Stoici - Università degli studi di Bergamo

15/12/2015
Materiale da consultare (obbligatorio)
Storia delle filosofia antica
Maddalena Bonelli
L. Perilli e D. Taormina (a cura di): La filosofia
antica. Itinerario storico e testuale, UTET 2012,
capitolo 8, pp. 197-198; capitolo 12
Cicerone, Il Fato, a cura di S. Maso, Carocci 2014
a.a.2015-2016
La causalità antica 5: Lo stoicismo
L’età ellenistica
Primo periodo (323-281)
L’età ellenistica viene divisa per comodità in tre
fasi:
(1) 323-281: periodo delle lotte tra i diadochi
(successori) di Alessandro Magno;
(2) 281-215: stabilizzazione dei grandi regni
ellenistici;
(3) 215-31: scontro tra i regni ellenistici e Roma,
che si conclude con la vittoria di Roma
Questo periodo è caratterizzato da guerre, paci e
accordi tra i generali di Alessandro e poi tra i
loro discendenti. L’impero di Alessandro, infatti,
viene suddiviso in aree, ciascuna delle quali
assegnata a uno dei suoi più stretti collaboratori.
Secondo periodo (281-215)
Terzo periodo (215-31)
Con la battaglia di Corupedio del 281 (ultima battaglia dei
diadochi di Alessandro), in cui restò ucciso Lisimaco (re di
Macedonia), e le successive morti di Tolomeo I d’Egitto e
di Seleuco di Siria, si stabilizzarono i quattro regni
ellenistici che, alla fine del II secolo a.C., risultarono così
composti:
a) il regno di Macedonia (con la dinastia antigonide)
b) il regno d’Egitto (con la dinastia tolemaica)
c) Il regno di Siria (con la dinastia seleucide);
d) Il regno di Pergamo (dinastia attalide) che dal 263
ottenne l’indipendenza dalla Siria.
Roma si scontrò per la prima volta con la Grecia nel 215, con lo
scoppio della prima delle tre guerre macedoniche. Al termine
della terza guerra macedonica (168, battaglia di Pidna), il regno
di Macedonia venne soppresso e diviso in quattro repubbliche
indipendenti. Solo nel 146 avverrà la costituzione della provincia
romana di Macedonia.
Il regno di Pergamo fu lasciato in eredità a Roma dal suo ultimo
re, Attalo III, nel 133.
Il regno dei Seleucidi, già sconfitto nel 188 al termine della
guerra siriaca, si smembrò tra aree occidentali, che formarono
con Pergamo la provincia romana di Siria nel 129, e aree
orientali, che caddero sotto il potere dei Parti.
Il regno d’Egitto divenne provincia romana solo dopo la vittoria
di Ottaviano nella battaglia di Anzio del 31 a.C.
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15/12/2015
Cambiamenti in età ellenistica
Cambiamenti in età ellenistica
- Il mondo ellenistico perde la polis, e si affermano
invece gli stati territoriali di tipo monarchico. Le
città sopravvivono ma sono svuotate del loro
significato politico e culturale, che fu proprio invece
dell’età classica.
- Tuttavia, nemmeno il progetto unitario di
Alessandro resistette. Alla sua morte, infatti, le lotte
dei diadochi portarono, dopo circa cinquant’anni,
alla formazione di una serie di regni indipendenti.
- Inoltre, non ci sarà reale integrazione tra
l’elemento greco-macedone e i popoli sottomessi.
Se è vero che la vita nelle città dei regni fu
ellenizzata (economicamente, socialmente e
culturalmente), non si può dire la stessa cosa nei
grandi territori dell’interno dei regni, le cui
condizioni non variarono molto rispetto al periodo
della dominazione persiana.
Fu comunque con Roma che si pose fine
all’indipendenza politica prima della Grecia e poi di
tutto il mondo ellenistico.
«Periodo ellenistico»
Periodo ellenistico
A partire dal XIX secolo, il periodo di circa tre secoli compreso
tra la morte di Alessandro (323) e quella di Cleopatra (30 a.C.)
fu convenzionalmente contrassegnato come Ellenismo o
periodo ellenistico.
Il primo a usare il termine fu Droysen (Storia dell’ellenismo, in
due volumi apparsi rispettivamente nel 1836 e nel 1843 in
tedesco). Il termine fa riferimento al processo politico di
ellenizzazione del Vicino Oriente, e poi fu usato, per
estensione, per designare l’intero periodo.
E’ dubbio, però, che sia corretto parlare di «ellenizzazione»
anche per gli sviluppi intellettuali e filosofici.
Droysen definì l’ellenismo in termini di
interazione tra cultura greca e culture del Vicino
Oriente, ma Keimpe Algra (autore del capitolo
sulla filosofia ellenistica in Perilli-Taormina)
ritiene che nulla del genere si può applicare alla
filosofia dell’epoca, che secondo lui non fu
multiculturale ma certamente greca e radicata
nelle antiche tradizioni presocratica e socratica.
La filosofia ellenistica: interpretazione
tradizionale
Tradizionalmente si ritiene che il periodo
ellenistico fu un’età di ansia e individualismo,
dovuti alla fine della polis greca e alla crisi della
dimensione politica dell’individuo.
Come conseguenza, gli individui si
allontanarono da una filosofia caratterizzata da
una dimensione politica per rifugiarsi in una
filosofia vista come appunto individualista e
salvifica.
Critica all’interpretazione tradizionale
Questa visione però esagera l’impatto del
cambiamento politico sulla vita quotidiana e
sminuisce gli aspetti sociali e teoretici della
filosofia ellenistica.
