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Isbn: 978-88-6799-155-6
Dario Salvatori
Il Salvatori
2015
Il Dizionario della Canzone
Volume Due
M-Z
Edizioni Clichy
M
M&F Germania, 2012. Autore: Urlaub. Interpreti: Die Ärzte  Alla soglia dei venti anni di
carriera, Die Ärzte, una delle più popolari band
punk rock di Germania, sfodera un altro album
di enorme successo, auch. Il singolo di lancio è di
nuovo un brano che parla dei rapporti fra uomo
e donna, un pop rock con sonorità inconsuete,
che sconfinano nell’elettronica, ma estremamente
orecchiabile. Primo posto per l’album, ma anche
per il brano, sia in Germania, che in Svizzera e
Austria, e lunga permanenza in vetta.
M’abituerò Italia, 2011. Autore: Ligabue. Interprete: Ligabue  Il tipico pezzo di rabbia
disillusa alla Ligabue, con quel graffio roco che
smorza tutte le pieghe di una probabile malinconia «m’abituerò a non trovarti / m’abituerò a
voltarmi e non ci sarai / m’abituerò a non pensarti... quasi mai / quasi mai... quasi mai». Viene
lanciata come inedito registrato in studio tratto
dal live Campovolo 2.011, ma in realtà esisteva
molto tempo prima ed era destinata addirittura
all’album Sopravvissuti e sopravviventi, uscito nel
1993. Diventa subito Disco d’Oro nell’edizione
digitale.
Ma Bkhaf Libano, 2009. Autore: Assaf. Interprete: Carole Samaha Nuova stella dell’arabic pop, Carole Samaha è da qualche tempo sulla
cresta dell’onda grazie alla sua enorme sensualità
e alla sua vocalità particolarissima attorno alla
quale il suo team autoriale le costruisce le canzoni. Questa in particolare è il primo singolo
di Hdoudi Sama, album multilingue (arabo e
dialetti libanese, egiziano e del golfo) e si issa in
vetta in patria ed in Egitto, facendole vincere per
la seconda volta il premio come miglior album ai
Murex d’Or, gli oscar nazionali.
Ma che aspettate a batterci le mani
Italia, 1958. Autori: Fo, Carpi. Interprete: Dario
Fo  Una delle prime canzoni incise da Dario
Fo, che la propose per la prima volta nel 1959
nella farsa Comica finale, ma poi la rilanciò quasi
vent’anni dopo, nel 1977, come sigla della trasmissione tv Il teatro di Dario Fo (e fu in questa
occasione che il brano ebbe finalmente successo).
La musica, allegra e coinvolgente, è di Fiorenzo
Carpi, il testo - animato da un retrogusto sociopolitico neanche troppo celato - di Fo: «ma che
aspettate a batterci le mani / a metter le bandiere
sul balcone / sono arrivati i re dei ciarlatani / i veri
guitti sopra il carrozzone».
Ma che bella città Italia, 1974. Autore:
Bennato. Interprete: Edoardo Bennato  «Sul
giornale c’è scritto / puoi fidarti di me / il peggiore di tutti / si è scoperto chi è / ci ha le ore contate / ma che bella città». La città, naturalmente,
è Napoli, e non avrebbe potuto essere altrimenti
nelle intenzioni dell’architetto Edoardo Bennato,
che fin dall’inizio della sua carriera ha avuto un
occhio di riguardo (attivo tutt’oggi) sulla metropoli che gli ha dato i natali. Canzone d’impronta
ancora sostanzialmente generalista, Ma che bella
città faceva parte dell’album I buoni e i cattivi, nel
quale Bennato poneva per la prima volta nero su
bianco alcuni tra i punti di riflessione centrali della sua poetica, primo fra tutti la sopraffazione della classe politica nei confronti del popolo, e più in
generale dei furbi (cioè «i cattivi») contro i deboli
(ovvero «i buoni»). Accompagnamento country,
con un ruolo di preminenza ad armonica, kazoo
e tamburello.
Ma che bella giornata Italia, 1968. Autori:
Lamberti, Cappelletti. Interprete: Ugolino 
«M’infilo nel letto e dico a me stesso che forse
domani non sarò lo stesso: il sonno che arriva mi
porta conforto, m’illude che son vivo ed invece
son morto». È la conclusione con cui Ugolino
(al secolo Guido Lamberti), apostolo del rock
demenziale, chiosa la riflessione sulla giornata
che, come tutte le altre, l’ha visto chino al proprio
lavoro sempre più uguale, sempre più ripetitivo.
Brano assai politico, arriva, non a caso, nel 1968,
anche se al primo ascolto viene scambiato per
una filastrocca. Apre la carriera di Ugolino alla
RCA, e, con l’eccezione di un 45 giri, la sua storia
discografica, destinata a protrarsi per una decina
d’anni.
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Il Salvatori 2015
Ma che bella giornata di sole Italia,
1988. Autore: Venditti. Interprete: Antonello
Venditti  La «giornata di sole» è il 25 aprile del 1945, giorno in cui la Liberazione consentì
a moltissimi soldati l’atteso ritorno alle proprie
case: tra loro c’era anche il padre di Venditti,
che sarebbe nato solamente quattro anni dopo,
ma la cui commozione traspare palpabilissima
dell’intenso racconto di questa canzone del 1988.
La prospettiva è quella del futuro, il futuro di
speranza che attendeva migliaia di famiglie, e il
desiderio di rinascita e di bellezza dopo l’orrore
a cui si è assistito: «E mio padre vivrà / solo il
sogno di questa terra / perché quello che ha è ancora guerra / e mia madre amerà / questo sogno
di prigioniero / perché quello che avrà è il mondo
intero». Un assolo di chitarra elettrica di mirabile
suggestione contrappunta sul finale il tappeto di
tastiere che fa da sostegno a tutto il pezzo. Il brano fa parte dell’album In questo mondo di ladri.
Ma che bello questo amore Italia, 1987.
Autori: Ramazzotti, Cogliati, Cassano. Interprete: Eros Ramazzotti  Ritmo allegro e
divertente, testo un po’ giovanilistico, per raccontare la felicità dell’esplosione di un nuovo
amore: «ma che bello questo amore che ti prende
/ che gasa se ce l’hai / che a casa più non vai /
che senza non ci stai / questa carica interiore che
si accende / se solo penso che / stanotte stai con
me». Un Eros Ramazzotti ancora relativamente
alle prime armi ne dà un’interpretazione molto
vivida, di realistica tenerezza. Tratta dall’album In
certi momenti, fece la propria parte nell’estate del
1988. L’antologico Eros del 1997 ne contiene una
riedizione. La versione spagnola si intitola Fantastico amor.
Ma che domenica! Italia, 1969. Autori:
Pallavicini, Mescoli. Interprete: Fiammetta 
Doveva essere il disco di lancio della diciannovenne Fiammetta (cognome: Tombolato) che,
nonostante l’età giovanissima, già da qualche
anno stava giostrando i suoi talenti tra varie
case discografiche. Il brano è certo uno dei più
conosciuti della sua produzione, ma, nonostante la partecipazione al Disco per l’Estate, riuscì
a spingerla assai poco lontano. Si rifarà con una
buona carriera radiofonica. Fiammetta è anche
l’interprete della sigla del cartone animato Carletto il principe dei mostri.
Ma che freddo fa Italia, 1969. Autori:
Migliacci, Mattone. Interpreti: Nada e Rokes
 «Mi sento una farfalla che sui fiori non
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vola più / che non vola più, che non vola più / Mi
son bruciata al fuoco del tuo grande amore che si
è spento già / ma che freddo fa / ma che freddo fa
/ tu ragazzo m’hai delusa / hai rubato dal mio viso
quel sorriso che non tornerà». È il brano con cui
divenne famosa l’appena quindicenne Nada Malanima, la cui figura esile, assieme alla provenienza e alla giovanissima età, ispirò il soprannome
di «pulcino del Gabbro». Gestualità aggraziata
e lineamenti delicati, in realtà la soave ragazza,
scoperta l’anno prima da Franco Migliacci, era di
tutt’altra pasta e la sua interpretazione già matura
e vigorosa - con quel modo tutto suo di pronunciare le parole quasi fosse un’americana - fecero
in fretta a dimostrarlo. Vestita come una hippie
conquistò il pubblico fin dalla prima apparizione
sul palco del Festival di Sanremo, a cui partecipava in coppia coi Rokes: arrivò solamente quinta,
ma si fece le beffe dei colleghi vincitori vendendo
molto più di tutti loro messi insieme e portando
fino al secondo posto della hit parade il suo 45 giri, che sul lato B proponeva Una rondine bianca.
Il brano ebbe successo anche all’estero (specie in
Spagna) e col tempo è dedicato un classico, tale
da meritare una fitta schiera di cover: tra le molte
si distinguono quelle di Mina, di Renzo Arbore e
della New Pathetic Orchestra, degli Avion Travel
e, in tempi recenti, di Giusy Ferreri. Inconsistente, invece, il riscontro della versione dei Rokes.
Ma che idea Italia, 1988. Autore: Madonia.
Interpreti: Denovo  Già famosissimi in Sicilia, nonché protagonisti del Sanremo Rock
1987 (manifestazione parallela rispetto al Festival
ufficiale), i Denovo approdarono finalmente sul
palco dell’Ariston nel 1988, esordiendo direttamente nella categoria Big. Alla ricerca di una
consacrazione nazionale che imponesse la loro
fresca linea debitrice in tutto e per tutto dei Beatles, lanciarono Ma che idea, capofila dell’album
Così fan tutti. I tempi però erano purtroppo per
loro ancora prematuri e il contesto non dei più
comprensivi, e così il pezzo non riuscì a piazzarsi
oltre la penultima posizione.
Ma che musica maestro Italia, 1971. Autori: Pisano, Silvestri, Paolini. Interprete: Raffaella Carrà  Allegra marcetta, destinata a
diventare famosissima perché sigla dell’edizione
del 1970 di Canzonissima e prima incisione in assoluto di Raffaella Carrà, che appunto conduceva
il programma assieme a Corrado. Come debutto canoro la bionda showgirl, che per la prima
volta portava in campo l’acconciatura bionda e
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soprattutto l’ombelico scoperto, non avrebbe potuto desiderare meglio, visto che il brano schizzò
come un missile fino alla terza posizione della
classifica, restando in Top 10 per diverse settimane. Fu l’avvio di un percorso di cantante non
particolarmente impegnativo, né sul piano tecnico, tantomeno su quello artistico, ma quantomai
redditizio, visto che fu quasi sempre legato a situazioni televisive che da allora e per moltissimi
anni avrebbero fatto della Carrà una regina del
piccolo schermo. Nel 1997 è stata reinterpretata da Claudio Baglioni per il programma Anima
mia e il relativo disco Anime in gioco.
Ma che ne sai... (se non hai fatto il pianobar) Italia, 1995. Autore: Mattone. Interpreti:
Trio Melody  Divertessement in chiave
swing per raccontare storie di localini e di musicisti poco meno che spiantati: «Verso una cert’ora
/ entra una pantera / sta con lui / ma guarda me /
che sto appiccicato al mio microfono / e dedico
canzoni / ... / ma che ne sai / ma che ne sai se non
hai fatto il pianobar». Lungi dalle tentazioni di
outsider con cui questa canzone venne presentata
al Festival di Sanremo del 1995, l’impressione fu
che l’esperimento avesse soprattutto la funzione
di far giocare, ancora prima che il pubblico, i tre
interpreti: parallelamente ebbe il merito di portare
all’Ariston Gigi Proietti, che mai prima di allora
aveva partecipato alla gara e che vi debuttò con l’esuberanza di un ragazzino. Spassose anche le prove
di Peppino Di Capri e di Stefano Palatresi, che
completavano quello che per l’occasione si chiamò Trio Melody. Meno divertenti le giurie, che lo
bloccarono al tredicesimo posto della graduatoria.
