Parte I LE AZIONI Le azioni in generale 3 1 SOMMARIO Le azioni in generale 1. I significati del termine azione. – 2. Il valore nominale dell’azione. – 3. Le operazioni di raggruppamento e frazionamento. – 4. L’emissione di azioni sotto la pari. – 5. I criteri di assegnazione delle azioni: assegnazione proporzionale e non proporzionale. – 6. La differenziazione dell’assegnazione di azioni attraverso il sovraprezzo o i valori inespressi. – 7. Il socio senza conferimento e il conferimento senza attribuzione di azioni. – 8. Indivisibilità dell’azione e situazioni di comproprietà. – 8.1. L’esercizio dei diritti in caso di comproprietà. – 9. Inscindibilità dell’azione. – 10. Azioni senza valore nominale. – 10.1. Adozione delle azioni senza valore nominale. – 10.2. Caratteristiche dell’istituto. – 10.3. Regole di funzionamento della società in caso di azioni senza valore nominale. – 10.4. Le operazioni straordinarie in caso di azioni senza valore nominale. – 11. La multiproprietà azionaria. – 12. Azioni con prestazioni accessorie. – 12.1. Fonte della disciplina. – 12.2. Natura della prestazione. – 12.3. Tipologie di prestazioni. – 12.4. Il compenso. – 12.5. Disciplina dell’esecuzione. – 12.6. Le modifiche delle prestazioni accessorie. – 12.7. Le prestazioni accessorie come categoria azionaria. – 12.8. L’inadempimento delle prestazioni. – 12.9. Il consenso per il trasferimento. 1. I significati del termine azione Nel contesto della disciplina dettata dal codice civile in materia di società per azioni il termine azione assume tre significati: la frazione minima e indivisibile di cui si compone il capitale sociale; la partecipazione sociale nei tipi di società in cui essa è rappresentata da azioni; il documento che rappresenta e 1 incorpora la partecipazione sociale . 1 Così la chiara distinzione in G. FERRI, Le società, in F. VASSALLI (fondato da), Trattato di diritto civile italiano, Torino, 1985, 458. 4 Le azioni Il primo profilo si connette alla particolare tecnica che nelle società per azioni definisce la partecipazione sociale. L’azione sarebbe infatti quel «misuratore affatto specifico a determinati tipi sociali, conseguente alla suddivisione statutaria del capitale sociale in un numero predeterminato di unità del tutto identiche nella loro valenza di parti di un tutto e ciascuna delle quali racchiude, ridotto a termini minimali e perciò non ulteriormente frazionabile, quel complesso di posizioni attive e passive in cui si articola la partecipazione sociale» 2. In altre parole nelle società per azioni il capitale sociale si suddivide in parti ex ante secondo un criterio astratto matematico. L’atto costitutivo fissa la cifra del capitale sociale, il valore nominale delle azioni e il loro numero. Il socio diviene titolare di una o più azioni, in relazione al capitale sottoscritto, le quali anche se appartenenti al medesimo soggetto rimangono tra loro distinte e autonome. La titolarità delle azioni attribuisce al socio una serie di diritti alcuni dei quali sono correlati alla quantità di azioni possedute. Il secondo profilo intende l’azione come posizione del soggetto che partecipa all’ente organizzato deputato allo svolgimento di una certa attività d’impresa, la quale si articola in un complesso unitario di diritti e poteri. Il terzo profilo è quello che indica l’azione come lo strumento finanziario attraverso cui il socio è legittimato all’esercizio dei diritti sociale e attraverso cui circola la partecipazione. L’art. 2346 c.c. si riferisce a tutti questi concetti quando enuncia il principio inderogabile per cui la partecipazione sociale nella società per azioni è rappresentata da azioni. 2. Il valore nominale dell’azione La frazione di capitale sociale rappresentata dall’azione costituisce il valore nominale dell’azione. Essa è indicata dall’atto costitutivo, fatta eccezione per il 3 caso delle azioni senza valore nominale . Il valore nominale è quindi rappresentato da un valore in denaro indicato nell’atto costitutivo, che deriva dalla divisione del capitale sociale per il numero delle azioni. Il valore nominale è uguale per ogni azione e rappresenta l’entità minima del conferimento richiesto al sottoscrittore. Diversi dalla nozione di valore nominale sono i concetti di valore effettivo dell’azione, di valore di mercato nonché di valore di quotazione. Essi fanno rispettivamente riferimento al valore reale del titolo, quale quota percentuale del patrimonio da essa rappresentata, al valore di scambio dell’azione e al valore 2 M. BIONE, Le azioni, in G.E. COLOMBO-G.B. PORTALE (diretto da), Trattato delle società per azioni, Torino, 1991, 2*, 5. 