Percorso sulle forze
Prof.ssa Tania Pascucci
Liceo Scientifico F Enriques- Livorno
Premessa
Il seguente percorso nasce da un’esigenza che ad un certo punto della sua vita
professionale l’insegnante ha sentito:
rinnovare la sua azione didattica. Tale
rinnovamento doveva avere una ricaduta significativa sulla qualità dell’apprendimento dei
suoi studenti. L’insegnamento tradizionale, di tipo prevalentemente trasmissivo, anche se
eseguito con coscienza e professionalità, spesso conduce a risultati molto modesti: il
messaggio è recepito da una ristretta “elite” di studenti, di solito già motivati, mentre il
grosso della classe si forma l’idea che i concetti scientifici abbiano un significato assoluto
ed inalterabile, comprensibile solo da una comunità di iniziati e quindi praticamente
inaccessibile a loro stessi. Infatti, ricerche effettuate sulle modalità di apprendimento degli
studenti, condotte nell’arco degli ultimi venti anni, mostrano che il fornire una definizione
scientificamente accreditata di una grandezza (che è quello che fanno solitamente i buoni
libri di testo e i bravi insegnanti) non elimina il problema: lo studente si troverà di fronte a
dei veri e propri scogli concettuali tutte le volte che gli verrà proposta una riflessione che
esula dal banale esercizio di “routine”. Se si vuole intervenire in modo efficace sul sistema
di apprendimento, bisogna progettare strategie didattiche mirate al superamento di tali
ostacoli. In prima analisi il compito dell’insegnante deve essere quello di divenire sempre
più consapevole di quali siano le rappresentazioni mentali e gli schemi concettuali che già
sono posseduti dagli studenti e di come questi li utilizzino nella interpretazione di un certo
fenomeno. L’adolescente arriva a scuola con un vero e proprio bagaglio di miniteorie,
indispensabili per dare una sua interpretazione della realtà, che spesso sono in conflitto
con la scienza accreditata che l’insegnante di scuola secondaria tenderà a trasmettergli.
Anche se l’insegnante motivato tenderà a trasmettere l’idea di Scienza come sistema
coerente di idee, piuttosto che semplice catalogo di fatti (insegnante informatore),
sicuramente prima o poi si imbatterà nelle situazioni in cui i collegamenti che sono evidenti
per uno scienziato, possono risultare tutt’altro che ovvi per un alunno: ed in ultima analisi,
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quello che veramente conta nell’apprendimento, è la coerenza così come viene percepita
dall’alunno.
Per questo la storia della scienza e del pensiero scientifico ci può venire in aiuto:
ripercorrere con i nostri allievi i tentativi, gli sbagli, i cambiamenti di paradigmi che si sono
succeduti nell’affermarsi di un concetto scientifico, può efficacemente aiutarli nel processo
di costruzione di conoscenza, può infondergli coraggio sapere che anche grandi pensatori
hanno commesso errori di interpretazione analoghi a quelli che loro fanno continuamente
a scuola. La storia della scienza vista non come una disciplina con contenuti da
aggiungere a quelli scientifici, ma come guida di riferimento per la costruzione di una
teoria scientifica, per ripercorrere l’impresa scientifica, riappropriandosi anche della sua
dimensione umana.
In questo percorso si è cercato di seguire queste linee, condividendo con la classe la
costruzione del concetto di forza: il punto di arrivo è l’idea di forza come interazione, da
applicare successivamente ad una serie di situazioni problematiche di tipo statico e
dinamico: la costruzione di un “modello” condiviso che funziona nell’interpretazione di
numerosi fenomeni tratti anche dalla vita quotidiana.
Ciò premesso è chiaro che la prima caratteristica innovativa di questo modulo è di tipo
metodologico: per dirla alla Ausubel “Scopri quello che l'allievo conosce già e organizza di
conseguenza il tuo insegnamento”. A tale scopo è stato progettato il test d’ingresso in cui
si chiede agli alunni di esprimere il proprio pensiero in situazioni che coinvolgono il
concetto di forza.
Un’altra caratteristica innovativa è stata quella di introdurre per prima il concetto di peso di
un corpo (che fa già parte del bagaglio delle rappresentazioni mentali degli studenti) e far
scaturire il concetto di massa (intesa come inerzia) attraverso i principi della dinamica.
Nella prima parte non viene mai citata la parola massa e si invitano gli allievi a fare
altrettanto. Per l’insegnante tale impostazione risulta più adatta per il superamento di tutti
quei fraintendimenti dovuti alla confusione che di solito si fa tra i due concetti nel
linguaggio comune.
Un secondo aspetto innovativo è quello di aver dato più peso ad una riflessione qualitativa
dei fenomeni, anziché introdurre da subito procedure di calcolo e formule, perché
l’insegnante ritiene che la riflessione sui concetti della Fisica non può ridursi ad un puro
addestramento matematico.
Infine (ma non certo per ordine di importanza) due parole sull’attività osservativa,
esplorativa e di laboratorio: l’esperimento è si fondamentale per capire meglio le idee
scientifiche, ma l’esperimento da solo non basta: occorre anche favorire lo sviluppo
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dell’immaginazione. Ad ogni esperienza va attribuito un senso, condiviso con gli studenti,
attraverso una discussione su come questi fatti sperimentali si collegano con le nuove
idee. Inoltre, si devono scegliere delle “esperienze esemplari”, non solo di supporto alle
idee teoriche, ma anche per l’interesse che esse hanno nella vita quotidiana. Le
esperienze quantitative che vengono proposte in questo percorso sono, alcune innovative,
altre “classiche”; quello che però secondo l’insegnante conta è che lo studente si avvicina
all’esperimento con un approccio concettuale diverso (meno equazioni in testa e più idee e
domande da porsi). L’attività di laboratorio deve favorire l’abbandono dei preconcetti
radicati, non ridursi semplicemente ad un processo induttivo, ma essere densa di
implicazioni intellettuali (il fare pensato).
Il percorso proposto è stato sperimentato nelle classi già da alcuni anni. L’insegnante,
soprattutto nel proporlo le prime volte, ha tenuto un diario di bordo per annotare gli
elementi più significativi che scaturivano dalle attività in classe, sia per divenire ancora
maggiormente consapevole degli schemi mentali dei propri studenti, che per effettuare
eventuali ricalibrazioni in itinere. La stesura che viene proposta in questa sede è il prodotto
di tutte le esperienze passate e pertanto, anziché riferirsi ad una particolare situazione di
“vissuto scolastico”, è strutturata sotto forma di indicazioni e suggerimenti a coloro che
vorranno procedere didatticamente in modo analogo.