Ma chérie Serbia, 2009. Autori: Gojkovic, Kosovac. Interpreti: The Beat Shakers feat. Alberto
 Eurodance con testo d’amore in lingua
francese e ritornello in serbo che passa completamente inosservata nel momento in cui il duo di dj
serbi la dà alle stampe. L’anno dopo, con un nuovo
arrangiamento, più latino e con influenze pop e
testo in inglese diventa un successo planetario, ma
l’operazione è griffata da Dj Antoine, uno dei più
popolari di dj svizzeri, che invita The Beat Shakers
a cantare il ritornello (esattamente come nell’orginale). La voce delle strofe, che nell’originale è di Alberto, nella versione made in Svizzera è dell’elvetica
Angel. Il brano, tormentone riempipista dell’estate
in mezza Europa, tocca la top 5 un po’ dovunque.
Ma chi se ne importa Italia, 1970. Autori:
Migliacci, Mattone. Interprete: Gianni Morandi
 «Ma chi se ne importa se adesso il mio
cuore si spezza / un giorno d’amore per me vale
più di cent’anni / sembrava un capriccio e invece
per lei sto morendo / peccato che al mondo si
vive una volta soltanto». A giudicare dalla verve,
sembrerebbe quasi si trovarsi di fronte il Gianni
Morandi «cattivo» parodizzato da Fiorello, e invece è il cantante di sempre, evidentemente alle
prese con una scottatura sentimentale di quelle
che bruciano sul serio. Il brano vinse Canzonissima e raggiunse il primo posto della classifica,
ma fu una sorta di canto del cigno per la prima
parte della carriera di Morandi, che - vittima di
una crisi ormai epocale - per lunghissimo tempo
non avrebbe più colto la vetta dell’hit parade. La
troviamo anche nel film Faccia da schiaffi di Armando Crispino.
Ma com’è rossa la ciliegia Italia, 1990.
Autori: Mango, Mogol. Interprete: Mango 
Non che sia la canzone più famosa dell’album
Sirtaki (che dà a Mango un successo da 400 mila
copie), eppure lui decide di portarla ugualmente
in gara al Festivalbar del 1990. Canzone di una
certa introspezione, ma comunque solare e colorata. Mango firma insieme a Mogol.
Ma come fanno i marinai Italia, 1978. Autori: De Gregori, Dalla. Interpreti: Lucio Dalla,
Francesco De Gregori  «Ma come fanno i marinai a baciarsi tra di loro / e a rimanere
veri uomini, però?». Se lo chiedono Lucio Dalla
e Francesco De Gregori nella canzone che nell’estate del 1978 segnò l’atto di inizio della fortunatissima collaborazione destinata a evolversi l’anno
successivo nello storico tour «Banana Republic».
Dopo i fatti del Palalido di Milano (dove era
stato pesantemente contestato durante un concerto), per quasi due anni De Gregori si era ben
guardato dal calcare qualsivoglia scena musicale
pubblica: Dalla ne incoraggiò il rientro e insieme
i due si esibirono in uno storico concerto allo Stadio Olimpico di Roma, dove la goliardica, ma in
fondo meditativa, Ma come fanno i marinai venne
proposta per la priva volta dinanzi al grande pubblico. Arrivò fino al sesto posto in classifica, ma le
conseguenze furono ben superiori, probabilmente più per il senso di intesa e di affiatamento che
scaturiva dalla resa del motivo, che per il pezzo in
sé, che, per quanto disinvolto e baldanzoso, era
poco più che uno scherzo: «Intorno al mondo
senza amore / come un pacco postale / senza nessuno che gli chieda come va / col cuore appresso
a una donna / una donna senza cuore / chissà se
ci pensano ancora / chissà». Nessuno dei due ar-
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Il Salvatori 2015
tisti ne ha mai realizzata una versione solista, ma
il brano è stato recuperato da Pino Calvi e la sua
orchestra.
Ma dai Italia, 2003. Autori: Lavezzi, Costanzo.
Interprete: Andrea Cardillo  Scritta da Mario Lavezzi e da Maurizio Costanzo, quest’allegra
canzoncina rappresentò il primo e unico successo di Andrea Cardillo, fuoriuscito di una delle
primissime edizioni di Amici, o meglio, come si
chiamava allora, Saranno famosi. Concepita quasi come uno scioglilingua, Ma dai comparve sul
mercato un paio d’anni tardi grazie alla scuderia
Sugar, che si prese Cardillo sotto l’ala e per un
po’ lo coltivò. Disco d’oro per l’omonimo EP e
inserimento in alcune compilation furono i maggiori risultati conseguiti in ambito discografico,
a cui si aggiunse una programmazione radiofonica massiccia e prolungata per diversi mesi. La
vocalist che compare accanto a Cardillo è Valeria
Monetti.
Ma il cielo è sempre più blu Italia, 1975.
Autore: Gaetano. Interprete: Rino Gaetano
 Al limite della desolazione per il mancato
successo del suo primo album Ingresso libero, nel
1975 Rino Gaetano riuscì nel miracolo di trasformare il rischio di un fallimento definitivo in
un successo: a permetterlo fu Ma il cielo è sempre
più blu, la cui ispirazione colse il cantautore a un
passo dal suo ritiro, permettendogli così di farsi
conoscere finalmente al grande pubblico. Concepita come un lungo elenco di situazioni drop out
(come in realtà era allora anche quella stessa di
Gaetano), la canzone faceva leva su un ritornello
risolutorio, in cui tutte le difficoltà annotate in
precedenza sembravano trovare uno scioglimento
in fondo allegro e pieno di speranza: «chi vive in
baracca, chi suda il salario / chi ama l’amore e i
sogni di gloria / chi ruba pensioni, chi ha scarsa
memoria / chi mangia una volta / ... / chi va sotto
un treno / ... / ma il cielo è sempre più blu / ma
il cielo è sempre più blu». Pubblicata in 45 giri,
vendette all’incirca 100 mila copie. Nel 2004 ha
dato il titolo a una trasmissione di Giorgio Panariello. Una cover recente di Giusy Ferreri ha restituito al brano - pur tra qualche polemica - una
buona rotazione radiofonica.
Ma la notte Italia, 1985. Autori: Arbore, Mattone. Interpreti: Renzo Arbore e La New Pathetic
Elastic Orchestra  Sigla della trasmissione cult Quelli della notte, che Renzo Arbore
condusse in maniera epica nella primavera del
1985, andando in onda in seconda serata, ma
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riuscendo ugualmente a raccogliere consensi da
capogiro. Altrettanto bene andarono questa come le altre canzoni del programma, che furono
tutte pubblicate all’interno di un album (con lo
stesso titolo del programma) che non solamente
finì al terzo posto in classifica, ma che fu anche
l’undicesimo più venduto dell’anno. Attraverso
un testo divertente e un po’ surreale, Arbore anticipava il filone delle canzoni ironiche che tanta
fortuna avrebbe avuto, fin dal Festival di Sanremo successivo, nel suo repertorio. Un ritornello
immediatamente memorizzabile ebbe inoltre il
merito di amplificare la fama del brano ben oltre
il pur vasto pubblico che assisteva alla trasmissione: «ma la notte, ma la notte, ma la notte no»
divenne un gioco invitante anche per i bambini,
che inevitabilmente poco potevano saperne sia di
Neruda che di Picasso, tirati scherzosamente in
ballo dallo showman pugliese. Della New Pathetic Elastic Orchestra, che accompagnava il pezzo,
facevano parte, tra gli altri, Silvia Annichiarico,
Antonio e Marcello e Gegé Telesforo.
Ma l’amore no Italia, 1942. Autori: Galdieri,
Bracchi. Interprete: Alida Valli  Alida
Valli la cantò nel film Stasera niente di nuovo di
Mario Mattioli, ma questa canzone dall’aria sognante e composta fece assai presto a sciogliersi
dal vincolo cinematografico e diventare uno dei
maggiori successi del suo periodo (probabilmente
la canzone più trasmessa dall’EIAR nel periodo
bellico). La musica era di Alfredo Bracchi, già
autore di molte hit dell’epoca, mentre il testo
era di Michele Galdieri, a cui la musica italiana
già doveva la celeberrima Quel motivetto che mi
piace tanto. Passata negli anni attraverso non solo
moltissime versioni, ma anche diversi riutilizzi
cinematografici (uno è quello che Ambrogio
Lo Giudice ne fa nel suo film d’esordio Prima
dammi un bacio del 2003), fu in effetti un po’
il simbolo di quegli anni bui in cui l’unica cosa
che sembrava veramente resistere e dare speranza
erano i sentimenti privati, tant’è che - per radio
- accompagnò anche lo sbarco degli Alleati: «Ma
l’amore no / l’amore mio non può / disperdersi
nel vento con le rose / Tanto è forte che non cederà / non sfiorirà / Io lo veglierò / io lo difenderò
/ da tutte quelle insidie velenose / che vorrebbero
strapparlo al cuor / povero amor!». Lina Termini la incise nel 1943 con l’orchestra del maestro
Angelini, mentre Iva Zanicchi la portò in gara a
Canzonissima addittura nel 1965. Tra le molteplici interpretazioni si distingue quella di Ornella
Il Salvatori 2015
Vanoni, risalente al 1986. Nel ’75 ha dato il titolo
a un libro di Francesco Savio dedicato al cinema
del ventennio fascista.
Ma le gambe Italia, 1938. Autori: Bracchi,
D’anzi. Interpreti: Enzo Aita con il Trio Lescano
 Uno dei motivetti più famosi del periodo
immediatamente precedente la seconda guerra
mondiale. A scriverlo furono Giovanni D’Anzi
e Alfredo Bracchi, che sfruttarono il filone più
swingante in voga all’epoca per comporre una
canzoncina un po’ ammiccante e inevitabilmente
disimpegnata: «Saran belli gli occhi neri / saran
belli gli occhi blu / ma le gambe / ma le gambe
/ a me piacciono di più». L’interpretazione originaria, risalente al 1938, è di Enzo Aita con il
Trio Lescano: sul lato B del ’78 giri c’era Segui il
ritmo. Nato in Sicilia, ad Acireale, trentacinque
anni prima, Aita mise da parte con Ma le gambe il
suo unico successo nel repertorio leggero: subito
dopo la guerra trovò nuove soddisfazioni nell’operetta, di cui divenne inteprete popolarissimo.
Ma le gambe è stata successivamente ricantata da
Pippo Franco.
Ma mi Italia, 1959. Autori: Strehler, Carpi. Interpreti: Ornella Vanoni, Milva, Enzo Jannacci
 «Ma mi, ma mi, ma mi / quaranta
dì, quaranta nott / A San Vittur a ciapaa i bott
/ dormì de can, pien de malann! / Ma mi, ma
mi, ma mi / quaranta dì, quaranta nott / sbattuu de su / sbattuu de giò / mi son de quei che
parlen no!». Storia di un carcerato della prigione
milanese di San Vittore: il commissario lo convoca per proporgli uno scambio tra la libertà e una
spiata che metterebbe nei guai alcuni suoi amici,
lui cordialmente rifiuta e ne paga tutte le conseguenze. Il brano venne scritto alla fine degli anni
Cinquanta da Fiorenzo Carpi e Giorgio Strehler,
che, così come fece per altri brani nati più o meno
nello stesso periodo e nelle stesse circostanze, fece
credere di averlo riadattato da un originario canto
popolare milanese (ed è per questo che nei crediti
è per lungo tempo comparso anche l’Anonimo).
A interpretarlo e portarlo al successo fu Ornella Vanoni, che, ancora «cantante della mala» (e
legata sentimentalmente a Strehler), lo incise nel
1959 all’interno di due diversi 45 giri e ne fece
un punto di riferimento anche del suo successivo
repertorio. Successive e importanti versioni sono
venute da Enzo Jannacci a Milva.
Ma non ho più la mia città Italia, 1993.
Autori: Malavasi, Milani, Trovato. Interprete: Gerardina Trovato  «Venne il giorno che le
dissi: / tu Catania non mi basti / dei miei sogni
che ne hai fatti / me li hai chiusi in un cassetto / e
sognavo di partire / di trovarmi in un bel posto /
per potere riaprire / quel cassetto ormai nascosto /
chiuso con delle catene / pieno ormai di ragnatele».
