tecnica delle alte tensioni

Dispense del Corso di
TECNICA DELLE
ALTE TENSIONI
tenuto dal Prof. G. Mazzanti
1
Capitolo I
2
NOTA INTRODUTTIVA
Come unità di misura della pressione, nel testo verrà utilizzato il Pascal, concordemente all’attuale
convenzione internazionale. Poiché le figure sono tratte da pubblicazioni precedenti, nelle quali
vengono utilizzate diverse unità di misura, di seguito é indicata l’equivalenza delle stesse con il
Pascal:
1 Atmosfera
1Torr
1 Bar
1 kg/cm2
1 mmHg
= 101.325 kPa
= 0.133 kPa
= 100 kPa
= 100 kPa
= 0.133 kPa
LISTA DEI PRINCIPALI SIMBOLI
ν = frequenza di un fotone
λ = lunghezza d’onda di un fotone
ρ = coefficiente di ricombinazione
σ = sezione d’urto
q = carica dell’elettrone
E = intensità di campo elettrico
η = coefficiente di attaccamento
D = coefficiente di diffusione
k = mobilità
P = pressione
d = distanza
α = primo coefficiente di Townsend
γ = secondo coefficiente di Townsend
I = intensità della corrente
V = intensità della tensione
n = numero di cariche nell’unità di tempo
3
LA SCARICA NEI GAS
1. Processi alla base dei meccanismi che producono la scarica in un gas
1.1 Considerazioni generali
Un gas é costituito da atomi e molecole in continuo movimento disordinato, dovuto all'agitazione
termica; il suo comportamento macroscopico rispecchia, secondo la teoria cinetica, il
comportamento medio di tali particelle.
Durante il loro movimento disordinato, atomi e molecole collidono tra loro e, mediante gli urti, si
scambiano energia.
Per valutare l'effetto che possono avere gli scambi d’energia che accompagnano gli urti tra le
particelle, é utile richiamare, seppure in maniera molto schematica, la costituzione di un atomo. Nel
modello di Bohr-Rutherford, un atomo é costituito da un nucleo di particelle pesanti attorno al quale
ruotano, in orbite concentriche, elettroni; il numero di particelle costituenti il nucleo e il numero di
elettroni dipendono dall'elemento che si considera. Le orbite che un elettrone può trovarsi a
percorrere, pur essendo in numero teoricamente infinito, hanno raggi ben determinati. Il passaggio
di un elettrone da un'orbita ad un'altra porta ad una variazione dell'energia dell'atomo; più
precisamente, un atomo diminuisce la sua energia se un suo elettrone si sposta verso un'orbita di
raggio minore, ossia in un'orbita più interna. Viceversa un atomo raggiunge la massima energia
quando perde un elettrone. In questo caso risulta ionizzato, ovvero diviene carico positivamente
mantenendo una massa praticamente inalterata. Tra lo stato normale e lo stato di ionizzazione
esistono stati intermedi, detti di eccitazione, corrispondenti allo spostamento di un elettrone su
orbite più esterne; tali stati risultano instabili e di vita molto limitata.
Da uno stato eccitato, un elettrone ritorna al livello energetico che gli compete dopo tempi
dell'ordine di 10-8s, con conseguente riduzione dell'energia totale dell'atomo.
La differenza di energia ∆ε viene emessa sotto forma di un quanto di energia radiata (fotone) la cui
frequenza ν é legata all’energia ∆ε dalla relazione:
h ν = ∆ε
(1.1)
dove h é la costante di Plank (6.62·10-34 J·s).
Nel caso dei processi che intervengono durante la formazione di una scarica in un gas, gli elettroni,
che sono soggetti a variazioni di orbita, sono quelli di valenza, ossia quelli più esterni; in tal caso
infatti le energie richieste per eccitazione e ionizzazione sono più limitate. Queste energie sono
normalmente valutate in elettronvolt (eV; 1 eV = 1.6·10-19 J) e vengono più comunemente espresse
in volt; si parla quindi di potenziali di eccitazione o potenziali di ionizzazione per esprimere le
energie necessarie affinché tali processi abbiano luogo. Questi potenziali variano, per i diversi
elementi, da qualche eV a circa 25 eV. I fenomeni di ionizzazione ed eccitazione sono alla base del
processo di scarica nei gas in quanto ad essi é legata la produzione di cariche libere e quindi la
possibilità di un passaggio di corrente.
Le energie necessarie alle variazioni dello stato di un atomo, vengono cambiate, come si é detto,
durante gli urti. Si parla di urto ogni qualvolta l'incontro, o un sufficiente avvicinamento, tra due
particelle comporta un cambiamento di energia interna, energia cinetica o quantità di moto delle
particelle stesse. A seconda dell'energia che le particelle si scambiano, si distinguono due tipi di
urto:
- urto elastico, quando tra le particelle si ha soltanto uno scambio di energia cinetica di traslazione
senza alcuna variazione dell’energia interna e quindi della struttura atomica e molecolare;
4
- urto anelastico, quando tra le particelle si hanno scambi di energia tali da modificare l'energia
interna o la natura della particella. Sono gli urti anelastici che portano ad eccitazione o ionizzazione
e che assumono, pertanto, particolare importanza nei fenomeni di scarica.
Agli effetti degli urti, sono da considerare come particelle anche i fotoni che, nella quasi totalità dei
casi, compaiono ad equilibrare i bilanci energetici dei processi d'urto, secondo il principio di
conservazione dell'energia.
Una volta fissato il tipo d'urto, o più in generale il tipo d’interazione che si può verificare tra
particelle, é necessario considerare anche la frequenza con cui, durante il movimento di una
particella, tale azione si verifica. Dato che il numero di particelle é elevatissimo ed estremamente
diverse possono essere le loro caratteristiche istantanee di velocità, direzione, energia, ecc…, si
deve ragionare in termini statistici e fare soltanto riferimento ad un comportamento medio da
attribuirsi alle singole particelle. Si considera pertanto la probabilità dω che una particella ha di
essere sottoposta ad una certa interazione con un'altra particella in un tratto dx del suo cammino.
