15/12/2015 Materiale da consultare (obbligatorio) Storia delle filosofia antica Maddalena Bonelli L. Perilli e D. Taormina (a cura di): La filosofia antica. Itinerario storico e testuale, UTET 2012, capitolo 8, pp. 197-198; capitolo 12 Cicerone, Il Fato, a cura di S. Maso, Carocci 2014 a.a.2015-2016 La causalità antica 5: Lo stoicismo L’età ellenistica Primo periodo (323-281) L’età ellenistica viene divisa per comodità in tre fasi: (1) 323-281: periodo delle lotte tra i diadochi (successori) di Alessandro Magno; (2) 281-215: stabilizzazione dei grandi regni ellenistici; (3) 215-31: scontro tra i regni ellenistici e Roma, che si conclude con la vittoria di Roma Questo periodo è caratterizzato da guerre, paci e accordi tra i generali di Alessandro e poi tra i loro discendenti. L’impero di Alessandro, infatti, viene suddiviso in aree, ciascuna delle quali assegnata a uno dei suoi più stretti collaboratori. Secondo periodo (281-215) Terzo periodo (215-31) Con la battaglia di Corupedio del 281 (ultima battaglia dei diadochi di Alessandro), in cui restò ucciso Lisimaco (re di Macedonia), e le successive morti di Tolomeo I d’Egitto e di Seleuco di Siria, si stabilizzarono i quattro regni ellenistici che, alla fine del II secolo a.C., risultarono così composti: a) il regno di Macedonia (con la dinastia antigonide) b) il regno d’Egitto (con la dinastia tolemaica) c) Il regno di Siria (con la dinastia seleucide); d) Il regno di Pergamo (dinastia attalide) che dal 263 ottenne l’indipendenza dalla Siria. Roma si scontrò per la prima volta con la Grecia nel 215, con lo scoppio della prima delle tre guerre macedoniche. Al termine della terza guerra macedonica (168, battaglia di Pidna), il regno di Macedonia venne soppresso e diviso in quattro repubbliche indipendenti. Solo nel 146 avverrà la costituzione della provincia romana di Macedonia. Il regno di Pergamo fu lasciato in eredità a Roma dal suo ultimo re, Attalo III, nel 133. Il regno dei Seleucidi, già sconfitto nel 188 al termine della guerra siriaca, si smembrò tra aree occidentali, che formarono con Pergamo la provincia romana di Siria nel 129, e aree orientali, che caddero sotto il potere dei Parti. Il regno d’Egitto divenne provincia romana solo dopo la vittoria di Ottaviano nella battaglia di Anzio del 31 a.C. 1 15/12/2015 Cambiamenti in età ellenistica Cambiamenti in età ellenistica - Il mondo ellenistico perde la polis, e si affermano invece gli stati territoriali di tipo monarchico. Le città sopravvivono ma sono svuotate del loro significato politico e culturale, che fu proprio invece dell’età classica. - Tuttavia, nemmeno il progetto unitario di Alessandro resistette. Alla sua morte, infatti, le lotte dei diadochi portarono, dopo circa cinquant’anni, alla formazione di una serie di regni indipendenti. - Inoltre, non ci sarà reale integrazione tra l’elemento greco-macedone e i popoli sottomessi. Se è vero che la vita nelle città dei regni fu ellenizzata (economicamente, socialmente e culturalmente), non si può dire la stessa cosa nei grandi territori dell’interno dei regni, le cui condizioni non variarono molto rispetto al periodo della dominazione persiana. Fu comunque con Roma che si pose fine all’indipendenza politica prima della Grecia e poi di tutto il mondo ellenistico. «Periodo ellenistico» Periodo ellenistico A partire dal XIX secolo, il periodo di circa tre secoli compreso tra la morte di Alessandro (323) e quella di Cleopatra (30 a.C.) fu convenzionalmente contrassegnato come Ellenismo o periodo ellenistico. Il primo a usare il termine fu Droysen (Storia dell’ellenismo, in due volumi apparsi rispettivamente nel 1836 e nel 1843 in tedesco). Il termine fa riferimento al processo politico di ellenizzazione del Vicino Oriente, e poi fu usato, per estensione, per designare l’intero periodo. E’ dubbio, però, che sia corretto parlare di «ellenizzazione» anche per gli sviluppi intellettuali e filosofici. Droysen definì l’ellenismo in termini di interazione tra cultura greca e culture del Vicino Oriente, ma Keimpe Algra (autore del capitolo sulla filosofia ellenistica in Perilli-Taormina) ritiene che nulla del genere si può applicare alla filosofia dell’epoca, che secondo lui non fu multiculturale ma certamente greca e radicata nelle antiche tradizioni presocratica e socratica. La filosofia ellenistica: interpretazione tradizionale Tradizionalmente si ritiene che il periodo ellenistico fu un’età di ansia e individualismo, dovuti alla fine della polis greca e alla crisi della dimensione politica dell’individuo. Come conseguenza, gli individui si allontanarono da una filosofia caratterizzata da una dimensione politica per rifugiarsi in una filosofia vista come appunto individualista e salvifica. Critica all’interpretazione tradizionale Questa visione però esagera l’impatto del cambiamento politico sulla vita quotidiana e sminuisce gli aspetti sociali e teoretici della filosofia ellenistica. 