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Continuità con la tradizione
precedente
Cambiamenti rispetto alla tradizione
precedente
Le due grandi scuole del periodo ellenistico, cioè la
scuola epicurea e la scuola stoica si pongono in
linea di continuità con la tradizione precedente.
Nei suoi anni giovanili, Epicuro dichiarava di essere
seguace di Democrito, mentre il primo stoicismo fu
influenzato da Eraclito, dal cinismo, da Platone.
Quanto all’Academia scettica, che costituisce la
prima fase dell’altra celebre corrente filosofica
dell’ellenismo, e cioè lo Scetticismo, essa si pose in
linea con la cautela platonica in fatto di conoscenza
del mondo sensibile.
Detto questo, almeno le due grandi scuole
«dogmatiche», cioè epicureismo e stoicismo,
pretesero di fornire un sistema filosofico
onnicomprensivo e almeno in parte alternativo alla
tradizione precedente.
(1) Questi sistemi si incentrano sull’etica, cioè sulla
felicità e la vita virtuosa, in un modo che non
incontriamo nei filosofi più antichi, con la parziale
eccezione di Socrate.
Da questo punto di vista, possiamo dire che queste
scuole diventano settarie.
Scuole ellenistiche vs. scuole
precedenti
Limiti di queste caratterizzazioni
generali
- Mentre le scuole di Platone e di Aristotele avevano
in certo modo svolto il ruolo di istituti di ricerca, con
un atteggiamento di apertura anche verso le
critiche ai sistemi filosofici dei loro fondatori,
- stoicismo ed epicureismo ritennero le dottrine dei
fondatori come benefiche, e concepirono almeno in
parte queste dottrine come accettabili in blocco e
interiorizzabili come guida per la vita.
Dottrine, insomma, intese come precetti
impegnativi per la vita, per la concezione del
mondo, per il comportamento personale.
Le osservazioni fatte valgono soprattutto per epicureismo e
stoicismo, scuole ubicate in Atene, una nei giardini fuori della
porta del Dipylon, l’altra nella Stoà (portico) vicino all’Agorà.
Tuttavia, in contemporanea, continuarono ad esistere le
scuole di Platone e di Aristotele.
Nell’epoca considerata l’Academia si volse a una sorta di
scetticismo, volto a combattere il «dogmatismo» soprattutto
degli stoici.
Il Peripato, invece (cioè la scuola di Aristotele), da una fase
inizialmente conservativa dell’insieme delle dottrine
aristoteliche (con Teofrasto e Stratone), pare che a un certo
punto limitò i suoi interessi alla retorica e ad alcuni aspetti
dell’etica.
Limiti di queste caratterizzazioni
generali
Atene
Il panorama diventa ancora più articolato se si
considerano le meno influenti scuole cosiddette
socratiche minori: 1) la scuola dialettica (o
megarica) che si interessò esclusivamente di
logica; 2) i cirenaici, che si concentrarono
sull’epistemologia e sull’etica; 3) i cinici, che si
concentrarono su un’etica comportamentale di
rottura.
Ancora fino al I secolo a.C. Atene rimase un centro
di vita intellettuale molto vivace, e le sue scuole
filosofiche attrassero greci e romani da tutte le
parti. Essa però perse il monopolio culturale anche
se rimase importante fino al saccheggio di Silla
dell’86 a.C.
I Tolomei in Egitto avevano nel frattempo
trasformato il Museo di Alessandria in un altro
centro di riferimento culturale e scientifico (si
ricordi la celebre Biblioteca, che fu data alle fiamme
durante la spedizione di Cesare nel 48 a.C.)
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Epicureismo e Stoicismo
La causalità stoica
Delle scuole fondate nel periodo ellenistico,
stoicismo ed epicureismo ebbero particolare
successo, attirando un gran numero di seguaci fino
al III secolo d.C.
Tuttavia, nella tarda antichità si riaffermarono e
tornarono a trionfare platonismo e aristotelismo, e
questo durò fino al Medioevo.
I libri epicurei e stoici divennero sempre meno
richiesti, smisero di essere copiati, con il risultato i
testi giunti fino a noi hanno natura estremamente
frammentaria.
Nel resto di questo corso, ci occuperemo dello
stoicismo, in particolare della teoria stoica della
causalità.
Si tratta di una teoria particolare ed originale, che
ha suscitato molte polemiche e che ha condotto gli
avversari degli stoici ad accusarli di determinismo,
con conseguente negazione della libertà dell’azione
umana.
Vedremo che la teoria stoica ha forti legami con la
teoria fisica di alcuni filosofi della natura precedenti
a Platone e ad Aristotele.
Le fonti
Cicerone (106 a.C.-43 a.C.)
Purtroppo però degli stoici sono rimasti solo
frammenti, riportati da altre fonti. Ci troviamo,
cioè, nella stessa situazione che si è presentata a
proposito dei filosofi «presocratici».
Dovremo quindi utilizzare altre fonti per la
ricostruzione della teoria causale stoica, prima
fra tutte Cicerone.
Vissuto all’epoca di Cesare e di Pompeo, Cicerone è celebre
per il suo ruolo politico che lo portò, nella delicata fase
romana di passaggio dalla Repubblica al Principato, a
difendere il ruolo del Senato e ad essere assassinato da alcuni
sicari di Antonio.
Cicerone, però, a noi interessa soprattutto perché fu educato
alla filosofia ellenistica.
