GLI SCULTORI E I BRONZISTI DELLA PRIMA META’ DEL V SECOLO KPITIOS….Tirannicidi Kritios, il maestro a cui è stato attribuito l’Efebo dell’Acropoli, appare dalle fonti un caposcuola, che insegnò a varie generazioni di scultori di diverse città. La sua attività ad Atene è documentata da 6 firme su basi, una delle quali sosteneva la statua dell’oplitodromo Epicharinos. Il suo nome è associato al suo compagno Nesiotes nel capolavoro dei Tirannicidi, che sostituirono il gruppo di Antenor rapito da Serse. Può darsi che i due scultori si fossero formati proprio nell’officina del maestro Antenor. Non sappiamo come il lavoro del celebre gruppo fosse stato diviso tra i due, le statue fuse nel bronzo le possiamo ricostruire attraverso le copie marmoree di Napoli, (II SEC d.C.)di New York e dalle riproduzioni su vari monumenti e monete. L’importanza storica del monumento, la libertà, in quanto Armodio e Aristogitone, offesi da una vendetta del tiranno Ipparco, erano insorti e lo avevano ucciso per cui erano stati condannati a morte, la funzione di rimpiazzare un gruppo caro e familiare agli Ateniesi, consigliarono forse agli artisti a rievocare nel nuovo linguaggio severo i tipi di Antenor sicchè forse soltanto le chiome corte a piccole fiamme in Aristogitone e a chioccioline in Armodio, la barba meno prolissa del primo, lo slancio più contenuto e più articolato di ambedue, oltre al modellato, distinguevano questa creazione del 477 a.C con quella della fine dell’arcaismo. Ogni statua, concepita nel dinamico ritmo avanzante, era, in realtà, chiusa nel suo isolamento plastico e non costituivano ancora un vero gruppo, uniti soltanto dal tema e dalla base. CERCHIA DI KALAMIS…ZEUS CAPO ARTEMISIO, APOLLO O., AFRODITE S., AURIGA Gli artisti della prima metà del V secolo studiano con pari amore alla figura in stasi gravitante, quella in movimento per corridori, discoboli scattanti, e il dinamico ritmo avanzante aperto dei Tirannicidi si amplifica nel gesto di scagliare il fulmine in bronzetti di Zeus o il tridente in quelli di Poseidon, culminando nello slancio grandioso della statua bronzea di Capo Artemisio, uno dei più preziosi originali del maturo stile severo intorno al 460 a.C Il braccio sinistro è teso verso il bersaglio a cui volge la testa barbata ancora acconciata con il kpobùlos a traccia sottile, il braccio destro retratto ed aperto non sappiamo se reggesse un fulmine o un tridente, ma l’immagine è certamente di un dio per grandezza e per intonazione, e non di un lanciatore di giavellotto, come si è anche supposto. Questo Poseidone è potente, maestoso, sciolto nei suoi movimenti L’attribuzione alla cerchia di Kalamis è più persuasiva di quella a Mirone, se a Kalamis si riporta il tipo dell’ Apollo detto dell’ Omphalos noto da copie marmoree romane, riconoscendovi l’Apollo Alexìkakos votato dagli Ateniesi nel tempio dell’Agorà in seguito ad una pestilenza per consiglio dell’oracolo delfico. L’acconciatura con riccioli a frangia mossa sulla fronte, il modellato del nudo si possono infatti confrontare con quelli del bronzo dell’ Artemisio, e questo Apollo ci offre un’impostazione ritmica più matura e sciolta di quella dell’Efebo di Kpitios, unita ad una solennità e ad un saldo vigore atletico. Kalamis aveva creato ad Atene una celebre statua bronzea di Afrodite, detta Sosandra, dedicata verso il 465 sull’acropoli da Kallias, genero di Cimone, sulla quale si sofferma ben tre volte lo spirito critico di Luciano nei suoi Dialoghi, ammirandone il sorriso sereno nascosto, la dignità e l’eleganza del panneggio. Varie copie ci fanno conoscere tutta la grazia solenne e contenuta della