hoc agite sultis, spectatores, nunciam; quae quidem mihi atque vobis res vertat bene Plauto Percorso antologico Tipi e personaggi del teatro plautino Nelle commedie di Plauto non sono particolarmente approfonditi i caratteri dei personaggi, che l’autore preferisce costruire secondo “tipi” fissi, certo non molto realistici, ma sicuramente comici agli occhi degli spettatori. Il percorso presenta alcune di queste tipologie, forse le più note e amate dal pubblico: il soldato fanfarone, il parassita adulatore, il lenone, il vecchio avaro. Alcune di esse hanno avuto particolare fortuna nella letteratura successiva, rappresentando un vero e proprio modello per una serie di personaggi analoghi che hanno popolato le pagine di romanzi o le scene teatrali nel corso dei secoli. ITA TESTO 1 Miles gloriosus, vv. 1-78 ITA TESTO 2 Maenechmi, vv. 77-109 ITA TESTO 3 Rudens, vv. 125-126; Curculio, vv. 495-504 ITA TESTO 4 Aulularia, vv. 40-66 L’età arcaica © 2009 SEI - Torino TESTO 1 Il soldato fanfarone e il parassita adulatore Miles gloriosus, vv. 1-78 Nella prima scena del Miles gloriosus vengono presentati i caratteri del personaggio che dà il titolo alla commedia, cioè Pirgopolinice, tipico esemplare del soldato spaccone, e del suo compagno Artotrogo. Già i nomi dei due rivelano qualcosa del loro carattere. Pirgopolinice, infatti, deriva da tre nomi greci che significano rispettivamente «torre», «città» e «vittoria» e vorrebbero attribuire al nome del personaggio il significato di «vincitore di torri e città». Anche Artotrogo deriva dalla combinazione di due parole greche: il nome «pane» e il verbo «mangio»; perciò il nome significherebbe «mangiatore di pane», come tipico di ogni parassita. Pirgopolinice fin dall’inizio si comporta secondo il suo carattere borioso, mettendosi in mostra con Artotrogo, che gli sta appiccicato nella speranza di ottenere un pranzo. Dal momento che conosce il carattere di Pirgopolinice e le sue debolezze, Artotrogo lo riempie di falsi complimenti; così mentre il soldato inventa imprese mai compiute, egli rincara la dose, completando con nuovi particolari le fantasiose imprese dell’altro. PIRGOPOLINICE, ARTOTROGO PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. AR. (uscendo di casa e parlando all’interno) Mi raccomando: il mio scudo deve brillare più dei raggi del sole, quando il cielo è terso. Voglio che in caso di bisogno, nel pieno della battaglia, esso abbagli la vista ai nemici... Ma ora consoliamo questa mia spada, che non si lamenti né si perda d’animo, se da troppo tempo me la porto oziosa al fianco. Poveretta, muore dalla voglia di far salsicce dei nemici... Ma dov’è Artotrogo? Eccolo qua, al fianco di un eroe forte e fortunato, dall’aspetto regale. Marte non oserebbe asserire di esser altrettanto battagliero, né oserebbe paragonare le sue prodezze alle tue. Vuoi dire quello che ho salvato nei campi gorgoglionei, dov’era comandante in capo Bumbomachide Clutumistaridisarchide, nipote di Nettuno? Ricordo; alludi a quel tale dalle armi d’oro, di cui tu disperdesti le legioni con un soffio, come fa il vento con le foglie o con le canne dei tetti. Ma questo non è niente, per Polluce! Certo, questo non è niente – per Ercole! – a paragone di quel che potrei dire delle altre prodezze... (tra sé) che non hai mai fatto. (Piano, al pubblico) Se qualcuno dovesse trovare un uomo più impostore e più borioso di costui, mi tenga per sé: sarò il suo schiavo. Non c’è che una cosa: da lui si mangiano certi pasticci d’olive che ci si impazzisce dietro. Dove sei? Eccomi. Quell’elefante per esempio, là in India. Per Polluce! come hai fatto a spezzargli un braccio con un pugno? Come un braccio? Volevo dire una coscia! Eppure fu un colpetto da niente. Per Polluce! se ce l’avessi messa tutta, col braccio gli avresti sfondato la pelle a quell’elefante, e attraverso le budella