Fin da giovane ebbe per maestri filosofi epicurei e stoici, e poi
gli academici Filone di Larissa e Antioco di Ascalona, entrambi
scolarchi dell’Academia di Atene. Il primo fu successore di
Carneade e scettico, mentre il secondo concluse la fase
scettica e propugnò una teoria della conoscenza su base
sensistica (quindi molto lontana dal platonismo).
Cicerone
Gli stoici
Nel De fato, opera di cui considereremo qualche
passo, Cicerone si proclama academico seguace
di Carneade e prende posizione in suo favore
contro gli epicurei e gli stoici.
A noi interessa quello che dice degli Stoici,
poiché presenta alcuni frammenti sulla teoria
della causalità attribuiti a uno dei rappresentanti
principali dello stoicismo, e cioè Crisippo.
Prima però di considerare questi passi,
diamo qualche informazione sullo
stoicismo e consideriamo la teoria
cosmologica stoica, in cui la dottrina delle
cause si inserisce.
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Gli stoici
Gli stoici
Gli autori cui si fa riferimento per la dottrina stoica sul
destino sono Zenone di Cizio (IV secolo a.C. e fondatore
della scuola stoica ad Atene), Cleante (successore alla
scuola stoica), ma soprattutto Crisippo di Soli (III secolo
a.C.), anch’egli divenuto capo della scuola stoica.
Zenone pare sia stato il primo ad introdurre il concetto
di fato all’interno della sua teoria fisica generale,
caratterizzandolo come un principio attivo che
determina tutto (ma questo è tutto ciò che sappiamo di
Zenone).
Cleante ha partecipato alla discussione di quello che
viene chiamato “l’argomento dominante”.
E’ però con Crisippo che si ha una teoria articolata sul
destino. Sappiamo che Crisippo ha scritto un’opera in
due libri intitolata Sul fato, ma sappiamo anche che ha
trattato il problema del determinismo anche in altri
testi, quali Sul possibile, Sulla provvidenza, Sulla natura.
Gli stoici
Gli stoici
Di queste opere non abbiamo fonti dirette, ma
solo fonti secondarie. Nel caso di Crisippo, gli
autori principali che riportano suoi brani sul
determinismo sono appunto Cicerone (De fato),
Plutarco (De stoicorum repugnantiis), un tal
Diogeniano (a sua volta citato da Eusebio nel
suo testo Praeparatio evangelica) e Aulo Gellio
(Notti attiche). Nessuno di questi autori è stoico:
molti di loro sono invece polemici.
Nei due libri Sul fato, Crisippo non sembra aver
riportato la sua teoria sul destino, quanto la
confutazione e la discussione di obiezioni
portate avanti dai suoi avversari (mai nominati).
Il primo libro conteneva, pare, una difesa del
principio che ogni cosa accade in accordo col
destino; il secondo, una difesa della
compatibilità della teoria stoica del fato con
altri pilastri della filosofia stoica, ma anche con
certe assunzioni del senso comune.
Gli stoici
Il determinismo
In ogni caso, sono solo due gli stoici di cui possediamo
sufficiente materiale per ricostruire qualcosa come una
teoria del fato, determinismo e “libertà”: Crisippo e
l’innominato stoico di cui possediamo il resoconto fatto
da Alessandro nel suo De fato.
Noi però ci limiteremo a Crisippo, utilizzando un altro
De fato, quello di Cicerone.
Teniamo però presente che, almeno fino ai tempi di
Alessandro di Afrodisia (II-III secolo d.C.) troviamo
un acceso dibattito sul problema del determinismo
cui hanno dato il via proprio gli scritti di Crisippo,
soprattutto per le sue implicazioni morali legate alla
libertà di agire delle persone. Una delle critiche,
infatti, che viene maggiormente rivolta alla teoria
del fato è quella che afferma che se tutto è
determinato allora gli uomini non possiedono la
capacità di prendere decisioni e scegliere; né che ha
senso qualunque azione umana perché tutto
accadrà in ogni caso.
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Cosmologia stoica (Fonti: Diogene
Laerzio, Sesto Empirico, Seneca)
Cosmologia stoica
Secondo gli stoici, l’universo (olon) o mondo (kosmos) è un
continuum costituito da due principi (archai), attivo e passivo (DL
VII 139).
Il principio passivo è chiamato materia (hulè) e sostanza
inqualificata: amorfa, non possiede nessun potere di coesione né
di movimento.
Il principio attivo è chiamato «dio», «ragione del mondo»,
«causa del mondo», «fato», cioè destino. E’ eterno, sé movente,
è un potere (dynamis) ed è responsabile per ogni forma, qualità,
individuazione, differenziazione, coesione, cambiamento
nell’universo.
I due principi sono entrambi materiali. Il principio attivo è per
Crisippo il pneuma, un composto di aria e fuoco, mentre il
principio passivo è composto di terra e di acqua (ma alcune fonti
pensano che sia la materia del tutto inqualificata, che subisce la
trasformazione in acqua e terra a causa del principio attivo. Vedi
Algra, p.346).
I due principi formano un mescolanza perfetta, sia a livello
cosmologico che a livello di singoli individui, mantenendo le loro
rispettive qualità (Alex. mixt. 224-225).
Nella fisica stoica il mondo è visto sotto due prospettive diverse,
una globale, che considera l’intero cosmo come un’unica entità
vivente, e una interna, che considera gli oggetti singoli e le loro
relazioni con l’universo.