Si considerino, per semplicità, particelle di contorno ben definito per le quali un urto possa essere
considerato nell'accezione più comune del termine. Siano n le particelle sferiche di raggio R2
contenute nell’unità di volume; una particella sferica di raggio R1 urta, in un tratto dx del suo
cammino, tutte le particelle che hanno il loro centro nel volume cilindrico di raggio (R1+R2),
altezza dx ed asse lungo la direzione di movimento della particella. Il numero di urti nel tratto dx é
dato quindi dal numero di particelle contenute nel volume cilindrico suddetto, cioè:
dω = π (R1 + R 2 ) 2 ndx
(1.2)
Il termine π(R1+ R2)2 rappresenta la sezione d'urto del processo. Nel caso che R1=R2= R (ad
esempio urto atomo-atomo) la sezione d'urto risulta 4·π·R2; se R1<<R2=R (ad esempio urto
elettrone-atomo) la sezione d'urto é 1/4 della precedente.
In via del tutto generale, per un generico processo, il numero di urti che si verifica nel tratto dx é
espresso da:
dω = σndx
(1.3)
in cui σ é la sezione d'urto del processo e dipende dalla natura del gas, dal tipo di processo e
dall’energia della particella.
Il prodotto σn é detto sezione d'urto totale ( per unità di volume del gas) o efficienza del processo
dato che esso dipende dalla densità del gas,(e quindi dalla pressione e dalla temperatura); viene
generalmente riportato per una temperatura di 0°C e una pressione di 0.133kPa (n = 3,56·1016 cm3)
(vedi Tab. I).
He
Ne
H2
N2
O2
17,6
12
14,2
6,7
7
Libero cammino medio
-3
·10
cm
Tab. I - Libero cammino medio di un elettrone in alcuni gas a 0°C e 0.133 kPa.
5
Se s’inietta un numero N0, sufficientemente grande, di particelle di un gas, si può dire che il numero
di urti, di un certo tipo (elastico o anelastico), cui sono sottoposte le particelle in un tratto dx é:
dN = N 0σndx
(1.4)
Mediamente, pertanto, σn rappresenta il numero di urti cui una particella é sottoposta in un tratto
unitario del suo cammino, mentre 1/σn rappresenta il libero cammino medio della particella, ossia la
distanza mediamente percorsa tra due urti successivi. Delle N0 particelle iniziali, il numero di
particelle che dopo un tratto x non hanno ancora subito un urto N(x), é pari a:
N = N 0e -nσx
(1.5)
1.2 Ionizzazione e deionizzazione
Esaminiamo ora quei processi di produzione o di eliminazione di cariche libere che più interessano
nel caso di un gas ad alta pressione, come é lecito considerare a tutti gli effetti la pressione
atmosferica.
É da premettere che, qualunque sia il processo che la determina, la ionizzazione può essere
cumulativa ossia può essere frutto di una serie di urti successivi che ionizzano l'atomo attraverso
vari stadi successivi di eccitazione.
Tale fenomeno può assumere un peso rilevante nel caso di alte pressioni in quanto l'elevata
frequenza degli urti aumenta la probabilità che un atomo eccitato subisca un urto prima di
diseccitarsi.
1.2.1 Ionizzazione per urto
Fenomeno che avviene quando un elettrone, dotato di energia sufficiente, urta un atomo eccitandolo
o ionizzandolo e cedendogli una parte della sua energia cinetica.
L'elettrone deve naturalmente essere dotato di un’energia almeno uguale a quella che compete a
quel processo. Per quanto riguarda la ionizzazione, ad esempio, le energie necessarie a rimuovere
l’elettrone più esterno variano da pochi eV a circa 25 eV. In tabella II sono riportati i potenziali di
ionizzazione per i più comuni costituenti dell'aria e di altri gas:
He
Ne
A
H2
N2
O2
H2O
CO2
24-5
21-5
15-7
15-4
15-5
12-2
12-58
13-7
CH4
C2H6
n-C6H14
C2H4
CH3OH
(C2H8)2O
SF6
13-4
11-76
10-43
10-43
10-62
10-86
9-62
15-7
Tab. II – Potenziali di ionizzazione (eV).
La sezione d'urto del processo può essere considerata come il prodotto di due termini, di cui uno é
la sezione d'urto fisica della collisione, mentre l'altro é la probabilità di ionizzazione. Questa
6
probabilità é nulla per elettroni aventi energia inferiore all’energia di ionizzazione, aumenta
rapidamente al di sopra di questa energia, passa per un massimo e quindi diminuisce. Tale massimo,
per molti gas, si ottiene in corrispondenza di 100-200 eV, come mostrato in Fig. 1:
Fig. 1. Sezione d’urto totale per ionizzazione per urto da parte di elettroni in funzione della loro
energia a 0°C ed 1 mm Hg. La curva tratteggiata si riferisce all’azione di ioni di Ne nel loro gas.
Tale andamento della probabilità di ionizzazione é da imputare al fatto che gli elettroni ad alta
energia danno luogo a molte collisioni non ionizzanti (urti elastici).
1.2.2. Fotoionizzazione
Il processo di fotoionizzazione diretta può essere così rappresentato:
M + hv ⇒ M + + e -
(1.6)
dove M rappresenta una molecola neutra del gas ed hν un fotone di energia sufficiente a ionizzare la
molecola, ossia tale che:
hv ≥ eVi
(1.7)
essendo eVi l'energia di ionizzazione della molecola (o dell'atomo).