Organizzazione delle attività:
Test d’ingresso
Prime idee sul concetto di forza
Forza come interazione
Forze di contatto e interazioni a distanza
Forze attive e forze passive.
Misure di laboratorio: verso una formulazione del terzo principio
Il primo principio.
Verso il secondo principio
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Test d’ingresso
Nello sviluppo del percorso, è bene porre particolare attenzione alle rappresentazioni
mentali degli allievi, che possono essere analizzate preliminarmente con un test d’ingresso
progettato in modo tale che questi possano esprimere il proprio pensiero in situazioni che
coinvolgono il concetto di forza.
In genere ne risulta una situazione piuttosto variegata, che va dal concetto di forza inteso
come sforzo che solo oggetti animati possono esercitare, alla forza come “impeto” che
viene posseduto da un corpo e via via si consuma man mano che il moto procede, ad una
forza confusa con la velocità (concezione aristotelica). La forza come interazione sembra
invece riscuotere minor successo nelle rappresentazioni degli alunni. Gli abbozzi dei
diagrammi di forza spesso mostrano ancora più chiaramente come in generale, regni,
nella testa degli studenti, una totale confusione. Il test può servire come base di partenza
per impostare un lavoro di costruzione e riorganizzazione di questi schemi legati alla fisica
ingenua. (Vedi test in approfondimenti)
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Prime idee sul concetto di forza
Obiettivi:
-
estendere la visione animistica che la quasi totalità della classe ha della forza,
facendo direttamente osservare che anche oggetti inanimati come chiodi, pareti,
tavoli, molle sono in grado di esercitare una forza,
-
sviluppare il concetto di forza come causa di deformazione, con osservazione
diretta di forze agenti su corpi visibilmente deformabili (forze ed elastici),
-
stabilire che anche il peso è una forza, ponendo le basi per realizzare metodi di
confronto tra forze,
-
costruire misuratori di forze
Molteplicità di significati della parola forza nel linguaggio comune
-
Sollecitare i ragazzi ad indicare quelle parole che secondo loro hanno attinenza con
la parola forza (E’ molto probabile che molti di loro confondano tra forza, energia,
velocità, come d’altra parte dovrebbe essere scaturito anche dal test d’ingresso)
-
Condividere con loro l’idea primitiva di forza come sforzo muscolare, sottolineando
come fosse effettivamente questa la concezione che l’uomo aveva agli albori della
civiltà.
Delineare gli obiettivi del modulo: costruire e di volta in volta rielaborare
gradualmente con loro, il concetto di forza attraverso un percorso e delle tappe che
possono essere confrontate con quelle che si sono succedute storicamente
dall’antichità fino all’età moderna.
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Effetto dei nostri sforzi muscolari su corpi visibilmente deformabili.
-
Far osservare e sperimentare effetti di forze da loro stessi prodotte su molle ed
elastici. (Non dovrebbe essere difficile arrivare alla conclusione che le forze
applicate producono deformazioni)
-
Applicare forze da loro prodotte su corpi rigidi (muri e tavoli). Chiedere che cosa
succede in questo caso (molti diranno che in questo caso non succede niente;
sollecitare gli studenti a pensare che le deformazioni, talvolta, possono essere così
piccole da poter risultare invisibili. Proporsi di provare ad escogitare un modo per
misurare deformazioni anche piccole).
-
Far riflettere gli studenti
diverse e
sull’effetto dei nostri sforzi muscolari in direzioni
chiedere di effettuare una rappresentazione grafica di tale applicazione
(ad alcuni parrà ragionevole considerare la forza come un vettore e quindi
rappresentarlo attraverso una freccia).
-
chiedere agli studenti di rappresentare la situazione dell’allungamento della molla
nel caso in cui l’estremità fissa sia: a) mantenuta ferma da qualcuno, b) fissata ad
una parete.
Queste considerazioni possono permettere di introdurre il concetto di vincolo. Si può
concentrare l’attenzione sul fatto che l’effetto del muro o di una persona è alla fine lo
stesso, e che quindi forse può esser fatto risalire ad una stessa causa, (ovvero anche
il muro può esercitare una forza analoga a quella muscolare). Sottolineare come
questa sia un’ipotesi. Questo può essere il primo passo verso l’abbandono di una
visione totalmente animistica della forza, che ciononostante continuerà a persistere in
una parte degli alunni. Per esperienza personale
ad alcuni alunni resta difficile
pensare che un muro o un chiodo possa esercitare una forza.
Effetto di corpi pesanti su molle ed elastici verticali. Basi per realizzare metodi di confronto
tra forze.
Chiedere alla classe cosa è il peso di un corpo. Molti alunni risponderanno che il peso è
una forza (di gravità, dovuta alla terra, che fa cadere un corpo ecc. ecc.). Qui i ragazzi
apparentemente si spogliano della precedente visione animistica.
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-
Porre la seguente domanda: “Come facciamo a sapere che il peso è una forza?”. O
meglio, “quali prove potremmo addurre per dichiarare che il peso è una forza?”
Attraverso esperienze dirette con molle ed elastici i ragazzi cominceranno a
pensare al peso di un oggetto come ad una forza non tanto perché c’è scritto su
tutti i manuali o perché qualcuno lo afferma da sempre, piuttosto perché anch’esso
è in grado di produrre deformazioni.
-
In questa fase si può proporre di verificare l’effetto prodotto dallo stesso peso
(ovvero la stessa forza), su corpi diversi (per esempio molle con costante elastica
diversa); i ragazzi si renderanno maggiormente consapevoli che forze della stessa
intensità possono produrre effetti molto diversi, fatto che servirà per una migliore
comprensione del principio di azione e reazione, ovvero dell’uguaglianza del
modulo delle due forze di interazione.
A questo punto ci si può proporre di realizzare un misuratore di forze (taratura di un
dinamometro), misurando direttamente l’effetto che esse producono su una molla
(allungamento x). Si introdurrà la legge di Hooke, come relazione più semplice tra forza
e deformazione in un corpo elastico e si proporrà di verificare se le nostre molle la
verificano o meno.
-
Porre la domanda “Quali campioni di forza potremmo usare per la taratura del
nostro strumento ?”, sicuramente quasi subito arriverà la risposta “alcuni pesini ”,
visto che molti studenti hanno avuto a che fare in nella scuola media con la
bilancia a bracci uguali.