Seduta a gambe incrociate su una cassa e con la sua
chitarra tra le braccia, Gerardina Trovato fece il suo
esordio dal palco del Festival di Sanremo del 1993
infiammando la scena di sapori mediterranei e di
richiami fortissimi all’attualità (il testo citava, tra
i richiami autobiografici, una frase di Paolo Borsellino: «chi non ha paura di morire, muore una
volta sola»): arrivò seconda classificata alle spalle di
Laura Pausini, ma in compenso ebbe dalla sua parte i favori della critica, che subito la incoronò come nuova realtà del più interessante cantautorato
femminile. Per la cantante catanese si aprì una fase
particolarmente favorevole, coronata anche dal
buon successo commerciale dell’album Gerardina
Trovato, che arrivò fino al sedicesimo posto della
classifica e vendette quasi duecentomila copie.
Lanciata dalla Sugar di Caterina Caselli, la Trovato
(già corista di Bobby Solo) aveva conosciuto i suoi
discografici solamente due mesi prima la partecipazione al Festival, dopo aver spedito loro una cassetta con le sue canzoni: «Questa, però» dichiarò
la cantante alla Repubblica «mi è particolarmente
cara. L’ho scritta di slancio dopo l’uccisione di Paolo Borsellino. Tra le tante cose che lui ha detto, c’è
anche lo stato d’animo che ho cercato di esprimere
nella canzone».
Ma philosophie Francia, 2004. Autori:
Bent, Diam’s. Interprete: Amel Bent 
Lanciata da un talent show, Amel Bent oggi
alterna l’attività di ottima cantante pop e r’n’b
a quella di attrice. Il suo maggior successo è
questo brano estremamente radiofonico che ha
sfondato nelle chart europee: disco di diamante in Francia, ha ottenuto riscontro in Belgio,
Svizzera, in Ucraina e Russia. A fine anno è
terzo nella chart europea.
Ma piano (per non svegliarmi) Italia,
1967. Autore: Meccia. Interpreti: Nico Fidenco, Cher  Durante la lettura di questo libro,
certamente il lettore attento si sarà ben presto
reso conto che il Gianni Meccia autore è stato
probabilmente molto più importante del Meccia
cantante, nonostante l’artista asserisca da sempre
che la parola «cantautore» fu coniata proprio a
suo modello e circostanza. E, in effetti, le sue canzoni, anche quelle concepite per altri interpreti, si
discostano sempre dalla faciloneria o del preco-
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struito a tavolino. Ne è l’ennesima prova questa
eccellente Ma piano (per non svegliarmi) presentata al Festival di Sanremo 1967 da Nico Fidenco
e da una Cher non ancora in odore di Santità,
anzi, molto più diabolica di quanto poi in effetti
dimostrò di essere nel tempo. Fidenco interpretò
con grande maestria il brano, Cher, bellissima sul
palco dell’Ariston, invece dimenticò le parole,
spesso sostituite - durante la sua performance - da
inconcepibili singulti. La canzone subì l’eliminazione diretta in prima serata, sia per colpa della
prova scadente della bella meticcia pellerossa, sia
perché... troppo interessante per un Festival. Il
testo di Meccia (anche lui la incise più tardi) era
comunque interessante, molto fiabesco e sottile
«... Tu che mi amavi non mi parli più e mi fai
piangere per niente. Lo sai che voglio ancora bene a te e soffro per la prima volta. Una canzone
non dimentico, tu la cantavi piano piano. Le tue
parole mi baciavano ma piano, piano, per non
svegliarmi...». La storia, invero, non finisce qui.
I Nomadi, nel loro primo meraviglioso album
Per quando noi non ci saremo, ne incisero un’altra
versione, con la voce tormentata e tesa di Augusto
che cantava «...Di notte, mentre tutti dormono,
ho fatto un sogno molto strano. Ho visto strade
piene d’ombre che si tenevano per mano. Ho visto assieme mille giovani, con le ragazze e le chitarre. Canzoni splendide cantavano, ma piano,
piano, per non svegliarmi...». Di ben altro tenore
e totalmente coniugato con il «Credo Beat». Sullo stesso disco dei Nomadi, il testo è attribuito
a Gianni Meccia il quale, interpellato anni fa da
Claudio Scarpa, non era neanche a conoscenza
della versione diversa, né sapeva che i Nomadi
l’avessero mai incisa. Resta il mistero di quest’anonimo paroliere... Nonontante, ascoltando per
intero la canzone in questa variante, il tutto «puzza» di Guccini lontano un miglio...
Ma quale amore Italia, 1973. Autori: Evangelisti, Venditti. Interprete: Mia Martini 
«Una donna è stanca di sentirsi dire / “tu la tua
vita ed io la mia” / Ma per la notte vado bene /
poi l’indomani “buongiorno” e via! / Ma quale
amore! non fare la scena / Ma quale amore! ma
credi sia scema». Musica di Antonello Venditti,
testo di Franca Evangelisti per una canzone che
finisce nell’album Il giorno dopo di Mia Martini,
cesellandone l’immagine di donna poco disposta ad accettare la superficialità degli uomini. Il
rapporto tra i sessi sarà una delle chiavi centrali
della produzione della cantante, talvolta con esiti
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anche drammatici, ma sempre e comunque sinceri, in un’identificazione di arte e vita tra le più
profonde del nostro panorama. Altissimo il talento d’interprete, qui rivelato nella sua complessità.
Ma quale amore Italia, 1990. Autori: De
Angelis, Laurex, Lopez. Interprete: Riccardo Fogli  Un Riccardo Fogli abbastanza drammatico, sempre arroccato a riflessioni di ordine
sentimentale, ma decisamente più intenso rispetto all’esperimento subito precedente (quello cioè
del Festival di Sanremo 1989, Non finisce così).
Forse pecca di presenzialismo, ed è quello che gli
impedisce di piazzare meglio la sua canzone, che
termina la corsa nel gran mucchio delle quarte
escluse dal podio. In classifica arriva fino alla
quindicesima posizione. Nella versione straniera
prevista dal regolamento diventa Speak to me of
love, interpretata da Sarah Jane Morris.
Ma quale musica leggera Italia, 2012.
Autore: Bennato. Interprete: Loredana Berté
 Nulla da eccepire sul piano tecnico e artistico, solamente ci si chiede se sia il caso di calcare così la mano vittimista con un’artista dal
percorso così già tanto complicato come Loredana Berté. Il pezzo lo scrive Edoardo Bennato
(che suona anche l’armonica), la produzione è
di Mario Lavezzi («ma quale musica leggera /
questa è una musica che pesa / c’è chi la sente e
s’innamora / c’è chi la vive e si avvelena»). C’è
anche un videoclip, dove il ruolo della Berté
piccola è interpretato dalla figlia del cantautore
napoletano, Gaia.
Ma quando arrivano le ragazze? Italia,
2005. Autore: Ortolani. Interprete: Riz Ortolani
 Uno dei più importanti film recenti di
Pupi Avati, interamente ambientato nel mondo
della musica e più in particolare della musica
jazz, con temi composti ad hoc da Riz Ortolani.
Musiche perlopiù eseguite da fiati, che accanto
all’allegria di certe situazioni, lasciano anche spazio a momenti più malinconici, con il sassofono
che allunga le note come ad approfondire tutto
lo struggimento dei personaggi della storia, alle
prese con le speranze, ma anche certi drammi,
della giovinezza. Vince il David di Donatello,
appunto, per la migliore colonna sonora. Tra gli
interpreti del film c’è anche Johnny Dorelli.
Ma quando dici amore Italia, 2004. Autori:
Cheope, Cellamare. Interprete: Ron  «Ma
quando dici amore / tu ci credi o no? / o è solo
un’abitudine / per rimandare un po’ / quell’immensa paura di non amarsi più». La versione origi-
Il Salvatori 2015
nale è stata pubblicata ne Le voci del mondo, album
di Ron del 2004, ma il cantautore di Dorno volle
recuperarlo un anno dopo per reinterpretarlo con
Elisa per l’album destinato a portare lo stesso nome
e finalizzato alla raccolta di fondi a favore dell’Aisla. Tenero ed ecumenico al tempo stesso.
Ma se ghe pensu Italia, XIX sec. Autori:
Cappello, Margutti. Interpreti: vari  È la
canzone simbolo degli emigranti genovesi, che,
tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del
Novecento, la realtà del porto spinse a migliaia
verso nuove vite oltreoceano. Inizialmente fu diffusa come Se ghe pensu, per giungere solo più tardi al titolo con cui è conosciuta attualmente: ma
anche la forma complessiva dovette subire diverse
rielaborazioni, passando da una stesura primigenia di origine popolare (e databile agli ultimi decenni del XIX secolo) alla versione definitiva messa a punto da Mario Cappello e Attilio Margutti
nel 1925. Scritta in dialetto genovese strettissimo,
descriveva l’ascesa sociale dell’emigrato, al quale
però l’entusiasmo del figlio non bastava a cancellare la nostalgia profonda per la città di origine:
«e sensa tante cöse o l’è partîo / e a Zena o g’ha
formòu o sêu nîo» («e senza tante cose è partito
e a Genova ha fatto rinascere il suo nido»). Tra le
molte interpretazioni si distinguono quelle di Natalino Otto e di Mina. Recentemente Antonella
Ruggiero l’ha recuperata per Genova la superba.
Ma se tu vorrai Italia, 1962. Autore: Reverberi. Interprete: Michele  Una delle primissime canzoni di Michele, se non altro la sua prima
incisione, peraltro distribuita solamente nei 45
giri: come conseguenza, non riesce a imporsi sul
mercato in alcun modo, ma persuade la RCA a
fare incidere al giovane un altro disco, Se mi vuoi
lasciare, che invece gli darà la popolarità. Scrive
Gianfranco Reverberi.
Ma ti sei chiesto mai Italia, 1992. Autori:
Vernola, M. Reitano, F. Reitano, D. Reitano.
Interprete: Mino Reitano  Una delle più
riuscite canzoni recenti di Mino Reitano, animata
da uno spirito introspettivo a cui il cantante dette
in ampia misura anima e cuore. Presentata al Festival di Sanremo del 1992, fu tuttavia scarsamente considerata e scontò così l’accesso alla finale,
con grandissima delusione da parte di Reitano,
che evidentemente aveva creduto di poterla spingere per confermare la buona fase aperta da Italia
quattro anni prima. Il refrain: «Ma ti sei chiesto
mai / se tu davvero lo puoi fare / se un giorno troverai / la forza almeno di provare / l’amore certo
può andare via / se finisce ma tu lascia che sia /
perché è più bello sai / sentirsi male poi / che non
provarci mai».
Ma vie Francia, 1964. Autori: Barriere, Migiani.
Interprete: Alain Barriere  Ecco una di
quelle composizioni baciate dalla fortuna, non
certo per caso ma per meriti assoluti. Un successo d’oltralpe per una canzone dal piglio triste che
assolutamente doveva per forza di cose entrare nel
cuore degli ascoltatori. L’interpretazione del brétone Alain Barriere è convincente al massimo e, in
madre patria, ogni sua canzone diventava un successo. Barriere godette anche momenti di grande
popolarità in Italia, soprattutto proprio per questa
sua composizione che, con testo italiano firmato
dal binomio Paoli - Bardotti, divenne Vivrò e fu
un successo intramontabile a cavallo del 1964 ed il
1965. I ragazzi poi, che organizzavano festicciole in
casa, quando si accorsero che la canzone superava i
4 minuti di durata, non si facevano certo mancare
un sì prezioso esemplare. In un periodo nel quale i
brani avevano generalmente la durata dai due ai tre
minuti, avere la possibilità di stringere nel ballo la
propria «bella» per oltre 4 minuti era un’occasione
assolutamente imperdibile!