Cosmologia stoica
Cosmologia stoica
Gli oggetti sono tutti collegati tra loro dal principio attivo, che
conferisce loro una certa tensione o tono. Oggetti diversi hanno
un livello di complessità differente che dipende dalla tensione
che possiedono. Gli oggetti inanimati hanno solo la tensione (che
li tiene insieme), le piante hanno anche la natura (come principio
di automovimento), gli animali non-razionali un’anima, gli
animali razionali la ragione, che è il livello più alto di complessità.
Fisicamente, questi tipi di tensione sono pneuma di progressiva
finezza, fino ad arrivare allo pneuma più fine, che si trova negli
esseri razionali, nella parte dominante della loro anima
(egemonikon).
Il mondo come un intero è un essere razionale (DL VII, 142-143).
Proprio come gli esseri umani, in aggiunta alla tensione, natura,
anima, esso possiede la ragione. E’ un principio organizzatore
razionale chiamato «dio», «anima di dio», «natura di dio»,
«principio regolatore di dio».
Crisippo presenta un mondo organico ma strutturato in catene
causali, cioè in catene di eventi connessi tra loro. In esso il
destino è identificato con l’operare di un’unica causa, il principio
attivo (Stobeo, eclog I, 5-15); ma ci sono altri testi che
identificano il destino piuttosto come l’intreccio delle molte
cause ed eventi del mondo (es. DL VII 149).
La causalità stoica (Fonti: Stobeo, Sesto
Empirico)
La causalità stoica
Come per molte teorie filosofiche antiche, la
causalità è fondamentale anche per lo stoicismo e
in particolare per il determinismo stoico. Inoltre, il
destino è ripetutamente definito in termini di
causa, e l’affermazione secondo cui
«nessun cambiamento avviene senza una causa
antecedente»
è una delle affermazioni stoiche più discusse.
Tuttavia, la teoria stoica della causalità si differenzia
sia dalle teorie che abbiamo visto, sia dalla teoria
moderna della causa.
Tra le testimonianze, possediamo due descrizioni della causa
stoica, una che deriva da Stobeo (eclog I 138.23-139.2), una che
deriva da Sesto Empirico, Contro i matematici, 9.211.
1) «Crisippo afferma che la causa è ciò per cui (di’o), e che la
causa è un corpo che esiste, e che ciò di cui è causa è nonesistente e predicato; e che la causa è ‘perché’ (oti), e ciò di cui è
causa è ‘perché?’ (dia ti)».
2) «Gli stoici dicono che ogni causa è un corpo che diventa una
causa, per un corpo, di qualcosa di incorporeo; per esempio, lo
scalpello, che è un corpo, diventa una causa, per la carne, che è
un corpo, di un predicato incorporeo ‘essere tagliato’».
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La causalità stoica
Causa= di’o
causa = perché
ciò di cui è causa = perché?
La causalità stoica
Quindi, gli stoici trattato l’aition come un «perché»,
cioè come una risposta alla domanda «perché?». In tal
senso non si discostano dalla tradizione platonicoaristotelica.
Quello che cambia è il concetto di causa (vedi secondo
passo).
Ogni causazione implica per gli stoici tre fattori
principali, due corporei e uno incorporeo. Un corpo è
causa attiva (che fa qualche cosa), l’altro corpo
l’oggetto per cui il primo corpo è causa. L’effetto, cioè il
causato, è immateriale e si applica al secondo oggetto,
ed è regolarmente caratterizzato come «predicato»
(vedi Stobeo, Clemente, Sesto).
La causalità stoica
La causalità stoica
La sequenza causale sarà quindi siffatta:
- il coltello affilato è causa alla carne del predicato
«venire tagliata»;
- la carne tagliata è causa ai vestiti del predicato «venire
insozzato di sangue»
- i vestiti insozzati di sangue sono causa a Maria del
predicato «svenire».
La descrizione della causa come «ciò per cui», così come
la descrizione della coppia causa/effetto in termini di
«perché?/perché» e di «causa/ciò di cui è causa»
chiarisce che la causa e l’effetto sono relativi. La causa
non è un particolare corpo, ma è tale nel momento in cui
produce l’effetto (Sesto PH 3.25; M 9.207).
Quindi, l’unica azione causale accettata dagli stoici è
quella efficiente, che agisce sui corpi introducendo
predicati immateriali. Ogni interazione causale è
interazione tra corpi, con un corpo che agisce sull’altro.
Gli incorporei non possono agire, né subire. Quindi gli
effetti, in quanto incorporei, non possono né agire né
subire.
La causalità stoica
La causalità stoica
Dal punto di vista dell’agente umano, questi, che è un corpo,
agisce in quanto ha subito l’influsso causale di un insieme di
corpi esterni, influsso che consiste in un’impressione sensibile
(immateriale).
Il principio attivo di cui abbiamo parlato non è solo fonte di
movimento (in quanto principio dinamico), ma è richiesto
anche per qualunque stato qualitativo dell’oggetto, quindi è
visto come causa sia di movimento che di stati qualitativi (che
costituiscono l’oggetto com’è e lo mantengono com’è).
Il fatto che la causa sia un principio attivo, corporeo, che
agisce su un corpo provocando un predicato, fa sì che tutte le
altre cause individuate da Aristotele e accettate dai
peripatetici (come Alessandro), cioè materia, forma e fine,
divengano tutte solo condizioni necessarie.
Per esempio, Seneca afferma che «gli stoici sostengono
che c’è una sola causa, ciò che fa qualcosa» (Ep. 65.4).
Sesto afferma che tutti i dogmatici, inclusi gli stoici,
pensano che la causa sia «ciò grazie a cui (di’o), essendo
attiva, l’effetto arriva» (PH 3.14).