gli sarebbe uscito dalla bocca. Non ho voglia di parlar di queste cose, adesso. Per Ercole! non val la pena che tu mi racconti le tue prodezze; le so a memoria. (Tra sé) È il ventre che mi crea tutti questi fastidi; devo allungar le orecchie, se non voglio che mi si allunghino i denti, devo passar per buone tutte le fandonie che mi racconta. Che cosa volevo dirti? Eh, lo so già quel che vuoi dire. È vero – per Ercole! – ricordo bene. Che cosa? Tutto quel che vuoi. © 2009 SEI - Torino Plauto - Percorso antologico PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. AR. PY. Hai?... Vuoi chiedere le tavolette? Le ho, e anche lo stilo. Con che prontezza sai uniformare il tuo pensiero al mio! È mio dovere studiare le tue intenzioni e aver cura di subodorare ogni tuo desiderio. Ti ricordi?... Mi ricordo: centocinquanta in Cilicia, cento in Scitolatronia, trenta di Sardi, sessanta Macedoni: tanti sono quelli che hai ucciso in un sol giorno. Quanto fa in totale? Settemila. Dev’essere così: tu sai far bene i conti. Eppure non ho preso nessun appunto; ma ricordo ugualmente ogni cosa. Per Polluce! hai una gran bella memoria. (tra sé) Me la rinfrescano i manicaretti. Se continuerai a comportarti come hai fatto sinora, non ti mancherà mai da mangiare; per te, ci sarà sempre un posto alla mia tavola. E là in Cappadocia?... Se non ti si fosse spuntata la spada, ne avresti uccisi cinquecento in un sol colpo! Ma, siccome erano niente più che fanterucoli, li lasciai vivere. Che vuoi che ti dica? Lo sanno tutti che di Pirgopolinice, al mondo, ce n’è uno solo, e che il tuo valore, la tua bellezza, le tue imprese non hanno eguali! Sono tutte innamorate di te; e non hanno torto, bello come sei! Per esempio, quelle che ieri m’han tirato per il mantello... Che cosa ti hanno detto? Mi han fatto un mucchio di domande. «Ma, è Achille?» mi diceva una. «No» le risposi «è suo fratello». E allora un’altra: «È ben bello, per Càstore!» mi fa «e che distinzione! Guarda come gli sta bene quella pettinatura! Son davvero fortunate le donne che vanno a letto con lui!». Così dicevano dunque? Non m’hanno supplicato tutt’e due di farti passare oggi di là, come si fa con la processione? È una vera disgrazia esser troppo bello! Eh sì, è proprio così. Come sono fastidiose: pregano, brigano, scongiurano di poterti vedere; vogliono che ti conduca da loro; al punto che non ho più modo di occuparmi che dei tuoi affari. Mi sembra che sia tempo d’andare al foro, per dar la paga a quei soldati che ho arruolato qui ieri. Infatti re Seleuco mi ha pregato caldamente di assoldargli un po’ di mercenari, e ho deciso di dedicare al re questa giornata. Su, andiamo allora. (chiamando all’interno) Guardie, seguitemi. (S’allontana col parassita e con le guardie per la via della piazza) (trad. di M. Scandola) TESTO 2 Il parassita affamato Maenechmi, vv. 77-109 Siamo nel primo Atto della commedia. La scena è occupata dal monologo del Peniculus, un parassita che porta un “nome parlante”: significa infatti Spazzola. Che il cibo e il bisogno di mangiare siano gli oggetti dell’interesse preponderante di Spazzola è cosa abbastanza scontata; il testo però contiene anche una metafora che vuole illustrare gli stretti legami di dipendenza che si instaurano tra il parassita e il suo patronus. Tra tutti i personaggi del teatro plautino il parassita è quello che – secondo la critica – più si avvicina alla comicità propria del teatro italico delle origini. L’età arcaica © 2009 SEI - Torino SPAZZOLA I giovani m’han messo nome Spazzola, perché quando io mangio pulisco la tavola. Chi incatena i prigionieri, chi mette i ceppi agli schiavi fuggiaschi fa una gran sciocchezza, a mio modo di vedere. Perché quando uno sventurato vede aggiungersi alla sua disgrazia un’altra disgrazia, si sente maggiormente invogliato a fuggire e a commettere bricconate: in