creazione, riassunta nell’ampio pesante mantello, che avvolge tutta la persona con larghe pieghe, che scandiscono bene lo sporgere leggero del ginocchio destro e del braccio nascosto, la ricaduta del braccio proteso e con il netto orlo che circonda entro un ovale ombroso il volto luminoso emergente con le plastiche bande simmetriche delle chiome. Questo volto non è certo sorridente, ma il puro e levigato nitore delle guance e il perfetto disegno delle tumide labbra sono interpretati intellettualisticamente da Luciano come riflesso di un intimo e sereno sorriso divino. Auriga di Delfi 475 a.C.= Il tema del cavallo era particolarmente congeniale a Kalamis che, a giudizio di Plinio, Properzio e Ovidio,, rimase insuperato nel modellarli in molte bighe e quadrighe di vincitori dei giochi panellenici. E’ un tema che aderisce anche all’ideale eroico e agonistico del tempo. Di tanti simili monumenti ci resta la figura dell’auriga e frammenti di cavalli del carro votivo celebrante la vittoria di Ierone a Delfi, dedicato da Polizelo, alla cui base conservata si è riferita, senza sicurezza, la firma dello scultore Sothadas di Tespie(o Pitagora nativo di Samo). Lo stile non è comunque attico e sembra gravitare nella cerchia peloponnesiaca. La celebrata figura dell’ Auriga riassume tutti i caratteri più salienti dello stile severo nel robusto cranio tondeggiante , nelle tese superfici del volto, nella minuziosa e calligrafica incisione delle ciocche aderenti che fioriscono rialzandosi sulle tempie e sulle guance, nell’architettonica semplicità del chitone, nella vivida anatomia dei muscoli tesi del braccio e dei piedi. La benda è in argento, simbolo di vittoria, ciglia e sopracciglia in rame, gli occhi smaltati che ravvivano lo sguardo. A questo mondo eroico atletico dei grandi bronzisti dello stile severo è intimamente collegato Mirone di Eleuthere, in Beozia, attivo ad Atene tra il 470 e 440 a.C, discepolo di Ageladas, a cui si devono statue bronzee di vincitori ad Olimpia. . Fra le divinità Mirone trattò Eracle, Apollo, Dioniso, ma conosciamo da copie soltanto la sua Atena con il sileno Marsia, collocato sull’acropoli di Atene, combattuto fra il desiderio di raccoglier le tibie gettate dalla dea e la proibizione divina. Pindaro scrive di come la dea Atena avesse inventato il flauto ma che, inorridita del fatto che le sue guance risultassero deformate mentre lo suonava lo avesse gettato via , percuotendo il satiro Marsia che tentava di raccoglierlo. La cocciutaggine del Satiro, che alla fine userà il flauto nonostante il disappunto di Atena, e il suo orgoglio, che lo metterà in competizione con Apollo, saranno poi la causa della sua rovina: il divino figlio di Latona ne chiederà lo scorticamento. Alla schiva semplicità di Atena, nella quale la visione severa si addolciva nelle ondulate chiome uscenti sotto l’elmo rialzato e nel più sciolto panneggio, si contrapponeva la ferina natura del Marsia espressa nella contrazione del corpo, nel volto rugoso e aggrottato con i capelli rialzati sulla fronte accuratamente cesellati con la barba. E’ un contrasto formale, che oppone la massa del peplo alla nudità, ma anche intellettuale, sottolineato dall’aristocratico distacco che Atena ostenta nel ritrarsi leggermente dall’impeto di Marsia. Nella sua produzione si colgono già tratti di quella classica: 1) Attenzione per forma umana senza preoccupazione per l’introspezione psicologica; 2) Rappresentazione di un istante temporale immobile ed eterno; 3) Perfezione realista delle opere- Fonti narrano che una statua di Vacca da lui eseguita fu portata a Roma e celebrata da epigrammisti per il suo grande