Si può cominciare a parlare dell’equilibrio di un corpo, che gli studenti hanno affrontato
nella scuola media inferiore.
-
Far riflettere gli studenti sulle forze che agiscono su un corpo quando è appeso ad
una molla
-
Chiedere chi o che cosa esercita la forza che agisce verso l’alto ed equilibra il peso
-
Sollecitare gli studenti a proporre esempi di equilibrio.
ESPERIENZA QUANTITATIVA
Il passo successivo è quello di realizzare sperimentalmente (e in modo classico)
l’esperienza, misurando la costante di proporzionalità tra forza e allungamento nel caso di
quegli estensori che verificano la legge di Hooke. Il confronto tra i vari valori di k ottenuti
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permette di ottenere una scala di rigidità per gli estensori e di fare valutazioni sulla
“portata” dei vari strumenti.
-
Con una molla far misurare
agli alunni
l’allungamento di un peso incognito,
ottenendo il valore del peso moltiplicando per k e calcolando successivamente
l’errore. (Vedi relazione su taratura dinamometro in approfondimenti)
A questo punto bisogna dare abbastanza enfasi al fatto di come, partendo dal concetto
intuitivo e legato ai nostri sensi, di forza intesa come sforzo muscolare, si sia riusciti ad
estendere tale concetto anche a corpi inanimati, a riconoscere il peso come una forza e di
come in quest’ultima fase operativa e quantitativa la parola forza
abbia cominciato ad
assumere vera e propria dignità fisica.
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Forza come interazione
Obiettivi
-
stabilire che le forze si trasmettono a coppie su corpi diversi, attraverso esempi ed
esperienze tratte dalla vita quotidiana
-
riconoscere che le forze si possono trasmettere per contatto e a distanza
-
cominciare a tracciare i primi diagrammi di forza, descrivendo a parole le forze che
intervengono
-
ripercorrere in chiave narrativa le tappe storiche che hanno condotto al concetto di
forza come interazione.
Introdurre la lezione ricordando agli studenti come il concetto di forza si sia evoluto nel
corso dei millenni, dagli albori della civiltà fino alla moderna concezione di forza intesa
come interazione.
-
Proporre l’etimologia della parola interazione come mutua azione tra corpi. Spiegare
come un’idea del genere non sia per niente nuova, in quanto già Platone concepiva la
gravità come una qualità dei corpi dovuta alla tendenza del simile di unirsi con il simile.
Ma per avere un contributo significativo al concetto di forza inteso come interazione
dobbiamo arrivare fino a Keplero, in quanto è sua l’idea che quando una pietra viene
attratta dalla terra, è anche la terra che viene attratta dalla pietra. All’idea che anche la
terra viene attratta dalla pietra, anche se non nuova, è probabile che una buona parte
della classe manifesterà un certo scetticismo. Ricordare agli alunni che gli effetti delle
forze possono essere molto diversi se applicate a corpi diversi.
-
Preparare gli studenti all’opportunità di non pensare in termini di qualcuno o qualcosa
che compie un’azione su qualcos’altro, bensì come un’azione reciproca tra i corpi.
-
Proporre quindi una serie di situazioni, invitando gli studenti ad inquadrarle in questo
contesto:
Urto tra due sferette
Pallina che rimbalza al suolo
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Calamite che si attirano
Pattinatrici
Oggetto appeso ad una molla
Peso tenuto sulla mano
Corpo appoggiato su un tavolo
-
Cominciare a fare i primi tentativi di costruzione dei diagrammi di forza per le situazioni
più semplici.
-
Porre la seguente domanda: “Come potremmo verificare l’ipotesi che le sferette si
scambiano due forze durante il contatto?”. Qualcuno di loro risponderà misurandone la
deformazione e ciò può dare lo spunto per osservare le foto che i libri di testo
solitamente riportano quando introducono il concetto di impulso di una forza, in cui è
ben visibile l’effetto della deformazione (es: racchetta da tennis e pallina).
-
Se nella pallina che rimbalza al suolo gli studenti ancora hanno difficoltà ad associare
al suolo una forza verso il basso si possono proporre rimbalzi su membrane via via
sempre più rigide.
-
Porsi il problema se le forze di interazione degli esempi trattati siano uguali in modulo
(qualcuno citerà a sostegno il principio di azione e reazione, ma è bene ricordarsi che
molto probabilmente tale principio sarà stato acquisito in modo dogmatico).
-
Porre l’accento sul fatto che se effettivamente le forze di interazione fossero uguali, per
un oggetto appeso ad una molla sarebbe equivalente pensare alla forza peso del
corpo direttamente applicata alla molla, mentre questa estrapolazione non potrebbe
essere fatta se la molla subisse una forza maggiore o minore del peso.
-
Ricordare, se ciò è avvenuto, che alcuni di loro hanno risposto alla domanda 11) del
test che il camion esercita sulla macchina una forza maggiore. Non c’è invece nessun
motivo di pensare anche in questo caso che le forze in gioco non possano essere
uguali, visto che si è sperimentato che una stessa forza può causare effetti molto
diversi.
-
Prendere la decisione, in accordo con la classe, di disegnare nei diagrammi di forza le
coppie di interazione con frecce di uguale lunghezza.
Assegnare per casa il compito di disegnare i diagrammi di forza per la situazione
analizzata in laboratorio, quando sulla molla sono applicati uno, due, tre corpi con lo
stesso peso , stando ben attenti a
separare i disegni dei vari oggetti e mostrando
chiaramente la coppia di forze che i corpi si scambiano (si possono usare colori diversi per
ogni coppia di interazione).
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Forze di contatto e interazioni a distanza
Negli esempi fatti fino a questo momento si è osservato che l’interazione tra due corpi
può avvenire per contatto, ma anche a distanza, fatto che ci può riportare al discorso
storico intrapreso all’inizio del percorso e si può far notare che l’idea dell’interazione a
distanza era in embrione anche nella civiltà greca, in quanto gli stoici concepivano la forza
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come qualcosa che mette in relazione due oggetti, una simpatia. A molti studenti questa
potrà sembrare una spiegazione piuttosto assurda.
-
Si può porre la domanda “perché i corpi cadono a terra ?” Qualcuno risponderà
“perché c’è la gravità”, mentre altri limiteranno a dire “perché la terra li attira”.