qualche modo riesce a sciogliersi dalle catene, e se ha i ceppi, o taglia l’anello con una lima, o fa saltare il chiodo con una pietra: son bazzecole, queste. Se vuoi far buona guardia su qualcuno e impedirgli di fuggire, devi incatenarlo con la pappatoia e con un buon bicchiere; al tuo uomo, legagli il becco a una tavola piena: purché tu gli dia da mangiare e da bere a volontà, fino alla sazietà, tutti i giorni, non scapperà mai – per Polluce! – nemmeno se avrà commesso un delitto capitale. Ti sarà facile sorvegliarlo, purché tu lo leghi con catene del genere; sono ben malleabili codeste catene mangerecce: quanto più le allenti, tanto più stringono. Perciò io me ne vado qua da Menecmo, al quale da lungo tempo appartengo: ci vado da me, perché mi metta quelle catene. Gli uomini, quello, non li nutre soltanto, ma li ingrassa, li rimpolpa: non v’è medico più bravo di lui. Il nostro giovane è fatto così: pappatore formidabile di per se stesso, offre pranzi di Cerere:1 v’apparecchia certe tavole, v’ammannisce certe sfilze di piatti...! Bisogna rizzarsi in piedi sul letto,2 se si vuol prendere quello in cima. Ma adesso c’è stata una sosta, che dura ormai da parecchi giorni: in questo frattempo sono stato costretto in casa di continuo coi... miei cari; perché io non mangio né compero se non ciò che è più caro. Per di più, non faccio a tempo a disporli, questi cari, che si squagliano. Adesso vado a trovarlo. Ma s’apre la porta. Ecco giusto Menecmo che esce. Statuetta di attore comico con maschera. (trad. di M. Scandola) 1. In onore di Cerere a Roma c’era l’abitudine di offrire banchetti al popolo. 2. Per «letto», si intende quello della sala da pranzo, su cui stavano sdraiati i commensali. TESTO 3 Il lenone Rudens, vv. 125-126; Curculio, vv. 494-504 Considerandolo il più spregevole tra i personaggi delle sue commedie, Plauto assegna al lenone il ruolo costante del “cattivo” assoluto. Sfruttatore di donne, di cui diventa proprietario per amore di denaro, egli è brutto non solo per le caratteristiche morali, non solo per la pessima reputazione di cui gode presso gli altri personaggi, ma anche per l’aspetto fisico. I due brevi passi riportati, tratti dalla Rudens e dal Curculio, sono un ritratto insieme fisico e morale di un lenone, in cui si accumulano tratti negativi, e un giudizio stroncante sulla figura del lenone, in cui non trova posto alcun elemento di positività e umanità. Il ritratto (Rudens, vv. 125-126) PL. Rispondi a questa domanda: t’è capitato di vedere un uomo coi capelli crespi, canuto, un farabutto, uno spergiuro, tutto piaggeria? (trad. di G. Augello) Il giudizio (Curculio, vv. 494-504) GOR. Eh, dovrei accettar garanzie giusto da un lenone, che non ha nulla all’infuori della lingua per impastocchiare con gli spergiuri i gonzi che si fidano? Voi non siete padroni né © 2009 SEI - Torino Plauto - Percorso antologico di quelli che vendete, né di quelli che affrancate, né di quelli a cui date ordini; nessuno è disposto a far avallo per voi, come voi non siete disposti a farlo per gli altri. A dirla come la penso, la genia dei lenoni mi ha l’aria di quella delle mosche, delle zanzare, delle cimici, delle pulci, dei pidocchi: odiosa, rovinosa, seccante, incapace di fare un filo di bene. Non c’è un galantuomo che s’azzardi in piazza a imbrancarsi con voi: se uno vi abborda, si grida allo scandalo, lo si guarda con sospetto, lo si biasima; si dice, anche quando non è vero, che sta facendo scempio del patrimonio o dell’onore. (trad. di G. Augello) TESTO 4 L’avaro Aulularia, vv. 40-66 La scena che riportiamo ha lo scopo di presentare il carattere di Euclione, il vecchio avaro protagonista dell’Aulularia. In apertura egli è impegnato a cacciare di casa la vecchia serva Stafila per avere la libertà di controllare, senza essere visto, il luogo dove è nascosta la pentola d’oro. Già il