Se ciò si verifica, si ha l'emissione di un fotoelettrone di energia cinetica pari a:
1
mv 2 = hv - eVi
2
(1.8)
La condizione perché si verifichi la fotoemissione, espressa dalla (1.7), può essere riscritta, essendo
ν=c/λ (dove c é la velocità della luce e λ la lunghezza d'onda del fotone), da:
7
λ≤
hc
eVi
(1.9)
Nel caso dell'aria, tenuto conto dei potenziali di ionizzazione dell'ossigeno e dell'azoto, le lunghezze
d'onda necessarie sono inferiori a 1000 Å, (campo dell'ultravioletto).
Il fenomeno della fotoionizzazione può verificarsi anche in modo indiretto nel caso di miscele di
gas aventi diversi potenziali di ionizzazione come, ad esempio nel caso dell'aria, ossigeno ed azoto.
Supponiamo che un elettrone urti (in modo anelastico) una molecola di azoto (N2) e che l'energia di
tale elettrone non sia sufficiente a produrre ionizzazione. Dopo l'urto tale molecola si troverà
eccitata:
N 2 + e - ⇒ N*2 + e -
(1.10)
Essendo tale condizione instabile, in breve tempo la molecola di azoto tornerà alle condizioni
iniziali emettendo un fotone:
N *2 ⇒ N 2 + hν
(1.11)
Tale fotone può essere in grado di liberare un elettrone da una molecola di ossigeno poiché il
potenziale di ionizzazione di quest'ultima é inferiore a quello della molecola di azoto:
O 2 + hν ⇒ O +2 + e -
(1.12)
A differenza di quanto si é visto per la ionizzazione per urto, la massima probabilità di ionizzazione
da parte di fotoni si ha per energie di poco superiori (0,1-1 eV) alla minima necessaria. Nella figura
2 sono riportati, per alcuni gas, gli andamenti della sezione d'urto totale per fotoionizzazione in
funzione della lunghezza d'onda della radiazione, a 100 kPa e 0°C. I picchi che compaiono nelle
varie curve al diminuire della lunghezza d'onda, corrispondono alla possibilità di estrarre elettroni
su orbite interne per i quali le energie di ionizzazione sono superiori.
Fig. 2 – Sezione d’urto totale per fotoionizzazione (coefficiente di assorbimento μ) in funzione
dell’energia della radiazione, a 0°e 760 mm Hg.
8
1.2.3 Ricombinazione
Due particelle cariche di segno opposto possono, incontrandosi, neutralizzare la loro carica
emettendo un fotone di opportuna lunghezza d'onda. Nella caratterizzazione di questo fenomeno, si
usa fare riferimento al coefficiente di ricombinazione, che lega la velocità di ricombinazione con la
concentrazione delle cariche positive (n+) e negative (n-). Il numero di urti che portano alla
neutralizzazione della carica, é proporzionale alle concentrazioni di cariche e al tempo; pertanto la
velocità di ricombinazione per un gas globalmente neutro, cioè per il quale n+ = n- = n, risulta:
-
dn
= ρn + n - = ρn 2
dt
(1.13)
dove ρ (cm3/s) é il coefficiente di ricombinazione. Se n0 é la densità di carica iniziale, integrando,
dopo un tempo t essa si é ridotta a:
n=
n0
1+ ρn 0 t
(1.14)
Il coefficiente ρ, così introdotto in via generale, assume in pratica valori differenti secondo il
processo di ricombinazione che si considera (ione-ione (ρi) o ione-elettrone (ρe)).
Dall’equazione (1.14)segue che, per valori di ρ dell'ordine di 10-6 cm3/s e di n0 dell’ordine di 1010
cm-3, si ha una riduzione della concentrazione di carica pari a 1/10 in tempi dell'ordine del
millisecondo. L'importanza del processo di ricombinazione é quindi strettamente legata al tempo;
non sempre esso é determinante nei tempi di formazione di una scarica in aria a pressione
atmosferica, mentre può condizionare il ripristino di determinate condizioni come ad esempio la
neutralizzazione della carica spaziale prodotta da un fenomeno corona impulsivo o da una scarica.
1.3 Processi catodici
Sono diversi processi che possono produrre emissione di elettroni da una superficie metallica,
quale quella dell’elettrodo negativo di un sistema ad alta tensione immerso in un gas. Questi
meccanismi, detti processi catodici, possono essere cosi classificati:
1 - emissione termoionica
2 - emissione Schottky
3 - emissione a freddo o di campo
4 - emissione fotoelettrica
5 - emissione secondaria causata dal bombardamento di ioni positivi
Dentro un metallo gli elettroni più esterni sono debolmente legati agli atomi del reticolo e possono
così muoversi quasi liberamente. D'altra parte, gli elettroni non possono lasciare spontaneamente il
metallo in quanto ne sono impediti dall'esistenza di quella che é nota come barriera di potenziale
presente all'interfaccia fra il metallo e l'ambiente circostante che é isolante (gas o vuoto). Per capire
i vari processi di emissione si consideri la figura 3. Gli elettroni sono rappresentati giacenti
imprigionati in una buca di potenziale di profondità χ. Il fondo della buca corrisponde all’energia
potenziale di un elettrone dentro il metallo in riposo. La profondità χ, quindi, corrisponde
all’energia richiesta per portare un elettrone dalla sua condizione di riposo dentro il metallo alla
condizione in cui esso é a riposo fuori del metallo e a grande distanza dalla superficie metallica, in
modo che l’elettrone non risenta dell’attrazione prodotta dalla sua carica immagine entro il metallo.
9
Dentro il metallo gli elettroni sono in movimento ed hanno energia cinetica distribuita su livelli di
energia discreti anche se finemente separati.
Fig. 3 – Livelli energetici degli elettroni in un metallo all’interfaccia con un dielettrico gassoso.