3 Così G. FERRI, Le società, cit., 458. Le azioni in generale 5 di scambio del titolo azionario sui mercati regolamentati. Mentre il valore nominale dell’azione è indicato nell’atto costitutivo quale valore monetario fisso (la sua modifica passa, quindi, per una modifica dell’atto costitutivo), le altre nozioni fanno riferimento a valori monetari che sono per loro natura mutevoli. 3. Le operazioni di raggruppamento e frazionamento Poiché, come detto, il valore nominale delle azioni è predeterminato nell’atto costitutivo la sua variazione comporta una modifica dell’atto costitutivo. Con i termini di raggruppamento e frazionamento di azioni si intende far riferimento a quelle operazioni attraverso le quali si muta il valore nominale delle singole azioni nel senso di una riduzione (frazionamento) o di un aumento (raggruppamento) rispetto al valore di partenza. L’operazione viene realizzata individuando un coefficiente che fissa il rapporto di conversione tra vecchie e nuove azioni. È da sottolineare che tale tema riguarda l’azione come frazione del capitale e unità di misura dei diritti sociali e non l’azione intesa come certificato azionario, e cioè titolo cartolare che rappresenta una o più azioni. Questo diverso fenomeno, che può assumere la forma della riunione o del frazionamento dei titoli, riguarda l’ipotesi in cui un certificato azionario che rappresenta un certo numero di azioni viene sostituito da un nuovo certificato che rappresenta un numero diverso di azioni che può essere maggiore o minore (su cui amplius infra). Le operazioni di raggruppamento e frazionamento di azioni possono essere l’oggetto unico e diretto della modifica dello statuto oppure si presentano come la conseguenza di operazioni societarie più complesse. Nel primo caso si tratta di operazioni in linea di massima volontarie che rispondono ad esigenze di convenienza. Nel secondo caso si tratta di effetti necessari delle operazioni societarie che avvengono in applicazione del principio inderogabile di uguaglianza del valore nominale di tutte le azioni. Si pensi, ad esempio, al caso delle operazioni di fusione o scissione in cui vi sia la necessità di un riallineamento del valore nominale delle azioni delle varie società coinvolte oppure al caso in cui si abbia una riduzione del capitale sociale per perdite che intacca solo una parte delle azioni e si abbia quindi l’esigenza di uniformare il valore nominale. Ci si pone il problema dei limiti entro cui è possibile effettuare le operazioni di frazionamento e raggruppamento. Il problema nasce dal fatto che il nuovo valore nominale è fissato secondo un coefficiente di conversione. È, quindi, possibile che, in caso di frazionamento, quando l’indice di frazionamento non rappresenta una frazione intera del valore precedente oppure, in caso di raggruppamento, quando il socio non possiede un numero di azioni corrispondente all’indice di raggruppamento o a un suo multiplo, i soci non possono operare uno scambio integrale delle azioni possedute con quelle di nuovo valore rimanen- 6 Le azioni do titolari di resti. Per conservare la posizione di socio o la misura della partecipazione precedentemente posseduta, essi si troverebbero obbligati ad acquistare nuove azioni. La dottrina esprimendosi in tema di raggruppamento ha enunciato una va4 rietà di posizioni. Secondo un primo orientamento , che ritiene indisponibile da parte della maggioranza il diritto individuale e fondamentale dell’azionista al mantenimento del suo status di socio, ogniqualvolta il raggruppamento dia luogo ai c.d. «resti» deve ritenersi necessario il consenso di tutti gli azionisti. 