2 15/12/2015 Continuità con la tradizione precedente Cambiamenti rispetto alla tradizione precedente Le due grandi scuole del periodo ellenistico, cioè la scuola epicurea e la scuola stoica si pongono in linea di continuità con la tradizione precedente. Nei suoi anni giovanili, Epicuro dichiarava di essere seguace di Democrito, mentre il primo stoicismo fu influenzato da Eraclito, dal cinismo, da Platone. Quanto all’Academia scettica, che costituisce la prima fase dell’altra celebre corrente filosofica dell’ellenismo, e cioè lo Scetticismo, essa si pose in linea con la cautela platonica in fatto di conoscenza del mondo sensibile. Detto questo, almeno le due grandi scuole «dogmatiche», cioè epicureismo e stoicismo, pretesero di fornire un sistema filosofico onnicomprensivo e almeno in parte alternativo alla tradizione precedente. (1) Questi sistemi si incentrano sull’etica, cioè sulla felicità e la vita virtuosa, in un modo che non incontriamo nei filosofi più antichi, con la parziale eccezione di Socrate. Da questo punto di vista, possiamo dire che queste scuole diventano settarie. Scuole ellenistiche vs. scuole precedenti Limiti di queste caratterizzazioni generali - Mentre le scuole di Platone e di Aristotele avevano in certo modo svolto il ruolo di istituti di ricerca, con un atteggiamento di apertura anche verso le critiche ai sistemi filosofici dei loro fondatori, - stoicismo ed epicureismo ritennero le dottrine dei fondatori come benefiche, e concepirono almeno in parte queste dottrine come accettabili in blocco e interiorizzabili come guida per la vita. Dottrine, insomma, intese come precetti impegnativi per la vita, per la concezione del mondo, per il comportamento personale. Le osservazioni fatte valgono soprattutto per epicureismo e stoicismo, scuole ubicate in Atene, una nei giardini fuori della porta del Dipylon, l’altra nella Stoà (portico) vicino all’Agorà. Tuttavia, in contemporanea, continuarono ad esistere le scuole di Platone e di Aristotele. Nell’epoca considerata l’Academia si volse a una sorta di scetticismo, volto a combattere il «dogmatismo» soprattutto degli stoici. Il Peripato, invece (cioè la scuola di Aristotele), da una fase inizialmente conservativa dell’insieme delle dottrine aristoteliche (con Teofrasto e Stratone), pare che a un certo punto limitò i suoi interessi alla retorica e ad alcuni aspetti dell’etica. Limiti di queste caratterizzazioni generali Atene Il panorama diventa ancora più articolato se si considerano le meno influenti scuole cosiddette socratiche minori: 1) la scuola dialettica (o megarica) che si interessò esclusivamente di logica; 2) i cirenaici, che si concentrarono sull’epistemologia e sull’etica; 3) i cinici, che si concentrarono su un’etica comportamentale di rottura. Ancora fino al I secolo a.C. Atene rimase un centro di vita intellettuale molto vivace, e le sue scuole filosofiche attrassero greci e romani da tutte le parti. Essa però perse il monopolio culturale anche se rimase importante fino al saccheggio di Silla dell’86 a.C. I Tolomei in Egitto avevano nel frattempo trasformato il Museo di Alessandria in un altro centro di riferimento culturale e scientifico (si ricordi la celebre Biblioteca, che fu data alle fiamme durante la spedizione di Cesare nel 48 a.C.) 3 15/12/2015 Epicureismo e Stoicismo La causalità stoica Delle scuole fondate nel periodo ellenistico, stoicismo ed epicureismo ebbero particolare successo, attirando un gran numero di seguaci fino al III secolo d.C. Tuttavia, nella tarda antichità si riaffermarono e tornarono a trionfare platonismo e aristotelismo, e questo durò fino al Medioevo. I libri epicurei e stoici divennero sempre meno richiesti, smisero di essere copiati, con il risultato i testi giunti fino a noi hanno natura estremamente frammentaria. Nel resto di questo corso, ci occuperemo dello stoicismo, in particolare della teoria stoica della causalità. Si tratta di una teoria particolare ed originale, che ha suscitato molte polemiche e che ha condotto gli avversari degli stoici ad accusarli di determinismo, con conseguente negazione della libertà dell’azione umana. Vedremo che la teoria stoica ha forti legami con la teoria fisica di alcuni filosofi della natura precedenti a Platone e ad Aristotele. Le fonti Cicerone (106 a.C.-43 a.C.) Purtroppo però degli stoici sono rimasti solo frammenti, riportati da altre fonti. Ci troviamo, cioè, nella stessa situazione che si è presentata a proposito dei filosofi «presocratici». Dovremo quindi utilizzare altre fonti per la ricostruzione della teoria causale stoica, prima fra tutte Cicerone. Vissuto all’epoca di Cesare e di Pompeo, Cicerone è celebre per il suo ruolo politico che lo portò, nella delicata fase romana di passaggio dalla Repubblica al Principato, a difendere il ruolo del Senato e ad essere assassinato da alcuni sicari di Antonio. Cicerone, però, a noi interessa soprattutto perché fu educato alla filosofia ellenistica. Fin da giovane ebbe per maestri filosofi epicurei e stoici, e poi gli academici Filone di Larissa e Antioco di Ascalona, entrambi scolarchi dell’Academia di Atene. Il primo fu successore di Carneade e scettico, mentre il secondo concluse la fase scettica e propugnò una teoria della conoscenza su base sensistica (quindi molto lontana dal platonismo). Cicerone Gli stoici Nel De fato, opera di cui considereremo qualche passo, Cicerone si proclama academico seguace di Carneade e prende posizione in suo favore contro gli epicurei e gli stoici. A noi interessa quello che dice degli Stoici, poiché presenta alcuni frammenti sulla teoria della causalità attribuiti a uno dei rappresentanti principali dello stoicismo, e cioè Crisippo. Prima però di considerare questi passi, diamo qualche informazione sullo stoicismo e consideriamo la teoria cosmologica stoica, in cui la dottrina delle cause si inserisce. 