Fig. 4 – Livelli energetici degli elettroni in un elettrodo metallico, in presenza di un campo elettrico
uniforme d’intensità E, applicato al dielettrico
Fig. 5 – L’aumento di E assottiglia la barriera di potenziale e rende possibile l’effetto tunnel
Questi livelli di energia sono tutti più bassi di quello di un elettrone a riposo al di fuori del metallo.
Il più alto livello energetico occupato dagli elettroni (allo zero assoluto) é noto come il livello di
Fermi ed il suo valore, rispetto a quello della buca, é ζ (vedi Fig.3). La differenza χ - ζ é chiamata
funzione di lavoro Ф del metallo, poiché corrisponde al lavoro necessario per rimuovere un
elettrone dal metallo dandogli un’energia sufficiente per scavalcare la barriera di potenziale.In Tab.
III sono riportati i valori indicativi della funzione di lavoro per alcuni elementi.
Consideriamo ora la forma assunta dalla barriera di potenziale qualora il metallo sia sollecitato da
un campo elettrico uniforme, applicato perpendicolarmente alla sua superficie (Fig. 4). Se un
elettrone sfugge dal metallo nel vuoto circostante, esso sarà attratto indietro dal metallo a causa
10
della carica che esso induce sulla superficie metallica. La forza di attrazione su di un elettrone
avente carica –q, é pari a –q2/(4πε0x2) dove x é la distanza dalla superficie del metallo; la relativa
energia potenziale in x, Pimm(x), vale:
Pimm(x)= -
q2
4πε 0 x
(1.15)
Il campo elettrico E applicato alla superficie del metallo, é costante e fornisce un contributo
Pappl(x)= -qEx all’energia potenziale dell’elettrone. Quindi l’energia potenziale complessiva P, in
funzione della distanza x dall’interfaccia, vale:
q2
P(x)= Pimm(x) + Pappl(x) =-qEx 4πε 0 x
(1.16)
L’equazione (1.16) mostra che la presenza di un campo elettrico riduce l’altezza della barriera di
potenziale (Fig.4), che sarà ora:
3
Φ' = q 2 ( E / πε 0
1
)−
(1.17)
2
Ciò accadrà in corrispondenza di:
1
1  q 2

x = 
2  πε 0 E 
Materiale
Ag
Al
Ba
C
Cr
Cu
Φ(eV)
3·1-4·7
3·0-4·4
1·9-2·5
4·3-4·8
3·8-4·7
3·8-4·8
Materiale
Fe
Hg
Na
Pt
W
Zn
(1.18)
Φ(eV)
3·9-4·8
4·5-4·9
2·1-2·5
5·3-6·3
4·4-4·7
3·1-4·3
Tab. III – Funzioni di lavoro fotoelettriche e termoioniche per alcuni elementi metallici e non.
Per rimuovere un elettrone dalla massa metallica deve aver luogo uno dei seguenti processi:
a) Nel caso in cui il campo elettrico applicato alla superficie metallica sia nullo o molto piccolo, agli
elettroni deve essere fornita, affinché siano in grado di scavalcare la barriera di potenziale, una
sufficiente energia cinetica mediante altri mezzi. In questo caso l'energia può essere fornita
scaldando il metallo (emissione termoionica) o mediante impatto di quanti di luce d’energia
superiore alla funzione di lavoro (emissione fotoelettrica).
b) Applicando un campo elettrico, la barriera di potenziale si riduce in altezza (come mostrato nella
fig. 4) ed una energia sufficiente a scavalcarla può essere fornita agli elettroni scaldando il
materiale: effetto Schottky. In alternativa si può considerare di bombardare il metallo tramite degli
ioni positivi accelerati dal campo (l'energia dello ione deve essere almeno doppia della funzione di
lavoro del metallo, poiché lo ione perde energia interagendo con gli elettroni del reticolo,
analogamente a quanto avviene per la termonionizzazione).
11
c) Se la barriera é resa più sottile dall'applicazione di un intenso campo elettrico, come mostrato
nella Fig. 5, non é nulla la probabilità che elettroni possano attraversare tale barriera: effetto tunnel.
Tale fenomeno non é spiegabile nell’ambito della meccanica classica pertanto occorre ricorrere alla
meccanica quantistica: emissione di campo (detta anche emissione a freddo in quanto non necessita
di un riscaldamento) o tunnelling quantomeccanico.
1.4 Attaccamento
Quando un elettrone dotato di bassa energia urta un atomo od una molecola, può venire catturato
ossia rimanere attaccato alla particella, che diventa uno ione negativo. Nel caso di molecole,
l'attaccamento può essere accompagnato dalla dissociazione della molecola; schematicamente
questa forma di attaccamento, detto dissociativo, é rappresentata, ad esempio per l'ossigeno, da:
O2+e - →O+O
(1.19)
In seguito ad attaccamento, l’elettrone risulta associato ad una particella avente una massa molto
più grande (ione negativo), che si muove molto più lentamente dell’elettrone sotto il campo
elettrico: é come se l’elettrone fosse rimosso dal processo di scarica.
Il processo é di particolare importanza in aria, per la presenza dell'ossigeno, e in tutti i gas
elettronegativi, ossia quei gas che presentano tendenza più o meno marcata a catturare elettroni
liberi.
Il processo di attaccamento é spesso rappresentato quantitativamente da un coefficiente, η [cm-1],
che rappresenta il numero medio di attaccamenti cui é soggetto un elettrone in un centimetro di
cammino e dipende dalla natura del gas e dall'energia dell'elettrone. Analogamente a quanto visto
per altri processi, il numero dn di elettroni perso per attaccamento da n elettroni, che percorrono la
distanza dx, é:
dn=-ηndx
(1.20)
n = n 0 e - ηx
(1.21)
integrando su una distanza x:
dove n0 indica il numero iniziale di elettroni. Un esempio mette in rilievo il peso che questo
processo può avere anche in un fenomeno rapido come la scarica. In aria, a pressione atmosferica
con un campo elettrico applicato pari a 13,2 kV/cm (cui corrisponde una energia media degli
elettroni pari a circa 3 eV), η vale 3,8 cm-1. Dall’equazione 1.21, si ricava che il numero di elettroni
si riduce ad 1/10 dopo un percorso di 0,62 cm; attribuendo agli elettroni, sotto l'azione del campo,
una velocità di 107 cm/s, questa riduzione si ha in un tempo di 5,8· 10-8s.
