La risposta alla crisi del 1929 nei diversi paesi europei

LA RISPOSTA ALLA CRISI E LE DIVERSE STRATEGIE DEI PAESI INDUSTRIALIZZATI
Se consideriamo i livelli di PIL raggiunti nel 1929 possiamo distinguere:
• Paesi con ripresa molto lenta (U.S.A. e Francia): nel 1939 a fatica tornano a livello del
1929.
• Paesi con ripresa intermedia (Gran Bretagna e Italia): nel 1935 ritornano a livello del
1929 e nel 1939 lo superano di un 20%.
• Paesi con rapida ripresa (Giappone e Germania): allo scoppio della Seconda Guerra
Mondiale (1939) avevano un PIL maggiore di quello del 1929 di un 50%.
Logicamente queste differenze rispecchiano differenti modi, da parte die vari paesi, di
affrontare la crisi.
La risposta degli U.S.A.:
• New Deal (Roosevelt, 1932) → intervento statale nell'economia attraverso misure
espansionistiche.
• Riforme per evitare nuove crisi (banche, borsa)
• Abbandono del gold standard
• Stimolo ai consumi → investimento pubblico in infrastrutture, programmi per ridurre la
disoccupazione
• Sostegno al settore agricolo (prezzi, finanziamento)
• Migliorare la distribuzione del reddito → misure sociali (Wagner Act, Social Security Act)
→ Le misure adottate, pur efficaci, sono insufficienti rispetto alle dimensioni del problema.
Una vera ripresa economica si avrà solo nell'imminenza della guerra → forte aumento
della spesa pubblica
La risposta della Francia: L’economia francese negli ultimi venti anni viveva una fase di
prosperità: la svalutazione del franco nel 1926 favoriva le esportazioni e permetteva
l’accumulazione di oro. Il vero cambiamento, però, si produsse quando la svalutazione
monetaria adottata da alcuni paesi concorrenti, come l’Inghilterra, cancellò i vantaggi della
sottovalutazione del franco. Questo fatto, unito con la depressione mondiale, fece
precipitare le esportazioni dei prodotti sia agricoli che industriali.
Comunque sia possiamo dire che la depressione in Francia produsse meno disoccupati
che in altre parti da un lato perché era meno profonda, d’altro canto, però, anche perché in
questo paese c’era una più bassa proporzione di lavoratori industriali sul totale.
In termini generali possiamo dire che la depressione in Francia fu relativamente blanda ma
più persistente che in altri paesi. La ripresa non comici fino al 1936. La lentezza della
ripresa va attribuita alla politica economia adottata per affrontare la crisi. I fattori importanti
sono due:
I.
la volontà di mantenere la parità della moneta ( La Francia capeggiò il cosiddetto
blocco dell’oro).
II. Perseguimento del pareggio di bilancio: questo era finalizzato alla riduzione dei prezzi
interni e a rendere competitivi sui mercati internazionali i prodotti francesi. Il governo
cercò di portare in spregio il bilancio aumentando le imposte e diminuendo le spese;
ridusse gli stipendi dei dipendenti pubblici ma non riuscì a tagliare la spesa militare.
La risposta della Gran Bretagna: La depressione in Inghilterra, in termini comparativi,
sembra essere più banda e breve a causa del fatto che la crisi era già iniziata molto prima,
a partire dal ritorno alla parità aurea della sterlina nel 1925. Nella seconda metà degli anni
20, mentre la maggior parte delle economie cresceva a buon ritmo, l’Inghilterra dava segni
di stagnazione e mostrava elevati tassi di disoccupazione. L’incidenza della casi fu molto
diversa a seconda dei settori: i più colpiti furono quelli del carbone, della costruzione
navale e l’industria tessile cotoniera.
Comunque sia l’uscita dalla depressione si cercò in una politica opposta a quella che
aveva portato alla parità aurea della sterlina nel 1925, infatti la ripresa inizia proprio con
l’abbandono della parità aurea nel 1931, inoltre ci fu il riconoscimento della perdita
dell’egemonia britannica nel campo finanziario e ci fu l’abbandono del libero scambio
adottato un secolo precedente. Venne inoltre introdotta una tariffa protezionistica e isitutita
una preferenza imperiale (1932), che favoriva le importazioni dalle colonie rispetto agli
acquisti da altri fornitori.
La risposta della Germania: Dopo gli U.S.A. il paese dove la depressione colpì con più
forza fu la Germania. La differenza fondamentale, circa la crisi, tra la Germania e gli altri
paesi europei ha le sue radici nei problemi finanziari: la crisi in germania fu così forte a
causa:
• Della fuga di capitali esteri.