-
Discutere queste risposte, in modo da portare i ragazzi alla comprensione che non
è la parola gravità a spiegare tutto (anzi, il termine tecnico in se non spiega un bel
nulla) e anche dire che la terra attira i corpi verso di se significa solo che c’è
un’interazione (di cui forse molti di loro hanno individuato solo una parte). La
discussione può continuare dicendo che ciò rimaneva un mistero anche per Newton
e che in questo senso sono risultati più newtoniani di lui i suoi successori , che
hanno abbracciato la sua teoria senza troppi problemi. A questo proposito è utile
leggere il breve brano del “Dialogo sui due massimi sistemi” di Galileo, dove
Salviati, l’alter ego di Galileo, spiega che la parola gravità di per se non vuol dire
nulla.
SIMPLICIO: La causa di quest’effetto (cosa è che muove verso il basso gli oggetti
terrestri) è notissima, e ciaschedun sa che è la gravità.
SALVIATI: Voi errate, signor Simplicio: voi dovevi dire che ciaschedun sa ch’ella si chiama
gravità. Ma io non vi domando del nome, ma dell’essenza della cosa: della quale essenza
voi non sapete punto più di quello che voi sappiate dell’essenza del movente le stelle in
giro, eccettuatene il nome, che a questa è stato posto e fatto familiare e domestico per la
frequente esperienza che mille volte il giorno ne veggiamo; ma non è veramente ce noi
intendiamo…. Che principio o che virtù sia quella che muove la pietra in giù…
-
Nella correzione degli esercizi sui diagrammi di forza assegnati si può notare che
forse i ragazzi fanno ancora fatica ad associare una forza anche alla terra;
nonostante permangano ancora alcune difficoltà, si dovrebbe notare comunque che
i loro diagrammi di forza tendono progressivamente a migliorare (i corpi vengono
nettamente separati l’uno rispetto all’altro, le forze vengono applicate direttamente
sui corpi, la ricerca delle coppie di interazione viene fatta sempre più
sistematicamente). (Vedi diagrammi di forza in approfondimenti)
Sicuramente ci sarà da fare ancora molto per migliorare il linguaggio quando viene
chiesto di descrivere le forze a parole (di ogni forza disegnata nel diagramma lo
studente deve specificare se si tratta di una forza di contatto o di un’interazione a
distanza, deve dire da quale altro oggetto è esercitata avendo cura di disegnare su
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quest’ultimo una forza contraria). Troppo spesso infatti gli studenti useranno frasi
come “forza posseduta da un corpo”, che mostrano come ancora sia radicata l’idea
di forza come un qualcosa di materiale. Questo permetterà di continuare quella
breve digressione storica iniziata in questo percorso parlando dell’idea di Keplero,
che spoglia il concetto di forza di qualsiasi contenuto animistico e materiale,
conferendogli invece proprietà meccaniche.
-
Proporre l’analisi del diagramma di forza di una pila di libri posti su un piano,
concettualmente simile a quello dei corpi attaccati alla molla; a questo punto questa
dovrebbe risultare molto più lineare, segno che negli alunni c’è stato sicuramente
un processo d’interiorizzazione dei concetti incontrati.
-
Puntualizzare ancora sulla distinzione tra forze a distanza (gravitazionali,
elettromagnetiche) e forze di contatto, che agiscono solo fintanto che quest’ultimo
viene mantenuto (ciò servirà a capire meglio il concetto di spinta iniziale).
-
E’ utile distinguere nettamente tra la forza peso e la forza che un corpo esercita su
un piano quando vi poggia sopra; mostrare con esempi concreti come
effettivamente in molte situazioni queste due forze, profondamente diverse perché
risultato di interazioni diverse, non siano nemmeno numericamente uguali.
-
Ripetere per un corpo sorretto con il palmo della mano. Porre la domanda “quale
forza esercita il corpo sulla nostra mano?”; qualcuno continuerà ad affermare il
peso dell’oggetto, ma la maggior parte della classe comincerà a rendersi
consapevole che in realtà noi sentiamo una forza di contatto tra mano e oggetto,
del tutto simile alle forze di contatto già precedentemente analizzate, e che la mano
esercita una forza contraria sull’oggetto che in certe situazione serve ad equilibrare
la forza peso. Proporre una discussione tra chi è convinto e chi ancora non lo è.
-
Chiamare questa forza reazione normale, avendo cura di spiegare il significato di
reazione (risposta alla deformazione) e normale (perpendicolare).
-
Cominciare a far luce sul terzo principio della dinamica (molti di loro già
conosceranno l’enunciato classico, pur non essendo assolutamente consapevoli del
suo significato; alcuni di loro sarà molto probabilmente ancora convinto che le
coppie di forze siano applicate sullo stesso corpo).
-
Introdurre storicamente il terzo principio come legge generale che stabilisce le
modalità di tali interazioni dando risalto al fatto che questo principio è considerato
dagli storici della scienza come il contributo più importante di Newton alla
Meccanica. Newton stesso avvertì l’esigenza di giustificare tale legge.
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Dall’analisi di semplici situazioni fisiche che coinvolgono le forze (in condizioni statiche) si
dovrebbe notare che gli studenti sono sempre più consapevoli del concetto di forza inteso
come interazione. L’idea della simpatia tra corpi che interagiscono tra loro potrebbe
adesso divertente, ma non più tanto assurda.
Nei diagrammi di forza (che devono diventare pane quotidiano) stimolare gli studenti a
confrontarsi tra loro; molto spesso chiederanno esplicitamente se si devono considerare
anche corpi che non sono direttamente coinvolti nel problema (es piano d’appoggio, muro,
terra, mano ecc), ma che evidentemente interagiscono con il sistema in esame.
-
In queste discussioni non mancare di spiegare che nei problemi concreti spesso si
isola una parte dei corpi che stanno interagendo (sistema) e ci si concentra sugli
effetti che le forze in gioco causano su di essi: è per questo che in tali situazioni ci
si dimentica in qualche modo della forza come interazione. Pertanto, quando ad
esempio si studia la caduta di un grave ci si concentra esclusivamente su di esso e
ci si dimentica che anche la terra subisce una forza.
-
Proporre di analizzare quello che succede quando una persona compie un salto,
sollecitando
gli studenti a concentrarsi sulle proprie sensazioni quando lo
effettuano.
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Forze attive e forze passive.
Obiettivi
-
riconoscere che esistono forze che scaturiscono a seguito di una sollecitazione
-
riconoscere che la forza d’attrito fa parte di questa categoria
-
introdurre la forza d’attrito nei diagrammi di forza.