4 15/12/2015 Gli stoici Gli stoici Gli autori cui si fa riferimento per la dottrina stoica sul destino sono Zenone di Cizio (IV secolo a.C. e fondatore della scuola stoica ad Atene), Cleante (successore alla scuola stoica), ma soprattutto Crisippo di Soli (III secolo a.C.), anch’egli divenuto capo della scuola stoica. Zenone pare sia stato il primo ad introdurre il concetto di fato all’interno della sua teoria fisica generale, caratterizzandolo come un principio attivo che determina tutto (ma questo è tutto ciò che sappiamo di Zenone). Cleante ha partecipato alla discussione di quello che viene chiamato “l’argomento dominante”. E’ però con Crisippo che si ha una teoria articolata sul destino. Sappiamo che Crisippo ha scritto un’opera in due libri intitolata Sul fato, ma sappiamo anche che ha trattato il problema del determinismo anche in altri testi, quali Sul possibile, Sulla provvidenza, Sulla natura. Gli stoici Gli stoici Di queste opere non abbiamo fonti dirette, ma solo fonti secondarie. Nel caso di Crisippo, gli autori principali che riportano suoi brani sul determinismo sono appunto Cicerone (De fato), Plutarco (De stoicorum repugnantiis), un tal Diogeniano (a sua volta citato da Eusebio nel suo testo Praeparatio evangelica) e Aulo Gellio (Notti attiche). Nessuno di questi autori è stoico: molti di loro sono invece polemici. Nei due libri Sul fato, Crisippo non sembra aver riportato la sua teoria sul destino, quanto la confutazione e la discussione di obiezioni portate avanti dai suoi avversari (mai nominati). Il primo libro conteneva, pare, una difesa del principio che ogni cosa accade in accordo col destino; il secondo, una difesa della compatibilità della teoria stoica del fato con altri pilastri della filosofia stoica, ma anche con certe assunzioni del senso comune. Gli stoici Il determinismo In ogni caso, sono solo due gli stoici di cui possediamo sufficiente materiale per ricostruire qualcosa come una teoria del fato, determinismo e “libertà”: Crisippo e l’innominato stoico di cui possediamo il resoconto fatto da Alessandro nel suo De fato. Noi però ci limiteremo a Crisippo, utilizzando un altro De fato, quello di Cicerone. Teniamo però presente che, almeno fino ai tempi di Alessandro di Afrodisia (II-III secolo d.C.) troviamo un acceso dibattito sul problema del determinismo cui hanno dato il via proprio gli scritti di Crisippo, soprattutto per le sue implicazioni morali legate alla libertà di agire delle persone. Una delle critiche, infatti, che viene maggiormente rivolta alla teoria del fato è quella che afferma che se tutto è determinato allora gli uomini non possiedono la capacità di prendere decisioni e scegliere; né che ha senso qualunque azione umana perché tutto accadrà in ogni caso. 5 15/12/2015 Cosmologia stoica (Fonti: Diogene Laerzio, Sesto Empirico, Seneca) Cosmologia stoica Secondo gli stoici, l’universo (olon) o mondo (kosmos) è un continuum costituito da due principi (archai), attivo e passivo (DL VII 139). Il principio passivo è chiamato materia (hulè) e sostanza inqualificata: amorfa, non possiede nessun potere di coesione né di movimento. Il principio attivo è chiamato «dio», «ragione del mondo», «causa del mondo», «fato», cioè destino. E’ eterno, sé movente, è un potere (dynamis) ed è responsabile per ogni forma, qualità, individuazione, differenziazione, coesione, cambiamento nell’universo. I due principi sono entrambi materiali. Il principio attivo è per Crisippo il pneuma, un composto di aria e fuoco, mentre il principio passivo è composto di terra e di acqua (ma alcune fonti pensano che sia la materia del tutto inqualificata, che subisce la trasformazione in acqua e terra a causa del principio attivo. Vedi Algra, p.346). I due principi formano un mescolanza perfetta, sia a livello cosmologico che a livello di singoli individui, mantenendo le loro rispettive qualità (Alex. mixt. 224-225). Nella fisica stoica il mondo è visto sotto due prospettive diverse, una globale, che considera l’intero cosmo come un’unica entità vivente, e una interna, che considera gli oggetti singoli e le loro relazioni con l’universo. Cosmologia stoica Cosmologia stoica Gli oggetti sono tutti collegati tra loro dal principio attivo, che conferisce loro una certa tensione o tono. Oggetti diversi hanno un livello di complessità differente che dipende dalla tensione che possiedono. Gli oggetti inanimati hanno solo la tensione (che li tiene insieme), le piante hanno anche la natura (come principio di automovimento), gli animali