In qualunque causazione, solo quei fattori che
contribuiscono attivamente all’effetto sono propriamente
cause. Tale implicazione attiva vale sia per i cambiamenti
quantitativi che per quelli qualitativi. Per questo gli altri
fattori, considerati da Aristotele causali, divengono
semplici condiciones sine qua non.
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La serie delle cause
Per gli stoici tutte le cause sono attive, ma non
tutte sono necessitanti. In effetti, gli stoici
pensano che
(1) più cause possono concorrere a determinare
l’effetto in un corpo
e che
(2) le cause che concorrono a determinare un
effetto non sono di eguale valore e potenza.
La serie delle cause
La principale caratteristica della causazione di stati qualitativi è
quella che implica una causa potremmo dire “coesiva”
(synektikon), cioè la porzione di pneuma che l’oggetto
contiene—in quanto oggetto—responsabile per l’oggetto di
essere quell’oggetto. E’ la sua natura, possiamo dire.
La principale caratteristica della causazione di cambiamenti nel
mondo è la richiesta di una co-operazione di due cause o fattori
causali, di cui una deve essere antecedente all’effetto. Siccome
per gli stoici tutte le cause sono corporee, bisogna capire bene il
senso di «antecedente». Ora, il senso di «antecedente» è il
seguente: un corpo è antecedente solo nella misura in cui
contribuisce attivamente all’effetto.
La serie delle cause
L’argomento di Crisippo per la
compatibilità
C è una causa antecedente di un effetto E se il
periodo di tempo in cui C è attiva nel contribuire
a E precede, almeno in parte, il periodo di
tempo in cui sopraggiunge l’effetto.
La teoria stoica individua due tipi di cause:
quelle antecedenti e quelle che dipendono dalla
natura dell’oggetto.
Il destino viene identificato dagli stoici come la
serie delle cause antecedenti ad un evento.
Perché un evento di qualunque genere si
verifichi (il rammollimento del burro, il mangiare
questa torta, lo spostamento di questa palla) è
necessario che ci sia una causa esterna, a sua
volta preceduta da una causa esterna e collegata
ad altre cause esterne, che lo determini.
L’argomento di Crisippo (Cicerone)
L’argomento di Crisippo per la
compatibilità
Cicerone, una delle fonti fondamentali per la teoria stoica
del destino, afferma che:
«Se c’è un movimento incausato, non può essere che ogni
enunciato, che i dialettici chiamano assioma, sia vero o
falso; infatti ciò che non avrà una causa efficiente non
potrà essere né vero né falso. Eppure ogni enunciato è o
vero o falso, motivo per cui non può esserci movimento
incausato. Ma se è così, tutto ciò che accade, accade per
cause antecedenti; e se è così, tutto accade in virtù del
destino. Dunque, qualsiasi cosa succeda, essa si deve al
destino» (De fato 20-21, p. 59 Maso).
Qui Cicerone attribuisce a Crisippo un argomento che
presenta una sorta di mescolanza tra aspetto logico e
aspetto cosmologico.
Secondo tale argomento, non vi può essere nessun
movimento (nel senso di cambiamento) senza causa
efficiente, perché tale evento corrisponderebbe ad una
proposizione né vera né falsa (si noti come anche qui
l’importanza della causa sia essenziale per la
conoscenza e il valore epistemico delle proposizioni).
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L’argomento di Crisippo per la
compatibilità
L’argomento di Crisippo per la
compatibilità
Ora, i dialettici (sorta di deterministi, che però basano il
loro determinismo appunto sulla logica) sostengono
che ogni proposizione è o vera o falsa (principio di
bivalenza).
Quindi, tutto avverrà per cause antecedenti, e così,
tutto avverrà per destino.
Nell’argomento, ciò che non convince molto è
l’affermazione secondo cui «se c’è un movimento
incausato, non può essere che ogni enunciato…sia vero o
falso».
Quello che però qui ci interessa è l’idea che se tutto
avviene per cause antecedenti, tutto avviene per destino.
Quindi, si assiste a un’identificazione tra destino e serie
delle cause antecedenti.
Questa teoria diviene importante negli stoici per una
questione particolare, quella che riguarda le azioni che
dipendono da noi. Da questo punto di vista, il destino si
configura come l’intreccio degli eventi esterni all’agente.
Responsabilità umana (determinismo
hard)
L’argomento di Crisippo per la
compatibilità (compatibilismo)
Abbiamo una versione stoica che presenta una necessità
dura, come possiamo estrarre dalla testimonianza di
Ippolito, Confutazione di tutte le eresie, I 21:
«Anche costoro (Zenone e Crisippo) affermarono che
tutto avviene per destino, servendosi dell’esempio
seguente. E’ come quando un cane viene legato ad un
carro: se lo segue volentieri, viene trascinato e insieme
segue, compiendo insieme alla necessità anche un atto
volontario, se non lo segue volentieri, viene trascinato e
basta; lo stesso accade per gli esseri umani: anche se non
obbediscono volentieri (lo stesso) saranno costretti a
pervenire al termine fissato dal destino».
Il cane legato ad un carro, può decidere di seguire il carro
(compiendo assieme alla necessità un atto volontario); oppure
non lo segue volentieri, e quindi viene trascinato e basta. Lo
stesso avviene per gli esseri umani.
Anche se questa teoria viene attribuita non solo a Zenone ma
anche a Crisippo, di fatto quest’ultimo rielabora questa teoria in
modo tale da rendere compatibile il determinismo con la libertà
umana. Due sono gli apporti crisippei:
1. l’introduzione dell’ assenso allo stimolo esterno.