Come gia accennato, il processo di attaccamento assume particolare importanza nel caso di gas
elettronegativi. Ad esempio, nel caso dell'esafluoruro di zolfo (SF6) fino ad energie degli elettroni
dell'ordine di 0,1 eV, si ha la formazione di ioni SF-6, mentre, per energie superiori, si ha la cattura
di tipo dissociativo degli elettroni con formazione di ioni SF-5 (vedi Fig. 6).
12
Fig. 6 – Attaccamento nell’esafluoruro di zolfo.
Da ciò deriva l’alta rigidità dielettrica dell’SF6, impiegato ove sono richieste tenute elevate
(interruttori AT, partitori capacitivi di tensione, TV).
1.5 Mobilità
Quando ad un gas viene applicato un campo elettrico E, le particelle ionizzate di carica q, sottoposte
alla forza qE, si muovono nella direzione del campo elettrico con verso che dipende dal segno della
carica ed una accelerazione qE/m, dove m é la massa della particella. Tra due urti successivi, la
particella acquista un'energia che in parte viene ceduta ad un'altra durante l'urto. Si sarà raggiunta
una condizione di equilibrio quando l'energia ceduta in un urto é mediamente uguale a quella
acquistata durante un libero cammino medio; in queste condizioni, l'energia cinetica media risulta
costante e costante risulta pure la velocità media di spostamento della particella in direzione del
campo. Questa velocità media di spostamento, che si sovrappone alla velocità dovuta all'agitazione
termica, risulta proporzionale al campo applicato:
v=kE
(1.22)
Il coefficiente di proporzionalità k é definito mobilità della particella in esame ed é solitamente
espresso in cm2/V·s.
Per quanto detto, la velocità media di spostamento sotto l'azione del campo elettrico E, é legata alla
frequenza degli urti cui le particelle sono soggette e va diminuendo al diminuire del libero cammino
medio delle particelle, ossia all'aumentare della densità del gas. Nel caso della mobilità, come in
altri casi che si vedranno in seguito, le modalità del fenomeno possono riferirsi, anziché al valore
del campo elettrico E, al valore del rapporto E/p in quanto l’effetto accelerante del campo elettrico
va rapportato all’effetto frenante della pressione.
A parità di condizioni di temperatura e pressione, in un gas la mobilità dipende dal tipo di particella
cui é associata la carica. Data la grande diversità delle masse, esiste una notevole differenza tra i
valori della mobilità degli elettroni (ke) e quella degli ioni, positivi o negativi, (ki). E’ tale differenza
che fa sì che un tratto d’aria presenti diverse modalità di scarica per le due diverse polarità della
tensione applicata.
Si noti infine che alla mobilità ionica ed elettronica può essere ricondotta la conducibilità di un gas
ionizzato. La densità di corrente di/dS, dovuta al movimento di elettroni e ioni supposti quest’ultimi
di carica unitaria, é data da:
13
di
= n e qv e + n i qvi
dS
(1.23)
dove n e v sono rispettivamente densità e velocità, ed i pendici “e” ed “i” indicano rispettivamente
elettroni e ioni.
Nel caso più comune in cui ne= ni = n, si ha:
di
= nq(v e + v i ) = nqE(k e + k i )
dS
(1.24)
Quindi, in base alla legge di legame materiale J= γE, la conducibilità del gas γ vale:
γ = nq(k e + k i ) ≅ n e qk e
(1.25)
essendo generalmente ke >> ki.
1.6 Diffusione
Se, per qualche motivo, tra due punti di un gas si crea una differenza di concentrazione delle
particelle che lo costituiscono, allora si stabilisce un flusso di queste dalla zona a più alta
concentrazione verso quella più bassa.
Il fenomeno, che ha origine esclusivamente termica, prende il nome di diffusione. Esso é dovuto
alla differenza di pressione che si stabilisce tra due punti e che risulta proporzionale alla differenza
delle densità (ρ):
dp = Kdρ
(1.26)
Chiamato D il coefficiente di diffusione [cm2/s], lo spostamento quadratico medio delle particelle
lungo un asse per effetto della diffusione, X , é funzione del tempo e può essere espresso come:
X = 2Dt
(1.27)
2. Meccanismi di scarica
La scarica di un gas si produce quando tra due elettrodi di diversa polarità si crea un “condotto”
entro il quale sono presenti cariche libere con una densità sufficiente a cortocircuitare i due
elettrodi. É evidente che, all’aumentare della distanza tra gli elettrodi, sarà necessario che la densità
di carica presente nel “condotto” sia sempre più elevata (cioè in sostanza che la caduta di tensione
per unità di lunghezza lungo il condotto sia sempre più piccola). Oltre alla densità di carica e la
distanza interelettrodica, anche la pressione del gas ha una grande influenza su tutti i processi di
base della scarica. Quindi si può dire che, come rilevato sperimentalmente da Paschen, la tensione
di scarica in un gas é funzione del prodotto pd.
Per quanto sopra detto, al variare della distanza fra gli elettrodi si modificheranno i meccanismi di
accrescimento della densità di carica. Nel seguito verranno esaminati quattro diversi meccanismi di
scarica, ognuno dei quali meglio si adatta ai dati sperimentali in un preciso intervallo del prodotto
pd.