non-razionali un’anima, gli animali razionali la ragione, che è il livello più alto di complessità. Fisicamente, questi tipi di tensione sono pneuma di progressiva finezza, fino ad arrivare allo pneuma più fine, che si trova negli esseri razionali, nella parte dominante della loro anima (egemonikon). Il mondo come un intero è un essere razionale (DL VII, 142-143). Proprio come gli esseri umani, in aggiunta alla tensione, natura, anima, esso possiede la ragione. E’ un principio organizzatore razionale chiamato «dio», «anima di dio», «natura di dio», «principio regolatore di dio». Crisippo presenta un mondo organico ma strutturato in catene causali, cioè in catene di eventi connessi tra loro. In esso il destino è identificato con l’operare di un’unica causa, il principio attivo (Stobeo, eclog I, 5-15); ma ci sono altri testi che identificano il destino piuttosto come l’intreccio delle molte cause ed eventi del mondo (es. DL VII 149). La causalità stoica (Fonti: Stobeo, Sesto Empirico) La causalità stoica Come per molte teorie filosofiche antiche, la causalità è fondamentale anche per lo stoicismo e in particolare per il determinismo stoico. Inoltre, il destino è ripetutamente definito in termini di causa, e l’affermazione secondo cui «nessun cambiamento avviene senza una causa antecedente» è una delle affermazioni stoiche più discusse. Tuttavia, la teoria stoica della causalità si differenzia sia dalle teorie che abbiamo visto, sia dalla teoria moderna della causa. Tra le testimonianze, possediamo due descrizioni della causa stoica, una che deriva da Stobeo (eclog I 138.23-139.2), una che deriva da Sesto Empirico, Contro i matematici, 9.211. 1) «Crisippo afferma che la causa è ciò per cui (di’o), e che la causa è un corpo che esiste, e che ciò di cui è causa è nonesistente e predicato; e che la causa è ‘perché’ (oti), e ciò di cui è causa è ‘perché?’ (dia ti)». 2) «Gli stoici dicono che ogni causa è un corpo che diventa una causa, per un corpo, di qualcosa di incorporeo; per esempio, lo scalpello, che è un corpo, diventa una causa, per la carne, che è un corpo, di un predicato incorporeo ‘essere tagliato’». 6 15/12/2015 La causalità stoica Causa= di’o causa = perché ciò di cui è causa = perché? La causalità stoica Quindi, gli stoici trattato l’aition come un «perché», cioè come una risposta alla domanda «perché?». In tal senso non si discostano dalla tradizione platonicoaristotelica. Quello che cambia è il concetto di causa (vedi secondo passo). Ogni causazione implica per gli stoici tre fattori principali, due corporei e uno incorporeo. Un corpo è causa attiva (che fa qualche cosa), l’altro corpo l’oggetto per cui il primo corpo è causa. L’effetto, cioè il causato, è immateriale e si applica al secondo oggetto, ed è regolarmente caratterizzato come «predicato» (vedi Stobeo, Clemente, Sesto). La causalità stoica La causalità stoica La sequenza causale sarà quindi siffatta: - il coltello affilato è causa alla carne del predicato «venire tagliata»; - la carne tagliata è causa ai vestiti del predicato «venire insozzato di sangue» - i vestiti insozzati di sangue sono causa a Maria del predicato «svenire». La descrizione della causa come «ciò per cui», così come la descrizione della coppia causa/effetto in termini di «perché?/perché» e di «causa/ciò di cui è causa» chiarisce che la causa e l’effetto sono relativi. La causa non è un particolare corpo, ma è tale nel momento in cui produce l’effetto (Sesto PH 3.25; M 9.207). Quindi, l’unica azione causale accettata dagli stoici è quella efficiente, che agisce sui corpi introducendo predicati immateriali. Ogni interazione causale è interazione tra corpi, con un corpo che agisce sull’altro. Gli incorporei non possono agire, né subire. Quindi gli effetti, in quanto incorporei, non possono né agire né subire. La causalità stoica La causalità stoica Dal punto di vista dell’agente umano, questi, che è un corpo, agisce in quanto ha subito l’influsso causale di un insieme di corpi esterni, influsso che consiste in un’impressione sensibile (immateriale). Il principio attivo di cui abbiamo parlato non è solo fonte di movimento (in quanto principio dinamico), ma è richiesto anche per qualunque stato qualitativo dell’oggetto, quindi è visto come causa sia di movimento che di stati qualitativi (che costituiscono l’oggetto com’è e lo mantengono com’è). Il fatto che la causa sia un principio attivo, corporeo, che agisce su un corpo provocando un predicato, fa sì che tutte le altre cause individuate da Aristotele e accettate dai peripatetici (come Alessandro), cioè materia, forma e fine, divengano tutte solo condizioni necessarie. Per esempio, Seneca afferma che «gli stoici sostengono che c’è una sola causa, ciò che fa qualcosa» (Ep. 65.4). Sesto afferma che tutti i dogmatici, inclusi gli stoici, pensano che la causa sia «ciò grazie a cui (di’o), essendo attiva, l’effetto arriva» (PH 3.14). In qualunque causazione, solo quei fattori che contribuiscono attivamente all’effetto sono propriamente cause. Tale implicazione attiva vale sia per i cambiamenti quantitativi che per quelli