2. la distinzioni tra due serie di cause che concorrono
all’azione umana;
Ancora una volta ci affidiamo a Cicerone per considerare la
teoria crisippea della libertà umana. Ci sono testi paralleli in
Plutarco e Aulo Gellio.
L’assenso (adsensio)
L’assenso (adsensio)
Cicerone, De fato, 39-40 (p. 71-73 tr. Maso):
«E difatti questo a me pare…per volere del
destino».
All’inizio Cicerone contrappone due posizioni
riguardo all’assenso [39]:
(1) la posizione di coloro che pensavano che tutto
avviene per destino e che l’assenso (cioè la reazione
agli stimoli esterni) avviene per costrizione e
necessità (curiosamente Cicerone inserisce
Aristotele tra i deterministi);
(2) coloro che liberano l’assenso dal destino, poiché
ritengono che, se si collega l’assenso al destino, esso
risulta necessario.
Poi Cicerone presenta l’obiezione di (2) al determinismo
(40): se tutto accade per destino, tutto accade per via
di cause antecedenti. Se queste cause non dipendono
da noi, allora neanche ciò che ne consegue può
dipendere da noi, perciò non possiamo considerare
responsabili le persone per gli assensi che danno e le
azioni che compiono.
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15/12/2015
L’assenso (adsensio)
Qui Cicerone (come Seneca, Plutarco, Stobeo)
Sembrerebbe presentare la sequenza
i) presentazione-impulso-assenso-azione,
laddove altre fonti (Diogene Laerzio, Alessandro,
Plutarco e lo stesso Cicerone in altri passi) presentano
la sequenza:
ii) presentazione-assenso-impulso-azione.
L’assenso (adsensio)
Esempio:
presentazione = dell’immagine sensibile (l’immagine
sensibile di una fetta di torta al cioccolato)
impulso = tendenza verso quella presentazione (es.:
desiderio di mangiare quel pezzo di torta)
assenso = la mia natura dice sì a quella presentazione e
al desiderio
azione = mangio la torta.
L’assenso (adsensio)
Nel De fato Cicerone sembrerebbe presentare la sequenza
i) presentazione-assenso-impulso-azione
Cfr. sezione [42] dove il problema è chiaramente visto come
riguardante la dipendenza dell’assenso dalla causa antecedente.
Vedi però [41], dove parla dell’impulso in nostro potere!
La tesi qui presentata è che se l’assenso accade per via di una
causa antecedente, ciò che segue l’assenso, cioè l’impulso e
l’azione, accadono per via di una causa antecedente, di modo
che nulla (né impulso, né assenso, né azione) dipenderà da noi.
Ma vedi Bobzien, p. 248, che invece spiega il ragionamento di
Cicerone sulla base della sequenza presentazione-impulsoassenso-azione.
L’assenso (adsensio)
Questo dipende da cosa si intende per impulso
(adpetitus o adpetitio, che traduce o il greco ormè
oppure il greco orexis):
se «impulso» significa la tendenza risultante dalla
nostra natura propria (adpetitus), allora convince di più
la sequenza i);
se invece «impulso» significa il movimento tramite cui
mi porto verso l’oggetto
allora forse è meglio la sequenza ii).
L’assenso (adsensio)
Oppure:
presentazione = dell’immagine sensibile
(l’immagine sensibile di una fetta di torta al
cioccolato)
assenso = la mia natura dice sì a quella
presentazione e al desiderio
impulso = movimento tramite cui mi porto verso
l’oggetto della presentazione (es.: mi muovo verso
quel pezzo di torta)
azione = mangio la torta.
L’assenso (adsensio)
In ogni caso, da ciò deriverebbe che sono ingiuste le
valutazioni morali delle azioni umane (lode, biasimo,
punizioni). Ma siccome ciò è assurdo, bisogna
concludere che non tutto ciò che avviene, avviene per
destino.
Ciò che dipende da noi (in nostra potestate):
- O nel senso che l’agente è responsabile di compiere
l’azione x (ma anche di non compierla);
- o che l’agente è causa dell’azione x (ma non
dell’azione non-x, poiché essa non si è verificata).
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Due diversi tipi di cause
Due diversi tipi di cause
Dopodiché, Cicerone prende in considerazione la posizione di
Crisippo, che si pone come arbitro tra le due posizioni (ma
che, secondo Cicerone, non riesce nel suo intento). Cicerone
afferma che Crisippo disapprovava la tesi della necessità
dell’assenso, ma che allo stesso tempo voleva che nulla
accadesse senza cause antecedenti:
Sezioni 41-42, pp. 73-75 tr. Maso:
«Ma Crisippo…e la trottola ruoti».
NB: alla riga settima dal basso di p. 73 levare
«necessariamente»; settima riga dall’alto di p. 75 levare «per
questo», perché non compare nel testo.
Due tipi di cause
La prima introduzione crisippea è quella della distinzione tra due
tipi di cause:
1. le cause perfette e principali
2. le cause coadiuvanti e prossime.
Quando diciamo che tutto avviene per cause antecedenti, non
vogliamo che si intenda per cause perfette e principali, bensì per
cause coadiuvanti e prossime. Sono solo queste ultime a
identificarsi con le cause antecedenti, il che non vuol dire che
l’impulso non dipenda da noi. Lo sarebbe se ci fossero solo cause
perfette e principali; invece, le cause esterne sono solo quelle
coadiuvanti e prossime.
Due diversi tipi di cause
Due diversi tipi di cause
Il cono e il cilindro [43, p 75 Maso]:
«Perciò come colui…differenziazione delle cause».