5 Un secondo orientamento ritiene che la presenza di resti non violerebbe alcun diritto individuale del socio ma determinerebbe semplicemente una comproprietà, fra i titolari dei resti, delle nuove azioni corrispondenti all’insieme 6 dei resti. Una terza posizione ritiene che si debba distinguere l’ipotesi in cui il raggruppamento è l’oggetto diretto della modifica, da quello in cui esso è, invece, conseguenza di altre operazioni societarie. Mentre nella prima ipotesi la legittimità dell’operazione dovrà riconoscersi solo ove venga garantito al socio il rispetto della sua posizione, nella seconda ipotesi il raggruppamento è da considerarsi in ogni caso legittimo. La giurisprudenza risalente si è espressa in prevalenza per l’illiceità della delibera di raggruppamento che non consenta a ciascun socio di conservare i propri diritti individuali, affermando che una deliberazione assembleare di raggruppamento di azioni che comporti la disposizione del diritto ad essere socio ha oggetto illecito ed è quindi nulla 7. Recentemente vi è giurisprudenza che afferma la legittimità di tale operazione. Si afferma in particolare che è valida la delibera con cui, conseguentemente alla ricostituzione del capitale sociale interamente perduto, si preveda il raggruppamento di una pluralità di azioni, sebbene essa comporti una limitazione dell’autonomia dei soci possessori di un numero di azioni minore di quello necessario per il raggruppamento 8. A nostro avviso, la soluzione più ragionevole è da ricercare secondo i seguenti parametri. Nel caso in cui l’operazione rientra nel contesto di operazioni societarie più articolate, essa deve ritenersi legittima, in quanto si tratta di operazioni consentite per definizione ai soci secondo le modalità previste, di cui i resti vengono in rilievo come fenomeni conseguenti. Nel caso in cui l’operazione di raggruppamento sia autonoma e funzionale a motivi di opportunità il 4 T. ASCARELLI, Sul raggruppamento di azioni, in Banca, borsa, titoli di credito, 1950, I, 78. 5 B. VISENTINI, Sul frazionamento e sul raggruppamento di azioni, in Banca, borsa, titoli di credito, 1960, I, 14. 6 G. FERRI, Le società, cit., 461. 7 V. App. Milano 30 aprile 1971, in Giur. merito, 1971, I, 315; Trib. Torino 27 febbraio 1969, in Giust. civ., 1969, I, 1382. 8 V. Trib. Genova 27 febbraio 1984, in Le società, 1984, 1219. Le azioni in generale 7 potere di modificare il valore nominale dovrebbe trovare un limite solo nel9 l’esigenza di reprimere i possibili abusi della maggioranza . 4. L’emissione di azioni sotto la pari Prima della riforma del diritto societario del 2003, l’art. 2346 c.c. prevedeva che il valore del conferimento relativo a ciascuna azione emessa non potesse essere inferiore al valore nominale dell’azione corrispondente. Da ciò un’automatica copertura del capitale sociale complessivo. La nuova versione dell’art. 2346 in materia di emissione delle azioni non contiene più l’indicazione per cui le azioni non possono emettersi per somma inferiore al loro valore nominale ma si limita a stabilire che in via complessiva il valore dei conferimenti non può essere inferiore all’ammontare globale del capitale sociale. Con il venir meno del suddetto principio, si pone quindi il problema della c.d. emissione sotto la pari e cioè della possibilità di emettere azioni per le quali il valore del conferimento ad esse riferito sia inferiore al loro valore nominale. La dottrina 10, facendo perno proprio sull’omissione del principio sopra detto, si esprime nel senso che è ammissibile l’emissione di azioni sotto la pari, a condizione però che la copertura complessiva del capitale sociale sia assicurata dal 11 valore complessivo dei conferimenti . Di conseguenza le eventuali emissioni sotto la pari dovranno essere compensate da emissioni per un valore tale da garantire la copertura del capitale. L’accettazione di questo principio impone di verificare come esso si renda compatibile con la disciplina dei conferimenti dei beni in natura secondo cui la relazione dell’esperto (di cui all’art. 2343 c.c.) deve attestare che il valore di beni o crediti conferiti è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini delle determinazione del capitale sociale. Questa disposizione sembra, infatti, presupporre che per ogni conferimento in natura vi debba essere una copertura del corrispondente capitale sociale. Ciò sembrerebbe impedire una distribuzione di azioni per un valore nominale superiore al valore dei beni conferiti. 