nome del personaggio – come accade quasi sempre in Plauto – è indice del suo carattere; deriva infatti da un avverbio greco, che significa «bene», e dal verbo greco «chiudo a chiave» e quindi richiamerebbe il compito che questo vecchio sembra essersi affidato: tenere ben chiuso, nascosto, il suo tesoro. Euclione esiste in funzione del possesso e della conservazione del suo denaro con un’ossessione quasi maniacale; egli vive nella misura in cui c’è il suo tesoro e con l’unico fine di assaporare la presenza della pentola d’oro e di essere l’unico a sapere della sua esistenza. Alla figura di Euclione e alla fortuna che questo personaggio ebbe nel teatro e nella letteratura è dedicato l’Approfondimento nella pagina seguente. EUCLIONE, STAFILA EU. ST. EU. ST. EU. ST. EU. (Scacciando fuori di casa la serva) Esci, ti dico, esci, su! Per Ercole! Devi uscir fuori di qua, spiona, con quegli occhi che si ficcano dappertutto! Ma perché mi batti, disgraziata che sono? Perché tu sia veramente disgraziata e abbia a passare una brutta vecchiaia, degna della tua bruttezza! Per quale motivo adesso m’hai scacciata fuori di casa? Dovrei renderne conto a te, terra da staffili? Tirati via da quella porta; là, se ti pare. Guarda un po’ come cammina. Lo sai cosa t’aspetta? Per Ercole! Se oggi prenderò in mano un bastone o uno staffile, ti farò allungare codesto passo da tartaruga! Che gli dèi mi spingano su una forca, piuttosto che servire in casa tua a queste condizioni! Guarda la scellerata, come brontola dentro di sé! Per Ercole! Te li caverò, codesti occhi, sfacciata, perché tu non possa spiare le mie mosse. Allontanati ancora, ancora, an... oh! Fermati là. Per Ercole! Se ti scosti di là la grossezza di un dito o la larghezza di un’unghia, o se ti volti indietro prima che te ne dia l’ordine, immediatamente ti manderò a scuola su una croce, per Ercole! (Tra sé) Certo che non ho mai visto un essere più scellerato di questa vecchia; ho una tremenda paura che mi tenda un tranello, cogliendomi di sorpresa, e che scopra col suo fiuto dov’è nascosto l’oro. Ha occhi persino sulla nuca, quel pessimo arnese! Ed ora andiamo a vedere se l’oro sta ancora dove l’ho nascosto. Quante preoccupazioni mi dà, povero me! (Rientra in casa) (trad. di M. Scandola) L’età arcaica © 2009 SEI - Torino APPROFONDIMENTO Euclione: il prototipo dell’avaro Si sa che l’arte plautina non si preoccupa di delineare i caratteri dei personaggi comici e che preferisce mettere in scena dei “tipi”, rivolgendo tutto il proprio interesse alla costruzione dell’azione e alla vis comica. A questa logica sfugge Euclione, un vecchio avaro davvero ben descritto in ogni sfumatura, anche di carattere. A dire il vero, questo “tipo” era già patrimonio della tradizione greca. Essendo l’avarizia uno dei vizi umani oggetto dei maggiori attacchi, non c’è da stupirsi che esso divenisse argomento di studio della filosofia; ma anche la commedia greca, prima quella “antica” con Aristofane (Strepsiade nelle Nuvole) e poi, soprattutto, la “nuova”, che espresse grande attenzione per lo studio psicologico dell’essere umano, non sfuggì al fascino dell’avaro. Nella commedia nuova, in genere, i tratti dell’avaro sono attribuiti a figure di vecchi, in opposizione a giovani spendaccioni. È proprio nell’ambito della commedia nuova che l’avaro assume tutto il contorno di un “tipo”, a opera soprattutto di Menandro, che ha lasciato esempi significativi di questo personaggio, tra cui si colloca la figura di Smicrine nello Scudo, una straordinaria mescolanza di avidità, ipocrisia e malvagità. Quando l’avaro “greco” giunge a Plauto ha ancora tutti i tratti generici di una figura “tipizzata”. È merito di Plauto se esso finisce per acquisire quel carattere sviluppato che si nota nel personaggio di Euclione. Egli è in tutti i sensi il protagonista dell’Aulularia; la sua figura