Il cono e il cilindro vengono utilizzati come analogia
del comportamento umano, per farci capire in che
modo egli crede che sia nella facoltà dell’agente il
dare l’assenso alle impressioni.
Si parte da qualcosa di semplice e conosciuto: il
cono e il cilindro. Si immagina che questi due corpi
subiscano una forza (che viene dall’esterno) che li
induce a muoversi, senza la quale avrebbero
mantenuto lo stato di immobilità.
Il cilindro comincia a rotolare, il cono invece a ruotare su
se stesso. Ciò che è responsabile dei loro movimenti è la
loro stessa natura, cioè la forma che possiedono, che fa sì
che il cilindro si muova in modo diverso dal cono, qualora
subiscano una forza esterna.
Sequenza causale: due entità corporee (oggetto che
produce l’effetto e oggetto su cui l’effetto si manifesta) +
elemento incorporeo, l’effetto stesso, in questo caso, il
movimento. Per quel che riguarda il corpo che produce
l’effetto, abbiamo la cooperazione di due fattori: la
persona che spinge il cilindro e la natura stessa del
cilindro, che deve essere, o diventare, corporea,
condizione questa necessaria perché vi sia causalità.
Due diversi tipi di cause
Due diversi tipi di cause
Vediamo ora l’analogia con la mente umana (nostra
interpretazione).
L’effetto corrisponderebbe all’atto dell’assenso, che
gli esseri umani compiono a seguito della ricezione
di un impulso. Il primo elemento corporeo è
l’agente, o la mente dell’agente, mentre il secondo
elemento sarebbe composto da due fattori,
l’impressione (che viene dall’esterno) e la volontà di
ogni persona (causa perfetta e principale), costituita
dall’insieme di qualità caratteriali che appartengono
alle persone.
Essa è stabile, determinata, completamente
responsabile della forma che avrà l’effetto. In ogni
possibile caso di assenso, è la natura individuale
delle persone ad essere responsabile del fatto che
l’assenso venga accordato o meno. Quanto due
persone con nature individuali diverse vengono
messe a confronto riguardo alla stessa impressione,
una potrebbe dare l’assenso, l’altra no (così come il
cono e il cilindro, che si comportano in modo
diverso malgrado la spinta sia di uguale intensità,
ecc.).
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Due diversi tipi di cause
Il ragionamento del pigro (Cicerone)
Quindi: Crisippo alla catena che porta
dall’impressione all’azione, aggiunge la natura
individuale delle persone, della quale fa parte
anche il carattere morale. Tutte le volte che una
persona agisce secondo natura, le sue azioni
riflettono la sua moralità, e in questo modo è
possibile giudicare le azioni. Gli stoici dividevano le
persone tra sagge e non sagge: le prime forniscono
l’assenso solo alle impressioni vere, le seconde
tendono a dare l’assenso alle persone sbagliate.
De fato, 28-29:
«Ma neppure ci condizionerà…è esclusa dalla vita».
Il ragionamento è il seguente:
1) Se è determinato che A, che tu faccia o non
faccia y, A
2) Se è determinato che non-A, che tu faccia o non
faccia y, non-A
3) O è determinato che A o è determinato che nonA
4) Quindi per te è inutile fare y.
Conseguenza
Il disagio (presunto) degli stoici
Cicerone commenta con una generalizzazione:
se le persone dovessero seguire questo
ragionamento, nella vita non compirebbero più
alcuna attività.
Infatti il ragionamento (probabilmente dovuto ai
Megarici) intende dimostrare che se un evento è
determinato accadrà, a prescindere da qualsiasi
azione che possa impedirlo o favorirlo, e ciò
rende inutile ogni azione.
Perché gli stoici non possono accettare questa conclusione,
che sarebbe coerente con il determinismo? Non lo sappiamo
esattamente, ma possiamo ipotizzare due ragioni:
1) Perché li si potrebbe criticare sulla base di constatazioni
concrete, come il fatto che quotidianamente ognuno,
compresi loro, possa svolgere azioni come prendere una
medicina o intraprendere un viaggio;
2) Perché nella loro etica affermano che le persone
compiono determinate azioni per ottenere determinati
risultati al fine di raggiungere determinati obiettivi.
3) Argomento di Alessandro (De fato 16, 182.20;187.8):
perché potrebbero essere accusati di pigrizia e quindi non
essere dei buoni sudditi
Osservazioni
La replica di Crisippo
Si può d’altra parte osservare che l’inutilità delle azioni
non comporta necessariamente la passività degli esseri
umani. In particolare, anche se una persona è persuasa
dal ragionamento del pigro, ciò non esclude che essa
possa continuare a credere che le sue azioni siano
importanti per il raggiungimento del risultato, anche se
‘fatale’.
Es: se è destino che Milone vinca l’incontro di pugilato,
non è inutile, anzi è utile che ci sia un ring, un avversario,
e che egli combatta.
Comunque queste sono nostre osservazioni.
Crisippo conosce la critica e vi risponde a suo modo.
De fato 30:
«Questo ragionamento è criticato da Crisippo … ‘confatali’
tali azioni».
Crisippo basa la sua replica sulla distinzione tra due tipi di
eventi:
1) Eventi semplici
2) Eventi composti.
Es. di evento semplice:
«Socrate morirà in quel giorno»
Esempi di eventi composti:
«Edipo nascerà da Laio»; «Milone lotterà ad Olimpia».