9 Per uno spunto in tal senso v. C. ANGELICI, Le azioni, in Commentario al codice civile Schlesinger, Milano, 1992, 30. 10 V. per tutti M. NOTARI, Articolo 2346, commi 1-5, in P. MARCHETTI (diretto da), Commentario alla riforma delle società, Milano, 2008, 31. 11 La legislazione nazionale deve tener conto dei principi comunitari e in particolare dell’art. 8, par. 1, della seconda direttiva societaria secondo cui le azioni non possono esser emesse per un importo inferiore al loro valore nominale o, in mancanza di questo, al loro valore contabile. 8 Le azioni 5. I criteri di assegnazione delle azioni: assegnazione proporzionale e non proporzionale Secondo l’art. 2346, comma 4, c.c. la misura della partecipazione sociale, e il numero di azioni spettanti al socio, deve essere attribuito in misura proporzionale alla parte di capitale sociale da esso sottoscritto, per un valore non superiore a quello del conferimento. Il principio generale in base al quale le azioni sono assegnate ai soci è quindi quello della proporzionalità rispetto al capitale sottoscritto. Lo statuto può anche prevedere però un criterio di assegnazione delle azioni diverso da quello proporzionale 12. In base a tale criterio ai soci possono essere attribuite azioni in misura non proporzionale al conferimento e, quindi, un numero di azioni di valore nominale superiore a quello del suo conferimento oppure un numero di azioni di valore nominale inferiore a quello del conferimento. Questa facoltà rende flessibile il criterio di assegnazione delle azioni e consente di attribuirle derogando al criterio proporzionale. È da segnalare che lo scopo pratico di assegnare azioni in modo non proporzionale al valore dei conferimenti può essere realizzato anche attraverso diversi meccanismi giuridici. In particolare attraverso un patto parasociale con cui alcuni azionisti consentono, con i propri mezzi, il conferimento da parte di altri che giustifica un’assegnazione di azioni a favore di questi ultimi 13. 14 Una dottrina , ricostruisce sotto un profilo sistematico l’assegnazione non proporzionale separando il momento societario – cui appartengono le vicende del conferimento, della formazione del capitale e della creazione delle azioni – da quella contrattuale tra i soci, a cui appartiene l’assegnazione delle azioni. Essa deve essere considerata una vicenda separata dalla creazione della società, in 15 cui i soci godono della più ampia libertà. Per altra dottrina , invece, se pure si può distinguere logicamente la fase della costituzione dell’organizzazione da quella dell’assegnazione delle azioni, entrambe appartengono alla sfera sociale e per questo si distinguono dagli accordi extra sociali che i soci pongono in essere, contestualmente all’atto costitutivo, per regolare tra loro gli obblighi di conferimenti, quali accolli, delegazioni di pagamento, ecc. I motivi che inducono all’utilizzo di tale facoltà possono essere i più vari. Si pensi, ad esempio, a tutti i casi in cui si vuole valorizzare obblighi assunti dai soci o comportamenti che non possono essere oggetto di conferimento ma co12 In tema di assegnazione non proporzionale v. P. FERRO LUZZI, La diversa assegnazione delle azioni, in P. ABBADESSA-G.B. PORTALE (diretto da), Il nuovo diritto delle società, Torino, 2006, 583. 13 M. LIBERTINI-A. MIRONE-P.M. SANFILIPPO, Art. 2346, in F. D’ALESSANDRO (diretto da), Commentario romano al nuovo diritto delle società, Padova, 2010, 205. 14 P. FERRO-LUZZI, La diversa assegnazione delle azioni, cit., 583. 