- Prima di introdurre la forza di attrito fare la distinzione tra forze attive e passive. Forze
attive: trazioni o spinte esercitate da corpi animati e non, forze gravitazionali, elettriche
e magnetiche. Forze passive: che nascono e si modificano in risposta a quelle attive,
come quella dovuta alla deformazione di una molla, di un tavolo e appunto la forza di
attrito (è stato introdotto solo l’attrito radente). Spiegare come una forza passiva non
possa aumentare illimitatamente, perché l’aumento continua fin tanto che qualcosa non
si rompe.
-
Anche se i ragazzi sembrano consapevoli della presenza incessante della forza
d’attrito, non è inutile far vedere, sia con un dinamometro ma anche direttamente con i
nostri sensi, che per modificare la velocità di un corpo in un piano orizzontale (per es:
per muoverlo se si trova in quiete) occorre che la forza applicata sia superiore ad una
certa soglia. Ci pare doveroso far capire che la forza d’attrito nasce in risposta ad una
sollecitazione, opponendosi ad essa. Quindi nell’interfaccia tra due solidi (corpo e
piano di scorrimento) la forza d’attrito è in un primo momento zero e cresce con la
sollecitazione esterna fino a quando l’interfaccia non si “rompe” ed inizia lo
scivolamento.
-
Introdurre la formula empirica della legge dell’attrito statico Fa  N , con la speranza
che la disuguaglianza aiuti meglio a capire questo aumento graduale di Fa fino a
raggiungere il valore massimo. Sollecitare a determinare il valore massimo in alcuni
esercizi (piano orizzontale, piano inclinato ecc).
-
Dopo l’analisi di situazioni semplici considerare il caso di due blocchetti uno sopra
l’altro che stanno per essere messi in moto da una forza esterna (vedi fig1).
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F
Fig.1: Due blocchetti, uno sopra l’altro, trascinati
da una forza F, che agisce sul blocco inferiore.
-
Porre la domanda: “Cosa succederebbe se fosse trascurabile l’attrito tra i due blocchi?”
I ragazzi, attraverso i diagrammi di forza ed aiutandosi anche con prove sperimentali
dovrebbero capire che il blocco superiore non potrebbe muoversi solidalmente con
quello inferiore, ovvero che il corpo superiore si muove proprio grazie alla forza d’attrito
scambiata con il corpo inferiore (che naturalmente subisce una forza contraria e
probabilmente anche uguale).
Da questo momento in poi si può inserire anche la forza d’attrito nei diagrammi di forza.
Proporre i seguenti esempi: libro premuto contro un piano verticale, oggetto posto in un
piano inclinato, pila di libri su un piano orizzontale ecc. Chiaramente è bene sottolineare
che deve esserci sempre una sollecitazione esterna: gli oggetti analizzati, benché fermi,
sono in procinto di muoversi.
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Misure di laboratorio: verso una formulazione del terzo principio
Obiettivi
-
realizzazione di una leva ottica per l’analisi della deformazione di alcuni corpi rigidi,
-
analisi semi-quantitativa dell’interazione magnetica tra due calamite.
Valutazione sperimentali di piccole deformazioni con una leva ottica
Come già accennato diversi studenti
possono avere difficoltà ad associare una
deformazione anche ai corpi rigidi. Si può così realizzare una semplice leva ottica,
utilizzando ad esempio un laser He-Ne. Il fascio laser (che inutile dirlo desterà non poco
entusiasmo negli alunni) colpisce ad esempio un tavolo e riflettendosi va ad illuminare una
parete verticale. La deformazione del tavolo (causata ad esempio da un corpo appoggiato
sopra) produce uno spostamento dello “spot” luminoso lungo la parete verticale. Ciò
permette di valutare deformazioni anche dovute a forze molto piccole, quando agiscono su
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corpi apparentemente rigidi. E’ probabile che gli studenti propongano in modo autonomo di
valutare deformazioni dovute ad altre cause (i miei sono voluti montare sopra il banco).
Sicuramente questa esperienza contribuisce in modo essenziale ad indirizzare i ragazzi
verso la consapevolezza che la forza che il tavolo esercita sull’oggetto che vi è posto
sopra è, come nel caso della molla, una reazione alla deformazione.
Analisi semi-quantitativa dell’interazione magnetica tra due calamite
Si possono montare due calamite su due carrelli posti su una guida a basso attrito (non
necessariamente deve essere quella a cuscino d’aria) e si misura con dei dinamometri la
forza che ognuno di essi subisce per effetto dell’altro.
Ciò permette di analizzare la forza magnetica e di inserirla a pieno titolo, insieme a quella
di gravità, nel contesto delle interazioni a distanza. L’esperimento mostra che, anche
quando i due carrelli hanno peso diverso e su di essi sono montati magneti diversi, le forze
che questi si scambiano sono approssimativamente uguali. Si può giustificare la non
perfetta uguaglianza con il fatto che la forza d’attrito non è del tutto trascurabile e che
questa dipende dal peso (o meglio dalla reazione normale della guida che in questo caso
coincide con il peso). Nonostante i risultati sperimentali ottenuti confermino le ipotesi
formulate sulle interazioni tra corpi, non pochi studenti si stupiscono di fronte a queste
misure: molti di loro continuano a pensare che le forze tra i carrelli, se questi hanno peso
diverso o se su di essi è montata una diversa calamita, non coincidono. Questa quindi è
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un occasione importante per far riflettere gli allievi ancora una volta sulla distinzione tra
forze di interazione (che sono uguali) ed i loro effetti (che invece possono essere anche
molto diversi).
A questo punto del percorso, dopo tutte le osservazioni, esperienze e riflessioni collettive
viene naturale enunciare il terzo principio della dinamica nel seguente modo: “le forze
sono interazioni che possono avvenire per contatto o a distanza, si manifestano sempre a
coppie, agiscono su corpi diversi, con uguale intensità ma in versi opposti.”
Si ritiene che non sia difficile interiorizzare per gli studenti il terzo principio in quanto non è
stato presentato in modo dogmatico, ma come sintesi di un percorso che è durato un
mese e mezzo
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Il primo principio.
Obiettivi
-
definire ciò che si intende per sistema isolato
-
chiarire l’effetto di una spinta iniziale
-
ripensare l’esperienze di cinematica realizzate con la rotaia a cuscino d’aria.
Si può introdurre il concetto di corpo isolato come :
a)un corpo che non interagisce con nessun altro corpo, ovvero che non è a contatto
con nessun altro corpo e che è sufficientemente lontano da altri corpi con cui può
interagire a distanza.
b)Un corpo per il quale, (anche se interagisce con altri corpi), la risultante delle forze
ad esso applicate risulta uguale a zero.