Ma.... cos’è questa crisi Italia, 1933. Autore: De Angelis. Interprete: Rodolfo De Angelis
 Inutile stare a lagnarsi e dare la colpa a
tutto quanto il mondo se poi nel proprio orticello
non siamo in grado di muovere un solo dito. Dal
più grande al più piccolo: «Tutte quante le nazioni
si lamentano così / conferenze, riunioni, ma si resta
sempre lì / ah, la crisi! / Ma cos’è questa crisi? / Rinunziate all’opinione / della parte del leone e chissà
/ che la crisi finirà». Leggero e spiritoso, Rodolfo
De Angelis compose e interpretò questa canzone
nel 1933, ovvero un paio d’anni dopo essere ritornato su quelle scene abbandonate all’avvento del
fascismo. Pittore, giornalista, cantante, commediografo, il multiforme De Angelis, al secolo Rodolfo
Tonino (nato a Napoli nel 1893) aveva fondato
nel 1921 quel Teatro della Sorpresa che era stato
tra i primi territori atti a mettere a frutto la sua
vocazione dadaista e futurista: anche dopo la lunga
pausa, però, non si dimenticò di queste sue antiche
ispirazioni e non rinunciò a portarle all’interno
delle sue canzoni, ricche di onomatopee e di parole
tanto anomale quanto felici sul piano sonoro. A
lui si deve anche l’iniziativa che negli anni a venire
avrebbe portato alla costituzione della Discoteca di
Stato. Morì a Milano nel 1965. C’è una versione
del 2006 dei Folkabbestia.
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Il Salvatori 2015
Maak me gek Olanda, 2007. Autori: Tel,
Coove. Interprete: Gerard Joling  A decenni
di distanza dal suo esordio, Gerard Joling è ancora sulla cresta dell’onda. Ormai decisamente
orientato sulla lingua olandese, sul nederlandstalig (un genere di pop tipico dell’Olanda, che
mescola sonorità vicine al liscio, al pop attuale e
a quello anni ’80), trova di nuovo la vetta delle
classifiche con questo brano tipicamente orange
nel sound che dà anche il titolo all’album.
Macaco Italia, 1984. Autore: Conte. Interprete: Paolo Conte  Ennesimo tocco di
esotismo nella produzione di Paolo Conte, che
si richiama ancora una volta alla metafora della
scimmia per indicare non la droga, come tradizionalmente è stato fatto dagli anni Cinquanta in
poi, bensì l’uomo in procinto di fare una conquista amorosa («lei gli fa: Macaco / e tutto il resto
è da scimpanzé»). Da Paolo Conte del 1984, che
rifulge di una magica e trascinante allegria.
Macarena Spagna, 1993. Autori: Rafael Ruiz
Perdigones, Antonio Romero Monge. Interprete:
Los del Río  Qualcuno ravvisa forti somiglianze con una canzone lanciata da Ella Fitzgerald nel 1939, Tain’t What You Do (It’s The Way
That You Do It) spesso usata dalla comunità dei
ballerini di Lindy Hop, uno stile di ballo swing,
come base per una coreografia di gruppo, lo Shim
Sham. Fatto sta che non si può escludere la componente coreografica dagli elementi che hanno
decretato il successo di Macarena. Incisa per la
prima volta nel 1993, esplode a livello mondiale
nella versione dance associata alla notissima coreografia nell’incisione firmata dagli italiani Roberto
Boribello e Paolo Franchetto, in arte Los Locos.
Madame Italia, 1976. Autori: Pintucci, Renatozero, Evangelisti. Interprete: Renato Zero
 Due album alle spalle, Renato Zero approdò per la prima in classifica nel 1976 col singolo Madame, che, pubblicata in 45 giri, anticipò
l’LP Trapezio. Sul piano dei numeri il riscontro
del pezzo, almeno inizialmente, non fu niente di
eccezionale, ma non allo stesso modo andarono le
cose per il coloratissimo «personaggio» Zero, che
dalla vivacità e dall’originalità del brano ricavò un
aumento ben consistente della propria popolarità. La trasgressività incipiente e i primi fulgori
della dance si incontrarono infatti nella storia
curiosa di una donna bellissima che si innamora
di un uomo che è tutto il contrario e al quale col
tempo finisce per assomigliare. La chiave «zeriana» però è tutta nel ritornello: «Se l’amore è cieco
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va / e non guarda dove va / rassomiglia un poco a
me / madame / madame / ma l’amore come va /
zoppicando qua e là / ma tu insisti che mi vuoi /
madame». Sul lato B del singolo c’è Un uomo da
bruciare. In una versione dal vivo Renato Zero
interpreta Madame con Alexia.
Madame Belgio, 1981. Autore: Barzotti. Interprete: Claude Barzotti  Figlio di italiani emigrati in Belgio negli anni ’50, Francesco “Claude”
Barzotti è ancora oggi riconosciuto come uno dei
maggiori esponenti del pop e della varieté francaise non francesi. L’esordio è di quelli straordinari,
con questo brano da lui composto, estremamente
orecchiabile e avvolgente, che dà anche il titolo
al primo album: vende 400mila copie e sfonda
nelle classifiche francesi e belghe contribuendo a
lanciarlo nel mainstream.
Madame Sitrì Italia, 2009. Autore: Rondelli.
Interprete: Bobo Rondelli  Da almeno
due decenni in molti, tutti coloro che lo hanno
incrociato sulla loro strada, aspettano che Bobo
Rondelli raggiunga il successo che il suo talento
immenso meriterebbe. Ma forse non accadrà mai.
Come il suo concittadino (e riferimento principale), il livornese Piero Ciampi, anche Rondelli
vuole rimanere nel suo bar, con i suoi amici, e
pagarsi con i soldi dei dischi e dei concerti una
vita appena un po’ più dignitosa degli abitanti
di Shangai, il quartiere operaio di Livorno dov’è
nato. Ma con Per amore mio, l’album del 2009
arrivato dopo la collaborazione (poi abortita) con
Stefano Bollani e quella (abortita anch’essa) con
Filippo Gatti, Bobo Rondelli raggiunge forse per
la prima volta una completa e autonoma maturità
artistica, compositiva e interpretativa. Di questo
album più che notevole, ma pressoché ignorato
dal grande pubblico, Madame Sitrì è il pezzo di
punta. Richiami ovvi alla Livorno di Ciampi,
ma anche a Umberto Bindi e a Buscaglione. È
stata, diciamo, uno dei migliori «alti» della parabola continuamente ondeggiante tra alti e bassi di
questo genio per ora non abbastanza riconosciuto
della canzone italiana.
Made in Heaven Gran Bretagna, 1985. Autore: Mercury. Interpreti: Freddy Mercury, Queen
 C’è un non so che di inquietante nel fatto
che il più venduto album della storia dei Queen
sia Made in Heaven, realizzato dalla band britannica quattro anni dopo la morte del frontman
Freddie Mercury, utilizzando tracce vocali da lui
incise nell’ultimo periodo della sua vita, peraltro proprio allo scopo di lasciare al suo gruppo
Il Salvatori 2015
qualcosa su cui esso potesse continuare a lavorare
dopo la sua dipartita. Il pezzo eponimo, del resto,
era già stato inciso da Mercury parecchio tempo
prima, nel 1985, all’interno del suo primo album
solista, Mr. Bad Guy: i Queen superstiti ne trassero la traccia vocale e ci risuonarono sopra a modo loro, facendo di questa canzone il singolo di
punta dell’album a cui - molto significativamente
- avrebbero dato lo stesso nome. Non mancò chi
ebbe da ridire sulla liceità morale dell’operazione,
che il pubblico, tuttavia, mostrò, e non poco, di
apprezzare. Made in Heaven, in ogni caso, fu l’ultimo album di inediti realizzato dai Queen.
Mademoiselle chante les bleus Francia,
1988. Autori: Barbelivien, Mehdi. Interprete: Patricia Kaas  Blues annaffiato nel pop, è il
singolo di lancio di Mademoiselle chante, primo
album di Patricia Kaas, interprete raffinata che
verrà alla luce come una delle maggiori protagoniste della chanson francese non solo in patria ma
anche in tutto il mondo francofono e germanofono. Scritto da Didier Barbelivien, uno dei maggiori autori francesi contemporanei, nonostante il
sound particolare, il brano trova grande riscontro
in patria, lanciando l’artista.
Madison fra gli angeli Italia, 1962. Autori: Donaggio, Corso. Interprete: Pino Donaggio
 Tipica canzone-spot per un ballo che si
andava affermando: «è il nuovo ballo / è il nuovo
ballo / è il nuovo ballo che ti voglio insegnar /
Questo è il madison, madison, madison», e così
via proseguendo con l’invito in pista alla pupa da
conquistare. Canta Pino Donaggio in un momento scanzonato della sua carriera, che però fa
arrivare il 45 giri fino al nono posto in classifica:
il merito, però, è soprattutto di Vestito di sacco, il
lato A del singolo.
Madonna de lu Carmene Italia, 1975.
Autore: De Simone. Interprete: Lina Sastri 
Dallo spettacolo teatrale Masaniello di Elvio Porta e Armando Pugliese per raccontare una delle
feste più amate dai napoletani e insieme una delle
figure religiose che maggiormente catturano la
loro venerazione. Così dalla celebre edizione del
1647, cioè dalla rivolta di Masaniello, in un legame strettissimo tra povertà e religiosità popolare.
La riporta alla luce Lina Sastri alla metà degli anni
Settanta.
Madonna delle rose Italia, 1952. Autori:
Fiorelli, Ruccione. Interprete: Oscar Carboni
 «Dico al cuore: prega e spera / chi t’amava
tornerà / ed il cuore questa sera prega chi m’ascol-
terà / Madonna delle rose, riportami il sorriso /
di quella che cantava in questa casa!». Non era
inusuale, almeno fino agli anni ’60, imbattersi in
canzoni come queste, in cui l’innamorato, onde
risolvere i suoi guai, ricorreva all’appello alle potenze celesti. Scritta da Mario Ruccione e Peppino Fiorelli, arriva quarta al Festival di Sanremo
del 1952 grazie a Oscar Carboni, che la porta anche tra i brani più venduti dell’anno. A pochi mesi dopo risale l’interpretazione di Claudio Villa.
Madonna di Venere Italia, 1987. Autore:
Castelnuovo. Interprete: Mario Castelnuovo
 L’ultima - almeno fino a oggi - partecipazione di Mario Castelnuovo al Festival di Sanremo, habitat che non doveva essere propriamente
quello suo naturale e nel quale dava l’impressione
di stare come un pesce fuor d’acqua. Finì infatti
per classificarsi terz’ultimo, cioè ventiduesimo,
ma la cosa ebbe nonostante tutto l’aspetto di
un’occasione sprecata: dotato di una vena particolarmente felice, Castelnuovo sembrava infatti
in grado di poter aprire una via alternativa nel
cantautorato italiano, e probabilmente lo fece,
seppure lontano all’attenzione del grande pubblico, che forse trovava troppo complessa la storia
di questo miracolo di inizio secolo (un bambino,
creduto morto per la febbre spagnola, si risvegliava all’improvviso sentendo le campane della chiesa, appunto di Madonna di Venere). Pubblicata
nell’album Venere, con gli arrangiamenti dell’ex
Stadio Fabio Liberatori.
Madre dolcissima Italia, 1989. Autore: Fornaciari. Interprete: Zucchero  «Ti amo
xché ne ho bisogno / non xché ho bisogno di te /
io vago nel vento / vado però». Uno dei brani «seri» di Oro, incenso & birra, contraltare riflessivo
delle più scatenate Overdose (d’amore) o Diavolo
in me. Il tema, tuttavia, è sempre lo stesso, l’uomo solo dopo che la sua donna lo ha lasciato e
che contempla attorno a sé la dissoluzione della
sua vita, della sua quotidianità («niente di nuovo
/ tranne l’affitto per me», ovvero un tetto sotto
il quale vivere e da prendere a pigione), e forse
anche quella del mondo intero vista la selva di
cattive notizie tramandate dai telegiornali. Quale appello per uscirne? «Mama salvami l’anima»:
poiché del resto a Zucchero la commistione di
sacro e profano è sempre piaciuta, e non poco. Il
vocalizzo finale è di Lisa Hunt, la vocalist preferita di Zucchero, che più tardi ne avrebbe offerta
una versione propria nello spettacolo per i venticinque anni di Woodstock (in «Woodstock ’94»).