15 M. NOTARI, Articolo 2346, commi 1-5, cit., 34. Le azioni in generale 9 stituiscono comunque utilità per la società (come nel caso di assunzione di obblighi di non concorrenza), alla necessità di remunerare anticipatamente il socio per l’assunzione di obblighi ulteriori rispetto al conferimento. Si pensi ancora alla esistenza di rapporti tra soci di carattere personale ed estranei al rapporto sociale, come, ad esempio, un debito preesistente. La possibilità di attribuire azioni secondo criteri non proporzionali deve comunque rispettare il principio inderogabile secondo cui il valore dei conferimenti non può essere complessivamente inferiore all’ammontare del capitale sociale. In generale si sottolinea l’esigenza generale di favorire in ogni modo e sotto ogni forma la destinazione all’impresa di ogni elemento utile per il suo esercizio 16. 17 Per una dottrina questa regola consente che «i soci potranno decidere di assegnarsi le azioni, e con esse il reciproco peso interno amministrativo o patrimoniale (o amministrativo e patrimoniale), in misura indipendente dal conferimento da ciascuno effettuato e coerente, viceversa, con altri criteri (il lavoro che ciascuno di essi si impegna ad effettuare all’interno dell’azienda; il nome merceologicamente prestigioso da qualcuno apportato; il patrimonio di conoscenze strategiche messo a disposizione dell’iniziativa, e così via) o con un preesistente rapporto di forza fra i soci stessi che non si intende (o non si è in grado) di modificare al momento e per effetto della costituzione di una S.p.a.». Vi è però chi 18 ravvisa profili di illegittimità quando l’assegnazione non proporzionale avvenga a fronte di una prestazione di opere e servizi, violando quindi l’art. 2342 c.c. Il sistema può essere così ricostruito. La società sarà sempre tenuta ad emettere azioni per un valore non superiore al valore complessivo dei conferimenti effettuati dai soci. La ripartizione delle azioni tra i soci dovrà rispettare un principio proporzionale. Nel caso in cui lo preveda lo statuto, gli amministratori potranno seguire un diverso criterio. Il valore complessivo dei conferimenti deve comunque coprire il valore del capitale sociale. L’assegnazione non proporzionale delle azioni genera una serie di problemi applicativi di rilevante momento. Un primo ordine di problemi riguarda i versamenti non effettuati e in particolare chi sia il soggetto debitore verso la società dei conferimenti non eseguiti. Una dottrina 19 ritiene che, nel caso di versamenti parziali, ciascun socio è responsabile per i versamenti cui lo stesso si è obbligato a titolo di conferimento senza che rilevi il valore delle azioni che gli sono state corrisposte. 16 P. FERRO-LUZZI, La diversa assegnazione delle azioni, cit., 587. A. PISANI MASSAMORMILE, Azioni ed altri strumenti finanziari partecipativi, in Riv. soc., 2003, 1288. 18 C. FORMICA, Le novità della disciplina azionaria, in A. MAFFEI ALBERTI (a cura di), Il nuovo diritto delle società, Padova, 2005, 168. 19 Cfr. M. NOTARI, Articolo 2346, commi 1-5, cit., 37. 17 10 Le azioni Poiché, inoltre, le assegnazioni non proporzionali fanno parte del rapporto associativo, nelle ipotesi in cui emergano vizi tali da condurre alla nullità, annullabilità o risoluzione del singolo rapporto troveranno applicazione le norme di cui agli artt. 1420, 1446, 1459, 1466 c.c. secondo cui il vizio incide solo sul rapporto della parte coinvolta e non travolge l’intero contratto plurilaterale, tranne il caso in cui la partecipazione o la prestazione siano da considerarsi essenziali. Altro ordine di problemi riguarda il caso in cui il rapporto tra assegnazione e conferimento dipenda da un rapporto di origine extrasociale e questo sia affetto da vizi. Per una dottrina 20, nel caso in cui ad esempio il rapporto tra beneficiario sia viziato da abuso di dipendenza economica, l’atto costitutivo dovrebbe «ritenersi parzialmente nullo, e cioè nella sola parte in cui le azioni liberate dal conferente vengano assegnate al beneficiario, con la conseguenza che tale azioni potrebbero essere riassegnate e consegnate al conferente», a condizioni che venga provato un collegamento negoziale tra i due contratti. 