I modelli di scarica sono i seguenti:
14
- scarica secondo Townsend, che ha validità fino a valori di pd ≈ 26.3 cm·kPa (pari a 200 cm ·
mmHg), corrispondente – a pressione atmosferica (100 kPa) – a distanze dell’ordine di 3 mm;
- scarica secondo Meek e Rather (streamer), che ha validità fino a pd ≈ 1315 cm·kPa (pari a 104
cm·mmHg), corrispondente a pressione atmosferica (100 kPa) – a distanze dell’ordine di 10 cm;
- scarica su lunghe distanze, (dell’ordine di 10 ÷ 20 m a pressione atmosferica);
- scarica del fulmine, (alcuni chilometri a pressione atmosferica).
2.1 Meccanismo di scarica su piccole distanze (scarica secondo Townsend)
Per analizzare questo fenomeno, consideriamo i due elettrodi piani paralleli di Fig.7.a, alimentati da
un generatore di tensione continua regolabile, in grado di produrre, fra gli elettrodi, un campo
elettrico uniforme. Applicando un valore anche molto basso di tensione, una debole corrente é
comunque presente fra gli elettrodi in virtù delle cariche elettriche presenti nello spazio
interelettrodico. L'andamento della corrente I in funzione della tensione V, per valori via via
crescenti di V, é schematizzato in Fig. 7.b; come si vede, al crescere di V si possono distinguere 3
fasi:
Fig. 7 – Schema del circuito utilizzato da Townsend (a) e relativa caratteristica I – V (b).
1a fase) le cariche elettriche generate da sorgenti esterne (di qualunque natura esse siano; ad
esempio la radiazione cosmica) vengono attratte dagli elettrodi in misura via via crescente
all’aumentare di V, provocando un corrispondente aumento di I.
E’ chiaro che la forza di attrazione applicata alla particella carica deve essere in grado di prevalere
sull’energia cinetica che essa possiede.
2 a fase) al crescere di V la corrente resta costante e pari ad un valore di saturazione I0, in quanto
tutte le cariche prodotte da sorgenti esterne vengono intercettate dagli elettrodi e l’energia fornita
dal campo elettrico a tali cariche non é ancora sufficiente a produrre fenomeni di ionizzazione.
Detto n0 il numero di cariche prodotte da sorgenti esterne nell’unità di tempo e q la carica
dell’elettrone, si avrà I0=q·n0;
3a fase) ora la tensione é tale che il valore del campo elettrico risulta sufficiente affinché gli elettroni
acquistino, in un libero cammino medio, energie sufficienti a ionizzare per urto atomi e molecole
neutre del gas. In tal modo, il numero di cariche libere (e quindi la corrente) tende ad aumentare
esponenzialmente al crescere di V, portando il sistema alla scarica.
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2.2 Fattore di ionizzazione
Townsend, nel modello proposto per descrivere in termini quantitativi il meccanismo di scarica,
introdusse il coefficiente α [cm-1], detto primo coefficiente di Townsend, che rappresenta il numero
di cariche libere prodotte da un elettrone per un percorso di 1 cm in direzione del campo elettrico
applicato E. Il valore del coefficiente α dipende dalla natura del gas, dalla sua pressione e dal campo
elettrico applicato. Infatti, l’energia cinetica media acquisita da un elettrone in un libero cammino
medio l sotto l’azione del campo E é pari a Eel. Il coefficiente α é funzione di questa energia e
risulta inoltre direttamente proporzionale al numero di urti, ossia alla pressione del gas. Si può
allora scrivere:
α = p∗f(Eel)= p· f’(Ee/p)
(1.28)
α /p =F(E/p)
(1.29)
ovvero:
dove F(E/p) é un’opportuna funzione del rapporto E/p.
2.3 Valanghe
La ionizzazione ripetuta delle molecole del gas dà luogo ad una moltiplicazione esponenziale del
numero di elettroni. Si indichi infatti con n0 gli elettroni prodotti in prossimità del catodo da
sorgenti esterne nell’unità di tempo e accelerati nella direzione del campo elettrico,
perpendicolarmente agli elettrodi (vedi Fig.8). Dopo un tratto x si abbiano n(x) elettroni: nel
successivo tratto dx, l’aumento del numero di elettroni per effetto delle ionizzazioni sarà dato da:
dn = n(x) α dx
(1.30)
Integrando tra zero ed un generico x si ottiene :
x

nx = no exp ∫ αdx
0

(1.31)
Se E é uniforme in tutto lo spazio interelettrodico, si può ritenere α costante e quindi
:
n(x) = n0 exp(αx)
16
(1.32)
Fig. 8
Formazione della valanga.
Fig. 9
Fotografia di una valanga in camera a nebbia.
per cui il numero di elettroni che giungerà all’anodo sarà:
n(x) = n0 exp(αd)
(1.33)
Come si può notare, all’aumentare di x n(x) aumenta in modo esponenziale.
Tenendo conto dei fenomeni di diffusione elettronica e del fatto che gli ioni sono molto più lenti
degli elettroni, si comprende per quale motivo le cariche si dispongano secondo una “valanga”
caratterizzata (vedi Figg. 8 e 9) da una testa prevalentemente negativa (elettroni ) e da una coda con
prevalenza di carica positiva (ioni). Moltiplicando ambo i membri della (1.33) per la carica q
dell’elettrone si ottiene:
I = Ioexp(αd)
(1.34)
Le valanghe da sole non possono provocare la scarica, ma solamente una corrente fra gli elettrodi.
Per giungere alla scarica é necessario che si abbiano degli elettroni secondari che producano nuove
valanghe portando così ad una ionizzazione globale e diffusa dello spazio interelettrodico.