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Eventi semplici/eventi composti
L’esempio di Socrate
Gli ultimi due sono esempi di eventi composti
perché, per verificarsi, necessitano della presenza di
un altro evento.
«Socrate morirà in quel giorno» sembra invece un
evento semplice perché il giorno della sua morte è
determinato a prescindere dalla presenza di
un’ipotetica azione y che potrebbe causare la morte
di Socrate. Quindi, un evento è semplice se accadrà
in qualsiasi caso, indipendentemente da altri eventi,
in particolare dalle azioni di Socrate.
Tuttavia, dobbiamo essere più precisi (Bobzien, p. 214).
In effetti, l’esempio sarebbe stato più chiaro se Cicerone
avesse detto semplicemente:
«Socrate morirà».
Infatti, è determinato che Socrate muoia,
indipendentemente da quello che farà (un’azione per
impedire la morte, un’azione per accogliere la morte).
Invece, se diciamo:
«Socrate morirà in quel giorno avvelenato dalla cicuta», la
cicuta e il bere la cicuta sono condizioni necessarie della
morte di Socrate-da-avvelenamento-da cicuta in quel
giorno (fissato dagli Ateniesi).
Eventi composti
Eventi composti
Invece, «Edipo nascerà da Laio» è un evento
composto perché per la sua realizzazione si
presuppone un altro evento, cioè che Laio abbia
un rapporto con sua moglie.
Sarebbe infatti falso affermare che Edipo
nascerà da Laio indipendentemente dal fatto
che Laio abbia o meno una relazione con
Giocasta.
Allo stesso modo, sarebbe falso dire che Milone
lotterà ad Olimpia sia che abbia un avversario, sia
che non lo abbia.
Possiamo quindi dedurre che:
un evento P è composto se c’è almeno un altro
elemento Q precedente o contemporaneo
all’evento stesso tale che
«P, sia che accada sia che non accada Q»
è falso.
Confatalità
Un esempio (Origene, Contro Celso, II
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L’esempio di Edipo (o di Milone) è definito anche
come con-fatale (o co-destinato).
Nel testo di Cicerone non abbiamo però
abbastanza informazioni per capire cosa si
intenda per confatali. Probabilmente si tratta di
eventi che si trovano in una certa relazione tra
loro, in particolare che l’uno sia la condizione
necessaria per l’avverarsi del secondo.
«Se è destino che tu abbia figli, sia che tu ti
accompagni con una donna, sia che tu non ti
accompagni, li avrai. Ma lo stesso vale se è destino
che tu abbia figli, o è destino che tu non li abbia; in
ogni caso è inutile che tu ti accompagni con una
donna. Come in questo caso, dato che è difficile,
anzi impossibile, avere figli senza andare con una
donna, non è inutile decidere di andarci, così quella
del medico diviene una scelta obbligata, se la
medicina è la via obbligata per uscire dalla malattia.
In tal modo è falso dire ‘è inutile andare dal
medico’».
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Chiarimenti
Nell’esempio troviamo un’analogia, cioè un
ragionamento parallelo a quello del medico
presentato da Cicerone, che però porta a evidenti
falsità.
Stando al ragionamento del pigro, per l’uomo
sarebbe inutile avere una relazione con una donna,
perché se è determinato che avrà un figlio, ciò
avverrà in ogni caso.
Dev’esserci quindi qualcosa di sbagliato
nell’argomento:
Errore nell’argomento?
1) Se è determinato che A, che tu faccia o non
faccia y, A
2) Se è determinato che non-A, che tu faccia o
non faccia y, non-A
3) O è determinato che A o è determinato che
non-A
4) Quindi per te è inutile fare y.
Un altro esempio (Diogeniano presso
Eusebio, Preparazione evangelica IV)
Essere determinato con
«Che il mio mantello non vada a brandelli non
dipende solo dal fato, ma anche dalle cure che gli si
prestano; e così lo scampare alla guerra dipende
anche dall’essere sfuggito ai nemici, e l’avere figli
non si darebbe senza la volontà di giacere con una
donna (…) Molte cose infatti non si realizzano senza
che noi le vogliamo, profondendo in esse uno
straordinario impegno ed entusiasmo; d’altra parte
è fissato dal destino che esse avvengono proprio
con questo impegno e con questo entusiasmo».
Tutti gli esempi riportati da Diogeniano (mantello,
guerra, avere figli) presentano due caratteristiche:
1) Una relazione di condizione necessaria tra
l’evento determinato e l’azione assieme alla quale è
determinato (ci sono cose che non si possono
verificare se le persone non compiono le azioni che
le fanno accadere);
2) Non solo l’evento è determinato, lo è anche
l’azione.
Eventi co-destinati (o co-fatali)
L’errore dell’argomento
Sia Cicerone che Diogeniano affermano che esistono
eventi che non possono accadere se non se ne verificano
degli altri, ed entrambi sono determinati.
Ma in Diogeniano troviamo una differenza:
Si insiste sul fatto che la condizione necessaria
dell’accadere di un evento dipende dall’uomo stesso e
non da qualcos’altro.
Le azioni non sono viste come agenti esterni che
intervengono sugli eventi, ma come cambiamenti che
avvengono per causa nostra, risultato di un’attività che ha
uno scopo ed è pure intenzionale.
Quindi, nell’argomento del pigro:
1) Se è determinato che A, che tu faccia o non
faccia y, A
2) Se è determinato che non-A, che tu faccia o non
faccia y, non-A
3) O è determinato che A o è determinato che nonA
4) Quindi per te è inutile fare y,
Ciò che è falso è la premessa 1) (e quindi anche la
premessa 2)).
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