6. La differenziazione dell’assegnazione di azioni attraverso il sovraprezzo o i valori inespressi Accanto alla possibilità di differenziare la posizione dei soggetti nell’assegnazione di azioni attraverso criteri di assegnazione non proporzionali si ha la possibilità di intervenire attraverso il meccanismo del sovraprezzo. Il punto di partenza al fine di verificare la possibilità di utilizzare questo diverso meccanismo è costituito dal rapporto che deve sussistere tra valore conferito e capitale sociale e, in particolare, se tutto il valore del conferimento effettuato dal socio debba essere o meno imputato a capitale. La questione deve essere risolta nel senso che, anche in sede di costituzione, non tutto il valore del conferimento deve essere imputato a capitale. La dottrina utilizza al fine di confortare questa conclusione l’argomento testuale che l’art. 2346, comma 4, parla di proporzionalità tra sottoscrizione e azioni assegnate e non di corrispondenza con il che si vuole intendere che non tutto il valore del conferimento deve essere necessariamente imputato a capitale 21. A tale argomento vi è poi da aggiungere anche il tenore testuale contenuto nell’art. 2343 sulla stima dei conferimenti in natura secondo cui la relazione giurata deve attestare che il valore del conferimento è almeno pari a quello ad essi attribuito ai fini della determinazione del capitale sociale e dell’eventuale sovraprezzo. 20 R. BOCCA, Articolo 2346, in G. COTTINO (diretto da), Il nuovo diritto societario, Bologna, 2004, 233. 21 M. NOTARI, Articolo 2346, commi 1-5, cit., 33. Le azioni in generale 11 L’ordinamento consente, quindi, che il valore della somma di denaro oppure il valore dei beni o crediti conferiti possa essere anche superiore al valore del capitale assegnato. La differenza tra il valore del capitale assegnato e il valore del conferimento costituisce il sovraprezzo. 22 La dottrina ammette peraltro la possibilità di fissare sovraprezzi diversi tra i soci anche a fronte dell’attribuzione di un medesimo valore nominale di azioni attribuite. Tale operazione determina l’emissione di azioni ad un prezzo diverso tra un socio e un altro. Sulla base di questi principi è possibile: che i soci abbiano azioni proporzionali al valore dei conferimenti effettuati (A e B conferiscono entrambi 100 e divengono titolari di azioni per un valore di 100); che i soci abbiano azioni proporzionali al valore dei conferimenti effettuati ma sovraprezzi differenziati (A e B conferiscono il primo 75 e il secondo 100, entrambi divengono titolari di azioni per un valore di 50, il resto diviene sovraprezzo); che i soci non abbiano azioni proporzionali al valore dei conferimenti effettuati (A e B conferiscono entrambi 100 e divengono titolari di azioni il primo per un valore di 150 e il secondo di 50). Vi è infine anche un’altra possibilità, se pure più discussa, di differenziare le posizioni sociali che verte sulla possibilità di non far emergere a livello contabile il valore economico del conferimento. Questo profilo si presenta in particolare in caso di conferimenti diversi dal denaro. La parti, nel caso di conferimento non in denaro hanno l’obbligo di conferire un bene di valore economico idoneo a coprire almeno il capitale (e l’eventuale sovraprezzo) ma ben possono sottovalutare questo bene. Si pensi ad un immobile che vale 1.000 al quale io attribuisco, ai fini del conferimento un valore di 100. Il profilo problematico è se quella parte di valore reale del conferimento non imputato a capitale debba comunque emergere a livello contabile andando a costituire una riserva oppure possa costituire un valore implicito non espresso a livello contabile. L’emersione 23 a livello contabile determina la qualifica di questo valore come una riserva . Ci sembra però che le parti ben possano sottostimare un bene. Il valore del bene è un valore attribuito dalle parti stesse nella loro autonomia. Non vi è alcun obbligo di far emergere per intero il valore economico del bene. 7. Il socio senza conferimento e il conferimento senza attribuzione di azioni Una volta ammessa la possibilità che l’assegnazione delle azioni avvenga senza rispettare un principio di proporzionalità con il conferimento si pone il pro22 Cfr. M. NOTARI, Articolo 2346, commi 1-5, cit., 33. Cfr. M. NOTARI, Articolo 2346, commi 1-5, cit., 33 che qualifica questa riserva come riserva da sovraprezzo poiché discende dal pagamento da parte dei soci di un prezzo superiore rispetto al valore nominale. 