-
Si può chiedere agli alunni di fare degli esempi di corpi isolati. Molti di essi
concorderanno con il fatto che per realizzare la situazione a) il corpo deve trovarsi
lontano dalla terra.
-
Chiedere alla classe se un corpo che si muove su un piano orizzontale può
considerarsi isolato. La risposta negativa dovrebbe essere giustificata per la
presenza incessante della forza d’attrito.
-
Gli studenti dovrebbero aver compreso che la forza d’attrito può essere
notevolmente ridotta (con la rotaia a cuscino d’aria, con la guida a basso attrito
utilizzata nell’esperienza con le due calamite oppure utilizzando dischi a ghiaccio
secco).
-
Discutere con i ragazzi che le riflessioni che stiamo facendo sono molto simili a
quelle di Galileo, che non aveva però la possibilità di ridurre la forza d’attrito come
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invece si può fare oggigiorno; tuttavia egli riuscì ugualmente a darsi delle risposte
corrette concependo esperimenti ideali.
-
Si può analizzare quindi uno dei più celebri esperimenti ideali di Galileo relativo al
principio d’inerzia (piani inclinati uno di fronte all’altro).
-
Riconsiderare, alla luce degli aspetti dinamici affrontati in questo percorso, l’
esperimento sul moto rettilineo uniforme con la rotaia a cuscino d’aria fatta
precedentemente ricordando come un carrello, sottoposto ad una piccola spinta
iniziale, si fosse mosso di moto rettilineo uniforme per un lungo tratto. Se ciò non è
stato fatto, è bene inserire in questo percorso una analisi sperimentale di questo
tipo. In alternativa si possono proporre filmati che illustrano esperimenti analoghi.
-
Soffermarsi sul concetto di spinta iniziale. Chiedere per esempio alla classe che
cosa si intenda con questo termine. In base a quanto precedentemente osservato
sulle forze di contatto, non dovrebbe essere difficile far capire agli studenti che la
spinta iniziale è una forza che agisce in un breve periodo di tempo (ad es:il tempo
che il corpo sta a contatto con il corpo che lo sta spingendo). Se la forza agisce per
un breve tempo, anche il suo effetto dovrà essere analizzato in questo breve
intervallo di tempo. Gli alunni dovrebbero essere in grado di stabilire che l’effetto
principale di tale forza è quello di portare la velocità del corpo da un valore zero ad
un valore diverso da zero. Ma quando vi è una variazione di velocità in un certo
intervallo di tempo significa che c’è un’accelerazione (si ricorda che una certa
padronanza dei concetti cinematici relativi al moto rettilineo è uno dei prerequisiti
per lo svolgimento del percorso).
-
L’effetto di una forza è quindi (per lo meno in questo caso ma facilmente verificabile
in altre situazioni) un’accelerazione. Non mancare di sottolineare come il risultato
che abbiamo ottenuto con questo ragionamento sia in sostanza il punto di vista
sostenuto da Newton, punto di vista che invece contrasta con la concezione
aristotelica del moto, che considera la velocità come effetto di una forza applicata
ad un corpo.
-
Chiedere alla classe “che cosa succede quando la forza non agisce più?” Gli
studenti dovrebbero concordare con il fatto che se la causa cessa, sparisce di
conseguenza l’effetto e il corpo continuerà a muoversi alla velocità che aveva
raggiunto nell’istante in cui la forza cessa di agire. Questo ragionamento è coerente
con quello che si osserva con la rotaia o meglio l’osservazione della rotaia può
essere re-interpretata in termini di queste nostre nuove concezioni.
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-
Si possono fare degli interessanti esperimenti qualitativi con il ghiaccio secco (nel
caso particolare è stato uno studente a portarne dei piccoli pezzi, in un thermos, a
scuola, a dimostrazione che un percorso di questo tipo, oltre a favorire una
maggiore comprensione della Fisica, contribuisce a rendere lo studente
protagonista del proprio apprendimento). Ci si può dilettare a far scorrere sulla
cattedra e sul pavimento tali pezzetti, non mancando di notare come, anche per
piccolissime spinte iniziali ( leggeri soffi e sfioramenti), il ghiaccio riesce a scivolare
sul piano per lunghi tratti. L’osservazione diretta del moto del ghiaccio secco
contribuirà ad infondere l’idea che non è importante chiedersi cosa mantiene un
corpo in movimento, bensì ricercare la causa che lo fa fermare. Sempre in maniera
qualitativa si può cercare di capire la differenza tra l’effetto di una spinta iniziale
(forza impulsiva) e una forza continua.
In una lezione successiva si può mettere a confronto la concezione aristotelica e galileiana
del moto, leggendo per esempio alcuni paragrafi del libro PPC Progetto Fisica Volume A,
Bologna, Zanichelli, 1986. Si può utilmente discutere della concezione empirista di
Aristotele e arrivare alla conclusione che la differenza fondamentale tra i due pensatori
(Aristotele e Galileo) sta nel come questi si ponevano di fronte all’esperienza, cioè con
quale apparato concettuale.
Infatti Newton e Galileo, con la formulazione del principio d’inerzia, realizzano una vera e
propria sfida all’idea aristotelica del moto naturale, affermando che lo stato di quiete e
quello di moto rettilineo uniforme sono perfettamente naturali.
-
Per consolidare il primo principio si possono analizzare numerosi esempi pratici. In
particolare si possono riprendere in considerazione le domande 1) e 5) del test
d’ingresso. Nella 1) è probabile che molti studenti avessero ritenuto necessario
applicare una forza costante per mantenere un corpo ad una certa velocità. Inoltre
in molti di loro poteva essere presente una visione animistica della forza. E’ bene
quindi sollecitarli a re-interpretare il passaggio dalla quiete al moto uniforme (in tal
modo si consolida il concetto di spinta iniziale ovvero di forza impulsiva). Si
possono porre domande del tipo: “Esiste una soglia minima della forza da applicare
per mettere in moto il corpo?”, “Che cosa succede quando cessa l’effetto della forza
esterna?”, “La spinta iniziale deve essere necessariamente esercitata da
qualcuno?”.
