La Colonna Traiana raccontata
Il racconto comincia rappresentando la situazione immediatamente precedente all'inizio della
campagna, quando i confini dell'Impero erano ancora sul Danubio. La striscia narrativa s'apre (dapprima
bassa bassa e poi man mano alzandosi) col paesaggio d'una città romana fortificata sul fiume, le mura, la
torre di guardia, i dispositivi per le segnalazioni ottiche in caso d'incursione dei Daci: cataste di legno per i
fuochi, mucchi di fieno per le colonne di fumo. Tutti elementi che devono creare un effetto d'allarme,
d'attesa, di pericolo, come in un western di John Ford.
Sono così poste le premesse per la scena seguente: i Romani che attraversano il Danubio su ponti di barche
per attestarsi sull’altra sponda; chi può dubitare della necessità di rinforzare quel confine così esposto agli
attacchi dei barbari stabilendo avamposti nei loro territori? Le file dei soldati s'incamminano sui ponti, con in
testa le insegne delle legioni; le figure evocano il calpestio
sferragliante della truppa in marcia, con gli elmetti che pendono legati sulle spalle, gavette e tegami appesi a
pertiche.
Il protagonista del racconto è naturalmente l'imperatore Traiano in persona, raffigurato sessanta volte
in questi bassorilievi; si può dire che ogni episodio è segnato dalla ricomparsa della sua immagine. Ma come
si distingue l'Imperatore dagli altri personaggi? Né l'aspetto fisico né l'abito presentano segni distintivi; è la
posizione in rapporto agli altri che lo denota senz'ombra di dubbio. Se ci sono tre figure togate, Traiano è
quello in mezzo; difatti i due ai lati guardano verso di lui ed è lui che gestisce; se c'è una fila di persone,
Traiano è il primo: oppure è in atto d'esortare la folla o d'accettare la sottomissione dei vinti; egli si trova
sempre nel punto in cui convergono gli sguardi degli altri personaggi, e le sue mani s'alzano in gesti
significativi. Qui per esempio lo si vede ordinare una fortificazione indicando il legionario che sporge da una
fossa (o dai flutti del fiume?) con sulle spalle una cesta di terra degli scavi delle fondamenta. Più in là è
ritratto sullo sfondo dell'accampamento romano (in mezzo c'è la tenda imperiale) mentre i legionari spingono
davanti a lui un prigioniero tenendolo per le chiome (i Daci si distinguono per i capelli lunghi e le barbe) e
con una ginocchiata (quasi uno sgambetto) lo obbligano a genuflettersi ai suoi piedi.
Tutto è molto preciso: i legionari sono contraddistinti dalla lorica segmentata (una corazza a strisce
orizzontali), e siccome a loro spettavano anche compiti di genieri, li vediamo murare pietre o abbattere alberi
con la lorica indosso, dettaglio poco verosimile ma che serve a far capire chi sono; mentre è un giubbetto di
cuoio quello che portano gli auxilia, dall’armamento più leggero, spesso raffigurati a cavallo. Poi, ci sono i
mercenari appartenenti a popolazioni assoggettate, a torso nudo, armati di clava, con fattezze che indicano la
loro provenienza esotica, anche mori della Mauritania. Tutti i soldati scolpiti nei bassorilievi, migliaia e
migliaia, sono stati catalogati con precisione perché la Colonna Traiana è stata studiata finora soprattutto
come documento di storia militare .
Più incerta la classificazione degli alberi, rappresentati in forma semplificata e quasi
ideogrammatica, ma raggruppabili in un ristretto numero di specie ben distinte: c'è un tipo d'albero a foglie
ovali e un altro con fronde a ciuffo; poi querce, dalla foglia inconfondibile; credo di riconoscere anche un
fico che sporge da un muro. Gli alberi sono l'elemento di paesaggio che più ricorre; e spesso li si vedono
cadere sotto le scuri dei taglialegna romani: per fornire di travi le fortificazioni ma anche per far posto alle
strade: l'avanzata romana s'apre la via nella foresta primigenia così come il racconto scolpito s'apre la via nel
blocco di marmo.