2.4 Criterio di scarica secondo Townsend
Secondo la (1.34) se E, e quindi α, rimane costante, l’andamento di ln(I/Io) dovrebbe risultare una
retta in funzione della distanza d. In pratica, osservazioni sperimentali indicano che, al crescere di d,
la corrente I cresce più di quanto previsto dalla (1.34). Ciò può spiegarsi ricorrendo all’azione degli
ioni positivi. Infatti questi ultimi, lasciati indietro nelle valanghe dopo la ionizzazione, sono
accelerati verso il catodo e possono liberare elettroni per effetto di bombardamento ionico. Per tener
conto di questo fenomeno, Townsend introdusse il coefficiente γ (detto secondo coefficiente di
Townsend ) che rappresenta il numero di elettroni liberati al catodo per ogni ione incidente. Il
17
valore di γ dipende dall’energia degli ioni ( proporzionale al campo elettrico ed inversamente
proporzionale alla pressione del gas ) e dalla funzione di lavoro del materiale costituente l’elettrodo.
In sostanza si può scrivere che
γ= f1(E/P)
(1.35)
Pertanto ponendo:
n0= numero di elettroni prodotti da sorgenti esterne nell’unità di tempo;
n'= numero di elettroni prodotti al catodo, nell’unità di tempo, per bombardamento ionico;
n= numero di elettroni che pervengono all'anodo nell’unità di tempo;
n - (n 0 + n') = numero di elettroni prodotti per urto nello spazio interelettrodico, pari al numero di
ioni prodotti che a regime arrivano tutti al catodo,
si può scrivere il seguente sistema di equazioni:
n’ = γ[n-(n0 + n’)]
(1.36)
n = (n0 + n’)exp(αd)
Da cui si ottiene:
n = no
exp( αd )
1 − γ [exp(αd ) − 1]
(1.37)
Moltiplicando ambo i membri per la carica dell’elettrone si ha:
I = qn = I o
exp( αd )
1 − γ [exp(αd ) − 1]
(1.38)
La scarica avrà luogo quando la corrente tenderà all’infinito, cioè quando:
γ [exp(αd)-1] = 1
(1.39)
e, tenendo conto che normalmente γ << 1, si può scrivere:
γ exp(αd) = 1
(1.40)
L’equazione ( 1.39), ovvero la (1.40), esprime il criterio di scarica secondo Townsend senza
attaccamento.
Se il gas é elettronegativo, occorre tener conto anche dei fenomeni di attaccamento. Introducendo il
coefficiente di attaccamento η, la (1.38) diventa :
α (α − η)d η
e
α-η
α-η
I = I0
α
1- γ
(e (α - η)d -1)
α-η
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(1.41)
In questo caso ovviamente cambia anche il criterio di scarica, espresso dalle seguente relazione:
γ
α
(e( α - η)d -1) = 1
α-η
(1.42)
Solo nel caso in cui risulti α>η si può pervenire alla scarica; in caso contrario l’equazione non
ammette soluzioni e ciò indica che non é possibile avere fenomeni di scarica. In aria, a pressione
atmosferica, la condizione α>η si verifica per campi elettrici superiori a 22 kV/cm..
2.5 Legge di Paschen
Come visto, il criterio di scarica secondo Townsend, nel caso di campi uniformi, é costituito
dall’espressione:
γexp(αd) = 1
(1.43)
Ricordando le (1.29) e (1.35), che esprimono in modo qualitativo la dipendenza di γ e α da campo
elettrico e pressione, ovvero:
γexp(αd) = 1
α = p F(E/p)
(1.44)
γ= f1 (E/p)
(1.45)
e poiché in caso di campo uniforme E = V/d, il criterio di scarica secondo Townsend espresso dalla
(1.43), si può riscrivere come:

 V 
 V 
f1 
 exp  P ⋅ d ⋅ f 
 =1
 P⋅d
 P ⋅ d  

(1.46)
Quando é soddisfatta l’equazione (1.43), nel gas si verifica la scarica: la tensione V diventa quella
di scarica VS. La (1.46) mostra che la tensione di scarica é funzione del prodotto pd:
Vs = f (P·d)
(1.47)
La (1.47) esprime la legge sperimentale di Paschen.
In Fig. 10 sono riportate, in scala logaritmica, tipiche curve pressione–tensione di scarica per diversi
gas.
Le curve calcolate sulla base della teoria di Townsend risultano in buon accordo con quelle rilevate
sperimentalmente. Tali curve presentano un minimo che, nel caso dell’aria, corrisponde ad una
tensione di picco di 350 V. Un tale andamento può essere spiegato nel seguente modo:
considerando un gap di prefissata ampiezza d, a sinistra del punto di minimo, a causa della bassa
pressione, la densità di molecole é talmente piccola che un elettrone ha poche opportunità di
collidere con un atomo del gas in modo tale da dar luogo a ionizzazione. Viceversa, alla destra del
minimo, all’aumentare del prodotto pd aumenterà il numero di collisioni dell’elettrone con gli atomi
del gas, ma conseguentemente diminuirà la velocità raggiunta dall’elettrone fra un urto e il
successivo e per tale motivo diminuirà il numero di ionizzazioni.
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2.6 Validità della teoria di Townsend
La teoria di Townsend, e conseguentemente la legge di Paschen, sono valide fino a valori del
prodotto pd dell’ordine di 300 kPa٠mm. Per valori superiori (corrispondenti a più elevate pressioni
e a più grandi distanze) il meccanismo di scarica si modifica. La legge di Paschen é valida anche
per la scarica nelle microcavità degli isolamenti solidi (scariche parziali) e pertanto può essere usata
per valutare la tensione (o il campo) di innesco di quest’ultime. In Fig. 11 é riportata la curva di
Paschen relativa all’aria alla temperatura di 20°C.
Fig. 10
Fig. 11
Tipiche curve di Paschen per diversi gas.
Curva di Paschen per l’aria a 20° C.
