pertanto, è prima di tutto necessario analizzare come la nostra anima sia stata
colonizzata.
La causa principale viene individuata nella scolarizzazione (riprendendo
Illich), che, non garantendo una giusta educazione, così come non la
garantiscono i genitori, a loro volta vittime dell’immaginario dominante, è
colpevole di distruggere le nostre “difese immunitarie” e, così facendo, di
rendere vita facile ai media che ci bombardano quotidianamente con la
pubblicità, provocando una sorta di ipnosi che induce inevitabilmente a
consumare il più possibile. Praticamente «la crescita, attraverso il
consumismo, è diventata nel contempo un terribile virus e una droga».
Per uscire da questo immaginario, bisogna innanzitutto desiderare di uscirvi,
lavorare sulla nostra volontà ed entrare in azione, innanzitutto nel nostro
piccolo, perché il nostro primo nemico siamo noi stessi, incapaci come siamo
di attuare innanzitutto su di noi la trasformazione radicale.
Dobbiamo cioè convincerci e convincere gli altri che, oggi come oggi, non
solo l’abbondanza di merci non ci rende felici, ma, al contrario, meno
abbiamo e meglio stiamo. Se il consumismo è divenuto una droga, la
soluzione è disintossicarci.
Per Latouche dobbiamo ritrovare il senso del limite. Dobbiamo capire che ciò
che ci viene dato dalla natura è un dono che dobbiamo accogliere (e non
sradicare) nei limiti che la natura stessa ci pone, oltre i quali si sconfina nella
sua progressiva distruzione.
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A questo punto, se non è possibile tornare al buon senso di ieri per
contrastare il “buon senso” di oggi, bisogna costruire il buon senso del
domani.
Latouche inoltre, sostiene che nei confronti del Sud del mondo, è sì
ugualmente auspicabile, come nel Nord, una società della decrescita, ma le
condizioni per esistere dovranno essere in termini diversi, in quanto le società
del Sud non sono realmente “società della crescita” e bisogna dunque limitarsi
ad eliminare gli ostacoli alla realizzazione di società autonome.
In definitiva, ecco perché decrescere: decrescere nel depredamento
della natura, quindi nella produzione, nel consumo, nei trasporti e dunque
nell’inquinamento e nella creazione di rifiuti organici e non, al fine di vivere
in un ambiente più bello e godibile, seppur facendo una vita più sobria e
frugale. Tutto ciò nella consapevolezza che la ricchezza che ci rende
effettivamente sereni e felici è quella delle relazioni personali. La pienezza
della nostra vita è data dalla quantità e dalla qualità dei rapporti che abbiamo
con gli altri (siano essi parenti, amici, conoscenti occasionali ecc.), dal tempo
che trascorriamo con loro e dal modo in cui trascorriamo questo tempo
insieme. Vivere questi rapporti, che sono la nostra vera felicità, in un
ambiente che sia il nostro, più genuino, godibile, sobrio, sereno, allegro in un
contesto socio-economico, dove si ritorna a forme di autoproduzione, dove il
lavoro diminuisce e torna ad essere piacevole in un certo ambito (come la
campagna e l’artigianato), dove il mercato torna ad avere la sua funzione di
riunione popolare e riscopre lo scambio culturale attraverso lo scambio
prodotto-moneta o addirittura prodotto-prodotto (il baratto) e dove la
preoccupazione economica quasi scompare, essendo questa una società
conviviale e pressappoco autosufficiente, non è forse più auspicabile che
vivere in una società della crescita come avviene invece oggi con tutti i
disastri che ne derivano?
Sviluppo empirico del modello: il programma delle otto R
Latouche appronta una sorta di programma della decrescita, sulla base
del quale costruire un piano d’azione. Un programma comunque indicativo, a
detta dell’autore, che durante il suo percorso può variare, nei limiti del
variabile, purché rimanga attinente agli obiettivi.
