Antigone e la filosofia. Hegel.

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Antigone e la filosofia. Hegel.
Riferimenti testuali
Dalla Fenomenologia dello spirito, VI. Lo spirito. A. Lo spirito vero; l’eticità (capoversi 7-39)
L'Antigone di Hegel. Alle origini tragiche della soggettività
1. Antigone come immagine di un mondo.
Nella Fenomenologia dello spirito di Hegel, la presentazione del mondo greco prende le mosse dal
tratto dominante dell'armonia. L'armonia regna nella polis prima dell'agire tragico. Questa è la tesi
di partenza della trattazione hegeliana, che fa scaturire quel movimento che si concluderà con l'autoaffermazione dell'individuo moderno autocosciente e padrone dei suoi atti.
La polis si articola in due leggi che ne regolano l'andamento: la prima, propria degli dei inferi è inconsapevole, interiore e inespressa, la seconda, legata agli dei superi, è pubblica e manifesta a tutti.
L'uomo come cittadino della polis darà vita alla legge umana, «nota» ed «esposta alla luce del giorno». La donna invece sarà plasmata dalla legge divina dei legami di sangue e avrà come mondo la
famiglia. Trovandoci nello stadio iniziale della civiltà, la differenza in cui le due leggi trovano
espressione sarà «immediata», cioè di tipo naturale: una distinzione legata al sesso, all'esser uomo o
donna.
Il mondo etico risulta dunque composto di due parti: lo Stato e la famiglia. Esse, pur essendo caratterizzate da leggi distinte, non sono opposte, ma si intrecciano saldamente una con l'altra. Hegel
esprime la profonda circolarità che lega le due leggi in questi termini:
Nel suo sussistere il regno etico è un mondo non macchiato di scissione alcuna. E similmente il suo
movimento è un quieto divenire: l'una potenza di esso regno diviene l'altra, e da ciascuna l'altra è ricevuta e prodotta. Noi le vediamo bensì dividersi nelle due essenze e nell'effettualità di esse; ma la loro
opposizione è piuttosto la convalida dell'una essenza mediante l'altra (Fen., capov. 26, vol. II p.21).
La «bellezza» di questa vita etica è legata al suo essere un intero che gode di «un quieto equilibrio
di tutte le parti»: la polis affonda le sue radici nei legami familiari e tiene a freno l'istinto di particolarizzazione dei suoi cittadini ricorrendo alla guerra. In questo modo la comunità dispiega la sua
forza di coesione attraverso il «regno delle ombre». Compare così il tema della morte che svolgerà
un ruolo centrale nella dinamica del mondo etico: per entrare nella polis il cittadino si strappa alla
elementarità dei legami familiari, per difendere lo Stato si espone però al rischio della vita e, infine,
ritorna come morto nell'ambito della famiglia. È quest'ultima, infatti, a dover assolvere il compito
della sepoltura, esorcizzando così il terrore ancestrale della decomposizione.
Se fino a questo punto intorno al morire del singolo le due leggi sembrano trovare una reciproca
convalida, l'andamento dell'esposizione hegeliana farà tuttavia emergere una contraddizione insanabile. È sull'autocoscienza che occorre concentrare l'attenzione. Hegel sottolinea che essa
Non è ancor sorta nel suo diritto come individualità singola. [...] Questo singolo ha validità soltanto come ombra irreale (Fen., capov. 27, vol. II p.22).
La quieta organizzazione del mondo etico vedrà nascere una contraddizione che la porterà al tramonto proprio attraverso un agire individuale. L'armonia della polis è raggiunta a prezzo della morte e del presentarsi del Sé singolare come ombra. L'individuo è completamente ricompreso nell'universalità delle leggi manifeste a tutti, dei costumi, delle tradizioni. C'è piena fusione tra la comunità,
con le sue leggi note a ciascuno dei suoi membri: Atena è il vero spirito di ogni cittadino e, come
Hegel ribadirà anche nelle Lezioni sulla filosofia della storia
Le leggi sono le massime dei cittadini, la cui somma ragione è di vivere per le leggi: ciò costituisce la
sostanza universale della loro felicità, del loro onore, della coscienza.
La famiglia è intesa come unione di consanguinei, come stirpe: governata dalle leggi non scritte di
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Ade, essa fonda la sua eticità sul culto dei morti, quell'ultimo essenziale gesto della sepoltura attraverso cui essa si pone come «naturale comunità etica».
Nella prospettiva di Hegel i greci, attribuendo valore solo e unicamente alla vita, consideravano la
morte l'assoluta negazione, un mero cessare, privo in sé di qualsiasi valenza positiva; nello stesso
tempo, però, essi ritenevano indispensabile dare senso alla morte, sottrarla al semplice piano della
naturalità e, attraverso l'azione umana della sepoltura, farle guadagnare la spiritualità.