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Quanto a Zucchero, dopo averla lanciata sul mercato estero col titolo di Mama, ne ha inciso una
versione in duetto con Johnny Halliday nel suo
Greatest Hits del 1997 (versione francese).
Madre hay una sola Argentina, 1930. Autori: de la Vega, Bardi. Interpreti: vari  Si
racconta che uno dei migliori interpreti del tango
Madre hay una sola, Carlos Gardel, telefonasse
tutti i giorni alla madre dagli Stati Uniti, esortando anche i suoi più cari amici a farle compagnia
e parlare con lei. Si legge, in una sua lettera del
1934: «Voglio lavorare per me, per sistemare la
mia mammina e per godere del lavoro di trent’anni con quattro vecchi amici». L’immagine materna rappresentava, nell’Argentina degli anni ’20
e ’30, la concretizzazione del concetto di amore
puro e assoluto: la madre, infatti, era la custode di
un amore che non avrebbe mai subito tradimenti
o abbandoni, fedele al fianco del suo amato, per
sempre. «Pagando antiguas locuras y ahogando
mi triste queja / Volvi a buscar en la vieja aquellas hondas ternuras / Que abandonadas deje, y al
verme nada me dijo / Por mis torpezas pasadas...
palabras dulcificadas / De amor por el hijo, tan
solo escuche». (Pagando antiche follie e soffocando il mio triste lamento / sono tornato a cercare
in mia madre quelle tenerezze profonde / che avevo abbandonato, e quando mi ha visto non mi ha
detto nulla / dei miei errori passati / dolci parole
/ di amore per il figlio / solo questo ho sentito).
Madre terra Italia, 2008. Autori: Marielli,
Kaballà. Interpreti: Tazenda & Francesco Renga
 Dopo il duetto con Eros Ramazzotti,
quello con Francesco Renga, sempre alla ricerca
del canto perduto di una terra. Alla smorzata
melodica delle strofe, si aggiunge qui un ritornello quasi interamente in italiano, mentre tutto
il resto, comprese le parti interpretate da Renga,
sono in dialetto sardo: «Madre terra, mama istella / vittima antica / di ogni guerra / bella mama
addolorada / rispondi al grido / della follia». Si
trova nell’omonimo album, il secondo pubblicato dai Tazenda con la Radio Rama, l’etichetta di
Ramazzotti, che mise a disposizione della band
anche alcuni tra i propri collaboratori: il testo,
infatti, è di Kaballà.
Mãe preta (poi «Barco negro») BrasilePortogallo 1954. Autori: Piratini, Caco Velho
(Mourão Ferreira). Interpreti: vari  Il
brano Mãe Preta sancì l’inizio della carriera internazionale di Amália Rodrigues. Accadde che
nel 1954 una troupe francese si recò in Portogal-
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lo per girare il film Gli amanti del Tago, e avendo
bisogno di una cantante che interpretasse un
«fado», si mise ad ascoltare le incisioni delle artiste più considerate dell’epoca. La scelta fu subito
chiara: la Rodrigues incarnava perfettamente il
modello di fadista di cui il film aveva bisogno.
Dalla Francia la voce di Amália risuonò successivamente in tutto il mondo, e nonostante il film
non fosse un grande successo c’era chi affermava
di andarlo a vedere solo per l’interpretazione di
Barco Negro. Questo titolo venne dato al brano
Mãe Preta dopo l’apposizione di un nuovo testo
da parte di David Mourão Ferreira, sulle note
del brano originale, e divenne più conosciuto e
famoso del primo. L’uscita del film fece sì che
Barco Negro fosse cantato in tutta la Francia, e
che Amália fosse presto invitata all’Olympia. A
scrivere il pezzo originario furono due compositori brasiliani, Piratini e Caco Velho, e la sua prima interpretazione si dovette a Maria da Conceição. Secondo la stessa Amália, Barco Negro fu
un brano sempre molto difficile da cantare, sia
per le escursioni melodiche che per l’interpretazione del grido «São loucas São loucas» (Sono
pazze, sono pazze), da cui è caratterizzato: l’urlo
della donna, protagonista del pezzo, inveisce
contro le malelingue del paese, che affermano
l’impossibilità di rivedere il suo amato, partito
per sempre.
Il maestro Italia, 1990. Autore: Conte. Interprete: Paolo Conte  Il maestro è una
canzone che Paolo Conte ha scelto di inserire in
Parole d’amore scritte a macchina, suo album del
1990 che arrivò fino al nono posto della classifica
e fu in generale il numero trentasette più venduto
dell’anno. Un pezzo di grande profondità, dove il
maestro è un direttore d’orchestra che deve fare i
conti tanto col proprio estro, tanto con la necessità di dare un indirizzo rigoroso ai musicisti che
sta dirigendo «con la perfidia che scudiscia ogni
viltà» (ma il discorso è anche molto metaforico di
quanto l’arte debba al controllo rispetto al libero
genio). Classico di Conte, anche se scarsamente
riproposto in live o raccolte.
Maestro della voce Italia, 1980. Autori:
Di Cioccio, Mussida, Premoli, Djivas, Fabbri.
Interpreti: Premiata Forneria Marconi 
Dedicata a Demetrio Stratos, che era scomparso
meno di un anno prima suscitando grande commozione nel mondo musicale italiano. La PFM
lo ricorda con una canzone destinata a far parte
della produzione più alta del gruppo e in cui lo
Il Salvatori 2015
scenario di periferia fa da contraccolpo rispetto
alla solitudine della voce narrante «di giorno e di
notte io / per campare / parlo di stelle, di donne, di canzoni da imparare / in giro per Milano /
sotto un cielo sempre nero / occhi chiari e un’espressione per guardare». La tessitura musicale è
una delle pagine nobili del rock nostrano, con
l’intro di basso a fare da indimenticabile apripista.
Dall’album Suonare suonare.
Il maestro di violino Italia, 1976. Autori:
Modugno, Caruso, Baudo. Interprete: Domenico Modugno  Intuiti i non trascurabili
vantaggi che poteva comportare inoltrarsi lungo
un sentiero strappalacrime, Domenico Modugno doppiò con Il maestro di violino l’operazione
compiuta un anno prima con Piange... il telefono. Per protagonisti scelse, appunto, un insegnante di musica e la giovane allieva del quale
l’uomo s’innamorava - ricambiato - nonostante
«trent’anni di più». «L’amore più grande del
mondo / nato troppo tardi ormai / per un uomo
come me / innamorato di te». Musica di Pippo
Caruso (e, senza che nessuno l’abbia saputo per
anni, di Pippo Baudo) e testo di Domenico Modugno, non replicò lo strepitoso successo della
canzone precedente, ma arrivò comunque al terzo posto della classifica, offrendo il destro per un
film omonimo (col regia di Giovanni Fago), nel
quale Domenico Modugno vestiva i panni del
personaggio principale e Rena Niehaus in quelli
della ragazza.
Mafia Italia, 1961. Autori: Modugno, Pazzaglia.
Interprete: Domenico Modugno  Titolo
lapidario per una canzone scritta da Domenico
Modugno appositamente per il cinema, visto che
faceva da tema guida a Onorata società, girato da
Riccardo Pazzaglia (che compone anche il testo
del brano). Modugno partecipò alla pellicola anche come interprete, calandosi nelle vesti di uno
spietato capoclan, per di più zoppo. Cesellare la
finzione non gli fu difficile: in quel periodo il
«cantattore» era stava effettivamente curando i
postumi di una frattura a un ginocchio.
Magari Italia, 2003. Autori: Renatozero, Wesley. Interprete: Renato Zero  Interminabile
panegirico (dura quasi sei minuti) accompagnato
esclusivamente da un filo di elettronica, Magari
ha ottenuto una grande attenzione da parte del
pubblico per quella capacità tutta peculiare di
Renato Zero di incrociare amore e inquietudini
esistenziali fino al patetismo: «Non mi spaventa
niente / tranne competere con l’amore / ma que-
sta volta dovrà riuscirci / guardarti in faccia senza
arrossire / magari / Se tu mi conoscessi / certo
che non mi negheresti / due ali / che ho un gran
disordine nell mente / e solo tu mi potrai guarire
/ rimani!». Presentata nel corso del programma
Torno sabato condotto da Giorgio Panariello (a
sua volta grande imitatore di Zero), fa parte del
fortunatissimo album Cattura, che toccò il primo
posto in classifica e fu il sesto più venduto dell’anno. Le altre canzoni significative sono Come mi
vorresti e A braccia aperte.
Maggese Italia, 2005. Autore: Cremonini. Interprete: Cesare Cremonini  Il maggese è
il periodo di tempo che bisogna far «riposare» al
campo prima di seminarlo di nuovo. Dal linguaggio dell’agricoltura il termine si trasferì nella canzone italiana nel 2005, quando Cesare Cremonini
ne fece il titolo del suo secondo album da solista e
insieme di uno dei suoi pezzi più rappresentativi
(ma già un «maggese» era comparso timidamente
nel 1996 in Vorrei di Francesco Guccini). Eppure
non c’era solo la novità della parola o l’indubbia
attrazione del suo suono: «Cos’avrò se la notte mi
dà nostalgia?» si chiedeva lamentoso Cremonini
«se non ho fantasia / non posso scegliere!», e infine concludeva, calcando la mano sulla metafora:
«Ogni volta, ogni maggese che ritorna / a dar vita
a un seme / sarà vita nuova anche per me». Il terreno è brit pop, la spinta è vivace, come sempre in
Cremonini quando l’amor perduto vela insieme
speranza e ironia.
M’aggia cura’ Italia, 1940. Autori: Pisano,
Cioffi. Interprete: Nino Taranto  La coppia Cioffi-Pisano la scrisse quando le ombre della
guerra incombevano ormai anche in Italia, Nino
Taranto la lanciò, segnando col proprio successo
la voglia del paese di lasciarsi andare a qualche
sorriso prima della catastrofe. Tema: il mal di testa procurato dai guai in amore. Un classico di
genere, interpretato anche da Peppe Barra e da
Ginevra Di Marco.
Maggie Italia, 2001. Autori: Zuppini, Moschetto, Di Franco. Interprete: Moses 
Avere tra le mani una voce atipica e straordinaria
come quella di Sergio Moschetto, in arte Moses, e
proporla al Festival di Sanremo con una canzone
melodica e ad alto tasso di zucchero può sembrare a molti uno spreco: eppure questa Maggie
un suo quarto d’ora di gloria piuttosto meritato
finì per averlo e in ogni caso riuscì comunque a
mettere in evidenza il suo interprete aprendogli
una strada che qualche anno dopo ne farà per di-
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Il Salvatori 2015
verso tempo la voce fissa di Domenica In. Maggie
è la ragazza a cui basta un solo passo per cedere
all’amore: «oh Maggie non vedi / come esplode
dentro me».
Maggio senza rose Italia, 1956. Autori: De
Crescenzo, Rendine. Interpreti: Giacomo Rondinella, Nunzio Gallo  «Maggio senza
rose... / core senza ammore... / Quante e quanta
cosa / io te vulesse dì / Core senza core / vocca
senza vocca...». Il binomio maggio-rose è uno dei
più battuti dalla tradizione, ma questa canzone scritta da Vincenzo De Crescenzo, già autore di
Luna rossa - lo rivisita con una certa eleganza. Al
Festival di Napoli del 1956 viene eliminata alla
prima serata, ma riesce comunque a scavarsi un
piccolo posto nel repertorio partenopeo dell’epoca. La ricanta anche Franco Ricci.
Maggie May Gran Bretagna, 1971. Autori:
Stewart, Quittenton. Interprete: Rod Stewart
 Un brano essenzialmente rustico ma in
qualche modo stravagante, con Stewart che sembra soffrire con la sua voce strangolata, quasi un
soffio, mentre narra il passaggio alla maggiore età
di un ragazzo che si innamora di una donna più
grande ma che alla fine viene respinto. Rod Stewart scrisse il brano insieme al chitarrista Martin
Quittenton, autore dell’introduzione con la chitarra dodici corde. Sei minuti di durata, la trovata
della celesta che accompagna gli ultimi versi, ma
sopra ad ogni altra considerazione la stridente ma
espressiva voce di Stewart.