La “società della decrescita” presuppone, come primo passo, la drastica
diminuzione degli effetti negativi della crescita e, come secondo passo,
l’attivazione dei circoli virtuosi legati alla decrescita: ridurre il saccheggio
della biosfera non può che condurci ad un miglior modo di vivere. Questo
processo comporta otto obiettivi interdipendenti, le 8 R: rivalutare,
ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare,
riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena,
conviviale e pacifica.
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Rivalutare. Rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo
la nostra vita, cambiando quelli che devono esser cambiati.
L’altruismo dovrà prevalere sull’egoismo, la cooperazione sulla
concorrenza, il piacere del tempo libero sull’ossessione del lavoro, la
cura della vita sociale sul consumo illimitato, il locale sul globale, il
bello sull’efficiente, il ragionevole sul razionale. Questa rivalutazione
deve poter superare l’immaginario in cui viviamo, i cui valori sono
sistemici, sono cioè suscitati e stimolati dal sistema, che a loro volta
contribuiscono a rafforzare.
Ricontestualizzare. Modificare il contesto concettuale ed emozionale di una
situazione, o il punto di vista secondo cui essa è vissuta, così da
mutarne completamente il senso. Questo cambiamento si impone, ad
esempio, per i concetti di ricchezza e di povertà e ancor più
urgentemente per scarsità e abbondanza, la “diabolica coppia”
fondatrice dell’immaginario economico. L’economia attuale, infatti,
trasforma l’abbondanza naturale in scarsità, creando artificialmente
mancanza e bisogno, attraverso l’appropriazione della natura e la sua
mercificazione.
Ristrutturare. Adattare in funzione del cambiamento dei valori le strutture
economico-produttive, i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili
di vita, così da orientarli verso una società di decrescita. Quanto più
questa ristrutturazione sarà radicale, tanto più il carattere sistemico dei
valori dominanti verrà sradicato.
Rilocalizzare. Consumare essenzialmente prodotti locali, prodotti da aziende
sostenute dall’economia locale. Di conseguenza, ogni decisione di
natura economica va presa su scala locale, per bisogni locali. Inoltre,
se le idee devono ignorare le frontiere, i movimenti di merci e capitali
devono invece essere ridotti al minimo, evitando i costi legati ai
trasporti (infrastrutture, ma anche inquinamento, effetto serra e
cambiamento climatico).
Ridistribuire. Garantire a tutti gli abitanti del pianeta l’accesso alle risorse
naturali e ad un’equa distribuzione della ricchezza, assicurando un
lavoro soddisfacente e condizioni di vita dignitose per tutti. Predare
meno piuttosto che “dare di più”.
Ridurre. Sia l’impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e consumare
che gli orari di lavoro. Il consumo di risorse va ridotto sino a tornare
ad un’impronta ecologica pari ad un pianeta. La potenza energetica
necessaria ad un tenore di vita decoroso (riscaldamento, igiene
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personale, illuminazione, trasporti, produzione dei beni materiali
fondamentali) equivale circa a quella richiesta da un piccolo radiatore
acceso di continuo (1 kw). Oggi il Nord America consuma dodici
volte tanto, l’Europa occidentale cinque, mentre un terzo dell’umanità
resta ben sotto questa soglia. Questo consumo eccessivo va ridotto per
assicurare a tutti condizioni di vita eque e dignitose.
Riutilizzare. Riparare le apparecchiature e i beni d’uso anziché gettarli in una
discarica, superando così l’ossessione, funzionale alla società dei
consumi, dell’obsolescenza degli oggetti e la continua “tensione al
nuovo”.
Riciclare. Recuperare tutti gli scarti non decomponibili derivanti dalle nostre
attività.
Sitografia e bibliografia:
www.decrescita.it
www.assoetica.it
www.filosofiatv.org
www.wikipedia.it
La scommessa sulla decrescita, Serge Latouche, Milano, Feltrinelli, 2007.
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