2.7 Processo di scarica su medie distanze: la teoria degli streamer
Se la pressione e la distanza sono tali che il prodotto pd superi i 300 kPa mm, il meccanismo di
scarica proposto da Townsend non é più in grado di spiegare i fenomeni che si osservano
sperimentalmente, ovvero:
1) il tempo alla scarica é molto più breve di quello che sarebbe necessario secondo la teoria di
Townsend. Nei tempi misurabili sperimentalmente (da 10 a 100 ns) gli ioni non sono in grado di
raggiungere il catodo per produrre gli elettroni secondari;
2) la tensione di scarica non dipende più dal materiale costituente il catodo;
3) i canali di scarica sono sottili e ramificati, a differenza delle scariche diffuse che si presentano nel
caso di validità della teoria di Townsend.
La teoria degli streamer é stata proposta da Meek e Loeb nel 1940 per gli streamer positivi e,
indipendentemente, da Rather per quelli negativi.
Il meccanismo dello streamer presuppone lo sviluppo di una scarica completa direttamente da una
valanga singola nella quale, la carica spaziale prodotta dalla valanga stessa, é in grado di
trasformare la valanga in uno stretto canale ionizzato (plasma streamer). Come conseguenza, la
conducibilità cresce rapidamente e si perviene alla scarica attraverso il canale prodotto dalla
valanga.
La principale caratteristica della teoria della scarica streamer, é la postulazione, oltre che dei
processi di ionizzazione per urto, di un grande sviluppo dei fenomeni di fotoionizzazione delle
molecole del gas nello spazio di fronte allo streamer.
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La carica spaziale produce una distorsione del campo elettrico nel gap come illustrato in figura 12.
In sostanza, si avrà un incremento del campo elettrico sul fronte (E1>E) e sulla coda (E3>E) della
valanga, mentre, nella zona retrostante la nube di elettroni, si avrà una diminuzione del campo
elettrico complessivo (E2<E). A causa di tale riduzione, che si ha proprio nella zona in cui sono
presenti insieme cariche positive e negative, saranno favoriti i fenomeni di ricombinazione (che
daranno luogo ad emissione di fotoni).
Oltre alle suddette deformazioni del campo elettrico, si dovrà considerare anche il campo di carica
spaziale presente radialmente intorno alla valanga.
Fig. 12 – Effetto della carica spaziale prodotta da una valanga sul campo elettrico applicato.
Gli ioni positivi possono essere assunti come stazionari nei confronti degli elettroni, che si
muovono molto più rapidamente, e la valanga si sviluppa attraverso il gap come una nube di
elettroni dietro la quale é lasciata una carica spaziale positiva.
Se si considera una valanga iniziale prodotta a partire da un elettrone in corrispondenza dell’ascissa
zero, il numero di ioni prodotti cresce esponenzialmente al crescere dell’ascissa x. La percentuale di
ioni presenti sulla testa della valanga (ad esempio fra una generica ascissa x e quella d
corrispondente all’anodo) é espressa da:
[exp(αd) – exp(αx)]/ exp(αd)
(1.48)
A titolo di esempio, si consideri come gas l’aria a pressione atmosferica e come elettrodi un sistema
a campo uniforme pari a 3 kV /mm con distanza interelettronica pari a 10 mm. In tali condizioni
α≈20; dall’equazione (1.48) si ottiene che il 75% di tutta la carica spaziale é localizzata nell’8%
della lunghezza della valanga e anche che il 95% della carica spaziale é situato nel 18% della
lunghezza della valanga.
Quindi, per il calcolo di carica spaziale prodotto dagli ioni positivi della valanga, questi possono
essere pensati come una carica totale Q racchiusa in una sfera di raggio r. Il campo elettrico
prodotto dalla carica spaziale sulla superficie della sfera potrà essere espresso come segue:
Er =
Q
4πε 0 r(x)2
=
4 3 πr(x)3 Nq
4πε 0 r(x)2
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=
r(x)Nq
3ε 0
(1.49)
dove N é la densità degli ioni e q é la carica dell'elettrone.
Il numero di ioni formatisi a partire dall’elettrone singolo, quando la valanga ha già percorso una
distanza x, é pari a exp(αx) (vedi (1.31)). Il numero dei nuovi ioni che si formano in un tratto di x
compreso tra x e x+dx é pari a:
αe αx dx
(1.50)
Si supponga che gli ioni generati entro ciascun spazio restino praticamente fermi rispetto agli
elettroni e confinati entro un volume cilindrico di altezza dx e raggio r, pari alle dimensioni che la
sfera elettronica alla testa della valanga aveva quando sono stati prodotti ( vedi figura 13 ): la
densità degli ioni può allora essere espressa come segue:
Fig. 13 - Schema di formazione della carica spaziale positiva dietro la testa della valanga.
N=
αeαx dx αe αx
=
πr 2 dx
πr 2
(1.51)
Quindi dalla (1.49) e dalla (1.51) si ottiene:
qαe αx
(1.52)
3ε 0 πr(x)
Il raggio r é quello della testa della valanga, carica negativamente, e cresce mano a mano che la
valanga procede, per effetto della diffusione del sempre crescente numero di elettroni; alla
coordinata x, il raggio é pari a:
Er =
r = 2 Dt ( x)
(1.53)
dove D é, come già visto, il coefficiente di diffusione e vale:
t (x) =
x
ve
essendo ve la velocità degli elettroni (e quindi della valanga). La (1.52) diventa pertanto:
22
(1.54)
Er =
qαeαx
(1.55)
x
3ε 0 π 2 D
ve
La (1.55) mostra che Er é funzione crescente sia della coordinata x sia soprattutto del campo
applicato poiché α cresce al crescere di E (vedi eq. (1.44)). Sostituendo nella (1.55) i valori dei
diversi coefficienti, per valanghe in aria si ottiene:
E r = 5,27 *10-7
αe αx
x
p
[V/cm]
(1.56)
Si noti che il pedice r indica che la direzione del campo é quella radiale rispetto all’asse del moto
della valanga, sebbene l’intensità di campo sia stata calcolata, per semplicità, mediante la formula
relativa ad una zona carica sferica.
23