qualitativi. Per questo gli altri fattori, considerati da Aristotele causali, divengono semplici condiciones sine qua non. 7 15/12/2015 La serie delle cause Per gli stoici tutte le cause sono attive, ma non tutte sono necessitanti. In effetti, gli stoici pensano che (1) più cause possono concorrere a determinare l’effetto in un corpo e che (2) le cause che concorrono a determinare un effetto non sono di eguale valore e potenza. La serie delle cause La principale caratteristica della causazione di stati qualitativi è quella che implica una causa potremmo dire “coesiva” (synektikon), cioè la porzione di pneuma che l’oggetto contiene—in quanto oggetto—responsabile per l’oggetto di essere quell’oggetto. E’ la sua natura, possiamo dire. La principale caratteristica della causazione di cambiamenti nel mondo è la richiesta di una co-operazione di due cause o fattori causali, di cui una deve essere antecedente all’effetto. Siccome per gli stoici tutte le cause sono corporee, bisogna capire bene il senso di «antecedente». Ora, il senso di «antecedente» è il seguente: un corpo è antecedente solo nella misura in cui contribuisce attivamente all’effetto. La serie delle cause L’argomento di Crisippo per la compatibilità C è una causa antecedente di un effetto E se il periodo di tempo in cui C è attiva nel contribuire a E precede, almeno in parte, il periodo di tempo in cui sopraggiunge l’effetto. La teoria stoica individua due tipi di cause: quelle antecedenti e quelle che dipendono dalla natura dell’oggetto. Il destino viene identificato dagli stoici come la serie delle cause antecedenti ad un evento. Perché un evento di qualunque genere si verifichi (il rammollimento del burro, il mangiare questa torta, lo spostamento di questa palla) è necessario che ci sia una causa esterna, a sua volta preceduta da una causa esterna e collegata ad altre cause esterne, che lo determini. L’argomento di Crisippo (Cicerone) L’argomento di Crisippo per la compatibilità Cicerone, una delle fonti fondamentali per la teoria stoica del destino, afferma che: «Se c’è un movimento incausato, non può essere che ogni enunciato, che i dialettici chiamano assioma, sia vero o falso; infatti ciò che non avrà una causa efficiente non potrà essere né vero né falso. Eppure ogni enunciato è o vero o falso, motivo per cui non può esserci movimento incausato. Ma se è così, tutto ciò che accade, accade per cause antecedenti; e se è così, tutto accade in virtù del destino. Dunque, qualsiasi cosa succeda, essa si deve al destino» (De fato 20-21, p. 59 Maso). Qui Cicerone attribuisce a Crisippo un argomento che presenta una sorta di mescolanza tra aspetto logico e aspetto cosmologico. Secondo tale argomento, non vi può essere nessun movimento (nel senso di cambiamento) senza causa efficiente, perché tale evento corrisponderebbe ad una proposizione né vera né falsa (si noti come anche qui l’importanza della causa sia essenziale per la conoscenza e il valore epistemico delle proposizioni). 8 15/12/2015 L’argomento di Crisippo per la compatibilità L’argomento di Crisippo per la compatibilità Ora, i dialettici (sorta di deterministi, che però basano il loro determinismo appunto sulla logica) sostengono che ogni proposizione è o vera o falsa (principio di bivalenza). Quindi, tutto avverrà per cause antecedenti, e così, tutto avverrà per destino. Nell’argomento, ciò che non convince molto è l’affermazione secondo cui «se c’è un movimento incausato, non può essere che ogni enunciato…sia vero o falso». Quello che però qui ci interessa è l’idea che se tutto avviene per cause antecedenti, tutto avviene per destino. Quindi, si assiste a un’identificazione tra destino e serie delle cause antecedenti. Questa teoria diviene importante negli stoici per una questione particolare, quella che riguarda le azioni che dipendono da noi. Da questo punto di vista, il destino si configura come l’intreccio degli eventi esterni all’agente. Responsabilità umana (determinismo hard) L’argomento di Crisippo per la compatibilità (compatibilismo) Abbiamo una versione stoica che presenta una necessità dura, come possiamo estrarre dalla testimonianza di Ippolito, Confutazione di tutte le eresie, I 21: «Anche costoro (Zenone e Crisippo) affermarono che tutto avviene per destino, servendosi dell’esempio seguente. E’ come quando un cane viene legato ad un carro: se lo segue volentieri, viene trascinato e insieme segue, compiendo insieme alla necessità anche un atto volontario, se non lo segue volentieri, viene trascinato e basta; lo stesso accade per gli esseri umani: anche se non obbediscono volentieri (lo stesso) saranno costretti a pervenire al termine fissato dal destino». Il cane legato ad un carro, può decidere di seguire il carro (compiendo assieme alla necessità un atto volontario); oppure non lo segue volentieri, e quindi viene trascinato e basta. Lo stesso avviene per gli esseri umani. Anche se questa teoria viene attribuita non solo a Zenone ma anche a Crisippo, di fatto quest’ultimo rielabora questa teoria in modo tale da rendere compatibile il determinismo con la libertà umana. Due sono gli apporti crisippei: 1. l’introduzione dell’ assenso allo stimolo esterno. 