Nelle Lezioni di estetica Hegel continuerà a sottolineare questa concezione greca della morte, ricordando che Achille, come qualsiasi altro greco, considera la morte un «assoluto nulla» e dichiara di
preferire la più miserabile condizione vivente piuttosto che regnare tra i morti.
L'agire di Antigone andrà considerato dunque a partire dalla consapevolezza che per i greci gli onori funebri dei familiari conferiscono senso a qualcosa che di per sé non ce l'ha.
Si tratta così di affermare il «diritto alla coscienza», la capacità di non lasciare la morte nelle mani
della sola natura, di non accettare il suo immediato carattere irrazionale. Gli onori funebri portano
«consolazione» e rendono possibile la «conciliazione» con quell'estremo accadere che altrimenti
non sarebbe che uno sprofondare nel nulla, uno scivolare nel buio. L'azione etica della sepoltura è
dunque assolutamente necessaria affinché il morto non si trovi in balia delle «forze del tempo e degli animali», perché sia chiaro che egli non è solo un corpo che si dissolverà.
Emerge così con chiarezza la questione di Antigone, il suo presentarsi come un individuo che assume come compito del proprio agire una legge coincidente con la dimensione essenziale della famiglia e dei legami di sangue.
Antigone è dunque, una individualità, un semplice mezzo attraverso il quale la legge etica trova realizzazione. Aderire ai legami del sangue, assumersi il dovere di dar sepoltura al fratello, non è una
sua scelta, ma dipende unicamente dalla dimensione immediatamente naturale del suo essere donna.
Agli eroi tragici non interessa né la varietà, né l'ampiezza del loro animo, ma unicamente quell'essenza etica che li spinge ad agire. Il loro «immediato decidersi» non conosce dubbi, essi sanno cosa
devono fare e lo mettono in atto, con una fermezza che va al di là di ogni oscillazione e conflitto interiore e una piena fiducia di compiere un'azione etica.
Antigone «vede il diritto soltanto dalla parte sua e il torto dall'altra»: per lei, l'editto di Creonte è solo un'«esplosione di violenza». Lo zio la giudicherà invece chiusa nella propria «caparbietà e disubbidienza», spinta ad opporsi alla legge pubblica e universale della città esclusivamente da motivazioni oscure e puramente interiori.
Nel suo essere «coscienza della sostanza» Antigone non opera nessuna «inversione» dell'universalità della legge nell'individualità dell'agire, il quale in quanto «passaggio dal pensiero all'effettualità»,
non è che la diretta applicazione del contenuto sostanziale.
Hegel, a questo punto, però, ricorda che
L'essenza etica è dirotta in due leggi, e la coscienza come indiviso comportamento verso la legge, è
ora assegnata soltanto ad uno (ibid., capov. 31, p. 26).
Per quanto sia una consapevole sfida a Creonte, l'agire di Antigone è dominato dall'«opposizione
del saputo e del non saputo»: nel seppellire il fratello essa ritiene di compiere un'azione etica, considera la propria legge come esclusiva e non ritiene ugualmente valida anche l'altra.
Nel discorso hegeliano è l'agire a costituire la chiave di volta: esso, per sua stessa natura, produce
una scissione fra il Sé agente e «di contro a questo un'estranea effettualità esteriore».
Siamo nel momento cruciale dell'argomentazione hegeliana: se l'agire comporta inevitabilmente una
scissione, perché realizza un lato e si comporta negativamente verso l'altro, esso produce nello stesso tempo un effetto determinante. È attraverso l'agire, infatti, che Antigone compie l'esperienza decisiva, scopre cioè che la sua legge
è nell'essenza congiunta con la legge opposta; l'essenza è l'unità di entrambe le leggi; ma l'operazione
ha realizzato solo l'una di contro all'altra. Ma essendo esse essenzialmente congiunte, il compimento
dell'una evoca l'altra, la evoca come un'essenza violata e ora nemica, gridante vendetta (ibid., capov.
32, p. 28).
Attraverso il compimento dell'azione Antigone scopre che ciò che appariva estraneo non è che l'al2
tra parte di un'essenza unica, di una sostanza etica duplice ma unitaria. Tutta l'effettualità appare
etica, anche quella di Creonte. L'agire produce un effetto di unità fra la legge e la realtà che non può
non valere anche per il diritto opposto. A questo punto Antigone non può non riconoscere
l'«opposto» come qualcosa di «suo», l'«estraneo» come «proprio»: violando l'effettualità di un altro
ha così offeso la dimensione unitaria dell'essenza.