realismo. Discobolo: 455 Egli concepì la figura , più che in una stasi gravitante, in un moto istantaneo e dinamico. La statua rappresenta l'atleta nel momento di estrema concentrazione che precede il lancio del disco, e con estrema precisione di dettagli descrive la tensione muscolare e la flessione degli arti che concorrono allo sprigionarsi dell'energia. Mirone vuole rappresentare la carica e la potenza che precedono lo sforzo, non il movimento in sé. Con lui il problema della rappresentazione atletica acquista movimento, ritmo più complesso e più vario, tanto che Plinio lo dice numerosior, cioè più ricco di ritmi rispetto a Policleto Quintiliano apprezza la novità e la difficoltà di questa creazione dal ritmo girato e complesso, classificando le immagini mironiane più sciolte aritmicamente rispetto a Kalamis. Tutto si concentra nel modellato vivo e guizzante del corpo nudo subordinato al modellato rigorosamente contenuto della aderentissima calotta di capelli, incisi a ciocche minute su di un cranio tondeggiante di modulo pienamente severo. Ora le forze vengono controllate attraverso un equilibrio tra forze uguali e contrarie. La natura bronzea del Discobolo è tradita dalla presenza del tronco di palma che costituisce il supporto della figura e dal tassello che sostiene il braccio sinistro collegandolo al polpaccio. BRONZI EDI RIACE: Furono ritrovati nel Mar Ionio nel 1972, a 2300 m dalla costa di Riace, Reggio C. Portati a Firenze fu curato il restauro presso L’Opificio delle Pietre Dure, uno dei più specializzati laboratori. Incerto è l’autore, incerti i personaggi raffigurati, l’originaria collocazione e la precisa datazione delle opere. Si raggiunge in entrambi l’equilibrio nella resa anatomica e una perfezione proporzionale nelle diverse parti del corpo, ma differente appare l’intonazione di base. Statua A: appare di un modellato più nervoso e vitale, la perfezione della struttura corporea è arricchita dalla definizione anatomica estremamente dettagliata, quasi fredda. Si tratta di indizi che porterebbero allo stile severo e che spingerebbero a considerare questa statua più antica tra le due. Ogni singolo muscolo viene evidenziato, le vene ingrossate corrono sotto la pelle. Il volto sembra infiammato dalla ferocia dello sguardo. Il braccio piegato doveva forse impugnare un scudo, l’altro un’arma. Statua B: l’artefice sembra aver avuto altre preoccupazioni; la postura è simile a quella del compagno, ma diverso è il trattamento delle masse, più armoniche. Il modellato appare rilassato e calmo rispetto a quello della statua A. L’equilibrio dell’anatomia si riflette anche sul volto, l’inclinazione della testa, le labbra socchiuse come se fossero pronte a parlare incorniciate da una morbida barba, lo sguardo segnato dalla curva abbassata delle sopracciglia, tutto concorre a caricare il volto d’intensa umanità. Tutte caratteristiche che imposterebbero l’opera in età classica. L’analisi della terra di fusione rinvenuta nelle statue ha permesso di confermare che le due opere sono state realizzate in due luoghi diversi, il bronzo A ad Argo, quello B ad Atene. Agelada di Argo, maestro dei maestri, Fidia, Mirone, Policleto, sarebbe il bronzista a cui verrebbe attribuita la statua A, l’impianto della figura e le caratteristiche del volto trovano strette somiglianze con i personaggi rappresentati sul frontone orientale del tempio di Zeus ad Olimpia, capolavoro severo attribuito allo stesso scultore. Il bronzo b si assegna invece ad Alcamene, contemporaneo e rivale di Fidia, attivo ad Atene, ma anche autore, con Agelada, del timpano orientale del tempio di Zeus ad Olimpia.