2. la distinzioni tra due serie di cause che concorrono all’azione umana; Ancora una volta ci affidiamo a Cicerone per considerare la teoria crisippea della libertà umana. Ci sono testi paralleli in Plutarco e Aulo Gellio. L’assenso (adsensio) L’assenso (adsensio) Cicerone, De fato, 39-40 (p. 71-73 tr. Maso): «E difatti questo a me pare…per volere del destino». All’inizio Cicerone contrappone due posizioni riguardo all’assenso [39]: (1) la posizione di coloro che pensavano che tutto avviene per destino e che l’assenso (cioè la reazione agli stimoli esterni) avviene per costrizione e necessità (curiosamente Cicerone inserisce Aristotele tra i deterministi); (2) coloro che liberano l’assenso dal destino, poiché ritengono che, se si collega l’assenso al destino, esso risulta necessario. Poi Cicerone presenta l’obiezione di (2) al determinismo (40): se tutto accade per destino, tutto accade per via di cause antecedenti. Se queste cause non dipendono da noi, allora neanche ciò che ne consegue può dipendere da noi, perciò non possiamo considerare responsabili le persone per gli assensi che danno e le azioni che compiono. 9 15/12/2015 L’assenso (adsensio) Qui Cicerone (come Seneca, Plutarco, Stobeo) Sembrerebbe presentare la sequenza i) presentazione-impulso-assenso-azione, laddove altre fonti (Diogene Laerzio, Alessandro, Plutarco e lo stesso Cicerone in altri passi) presentano la sequenza: ii) presentazione-assenso-impulso-azione. L’assenso (adsensio) Esempio: presentazione = dell’immagine sensibile (l’immagine sensibile di una fetta di torta al cioccolato) impulso = tendenza verso quella presentazione (es.: desiderio di mangiare quel pezzo di torta) assenso = la mia natura dice sì a quella presentazione e al desiderio azione = mangio la torta. L’assenso (adsensio) Nel De fato Cicerone sembrerebbe presentare la sequenza i) presentazione-assenso-impulso-azione Cfr. sezione [42] dove il problema è chiaramente visto come riguardante la dipendenza dell’assenso dalla causa antecedente. Vedi però [41], dove parla dell’impulso in nostro potere! La tesi qui presentata è che se l’assenso accade per via di una causa antecedente, ciò che segue l’assenso, cioè l’impulso e l’azione, accadono per via di una causa antecedente, di modo che nulla (né impulso, né assenso, né azione) dipenderà da noi. Ma vedi Bobzien, p. 248, che invece spiega il ragionamento di Cicerone sulla base della sequenza presentazione-impulsoassenso-azione. L’assenso (adsensio) Questo dipende da cosa si intende per impulso (adpetitus o adpetitio, che traduce o il greco ormè oppure il greco orexis): se «impulso» significa la tendenza risultante dalla nostra natura propria (adpetitus), allora convince di più la sequenza i); se invece «impulso» significa il movimento tramite cui mi porto verso l’oggetto allora forse è meglio la sequenza ii). L’assenso (adsensio) Oppure: presentazione = dell’immagine sensibile (l’immagine sensibile di una fetta di torta al cioccolato) assenso = la mia natura dice sì a quella presentazione e al desiderio impulso = movimento tramite cui mi porto verso l’oggetto della presentazione (es.: mi muovo verso quel pezzo di torta) azione = mangio la torta. L’assenso (adsensio) In ogni caso, da ciò deriverebbe che sono ingiuste le valutazioni morali delle azioni umane (lode, biasimo, punizioni). Ma siccome ciò è assurdo, bisogna concludere che non tutto ciò che avviene, avviene per destino. Ciò che dipende da noi (in nostra potestate): - O nel senso che l’agente è responsabile di compiere l’azione x (ma anche di non compierla); - o che l’agente è causa dell’azione x (ma non dell’azione non-x, poiché essa non si è verificata). 10 15/12/2015 Due diversi tipi di cause Due diversi tipi di cause Dopodiché, Cicerone prende in considerazione la posizione di Crisippo, che si pone come arbitro tra le due posizioni (ma che, secondo Cicerone, non riesce nel suo intento). Cicerone afferma che Crisippo disapprovava la tesi della necessità dell’assenso, ma che allo stesso tempo voleva che nulla accadesse senza cause antecedenti: Sezioni 41-42, pp. 73-75 tr. Maso: «Ma Crisippo…e la trottola ruoti». NB: alla riga settima dal basso di p. 73 levare «necessariamente»; settima riga dall’alto di p. 75 levare «per questo», perché non compare nel testo. Due tipi di cause La prima introduzione crisippea è quella della distinzione tra due tipi di cause: 1. le cause perfette e principali 2. le cause coadiuvanti e prossime. Quando diciamo che tutto avviene per cause antecedenti, non vogliamo che si intenda per cause perfette e principali, bensì per cause coadiuvanti e prossime. Sono solo queste ultime a identificarsi con le cause antecedenti, il che non vuol dire che l’impulso non dipenda da noi. Lo sarebbe se ci fossero solo cause perfette e principali; invece, le cause esterne sono solo quelle coadiuvanti e prossime. Due diversi tipi di cause Due diversi tipi di cause Il cono e il cilindro [43, p 75 Maso]: «Perciò come colui…differenziazione delle cause». Il cono e il cilindro