Per quel che riguarda l'esperienza di Antigone, il riconoscimento del coincidere della sua azione solo con una parte, la porta ad uno «stato di colpevolezza che la consuma». La posizione di Creonte,
del resto, è perfettamente simmetrica: abbiamo due essenze uguali, ma poste «in un indifferente
sussistere». Ognuna entra in contraddizione con se stessa, con il fatto di essere contemporaneamente tutto e parte, essenza limitata da un'altra essenza. Questa opposizione fra uguaglianza e diversità,
identità e differenza, produce solo un riconoscimento di colpevolezza, ma nessuna acquisizione positiva: «Entrambi i lati vanno incontro ad un necessario tramonto». Antigone e Creonte sono due autocoscienze possedute dalla contraddizione intrinseca all'autocoscienza: essere relazione a sé e relazione all'altra. Non raggiungendo però il riconoscimento, soccombono ad una
Forza negativa che li inghiotte entrambi [...] il destino onnipotente e giusto (Fenom., capov. 35, p.30).
Scegliere Antigone come immagine essenziale del mondo greco significa per Hegel compiere una
riflessione sui limiti dell’individualità nel mondo greco. Quel che manca a questa nascente individualità è la capacità di rinunciare alla propria autosufficienza, basata sul ritenersi unica depositaria
della legge etica. Antigone non riesce a passare dalla negazione dell'altro al suo riconoscimento,
non è in grado di compiere quel «sacrificio» della propria completezza che è insito nel rispecchiamento in un'altra autocoscienza. Legata alla propria identità, rifiuta la differenza e, nel momento in
cui coglie la compresenza di proprio ed estraneo, la vive solo come una sua contraddizione e colpa,
finendo con l'annullarsi.
In questo modo si rivela ancora una volta il carattere di transizione proprio dell'autocoscienza, la
sua possibilità di realizzarsi solo riconoscendosi in un'altra autocoscienza. Ciò accadrà molto più
avanti nel cammino fenomenologico della coscienza, quando si compirà quell’apertura all'altro,
quella rinuncia alla propria pretesa di autosufficienza che permetterà all'individualità di trovare se
stessa.
Nel momento in cui agisce, l'autocoscienza greca, incarnata da Antigone, può venire considerata il
punto di partenza di quel processo che si concluderà con la Rivoluzione francese. È questo il movimento attraverso il quale sorge un'individualità autonoma, libera da condizionamenti esterni e capace di rinunciare alla propria autosufficienza e realizzare la sua intrinseca relazione con l'altro. Solo
così, attraverso il riconoscimento reciproco con un'altra autocoscienza uguale e distinta, l'autocoscienza come «indipendenza-dipendente», compresenza di identità e differenza, può compiere la
propria essenza.
Se il soggetto moderno può raggiungere se stesso solo nella rinuncia alla semplice autosufficienza,
il Sé greco è lontano da questa meta. Per Antigone rinunciare al «proprio» significa semplicemente
venir meno. Essa diviene consapevole della presenza di un'alterità, di una legge etica che ha un
uguale diritto rispetto a quello che la porta ad agire, ma riesce a rapportarsi solo negativamente ad
essa. Soffrendo Antigone riconosce la propria colpa, ma ciò non porta che a un tragico annullamento di sé. Il suo debole essere sta tutto nell'appartenenza a una legge sentita come la totalità: la perdita di questa compiutezza è per lei fonte di annientamento. Di fronte all'altro è incapace di scorgere
la medesima identità e differenza che la costituisce e resta abbarbicata ad una unilaterale identità
che non può che portarla alla rovina.
Hegel sceglie l'azione tragica di Antigone come chiave di lettura del mondo greco, per mettere in
luce il venir meno al quale esso è destinato nel momento in cui s'affaccia l'individualità. L'agire singolare produce una lacerazione nell'unità della polis, una dissonanza nella sua armonia, una contraddizione che essa non è in grado di conciliare.
Il mondo greco viene meno perché è legato ad elementi di naturalità e immediatezza mostrati in
modo esemplare da Antigone. La polis «opprime» al proprio interno la singolarità degli individui,
ma all'esterno esprime l'individualismo delle molte comunità. Col tramonto delle individualità na3
zionali greche, nasce una nuova «comunità universale», l'impero romano. In questo modo, però, si
rompe l'unità della polis, il nesso fra universalità e singolarità: nella nuova situazione compare
un'universalità morta alla quale si contrappongono, quali unici depositari della vitalità, i singoli individui.
Antigone è l'immagine del dissolversi di questo mondo, perché mostra in sé il suo limite essenziale,
il fatto che
La natura in generale entri nell'azione dell'eticità. La sua effettualità fa vedere soltanto la contraddizione e il germe del corrompimento, di cui sono affetti la bella armonia del consenso e il quieto equilibrio
dello spirito etico proprio in questa quiete e bellezza (ibid., capov. 39, p. 35).
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