-
Fare alcuni esempi in cui la forza viene provocata da azioni di contatto tra corpi
inanimati (urti, molle compresse ecc). Nella discussione in classe dovrebbe
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emergere che gli studenti diventano piano piano consapevoli che le loro risposte
errate sono in qualche modo coerenti con la concezione aristotelica del moto; gli
alunni acquistano così una qualche consapevolezza dei loro schemi mentali (non
mancare mai di valorizzare il fatto che il loro pensiero assomigli così tanto a quello
del grande pensatore greco). Capita anche che qualcuno cominci a fare dell’ironia
su queste vecchie concezioni (le considerano ingenue e superate).
-
Dall’analisi dell’equilibrio di un corpo (domanda 5) dovrebbe emergere che la
classe, nella quasi totalità, ha acquisito il concetto di forza come interazione, sa
isolare il sistema in esame e descrive e disegna correttamente le forze agenti su di
esso.
Il tempo che è occorso per il terzo principio non è stato speso invano!
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Verso il secondo principio
Poiché il secondo principio viene di solito illustrato sperimentalmente con la rotaia a
cuscino d’aria (è quello che si fa anche nel laboratorio della nostra scuola), ci si
propone di analizzare l’apparecchio di Flechter (seguendo lo schema per cui prima
viene l’idea, poi l’esperimento). Ciò permetterà di introdurre anche un nuovo
esempio di forza, la tensione della corda.
P2
P1
Fig.2: apparecchio di Flechter.
-
Come primo passo chiedere agli studenti di disegnare le forze agenti sul sistema
nel suo complesso, rappresentato schematicamente in fig.2 (P1, P2 e corda come
un unico corpo). Da notare come ancora non si sia mai nominata la parola massa.
La discussione si può protrarre per un po’ ma alla fine è necessario giungere alla
conclusione che tali forze sono ( nell’ipotesi di poter trascurare l’attrito tra il piano e
il corpo 2) il peso P1, il peso P2, e la forza di contatto verso l’alto che il piano
esercita sul corpo 2.
-
Porre la domanda:” esiste in valore minimo di P1 per cui il sistema si mette in
movimento? “ Molti di loro continueranno a rispondere affermativamente, ma
ripensando anche all’esperienza di cinematica sul moto uniformemente accelerato
fatta precedentemente con la rotaia a cuscino d’aria (una analisi sperimentale di
questo tipo è richiesta come prerequisito; come già detto in precedenza se la
scuola non ha la rotaia si può proporre alla classe un filmato su questo argomento)
non dovrebbe essere difficile arrivare alla conclusione che in assenza di attrito, il
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sistema si mette in moto qualunque sia il valore di P1 (anche con la forza di una
pulce o il peso di un granello di sabbia).
-
Proporre successivamente di analizzare separatamente il corpo 1, la corda e il
corpo 2, disegnando i relativi diagrammi di forza. La classe dovrebbe essere
consapevole che tra la corda tesa e i corpi si stabilisce una coppia di forze in base
al terzo principio. E’ ragionevole immaginare che una corda tesa, in analogia a
quanto succede per una molla, si deformi pur se impercettibilmente (e in questo
l’analisi della deformazione di un corpo rigido sfruttando una leva ottica è molto
utile) e che tale deformazione sia associata ad una forza.
-
Analizzare situazioni più semplici di tipo statico (corpo in equilibrio appeso ad una
corda, corda tirata da due forze agli estremi). Cercare di immaginare di tagliare una
corda tesa in qualche punto della sua sezione, disegnando le forze che agiscono su
due segmenti, definendo tensioni tali forze.
-
Ritornando all’apparecchio di Flechter può darsi che alcuni studenti tendano a
disegnare la tensione T1 sul corpo 1 uguale e contraria al peso P1, come se si
trattasse di una situazione di equilibrio. Non è inutile ricordare che il moto è (come
verificato sperimentalmente nelle esperienze di cinematica) uniformemente
accelerato, mentre se T1=P1 il corpo potrebbe solo muoversi di moto uniforme
(come era stato discusso nelle lezioni precedenti).
-
Infine discutere sulla coppia azione-reazione tra corda e corpo 2, notando come
queste debbano essere necessariamente diverse da T1 (in particolare saranno
minori di T1) perché anche la corda deve accelerare. Questa analisi risulta
propedeutica alla fase in cui il sistema verrà analizzato quantitativamente in tutti gli
aspetti e quindi sarà necessario, per semplificare lo schema, considerare
trascurabile la massa della corda.
Il ragionamento nel suo complesso ci conduce quindi alle seguenti conclusioni:
a) Il sistema in esame si mette in moto per qualunque valore di P1.
b) P1>T1
c) T1>T2
Introduzione all’inerzia di un corpo.
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Si può cominciare a parlare del principio d’inerzia come la tendenza dei corpi a mantenere
il proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme in assenza di forze.
Si può ragionevolmente definire l’inerzia come una proprietà comune a tutti i corpi: una
volta messi in moto, essi continuano a muoversi a velocità costante a meno che una forza
esterna non imponga un cambiamento. L’obiettivo è adesso quello di mettere a confronto
le inerzie di vari corpi. Se l’inerzia è una sorta di resistenza che un corpo oppone quando
dall’esterno si tenta di modificarne la velocità è vero che tale resistenza non è la stessa
per tutti i corpi. Se si vuole conferire la stessa accelerazione ad una monetina o a una
nave, occorrono forze notevolmente diverse. Molti studenti sono convinti che l’inerzia di un
corpo sia legata al suo peso (mentre tenteremo di far capire, alla fine del percorso, che è
piuttosto il peso, in quanto forza che è legato dinamicamente all’inerzia).
-
Per sottolineare come l’inerzia sia qualcosa di profondamente diversa dal peso si
possono fare esempi di moti su di un piano orizzontale senza attrito, in cui il peso
non ha alcuna influenza sul moto, visto che è equilibrato dalla reazione del piano.
Con altri esempi (corpi isolati che non hanno un peso ma hanno sicuramente un
inerzia) si può rinforzare l’idea che peso e inerzia siano concetti profondamente
diversi. Ci si può soffermare sulla distinzione che Newton fa nei principia tra Forza
innata, come potenza a resistere (proporzionale alla quantità di materia) e forza
impressa, azione esercitata su un corpo al fine di modificare il suo stato di riposo o
di moto uniforme in linea retta. Questa forza innata, questa proprietà intrinseca
della materia la chiamiamo massa. Ammettiamo poi che corpi dello stesso
materiale di ugual volume abbiano la stessa massa.
-
E molto probabile che qualche studente puntualizzerà che tali corpi, sulla terra,
avranno anche lo stesso peso. L’osservazione è corretta e interessante e ciò ci
servirà nel seguito.