vengono utilizzati come analogia del comportamento umano, per farci capire in che modo egli crede che sia nella facoltà dell’agente il dare l’assenso alle impressioni. Si parte da qualcosa di semplice e conosciuto: il cono e il cilindro. Si immagina che questi due corpi subiscano una forza (che viene dall’esterno) che li induce a muoversi, senza la quale avrebbero mantenuto lo stato di immobilità. Il cilindro comincia a rotolare, il cono invece a ruotare su se stesso. Ciò che è responsabile dei loro movimenti è la loro stessa natura, cioè la forma che possiedono, che fa sì che il cilindro si muova in modo diverso dal cono, qualora subiscano una forza esterna. Sequenza causale: due entità corporee (oggetto che produce l’effetto e oggetto su cui l’effetto si manifesta) + elemento incorporeo, l’effetto stesso, in questo caso, il movimento. Per quel che riguarda il corpo che produce l’effetto, abbiamo la cooperazione di due fattori: la persona che spinge il cilindro e la natura stessa del cilindro, che deve essere, o diventare, corporea, condizione questa necessaria perché vi sia causalità. Due diversi tipi di cause Due diversi tipi di cause Vediamo ora l’analogia con la mente umana (nostra interpretazione). L’effetto corrisponderebbe all’atto dell’assenso, che gli esseri umani compiono a seguito della ricezione di un impulso. Il primo elemento corporeo è l’agente, o la mente dell’agente, mentre il secondo elemento sarebbe composto da due fattori, l’impressione (che viene dall’esterno) e la volontà di ogni persona (causa perfetta e principale), costituita dall’insieme di qualità caratteriali che appartengono alle persone. Essa è stabile, determinata, completamente responsabile della forma che avrà l’effetto. In ogni possibile caso di assenso, è la natura individuale delle persone ad essere responsabile del fatto che l’assenso venga accordato o meno. Quanto due persone con nature individuali diverse vengono messe a confronto riguardo alla stessa impressione, una potrebbe dare l’assenso, l’altra no (così come il cono e il cilindro, che si comportano in modo diverso malgrado la spinta sia di uguale intensità, ecc.). 11 15/12/2015 Due diversi tipi di cause Il ragionamento del pigro (Cicerone) Quindi: Crisippo alla catena che porta dall’impressione all’azione, aggiunge la natura individuale delle persone, della quale fa parte anche il carattere morale. Tutte le volte che una persona agisce secondo natura, le sue azioni riflettono la sua moralità, e in questo modo è possibile giudicare le azioni. Gli stoici dividevano le persone tra sagge e non sagge: le prime forniscono l’assenso solo alle impressioni vere, le seconde tendono a dare l’assenso alle persone sbagliate. De fato, 28-29: «Ma neppure ci condizionerà…è esclusa dalla vita». Il ragionamento è il seguente: 1) Se è determinato che A, che tu faccia o non faccia y, A 2) Se è determinato che non-A, che tu faccia o non faccia y, non-A 3) O è determinato che A o è determinato che nonA 4) Quindi per te è inutile fare y. Conseguenza Il disagio (presunto) degli stoici Cicerone commenta con una generalizzazione: se le persone dovessero seguire questo ragionamento, nella vita non compirebbero più alcuna attività. Infatti il ragionamento (probabilmente dovuto ai Megarici) intende dimostrare che se un evento è determinato accadrà, a prescindere da qualsiasi azione che possa impedirlo o favorirlo, e ciò rende inutile ogni azione. Perché gli stoici non possono accettare questa conclusione, che sarebbe coerente con il determinismo? Non lo sappiamo esattamente, ma possiamo ipotizzare due ragioni: 1) Perché li si potrebbe criticare sulla base di constatazioni concrete, come il fatto che quotidianamente ognuno, compresi loro, possa svolgere azioni come prendere una medicina o intraprendere un viaggio; 2) Perché nella loro etica affermano che le persone compiono determinate azioni per ottenere determinati risultati al fine di raggiungere determinati obiettivi. 3) Argomento di Alessandro (De fato 16, 182.20;187.8): perché potrebbero essere accusati di pigrizia e quindi non essere dei buoni sudditi Osservazioni La replica di Crisippo Si può d’altra parte osservare che l’inutilità delle azioni non comporta necessariamente la passività degli esseri umani. In particolare, anche se una persona è persuasa dal ragionamento del pigro, ciò non esclude che essa possa continuare a credere che le sue azioni siano importanti per il raggiungimento del risultato, anche se ‘fatale’. Es: se è destino che Milone vinca l’incontro di pugilato, non è inutile, anzi è utile che ci sia un ring, un avversario, e che egli combatta. Comunque queste sono nostre osservazioni. Crisippo conosce la critica e vi risponde a suo modo. De fato 30: «Questo ragionamento è criticato da Crisippo … ‘confatali’ tali azioni». Crisippo basa la sua replica sulla distinzione tra due tipi di eventi: 1) Eventi semplici 2) Eventi composti. Es. di evento semplice: «Socrate morirà in quel giorno» Esempi di eventi composti: «Edipo nascerà da Laio»; «Milone lotterà ad Olimpia». 