• A causa delle politiche deflazionistiche adottate.
Vediamo ora un attimo meglio questi due aspetti.
L'afflusso di credi nordamericano in Germania iniziò a diminuire nel 1928 ma il colpo più
grosso fu il fallimento del Creditnstalt di Vienna che spaventò gli investitori stranieri, i quali
si precipitarono a ritirare capitali dalla Germania.
In soli due mesi, il Reichsbank perse un terzo delle riserve di oro e di monete straniere e
alcuni banche molto importati fallirono. Per evitare il crollo totale del sistema finanziario il
governo tedesco ottenne una moratoria sul debito (che rappresentò la fine delle
riparazioni) e in cambio adottò una serie di misure deflazionistiche ortodosse come la
limitazione delle importazioni per quanto riguarda l’estero e la restrizione del credito e
riduzione della spesa pubblica per quanto riguarda l’interno. A questo si aggiunse un
deciso intervento di salvataggio delle banche: l’acquisto di azioni di quelle in difficoltà
trasformò lo stato tedesco in proprietario del 60% del sistema bancario. La gravità della
crisi, (disoccupazione al 33%), appesantita dagli errori della politica governativa, alimentò
la radicalizzazione sociale. Per la sinistra, guadagnavano peso i partiti comunisti, mentre
per la destra crescevano i gruppi nazionalisti antidemocratici, tra i quali il partito nazista,
che salì al potere nel 1933. Nell’ideologia nazista lo scopo dell’economia era di fornire le
basi materiali che dovevano rendere possibile il predominio militare e civile della
Germania. Per raggiungere questi obbiettivi la prima cosa da fare era sconfiggere la
depressione e lottare contro la disoccupazione; a tal proposito vennero fatti molti
investimenti pubblici, finanziati mediante un aumento delle imposte e uno stretto controllo
della vita economica. Nei primi anni l’attenzione del governo, per uscire dalla crisi, si
concentrò sulle opere pubbliche (autostrade, aeroporti e riforme urbane) e sugli aiuti alle
industrie. A partire dal 1936 le opere pubbliche passarono in seconda linea e la spesa
dello stato venne concentrata nella preparazione della guerra così come nella produzione
di armamenti.
I risulti della politica di espansione attraverso la spesa pubblica furono spettacolari: in
cinque anni la produzione industriale e il reddito nazionale quasi raddoppiarono.
L’aumento dell’attività economica ridusse la disoccupazione, ma questa diminuzione si
ottiene anche con altri mezzi come un forte incremento dell’apparto repressivo (1.5 milioni
di occupati tra esercito, polizia e milizia del partito); l’occupazione aumentò sempre di più
fino a quando nel 1938 si raggiunse la piena occupazione.
La risposta del Giappone: Come quelli di tutti i paesi, il Governo giapponese voleva
tornare al sistema aureo e alla parità anteguerra, per cui negli anni venti l’economia
giapponese fu condizionata dalle politiche deflazionistiche volte al ritorno della
convertibilità. Il governo giapponese aveva annunciato il ritorno dello yen alla convertibilità,
con la parità anteguerra, l’1 gennaio del 1930; Nonostante il crollo della borsa di Wall
Street e nonostante il fatto che molti paesi avessero già abbandonato il sistema aureo
prima dell’inizio di quello stesso anno, mantenne la parola.
La decisione di tornare al sistema aureo sottopose l’economia giapponese ad un doppio
impatto depressivo:
- Interno: effetti delle misure per l’aggiustamento monetario, (aumento tasso di interesse
e riduzione della spesa pubblica)
- Esterno: caduta della domanda estera.
Questo provocò un inizio di recessione che colpì particolarmente il settore agrario e la
produzione di beni di consumo. In altre parole il ripristino della parità aurea nel 1939
accresce molto l’impatto alla depressione.
Le agitazioni dei contadini e degli operai per il peggioramento delle condizioni di vita
vennero capitalizzate dall’esercito, che si convertì in una forza politica incline all’uso della
forza. ne 1931 l’esercito, di sua iniziativa, comincia l’occupazione della Manciuria e il
potere passò così nelle mani del nazionalismo militarista (esercito).
Per quanto riguarda l’economia la nuova situazione era molto differente da quella appena
precedente: nel 1931 il nuovo governo decise di abbandonare il sistema aureo e ci fu
inoltre un notevole aumento della spesa pubblica, sopratutto quella militare; ciò portò ad
un rapido recupero della produzione.
I principali beneficiari del cambio di politica economica furono le grandi compagnie che
dominavano l’industria pesante.