Maggio Italia, 1934. Autori: Bixio, Cherubini. Interprete: Memè Bianchi  Primo
successo della Bianchi, favorito dall’incoraggiamento della famosa coppia di autori. Voce
vellutata e lunga attività radiofonica, anche se
la cantante, grazie alla sua avvenenza, lavorò
come soubrette nelle riviste della compagnia
Schwarz.
Maggio si’ tu Italia, 1913. Autore: E.A. Mario. Inteprete: Elvira Donnarumma  Maggio: mese per eccellenza di amori e di struggenti
ricordi. Una delle prime canzoni a celebrarlo fu
l’appassionata Maggio si’ tu, dal repertorio napoletano classico di inizio anni Dieci del Novecento: «Hann’a canta’ ca pure ammore passa e nun
more! / e chi ha vuluto bbene / se sente dint’ e
vene / cchiu ardente ’a giuventù / maggio si’ tu».
Lanciata da Elvira Donnarumma, venne tramandata a tempi più recenti dalle interpretazioni di
Sergio Bruni, Roberto Murolo, Tullio Pane, Mirna Doris e Angela Luce.
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Maghetta Sally Italia, 1981. Autore: Tommaso. Interpreti: Nadia Biondini con I Piccoli
Cantori Di Milano  Non tutti i cartoni animati
possono vantare una sigla di coda distinta dalla sigla di coda, non almeno in tempi recenti, quando
molto minore al passato è la cura della confezione
di questo genere di prodotti. Diversamente fu
all’inizio degli anni Ottanta, come prova il cartone Sally la maga, di cui appunto questo brano è la
sigla di chiusura. Una canzoncina divertente, con
la musica e il testo si sposano per rivestire la storia
di colore. Canta Nadia Biondini insieme al coro
dei Piccoli Cantori di Milano.
Magic moments USA, 1958. Autori: David,
Bacharach. Interprete: Perry Como  Primo hit internazionale di Burt Bacharach, affidato alla suadente voce di Perry Como. In Italia il
brano divenne immediatamente popolare grazie
al fatto di esser sigla del Perry Como Show, che
da noi andò in onda addirittura doppiato. Testo
italiano di Nisa e Calibri.
Magica magica Emi Italia, 1986. Autori:
Martelli, Valeri Manera. Interprete: Cristina
D’Avena  «Lo strano braccialetto / che indossa sempre May / è il dono di un folletto / che
è sempre accanto a lei». Esordio delizioso di una
sigla che distingue strofe di atmosfera molto favolistica a un ritornello più incalzante e deciso.
C’è anche un bridge che per alcuni secondi spezza
l’inciso, sospendendo l’atmosfera come in attesa
che la protagonista compia una delle sue magie.
Il cartone omonimo andò in onda per la prima
volta durante l’estate del 1986. Contemporaneamente ne fu pubblicato il 45 giri, che sul lato
B aveva la sigla di un altro cartone, Holly e Benji,
due fuoriclasse, che nel tempo sarebbe diventato
molto più popolare. Entrambi i temi erano stati
scritti da Giordano Bruno Martelli col testo della
Valeri Manera. Compare anche nella compilation
Fivelandia 4.
Magnolia Italia, 2003. Autori: Bruni, Salvi,
Petricich, Li Causi, Barbacci. Interpreti: Negrita
 «Pioggia io sarò / per toglierti la sete / e
sole salirò / per asciugarti bene / vento arriverò /
per poterti accarezzare / ma se vuoi / se tu vuoi /
tra fango e neve, fango e neve impazzirò». I Negrita avevano provato il colpaccio al Festival di
Sanremo del 2003, ma la faccenda si era risolta
quasi in flop. La situazione si risollevò tuttavia
in estate, quando il gruppo tirò fuori dall’album
Ehi! Negrita questa accattivante Magnolia, a cui
ben poche radio seppero resistere. Fu un gran
Il Salvatori 2015
successo, anche se poco indicativo della linea rock
del gruppo, qui ammorbita in chiave melodicosudamericana. Intanto però le vendite crebbero,
portando la band al traguardo del primo Disco
d’Oro.
Il mago della pioggia Italia, 1993. Autori:
Vecchioni, Paoluzzi. Interprete: Roberto Vecchioni  Una delle più intense canzoni di
Roberto Vecchioni, nonché una delle più amate
dal suo personale «zoccolo duro» di fan, tant’è
che non si capisce (al di là - forse - del contesto privato) per quale motivazione il suo autore
non ne abbia fatto un singolo. Contraddistinta
da un bel contrasto ritmico, melodico e timbrico
tra strofe e refrain, trova tuttavia la sua ragione di
forza nel testo, ispirato - appunto - dalla moglie
Daria, allora in attesa dell’ultimogenito Edoardo:
«io lo farò per te / perché ho soltanto te / quando
qualcuno se ne andrà / se un tuo figlio soffrirà /
dove quell’ombra tornerà / ... / guarda / batterò le
mani e finirà il dolore / dove tu piangevi inventerò un amore». Fa parte dell’album Blumùn, fino
al quarto posto in classifica.
Il mago Pancione etccì Italia, 1983. Autori: Macchiarella, Carraresi. Interpreti: Andrea e
Sabina  Una sigla un po’ dimenticata, anche
se il personaggio protagonista di questo cartone
è ancora abbastanza popolare tra gli ex-bambini
degli anni Ottanta (la serie è stata scarsamente
riproposta in seguito). La canzone in ogni caso fa
parte del filone dei pezzi allegri e divertenti, dove
anche il caratteristico starnuto del mago Pancione
diventa un elemento chiave per farne risaltare la
vivacità. I due interpreti, Andrea e Sabina, sono
due bambini.
Il magone Italia, 1964. Autori: Icardi, Guarnieri. Interprete: Mimì Berté  La giovane
appena sedicenne arrivata dalla Calabria insieme
alla madre e alla sorella minore si chiamava Mimì
Berté: Carlo Alberto Rossi credette in lei e l’aiutò
a incidere i suoi primi 45 giri, il terzo dei quali
aveva sul lato A Il magone «il magone non è un
grosso mago... ma / il magone è quel nodo che
ho qui / quando non ci sei». Primissimo successo
della cantante che dopo qualche anno avrebbe
assunto lo pseudonimo di Mia Martini.
Mai come ieri Italia, 1998. Autore: Venuti.
Interpreti: Mario Venuti e Carmen Consoli 
È stata la prima canzone importante della carriera
solista di Mario Venuti, anche per merito di Carmen Consoli che lo affiancò nell’interpretazione.
Il resto però lo fa tutto l’ex Denovo, che è l’autore
- testo e musica - di questa canzone molto legata
al pop, ma anche contraddistinta da una precisa per quanto inquieta vena d’autore («non può
essere mai come ieri / mai più la stessa storia»,
riflettono i due protagonisti descrivendo la loro
storia). Diviene uno dei maggiori successi radiofonici del 1998, ma l’omonimo disco non riesce
a sfondare.
Mai come voi Italia, 1994. Autori: Toffolo,
Molteni, Masseroni. Interpreti: Tre Allegri Ragazzi Morti  «Non saremo mai come voi /
Non saremo mai come voi, siamo diversi / Puoi
chiamarci se vuoi / Puoi chiamarci se vuoi ragazzi
persi»: è il brano manifesto dei Tre Allegri Ragazzi Morti, chiaro avvertimento anche sulle intenzioni della band di rendere nascosta la propria
immagine attraverso il gioco delle maschere che
ha finito per renderli famosi. Si tratta anche del
primissimo pezzo del gruppo, pubblicato all’interno dell’EP d’esordio Mondo naif. A lanciarla
definitivamente però l’album Mostri e normali,
che arriva cinque anni dopo.
Mai dire mai Italia, 1960. Autori: Salvi, Testoni. Interprete: Peppino di Capri  Brano
che risente sicuramente dell’atmosfera del night
di quegli anni ma che improvvisamente diventa
un tema swing (poteva essere altrimenti avendo
come autore Giancarlo Testoni, allora direttore
del mensile Musica Jazz?), forse non il genere più
indicato per il cantante.
Mai per amore Italia, 2011. Autori: Nannini, Santacroce. Interprete: Gianna Nannini 
Dedicata al tema sempre delicato della violenza
sulle donne, in particolare la violenza familiare, a
cui sono dedicate le quattro parti del progetto cinematografico a cui il pezzo farà da sigla. Gianna
Nannini la scrive assieme a Isabella Santacroce,
affiancando la consueta formula melo-rock archi
e chitarre a un testo pregevolmente implicito:
«quasi mai / ho goduto tra le braccia dell’inferno
che mi dai / quasi mai / quasi mai / il tuo silenzio
uccide un cuore andato in cenere». Dall’edizione
deluxe dell’album Io e te.
Mai più come te Italia, 2003. Autore: Baglioni. Interprete: Claudio Baglioni  «La stagione delle piogge arriva qua / alla stazione della
mia malinconia / e scende il tiepido acquazzone
di una lacrima / sull’ultima tua voce che ho in
segreteria». Un Claudio Baglioni un po’ a metà
tra l’appeal immediato dei suoi primi anni e l’intimismo sofisticato imparato a coltivare nel tempo grazie a un lavoro di perfezionamento sempre
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Il Salvatori 2015
più esigente. Solo il refrain ne muta un po’ gli
equilibri, consegnandola a quel pubblico da mega-concerto alla ricerca di una cantabilità fluida e
corale. È uno dei singoli estratti dall’album Sono
io l’uomo della storia accanto e anche una delle
canzoni più famose dei dischi recenti di Baglioni.
Mai più noi due Italia, 2005. Autore: Trane. Interprete: Dolcenera  Al di là dell’intrinseco
valore di questa struggente ballata rock, è indubbio
che il contesto del lancio di Mai più noi due abbia
non poco fatto da veicolo (almeno emotivo) alla
sua affermazione: Dolcenera lo interpretò infatti
per la prima volta dagli studi del reality show Music
Farm all’indomani del distacco da Francesco Baccini, eliminato dalla competizione per una bestemmia in diretta. Il frangente alimentò nel pubblico
l’impressione che il brano fosse stato scritto a due
mani o che comunque avesse un valore dedicatario
nei confronti del cantautore genovese, che invece
Dolcenera aveva respinto dopo un vago flirt. Il
testo, in effetti, era ambiguo al punto giusto, riflettendo tutti i canoni della canzone d’addio: «Io
non lo so se è meglio amarti invano o non amarti
per niente / io non lo so se non smetterai mai di
mancarmi». La cantante finì col vincere la gara,
rilanciando così la propria carriera dopo la battuta d’arresto conseguente l’esclusione dal Sanremo
2004, che invece le spettava di diritto. Il pezzo fu
pubblicato in due versioni (di cui una acustica)
nell’album Un mondo perfetto, che ebbe un discreto riscontro commerciale.
Mai più sola Italia, 1996. Autore: Mattone.
Interpreti: Neri Per Caso  Ammessi d’ufficio alla categoria Big dopo aver vinto l’anno
prima la sezione Giovani, al Festival di Sanremo
del 1996 i Neri per Caso cambiarono astutamente registro, rinunciando all’interpretazione
a cappella per l’accompagnamento orchestrale su
una chiave soul. La loro eccellenza tecnica non ne
fu minimamente scossa, tantomeno l’atmosfera
gentile che avevano portato dodici mesi prima
sullo stesso palco: era chiaro però che la mossa era
stata studiata per fare in qualche modo un passo
avanti rispetto all’anno precedente, o comunque
per mostrarsi capaci di muoversi anche in altre direzioni. Si classificarono quinti, ma fu soprattutto
nelle vendite che il simpatico sestetto napoletano
fece un sensibile passo indietro (il loro album
Strumenti fu infatti solo il sessantanovesimo più
venduto dell’anno, mentre Le ragazze era stato il
quarto del ’95). Il testo: «ma se stasera ti senti sola
/ e ti inseguono i tuoi pensieri / chiudi la porta /
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cacciali fuori / è la notte dei desideri / dove sei /
io non posso aspettarti più / voglio amarti come
vuoi tu / stasera / e non sarai più sola mai».