è al centro degli eventi e li domina. Avaro per appartenenza familiare, come rivela nel prologo il Lare domestico, che in riferimento a suo nonno dice che ita avido ingenio fuit (v. 9), Euclione assomma in sé dei caratteri che potrebbero essere riassunti così: un’avarizia maniacale, spinta all’eccesso tanto da giungere a esiti grotteschi, addirittura surreali, e una condizione di umanità dolente che convive con questa smodata avarizia. Proprio questa miscela alquanto particolare impedisce a Euclione di essere cinico, gaglioffo o spaccone come spesso invece sono i personaggi di Plauto e in genere della palliata. Egli è un vecchio che soffre a causa del suo tesoro, fonte per lui di infinita felicità e insieme di angosce mai finite per il timore di doversene separare. L’amore assoluto che lo lega alla sua pentola colma d’oro lo porta a diffidare di tutti, a isolarsi, a concentrarsi solo su questo affetto, a non vedere altro oltre alla sua ossessione. Da questo deriva alla commedia un’atmosfera di umorismo che avvolge il personaggio ed evita che egli sia vittima di quei tratti di superbia, malvagità o volgarità tipici invece degli altri personaggi plautini. Ne esce una figura a suo modo simpatica, modello di un lungo elenco di avari, rintracciabili nella letteratura di tutti i tempi. Vogliamo qui ricordare solo i più famosi: l’usuraio Shylock del Mercante di Venezia di Shakespeare, Arpagone dell’Avaro di Molière, i personaggi delle tre commedie goldoniane Il vero amico, L’avaro fastoso e Il geloso avaro, fino a giungere a un eroe dei moderni fumetti, il disneyano Paperon de’ Paperoni. © 2009 SEI - Torino Plauto - Percorso antologico dentro il testo Aulularia, vv. 40-66 Leggere il testo 1 Quale ruolo svolgono i due personaggi in scena? 2 Per quale motivo Stafila viene fatta allontanare dal luogo in cui si trova? 3 A chi Euclione rivela i suoi pensieri? Riflettere sul testo 4 Osserva le battute di Euclione: a in quali occasioni si rivela la sua avarizia? b l’importanza del denaro è superiore a quella delle persone umane? Giustifica la tua risposta. c in quali occasioni il possesso del denaro diventa così impegnativo da superare la normalità? Approfondire il testo 5 Leggi Euclione: il prototipo dell’avaro e prova a costruire un breve testo sulla figura dell’avaro, dal modello più antico all’elaborazione plautina, alle letterature successive. 6 Sapresti ricollegare una lettura, un testo cinematografico, uno spettacolo teatrale che hai visto al modello plautino che hai analizzato? riepilogo del percorso 1 Considera il tipo del soldato spaccone. a Quale personaggio lo rappresenta? b Quali tratti del comportamento lo caratterizzano? c Quale sviluppo ha avuto la figura del soldato spaccone? Ne hai trovato qualche eco in storie (letterarie, filmiche, teatrali) che conosci direttamente? 2 Soffermati sul tipo del parassita. a Quale personaggio lo rappresenta? b Quali tratti del comportamento lo caratterizzano? c Quali aspetti lo accomunano allo schiavo? 3 Osserva il tipo del lenone. a Quali tratti fisici lo descrivono? b Aspetto fisico e morale hanno una corrispondenza? Di quale tipo? c Quale ruolo ha questo personaggio nell’intreccio della commedia? d Il lenone è antitesi del ruolo di un altro personaggio tipico della commedia plautina: sapresti dire quale, argomentando la tua risposta? 4 Rileggi il passo dedicato al tipo dell’avaro. a Quale personaggio lo rappresenta? b Quali tratti del comportamento lo caratterizzano? c A differenza di molti altri “avari” che la commedia italiana con Goldoni, quella francese con Molière, quella inglese con Shakespeare hanno ripreso da Plauto, Euclione non rappresenta un mercante: quali caratteristiche umane e sociali definiscono il personaggio plautino? Perché è possibile indicarlo come il prototipo letterario dell’avaro? L’età arcaica © 2009 SEI - Torino