Anche le battaglie sono ognuna diversa dall' altra, come nei grandi poemi epici. Lo scultore le fissa
sinteticamente nel momento in cui se ne decidono le sorti, impaginandole secondo una sintassi visuale di
netta evidenza e una grande eleganza e nobiltà formale: i caduti in basso come un fregio di corpi riversi sul
bordo della striscia, il movimento delle schiere che si scontrano, con i vincitori in posizione dominante, più
in su ancora l'Imperatore e, in cielo, un' apparizione divina. E come nei poemi epici, non manca mai un
dettaglio macabro o truculento: ecco un romano che regge coi denti la testa mozzata d'un nemico dace,
penzolante dai lunghi capelli; e altre teste mozze vengono presentate a Traiano.
Si direbbe che ogni battaglia sia contraddistinta anche da un motivo di stilizzazione geometrica
sempre diversa: per esempio qui vediamo i Romani tutti con l’avambraccio destro alzato ad angolo retto
nella stessa direzione, come a scagliare un giavellotto; e subito sopra c'è Giove, volante nella vela del suo
manto, che alza la destra nell'identico gesto brandendo certamente un fulmine dorato ora scomparso (i
bassorilievi dovremmo immaginarceli colorati com'erano in origine), segno indubbio che il favore degli dèi è
dalla parte dei Romani.
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La rotta dei Daci non è scomposta, ma mantiene pur nell’affanno una dignità dolente; fuori dalla
mischia due soldati daci stanno trasportando un compagno ferito o morto; è uno dei luoghi più belli della
Colonna Traiana e forse di tutta la scultura romana; un dettaglio che fu certo la fonte di molte Deposizioni
cristiane. Poco più sopra, tra gli alberi d'un bosco, il re Decebalo contempla con tristezza la sconfitta dei
suoi.
Nella scena seguente un romano con una torcia appicca l'incendio a una città dei Daci. È Traiano in
persona che gli dà l'ordine, lì in piedi dietro a lui. Dalle finestre escono lingue di fiamme (immaginiamole
dipinte di rosso) mentre i Daci si danno alla fuga. Già stiamo per giudicare spietata la condotta di guerra
romana, quando osservando meglio vediamo sporgere dalle mura della città dace dei pali con infitte delle
teste mozzate. Ora siamo pronti a condannare i Daci crudeli e a giustificare la vendetta di Roma: il regista
dei bassorilievi sapeva amministrare bene gli effetti emotivi delle immagini in vista della sua strategia
celebrativa.
Poi Traiano riceve un'ambasceria dei nemici. Ma ora abbiamo imparato a distinguere tra i Daci quelli col pilleus (berrettino tondo) che sono i nobili, e quelli che portano scoperte le lunghe chiome, cioè la gente comune. Ebbene, l'ambasceria è composta di teste chiamate; per questo Traiano non l'accetta (il gesto con tre dita
è un segno di rifiuto); certo egli esige contatti a più alto livello (che non tarderanno a venire, dopo altre
sconfitte dei Daci).
Apparizione insolita, in questa storia tutta maschile come tanti film di guerra, ecco una giovane donna
dall'aria desolata su una nave che s'allontana da un porto. C'è folla che la saluta dal molo, e una donna
protende un bambino verso la partente, certo un figlioletto da cui la madre è costretta a separarsi. C'è anche
l'immancabile Traiano che assiste a questo addio. Le fonti storiche chiariscono il significato della scena:
costei è la sorella del re Decebalo, che viene mandata a Roma come preda di guerra. L'Imperatore alza una
mano a salutare la bella prigioniera, e con l'altra mano indica il bambino: per ricordarle che tiene il piccolo in
ostaggio? o per prometterle che lo farà educare romanamente per fame un re sottomesso all'Impero?