Maida Vale Italia, 1975. Autori: Bartolini,
Dearca. Interpreti: Stradaperta  La canzone
più famosa del gruppo degli Stradaperta, fino alla
metà degli anni Ottanta band di accompagnamento di Antonello Venditti durante i concerti.
Il titolo fa riferimento al quartiere di Londra
dove è ambientata la vicenda, un vecchio e un
ragazzo che si incontrano nei pressi della stazione
della metro. La troviamo già nel ’75 nell’album
live collettivo Domenica musica, ma quattro anni
dopo dà il titolo al loro primo LP.
Main dans la main Francia 1980. Autori:
Quilliard, Medeiros. Interprete: Elli et Jacno
 Breve ma intensa la carriera in duo di Elli
et Jacno, duo electropop francese di inizio anni
‘80, che ha sfornato quattro album in altrettanti anni, ma il cui successo è soprattutto relativo
ai primi due singoli, di cui questo è il primo,
quello d’esordio. Successivamente il sodalizio,
nato da una precedente comune esperienza in
un gruppo punk (gli Stinky Toys) si scioglie.
Elli Medeiros, nata in Uruguay e trapiantata in
Francia all’età di dieci anni, intraprende una
buona carriera solista e, parallelamente, quella
da attrice (ancora di maggior successo), mentre
Denis Jacno Quilliard oltre all’attività di cantautore affianca quelle di produttore e autore
per altri artisti.
Malasierra Italia, 1953. Autore: Redi. Interprete: Nilla Pizzi  Brano inserito nel
film di Duilio Coletti I sette dell’Orsa Maggiore,
con Eleonora Rossi Drago, Tino Carraro e Paolo Panelli. Nella versione cinematografica l’interpretazione è di Lina Lancia, ma a portarla
al successo fu Nilla Pizzi con la sua magistrale
esecuzione.
Un malato di cuore Italia, 1971. Autori: De
André, Piovani, Bentivoglio. Interprete: Fabrizio De André  Per De André l’unico
personaggio «positivo» di Non al denaro, non
all’amore, né al cielo, visto che, come sottolinea
anche nelle note di copertina, riesce a sconfiggere l’invidia con l’amore. Muore mentre dà
il suo primo bacio, però è una morte che al
tempo stesso è un riscatto, visto che gli consente, grazie a quel gesto, di lasciarsi alle spalle
una vita di limitazioni e privazioni. Scritta con
Giuseppe Bentivoglio e Nicola Piovani, come
tutte le altre del disco.
Il Salvatori 2015
Malepensiero Italia, 1957. Autori: Russo,
Acampora. Interprete: Tullio Pane  Sette
anni dopo aver vinto una borsa di studio indetta dalla Scala e due dopo aver vinto il Festival di Sanremo con Buongiorno tristezza (in
coppia con Claudio Villa), il cantante napoletano interpreta con stile questa beguine poco
conosciuta.
Making your mind up Gran Bretagna,
1981. Autori: Hill, Danter. Interpreti: Bucks Fizz
 La canzone, un tempo dei primi anni ’80
con ancora molte influenze del decennio precedente, segna oltreché la vittoria britannica all’Eurovision Song Contest, un preciso spartiacque
nella storia del concorso. Il progetto segna l’esordio del progetto Bucks Fizz: due ragazze e due
ragazzi messi insieme appena due mesi prima, più
per il loro aspetto fisico che per le loro vocali, cui
viene dato il nome di un popolare cocktail. Accompagnano l’esibizione con un balletto di poche
semplici mosse e un pudico «strip» dei ragazzi alle
ragazze: sfilano loro le gonne lunghe, rivelandone
sotto altre molto più corte. Vincono la selezione britannica a sorpresa, battendo i leader delle
chart del momento e poi per soli 4 punti portano
a Londra il trofeo: da questo momento in poi le
coreografie e i balletti, oltre al look assumeranno
un ruolo sempre più importante nella storia del
concorso. Il brano riscuote grande successo guadagnando la vetta in otto paesi, la top 5 in altri 5 e
la top 10 in altri due. La loro carriera discografica
proseguirà per un decennio, con riscontri sempre
minori. A livello live, pur con alcuni cambi di
formazione, sono tuttora attivissimi. Dal 2004 al
2007, in loro onore, la BBC intitolerà la selezione
per l’Eurovision proprio come questo brano.
Mal d’Africa Italia, 1983. Autore: Battiato. Interprete: Franco Battiato  «Dopo pranzo
si andava a riposare / cullati dalle zanzariere e dai
rumori di cucina / ... / sentivo parlare piano per
non disturbare / ed era come un mal d’Africa, un
mal d’Africa». I ricordi d’infanzia di Franco Battiato, filtrati secondo un gusto per l’esotismo che
nel contesto diventa efficace metafora dai risvolti emotivi. Molto affascinante (anche laddove il
cantautore accosta italiano e inglese). La troviamo
in Orizzonti perduti del 1983 e un paio d’anni
dopo, incisa da Alice, in Gioielli rubati.
Mala dama Repubblica Ceca, 2007. Autore:
Kabat. Interprete: Kabat  La prima partecipazione della Repubblica Ceca all’Eurovision
Song Contest è marchiata dalla presenza di una
band molto popolare nel proscenio rock nazionale, i Kabat. La scommessa è fare innamorare il
pubblico di una ballata rock cantata in ceco, per
la prima volta presente sul palco europeo. Missione fallita. Appena un punto in semifinale.
La maladie d’amour Francia, 1973. Autori:
Sardou, Dessca, Revaux. Interprete: Michel Sardou  Su armonie che ricordano il canone
di Pachlebel, esce una delle canzoni più importanti del decennio francese, una delicata struggente chanson d’amore che mette in risalto anche
le doti interpretative di Sardou, personaggio di
spicco del settore. È la canzone che dà anche il titolo all’album ed è anche il suo maggior successo
in ambito radiofonico, in una carriera ultraquarantennale che prosegue ancora.
Malafemmena Italia, 1951. Autore: De Curtis. Interpreti: Totò, Mario Abbate 
Musica e testo del principe Antonio De Curtis,
per tutti il celeberrimo Totò, che la scrisse per
mettere nero su bianco uno sfogo amoroso, senza
probabilmente pensare che avrebbe fatto il giro
del mondo. Innumerevoli sono le versioni di questa canzone immortale, che appunto per questo
non cessa di annoverare seguaci che, anno dopo
anno, decennio dopo decennio, continuano a
reinterpretarla o a utilizzarla come punto di riferimento (un disco di Gianna Nannini, neanche
a dirlo, si chiama proprio Malafemmena, e non
è neanche un disco di canzoni napoletane). E
pensare che Totò non volle mai inciderla e anche
per il lancio la affidò in appalto, per limitarsi a
cantarla solamente in qualche sporadica occasione. L’incaricato al battesimo, Mario Abbate, la
fece debuttare durante il Festival di Piedigrotta,
al teatro Augusteo di Napoli e subito la canzone
ebbe un successo straordinario che si moltiplicò
nella gran selva delle versioni, dall’immancabile
Claudio Villa, a Teddy Reno, Renato Carosone,
Roberto Murolo, Fred Bongusto, Luciano Tajoli, Fausto Cigliano, Nunzio Gallo, Lina Sastri, e
per l’estero Connie Francis. Più azzardate furono
le versioni che qualche anno dopo vennero da
Fausto Leali (che la riportò anche in classifica) e
dai Cugini di Campagna, su esplicita richiesta di
Liliana De Curtis, figlia di Totò. Renzo Arbore
la incise assieme all’Orchestra Italiana nel primo
e più fortunato dei loro dischi (Napoli punto e
a capo), mentre Massimo Ranieri la consegnò
a Nun è acqua, uscito nel 2003. Ha fatto parte
anche dei repertori di Franco Simone e Franco
Califano. All’epoca della sua apparizione Totò era
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Il Salvatori 2015
un personaggio molto popolare: il che non poteva impedire che si alimentassero fin da subito
leggende su chi fosse la dedicataria di questa lenta
e malinconica recriminazione disegnata su un filo
di chitarra «Femmena, / Si tu peggio ’e na vipera, / m’e ’ntussecata l’anema, / nun pozzo cchiù
campà». Si pensò a Silvana Pampanini, con cui
Totò si era trovato a lavorare, quando in realtà il
suo obiettivo (forse) non era che la moglie, Diana Rogliani, che aveva deciso di mollarlo dopo
vent’anni di matrimonio. Stessero più o meno
così le cose, di «romanzi» ne nacquero comunque
a posteriori e tutti destinati alla celluloide: Totò,
Peppino e la malafemmina (1956) di Camillo Mastrocinque e Malafemmena (1957) di Armando
Fizzarotti.
Malaga Italia, 1963. Autori: Mancini, Bongusto. Interprete: Fred Bongusto  «Il mio
amore è nato a Malaga, Malaga, Malaga / il mio
cuore resta a Malaga, Malaga / In quella notte di
grande fiesta io t’ho donato il mio cuor / tutto
l’amor». Più arioso e meno sussurrato del solito,
Fred Bongusto rafforzò con questa canzone il senso di fascino che una certa iconografia aveva nutrito (e avrebbe continuato a farlo non ancora per
molto) nei confronti della Spagna, terra «caliente» per eccellenza e dunque terra di grandi amori.
Intrepretazione tra il compiaciuto e il nostalgico, accompagnamento in cui il tono sostenuto
dell’orchestra si alterna alle sonorità più limpide
e argentine dei flauti e dei legni (non mancano,
naturalmente, le nacchere). Arrivò al repertorio
di Bongusto subito dopo Amore fermati, ma non
seppe replicarne il successo commerciale.
La malagueña Messico, 1947. Autori:
Ramírez, Galindo. Interprete: Miguel Aceves
Mejía  Secondo alcuni attribuita a
Nicandro Castillo, La Malagueña è un brano
Huasteco o Huapango conosciuto anche coi titoli Malagueña e La Malagueña Salerosa. Narra
la storia di un uomo respinto da una passionale
donna spagnola (di Malaga, per la precisione, da
cui il nome della canzone) a causa della propria
indigenza. I mariachi che si cimentano col brano
gareggiano nel sostenere più a lungo possibile la
«e» contenuta nel titolo. Esiste un brano omonimo, Malagueña, sesto movimento della Suite
Andalucia di Ernesto Lecuona. Nel 2003 il regista Robert Rodriguez apre il suo film C’era una
volta in Messico con Antonio Banderas che esegue
il brano alla chitarra e l’anno seguente arrangia ed
esegue con la sua band Chingon una travolgente
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versione di Malagena che il suo amico Quentin
Tarantino inserisce nella colonna sonora di Kill
Bill vol. II.
Malam Biru Indonesia, 2009. Autore: Sondoro. Interprete: Sandhy Sondoro  Pop dal
sound internazionale scritto e composto da Sandhy Sondoro, cantautore emergente indonesiano
col quale l’artista si segnala come il primo del suo
paese ad imporsi nel New Wave contest, festival
internazionale che si svolge ogni anno nella città
di Jurmala in Lettonia, facendogli guadagnare
notorietà nazionale.
Malamore Italia, 1977. Autori: Carella, Panella. Interprete: Enzo Carella  Secondo 45
giri di Enzo Carella, nonché suo primo successo
radiofonico, anche per merito di un testo che fin
dal suo titolo rivela una certa simpatia per il calembour. E non potrebbe essere altrimenti, visto
che l’autore è Pasquale Panella, che all’epoca forse
mai avrebbe potuto immaginare di diventare il
successore di Mogol nella storia battistiana, ma
che già stava incosciamente coltivando le credenziali per l’impresa. Frattanto porta questa e altre
canzoni a Vocazione, primo disco del cantante
romano.
Malamoreno’ Italia, 2010. Autore: Anastasi.