12 15/12/2015 Eventi semplici/eventi composti L’esempio di Socrate Gli ultimi due sono esempi di eventi composti perché, per verificarsi, necessitano della presenza di un altro evento. «Socrate morirà in quel giorno» sembra invece un evento semplice perché il giorno della sua morte è determinato a prescindere dalla presenza di un’ipotetica azione y che potrebbe causare la morte di Socrate. Quindi, un evento è semplice se accadrà in qualsiasi caso, indipendentemente da altri eventi, in particolare dalle azioni di Socrate. Tuttavia, dobbiamo essere più precisi (Bobzien, p. 214). In effetti, l’esempio sarebbe stato più chiaro se Cicerone avesse detto semplicemente: «Socrate morirà». Infatti, è determinato che Socrate muoia, indipendentemente da quello che farà (un’azione per impedire la morte, un’azione per accogliere la morte). Invece, se diciamo: «Socrate morirà in quel giorno avvelenato dalla cicuta», la cicuta e il bere la cicuta sono condizioni necessarie della morte di Socrate-da-avvelenamento-da cicuta in quel giorno (fissato dagli Ateniesi). Eventi composti Eventi composti Invece, «Edipo nascerà da Laio» è un evento composto perché per la sua realizzazione si presuppone un altro evento, cioè che Laio abbia un rapporto con sua moglie. Sarebbe infatti falso affermare che Edipo nascerà da Laio indipendentemente dal fatto che Laio abbia o meno una relazione con Giocasta. Allo stesso modo, sarebbe falso dire che Milone lotterà ad Olimpia sia che abbia un avversario, sia che non lo abbia. Possiamo quindi dedurre che: un evento P è composto se c’è almeno un altro elemento Q precedente o contemporaneo all’evento stesso tale che «P, sia che accada sia che non accada Q» è falso. Confatalità Un esempio (Origene, Contro Celso, II 20) L’esempio di Edipo (o di Milone) è definito anche come con-fatale (o co-destinato). Nel testo di Cicerone non abbiamo però abbastanza informazioni per capire cosa si intenda per confatali. Probabilmente si tratta di eventi che si trovano in una certa relazione tra loro, in particolare che l’uno sia la condizione necessaria per l’avverarsi del secondo. «Se è destino che tu abbia figli, sia che tu ti accompagni con una donna, sia che tu non ti accompagni, li avrai. Ma lo stesso vale se è destino che tu abbia figli, o è destino che tu non li abbia; in ogni caso è inutile che tu ti accompagni con una donna. Come in questo caso, dato che è difficile, anzi impossibile, avere figli senza andare con una donna, non è inutile decidere di andarci, così quella del medico diviene una scelta obbligata, se la medicina è la via obbligata per uscire dalla malattia. In tal modo è falso dire ‘è inutile andare dal medico’». 13 15/12/2015 Chiarimenti Nell’esempio troviamo un’analogia, cioè un ragionamento parallelo a quello del medico presentato da Cicerone, che però porta a evidenti falsità. Stando al ragionamento del pigro, per l’uomo sarebbe inutile avere una relazione con una donna, perché se è determinato che avrà un figlio, ciò avverrà in ogni caso. Dev’esserci quindi qualcosa di sbagliato nell’argomento: Errore nell’argomento? 1) Se è determinato che A, che tu faccia o non faccia y, A 2) Se è determinato che non-A, che tu faccia o non faccia y, non-A 3) O è determinato che A o è determinato che non-A 4) Quindi per te è inutile fare y. Un altro esempio (Diogeniano presso Eusebio, Preparazione evangelica IV) Essere determinato con «Che il mio mantello non vada a brandelli non dipende solo dal fato, ma anche dalle cure che gli si prestano; e così lo scampare alla guerra dipende anche dall’essere sfuggito ai nemici, e l’avere figli non si darebbe senza la volontà di giacere con una donna (…) Molte cose infatti non si realizzano senza che noi le vogliamo, profondendo in esse uno straordinario impegno ed entusiasmo; d’altra parte è fissato dal destino che esse avvengono proprio con questo impegno e con questo entusiasmo». Tutti gli esempi riportati da Diogeniano (mantello, guerra, avere figli) presentano due caratteristiche: 1) Una relazione di condizione necessaria tra l’evento determinato e l’azione assieme alla quale è determinato (ci sono cose che non si possono verificare se le persone non compiono le azioni che le fanno accadere); 2) Non solo l’evento è determinato, lo è anche l’azione. Eventi co-destinati (o co-fatali) L’errore dell’argomento Sia Cicerone che Diogeniano affermano che esistono eventi che non possono accadere se non se ne verificano degli altri, ed entrambi sono determinati. Ma in Diogeniano troviamo una differenza: Si insiste sul fatto che la condizione necessaria dell’accadere di un evento dipende dall’uomo stesso e non da qualcos’altro. Le azioni non sono viste come agenti esterni che intervengono sugli eventi, ma come cambiamenti che avvengono per causa nostra, risultato di un’attività che ha uno scopo ed è pure intenzionale. Quindi, nell’argomento del pigro: 1) Se è determinato che A, che tu faccia o non faccia y, A 2) Se è determinato che non-A, che tu faccia o non faccia y, non-A 3) O è determinato che A o è determinato che nonA 4) Quindi per te è inutile fare y, Ciò che è falso è la premessa 1) (e quindi anche la premessa 2)). 14