Comunque sia, la scena ha un pathos misterioso, accentuato dal fatto che nella stessa sequenza, non si sa
perché, abbiamo appena assistito a una razzia di bestiame, con figure d'agnelli uccisi.
(Figure femminili compaiono anche in una delle scene più crudeli della colonna: donne come in preda alla
collera stanno torturando degli uomini nudi: romani, si direbbe, dato che hanno i capelli corti; ma il senso
della scena resta oscuro).
Lo stacco tra le sequenze è marcato da un elemento verticale, per esempio un albero. Ma talora c'è
anche un motivo che continua oltre quel limite, da un episodio all'altro, per esempio i flutti del mare su cui
parte la . principessa prigioniera diventano la corrente del fiume che nella scena seguente travolge i Daci
dopo un loro vano assalto a una piazzaforte romana.
Insieme alla continuità orizzontale (o meglio obliqua, dato che si tratta d'una spirale che avvolge il
fusto di marmo) si notano motivi che si collegano in senso verticale da una scena all’altra lungo l'altezza
della colonna. Per esempio: con i Daci combattono i Roxolani, cavalieri dal corpo interamente ricoperto
d'una armatura di squame di bronzo, coi cavalli anch'essi tutti squame; la loro vistosa presenza, come un
annuncio dell'imagerie , medievale, domina in una battaglia sul fiume; ma nella scena d'un'altra battaglia che
capita immediatamente sopra a questa vediamo giacere morto un altro di questi seri squamosi, allungato
come una specie d'uomo-pesce o uomo-rettile. Più avanti, il movimento d'una battaglia è dato da uno
schieramento di scudi ovali che fanno fronte in linea diagonale; nella porzione di colonna sovrastante
vediamo ripetersi una serie di scudi dello stesso tipo ma questa volta disposti a striscia orizzontale, gettati al
suolo dai nemici che si sono arresi in un'altra attaglia.
La spirale gira e segue insieme lo svolgersi della storia nel tempo e l'itinerario nello spazio, per cui il
racconto non ritorna mai negli stessi luoghi: qua Traiano s'imbarca in un porto, là approda e si mette in
marcia per inseguire il nemico, ecco una fortezza presa d'assalto con le «testuggini», e più in là entrare in
scena le artiglierie da campo: carrobalistae ossia catapulte montate su carri. Dappertutto si ricordano i morti
e i feriti, da ambo le parti, e le cure mediche, per cui l'esercito di Traiano andò famoso. È evidente
l'attenzione a non mettere in sottordine i contributi di nessun corpo dell’esercito romano: se si presenta un
ferito legionario, gli si affianca un altro ferito appartenente agli auxilia.
Dopo la battaglia finale della prima campagna dacica, si vede Traiano ricevere la supplica dei vinti,
uno dei quali gli abbraccia i ginocchi. Anche re Decebalo è tra i supplici, più discosto e dignitoso. Una
Vittoria alata separa la fine del racconto della prima campagna dall'inizio della seconda, con Traiano che
s'imbarca dal porto d'Ancona.
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I grandi interessi che comportavano le conquiste romane del Mar Nero (la Dacia era ricca tra 1'altro
di miniere d'oro) spiegano esaurientemente la grandiosità del culto traianeo (le feste delle celebrazioni
durarono 180 giorni; il donativo che toccò a ogni cittadino fu il più alto che si ricordi) e il complesso di
monumenti giganteschi attorno alla tomba e al tempio dell'Imperatore. Per noi è rimasta fino ad oggi questa
epopea di pietra, una delle più ampie e perfette narrazioni figurate che si conoscano.
(Da Italo Calvino, Saggi. 1945-1985, tomo I, a c. di Mario Barenghi, A. Mondadori, Milano, 1995, pp. 499505 con tagli)
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