Interprete: Arisa  Promossa nella sezione
Campioni dopo aver vinto quella delle Proposte
l’anno precedente, Arisa rilanciò la sua personale formula con Malamoreno’, canzoncina in stile
anni Quaranta che, oltre a rifarsi all’omonimo
successo retrò, inneggiava, per l’appunto, alla solidità dei sentimenti contro il naturale passaggio
delle cose e degli eventi. L’operazione era molto
ben calibrata, almeno quanto lo era stata l’anno
prima quella di Sincerità: ciononostante, o forse
proprio per questo, il pubblico si fece trovare
molto più addestrato rispetto all’anno prima e
riservò solo una tiepida accoglienza a una canzone che di nuovo e di diverso aveva in verità ben
poco. Il pezzo si classificò comunque per la finale
e ottenne anche un discreto successo di pubblico,
arrivando fino al quinto posto della classifica e risultando a fine 2010 il ventiduesimo singolo più
venduto. Sul palco Arisa fu accompagnata dal trio
en travesti delle Sorelle Marinetti, mentre in occasione della serata dei duetti ospitò al suo fianco
la Lino Patruno Jazz Band.
Malarazza Italia, 1976. Autori: Modugno,
Loffredo. Interprete: Domenico Modugno
 È la rielaborazione di Lamento di un
popolano al Cristo Crocifisso di Lionardo Vigo,
Il Salvatori 2015
studioso di tradizioni siciliane vissuto a fine Settecento. Domenico Modugno lo incontra idealmente in quella fase della sua carriera in cui il ritrovato successo andava di pari passo a operazioni
ineccepibili sul piano artistico. Questa, almeno,
ha una nobiltà tutta diversa che affonda le radici nell’amore impetuoso di Modugno per la sua
terra. Dedicata ai cittadini di Bronte, colpiti da
secolari vessazioni. La ricantano nel tempo Roy
Paci e Aretuska, Teresa De Sio, Carmen Consoli
e Peppe Voltarelli.
Malatia Italia, 1954. Autore: Romeo. Interpreti: Armando Romeo, Peppino di Capri 
Sebbene lanciata dal suo stesso autore Armando
Romeo, è indubbio che la popolarità di Malatia
si debba a Peppino di Capri, che recuperò il brano nel 1959, portandolo fino al ventesimo posto
della classifica (ma con una permanenza tale da
farne uno dei maggiori successi di quell’anno e
di quello successivo). La malatia, naturalmente è
la malattia d’amore «ca me passa sulo ’n braccio
a te». Di Capri ebbe l’intuizione di associarvi un
inciso in inglese e di velocizzarne leggermente il
tempo, così da farne esplodere tutte le potenzialità già contenute nella versione - essa stessa da
night club - di Romeo. Malatia è anche il lato B
del 45 giri d’esordio di Mina.
Malattia d’amore Italia, 1970. Autori: Albertelli, Fabrizio. Interprete: Donatello  È il
brano più famoso di Donatello, al secolo Giuliano Illiani, che all’inizio degli anni Settanta visse
un periodo di buona popolarità, spinta anche
da numerose partecipazioni al Festival di Sanremo. Malattia d’amore gli valse la vittoria della
Gondola d’Argento alla Mostra Internazionale
di Musica Leggera di Venezia del 1971, oltre a
un buon successo di vendite, quantificato fino al
sesto posto della classifica. Romantica e melodica,
grazie ai coretti sullo sfondo il brano anticipava
una tendenza che dopo qualche anno sarebbe
stata portata alla ribalta da gruppi come i Cugini
di Campagna. Sloganistico il testo di Luigi Albertelli: «Prende solamente il cuore / questa malattia,
l’amore». La musica, invece, è di un giovanissimo
Maurizio Fabrizio. Hanno lo stesso titolo una
canzone e un album di Pupo del 1984.
Mala vida Francia, 1988. Autore: Manu
Chao. Interpreti: Mano Negra  Folgorante primo singolo della Mano Negra di
Manu Chao, un intreccio inestricabile di rock,
ska, ritmi zigani e etnici che prenderà il nome
di Patchanka (questo anche il titolo del pri-
mo album della band). Il successo del brano
condurrà il gruppo al contratto con la Virgin
Records e alla fama globale.
Maldon Francia, 1990. Autori: Houllier, Honoré. Interprete: Zouk Machine  Massime
esponenti del genere zouk, la musica che mescola il pop ai suoni caldi tipica delle popolazioni
creole, le Zouk Machine hanno avuto in questo
brano che dà anche il titolo all’album il maggior
successo. Sette settimane in vetta e oltre 700mila
copie vendute (disco di diamante) è ancora oggi
uno dei simboli di questo genere musicale non
solo in Francia ma anche nel mondo. Entrò in
classifica nella top 10 anche in Olanda.
Il male oscuro Italia, 1969. Autore: Luttazzi. Interprete: Lelio Luttazzi  Il titolo è lo
stesso del romanzo di Giuseppe Berto (1964)
dedicato alla depressione, parodiato fino alle
estreme conseguenze visto che il tema, qui, sono
le corna, appunto «il male oscuro / quello che fa
picchiar la testa contro il muro», e via seguitando con divertenti rime in -uro. Molto spassosa,
soprattutto se si pensa all’azzardo di dare una
chiave di lettura così leggera a un punto di partenza che proprio leggero non era. Esce su un 45
giri pubblicato dalla Vedette.
Male rzeczy Polonia, 2011. Autori: Piotrowski, Grzeczak. Interprete: Sylvia Grzeczak 
Lanciata da un talent show, la pianista e compositrice polacca è oggi una delle artiste emergenti
migliori del panorama nazionale. Questa power
ballad è il singolo di lancio del suo secondo album, che raggiunge la vetta e due dischi di
platino, portandola anche in cima alla classifica
dell’airplay nazionale.
Maledetta primavera Italia, 1981. Autori: Cassella, Savio. Interprete: Loretta Goggi
 Il massimo punto d’arrivo della carriera
di Loretta Goggi come cantante, sia perché fu
la terza canzone italiana più venduta dell’anno,
sia perché trasformò in un secondo posto la sua
prima e unica partecipazione (come interprete) al
Festival di Sanremo. La canzone, scritta da Toto
Savio e da Antonio Cassella era in ogni caso il
tipico brano melodico d’amore ideato su misura
per il cantante dalle buone capacità. Per il resto
già alla critica dell’epoca non sfuggirono alcune
ingenuità soprattutto del testo «che resta di un
sogno erotico», che complice l’interpretazione
un po’ enfatica della cantante, rischiavano di sortire un effetto quasi comico: almeno quanto lo
fu quello suscitato dalle critiche di un gruppo di
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Il Salvatori 2015
ecologisti, al quale non andava che la primavera
fosse definita «maledetta». Evidentemente non
la pensò così il milione di persone che acquistò
il 45 giri: nessun’altra canzone interpretata dalla
Goggi, tuttavia, sarebbe stata in seguito capace di
replicare questi numeri e questi consensi.
Maledettamericatiamo Italia, 1995. Autori: Fornili, Curreri, Roversi. Interpreti: Stadio
 Una delle sette canzoni del repertorio
degli Stadio firmate dal poeta bolognese Roberto
Roversi, già autore di Chiedi chi erano i Beatles
e, negli anni Settanta, di tutti i testi di tre album
di Lucio Dalla. Ad arricchire il brano, un intervento di Edoardo Bennato alla armonica e di Fio
Zanotti alla fisarmonica, che in questo modo
fissarono l’unica collaborazione con il poliedrico
gruppo bolognese. La suggestiva introduzione al
pianoforte, invece, è di Fabio Liberatori, che firmò così il proprio temporaneo ritorno nella band
dopo dieci anni. Di chiara ispirazione country, il
brano è un’aperta requisitoria nei confronti del
mito americano, accusato di essersi «venduto»
ai demoni del consumismo e del militarismo.
«Nelle tue case di vetro ai più topi che uomini»
è una chiara citazione del romanzo Uomini e topi
di John Steinbeck. La canzone fa parte dell’album
Di volpi, di vizi e virtù, pubblicato dagli Stadio
nell’aprile del 1995.
Maledette malelingue Italia, 1994. Autore:
Graziani. Interprete: Ivan Graziani  Settima classificata al Festival di Sanremo del 1994,
contribuì notevolmente a rilanciare Ivan Graziani, la cui carriera era in ribasso da quel tempo.
Il brano inquadra con sagacia la stupidità della
maldicenza: la storia è quella della piccola Federica, la cui amicizia con un uomo più grande di lei
viene interpretata in maniera maliziosa fino alle
estreme conseguenze: «Metti la paglia sul fuoco e
un incendio poi scoppierà / lui l’hanno cacciato,
allontanato in un’altra città / E si dice che a lei
suo padre le ha date di santa ragione / Adesso sta
chiusa in casa e per un bel pezzo non uscirà / ... /
Ma la gente non lo sa / Federica ha quindic’anni
/ anche se una donna è / così la gente vede il male
/ anche dove non ce n’è». Accompagnato da uno
spassoso rock’n’roll, il brano rappresentò l’ultima
canzone di una certa popolarità dell’indimenticato cantautore teramano, che sarebbe scomparso
solo tre anni dopo e allo stesso tempo aggiunse un
altro volto alla nutrita galleria di ritratti femminili
della sua produzione. Il successo radiofonico fu
notevole, senza però particolari riscontri sul pia-
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no commerciale: né il singolo, né l’album Maledette malelingue entrarono in classifica.
Maledetto ciao Italia, 2009. Autori: Nannini, Santacroce. Interprete: Gianna Nannini 
È il pezzo più «africano» dell’album Gianna Dream - Solo i sogni sono veri del 2009: viene scelto
per la promozione radiofonica del disco nell’estate, nonostante un appeal certo forte, ma meno
espressivo rispetto a quello di altre canzoni del
disco, che troveranno comunque modo di farsi
strada da sole. Il «maledetto ciao» è quello rivolto
a una persona che non c’è più: «nell’aria resterai /
voglia di vivere». Scritta con Isabella Santacroce.
Maledetto il giorno Italia, 2000. Autori: Cipressi, Restuccia. Interprete: Syria 
«Maledetto il giorno in cui ho incontrato i tuoi
occhi / maledetto il giorno in cui ho condiviso
con te / maledetto il giorno in cui ho creduto /
maledetto il giorno in cui ho sperato». Dall’album Come una goccia d’acqua, uno dei più fortunati di Syria, anche se i risultati commerciali
non furono poi gran cosa. In ogni caso questo
pezzo appare come singolo nell’estate del 2001
(anche nel corrispettivo Festivalbar), un anno
dopo, cioè, l’uscita della prima versione dell’album. La musica è di Marina Rei.
Malena Argentina, 1942. Autori: Manzi, De
Mare. Interpreti: vari  Sembra che Homero
Manzi ascoltò per caso la cantante Elena Torteloro cantare in un locale di Porto Alegre, nel 1941:
da qui, l’ispirazione fortissima che portò alla
composizione del celeberrimo tango, scritto con
la collaborazione di Lucio Demare nel 1942. Il
brano ebbe un successo formidabile, con la conseguente formulazione di numerose ipotesi circa
l’identità della protagonista ispiratrice. Secondo
molti, la vera Malena cantata nel tango era in realtà Nelly Omar: in quel locale brasiliano, Manzi
avrebbe quindi solo trovato lo spunto, lo stimolo,
per omaggiare la sua futura compagna di vita, con
la voce calda e inconfondibile. «Malena canta el
tango como ninguna / y en cada verso pone su
corazón / A yuyo del suburbio su voz perfuma /
Malena tiene pena de bandoneón» (Malena canta
il tango come nessuna / ed in ogni verso mette
il suo cuore / Di erbacce di periferia la sua voce
profuma / Malena ha pena del bandoneón).
Malevaje Argentina, 1929. Autori: Discépolo,
Filiberto. Interpreti: Orchestra Juan de Dios Filiberto  «Decí, por Dios, ¿qué me has dao / que
estoy tan cambiao / no sé más quien soy? / El malevaje extrañao / me mira sin comprender... / Me