-
Quello che adesso è interessante è ritornare all’apparecchio di Flechter
chiedendosi qual è l’inerzia che contrasta la forza P1. Per quanto detto, tutti e due i
corpi offriranno resistenza, pertanto l’inerzia totale sarà la somma delle due loro
inerzie. Ci sembra sia stato preparato il terreno per proporre agli studenti
l’esperimento di laboratorio sull’apparecchio di Flechter.
Analisi sperimentale di forze che producono accelerazioni.
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L'apparato sperimentale è quello classico della rotaia a cuscino d’aria,
schematizzato in fig.3 e anche l’esecuzione delle misure si discosta solo in parte da
quella canonica. E’ però significativamente diverso l’apparato concettuale con cui gli
studenti si pongono di fronte alle misure (sicuramente hanno meno equazioni in testa).
m
M
m
Fig.3: Schema dell’esperienza di laboratorio
Avevamo a disposizione 5 diverse masse campione m identiche tra loro, collocabili sul
carrello di massa M, ma anche attaccabili al filo verticale. Spostando i campioni di massa
in una o nell’altra posizione si può far variare la forza, tenendo costante la massa del
sistema. L’analisi quantitativa, che può essere eseguita con una certa precisione, mostra
come la forza applicata sia direttamente proporzionale all’ accelerazione subita. Poiché in
questa esperienza ciò che non è variato è la massa del sistema, possiamo anche
identificare la costante di proporzionalità tra forza F ed accelerazione a con la massa,
facendo rilevare che ciò che abbiamo osservato è coerente con una legge del tipo F=M’a
(ipotesi), con M’ inerzia totale del sistema. Per avere un ragionevole verifica di una legge
di questo tipo si può tener costante la forza e vedere che massa e accelerazione sono
inversamente proporzionali. Bisogna però che in questo caso sia nota la massa del
carrello, per lo meno in termini di unità campione. Tale complicazione richiede delle
precisazioni su cui gli studenti devono riflettere. E’ bene quindi che la seconda parte
dell’esperienza venga condotta dopo una discussione teorica.
Sulla terra, corpi che hanno la stessa massa hanno anche lo stesso peso.
Nel concetto di massa che stiamo via via costruendo è stato detto che corpi dello stesso
materiale e di ugual volume hanno anche la stessa inerzia. Ma gli studenti sanno, sia dalla
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scuola media, sia da quanto discusso nelle lezioni introduttive, che in tale situazione questi
hanno anche lo stesso peso (ovvero sono soggetti alla stessa forza da parte della terra).
D’altra parte queste affermazioni sono facilmente verificabili con la bilancia a bracci uguali.
Allora si farà notare come da un confronto tra forze peso si possa, indirettamente,
confrontare anche due masse. Gli studenti cominceranno ad essere più consapevoli del
perché nel linguaggio comune e nelle loro teste questi concetti tendono ad essere confusi.
Questa proporzionalità diretta tra massa e peso ci permette, se vogliamo, anche di usare
le stesse unità di misura per le due grandezze (ma è bene non dare troppa enfasi a questo
fatto e mantenere unità distinte).
Alla fine del ragionamento si dedurrà che è possibile misurare indirettamente le masse con
la bilancia a bracci uguali.
Nella seconda fase dell’esperienza sono state quindi misurate (in Kg) le masse del carrello
e dei campioni, e si ripete l’esperimento della rotaia facendo variare la massa del sistema,
mantenendo
costante la forza a cui è soggetto. La relazione F=ma risultata
eccellentemente soddisfatta entro gli errori sperimentali. E’ quindi arrivato il momento di
applicarla a numerosi esempi pratici.
La caduta libera.
Dopo alcune ore dedicate all’applicazione del secondo principio a situazioni che non
coinvolgevano direttamente la forza peso (piani orizzontali), ci si è posti il problema di
affrontare la caduta libera da un punto di vista dinamico. Gli studenti dovrebbero essere in
grado, con ciò che sanno e naturalmente con la guida socratica dell’insegnante, di dedurre
la costanza dell’accelerazione di gravità.
- Chiedere agli studenti di disegnare le forze che agiscono su un corpo di massa m in
caduta libera, verificando se avessero chiaro l’effetto di una eventuale spinta iniziale. Sulla
base delle precedenti discussioni domandare alla classe quale sia la relazione tra il peso e
la massa di un qualsiasi corpo (P=km). L’applicazione del secondo principio della
dinamica a tale corpo conduce al risultato che a=k ovvero l’accelerazione con cui i corpi
cadono è indipendente dalla loro massa, fatto totalmente in disaccordo con la concezione
aristotelica. La speranza è che tutto ciò non risulti un semplice giochino matematico; la
costanza dell’accelerazione di caduta libera è il risultato finale di un percorso in cui è stato
utilizzato sinergicamente il metodo induttivo e deduttivo; il risultato è importante perché ci
riporta a ciò che dicevamo all’inizio del percorso: del perché i corpi cadono non si sa un
gran che ma si è in ogni modo condotto un ragionamento, costruito concetti come quello di
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forza e inerzia (anche se non in modo esaustivo e forse non senza qualche circolarità) che
hanno portato a dedurre che tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione, ovvero la
modalità con cui la “gravità” si manifesta ai nostri occhi, che ora, grazie alle intuizioni di
Galileo, Newton e anche nostre, guardano in maniera molto diversa la realtà fisica rispetto
ad Aristotele.
- Le ore successive saranno dedicate ad una riflessione sulle deduzioni a cui si è arrivati
(F=ma, g=costante) ed all’analisi di problemi classici di dinamica (adesso coinvolgendo
anche la forza peso). La maggioranza della classe dovrà essere in grado di descrivere i
fenomeni anche con una certa proprietà di linguaggio, senza confondere grossolanamente
i concetti fondamentali. Deve esserci consapevolezza del terzo Principio e l’applicazione
del secondo non deve essere mai automatica o passiva.
C’è piena convinzione che questa metodologia richiede
tempi lunghi, ma questi
possono essere in parte recuperati nella fase applicativa: non sono più necessari gli
esercizi ripetitivi (a meno che non si voglia ridurre l’insegnamento della Fisica a
addestramento matematico) perché i concetti sono stati acquisiti in modo non dogmatico.
A conferma di ciò saranno i risultati delle verifiche di tipo applicativo, più che soddisfacenti,
nonostante il minor tempo dedicato alla fase d’addestramento. (Vedi esempi verifica in
approfondimenti)
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