23 12 Le azioni blema se sia ammissibile che un soggetto ottenga azioni senza effettuare alcun conferimento. 24 Una dottrina , partendo dal presupposto che, affinché un soggetto acquisisca la qualifica di socio è essenziale la sua partecipazione alla formazione del capitale sociale, da una risposta negativa al quesito. 25 Altra dottrina , invece, ritiene ammissibile tale evenienza. A fondamento di questa opinione si danno una serie di argomentazioni: la questione attiene ai rapporti tra soci e deve quindi considerarsi informata ad un principio di disponibilità; non esiste una norma che prevede un obbligo di conferimento; non vi è una violazione del patto leonino poiché il socio partecipa agli utili e alle perdite. È da sottolineare che la fattispecie rientra comunque nel fenomeno dell’assegnazione non proporzionale con la conseguenza che l’attribuzione di azioni a fronte di un mancato conferimento deve essere compensato dal conferimento di un altro socio. Ultimo problema è quello della possibilità che una delle parti dell’atto costitutivo della società effettui conferimenti senza ricevere azioni. La dottrina 26 ammette che un soggetto possa partecipare al contratto sociale effettuando un conferimento senza ricevere azioni ma qualifica questo fenomeno non come una forma di partecipazione alla società ma come una forma di partecipazione all’atto costitutivo sotto un diverso titolo come, ad esempio, l’adempimento del terzo o la delegazione. Secondo altra dottrina 27 appaiono «difficilmente superabili le argomentazioni secondo le quali l’unica disposizioni potenzialmente contrastante con l’ammissibilità di queste operazioni è quella di cui all’art. 2247 c.c., la cui lettera sembrerebbe correlare ineludibilmente i conferimenti (di due o più persone) con gli utili (da dividere con le stesse persone) e, quindi, in ultima analisi, con la qualità di socio. Sennonché, ancorare una posizione restrittiva alla lettera dell’art. 2247 significherebbe consentire l’elusione della stessa previsione con atti del tutto formalistici, quali il conferimento di un euro o la liberazione personale di una sola azione». 24 A. STAGNO D’ALCONTRES, Articolo 2346, in G. NICCOLINI-A. STAGNO D’ALCONTRES (a cura di), Società di capitali, Napoli, 2004, 251. 25 G.A. RESCIO, Distribuzione di azioni non proporzionale ai conferimenti effettuati dai soci di s.p.a., in P. BENAZZO-S. PATRIARCA-G. PRESTI (a cura di), Il nuovo diritto societario fra società aperte e società private, Milano, 2003, 111. 26 M. NOTARI, Articolo 2346, commi 1-5, cit., 47. 27 R. BOCCA, Articolo 2346, cit., 231. Le azioni in generale 13 8. Indivisibilità dell’azione e situazioni di comproprietà Secondo l’art. 2347 c.c. le azioni sono indivisibili. Attraverso questa enunciazione il legislatore vuole esprimere il principio per cui, essendo l’azione l’unità di misura elementare della partecipazione, essa costituisce l’entità «minima e non frazionabile dei diritti attribuiti al socio, diritti dei quali rimane così preclusa qualsiasi possibilità di esercizio parziario ovverossia, e più precisamente, di esercizio in misura comunque inferiore a quella segnata dal valore nominale, statutariamente predeterminato, dell’azione stessa» 28. Il principio comporta rilevanti conseguenze in caso di comproprietà e cioè nei casi in cui sono proprietari di un’azione o di un pacchetto di azioni più soggetti pro indiviso (situazione che può discendere, ad esempio, dai casi di successione mortis causa o di acquisto da parte dei coniugi in regime di comunione legale). In particolare l’indivisibilità dell’azione comporta che su di essa non è consentito l’esercizio dei diritti sociali ad ogni comproprietario secondo la quota di contitolarità. L’art. 2347 c.c. si preoccupa anzi di prevedere uno specifico regime in caso di comproprietà. 8.1. L’esercizio dei diritti in caso di comproprietà In base all’art. 2347, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune. La nomina di esso è regolata dalle disposizioni in materia di comunione (artt. 1105 e 1106 c.c.). Il rappresentante comune è nominato dalla maggioranza dei comproprietari calcolata secondo il valore delle quote. In assenza di una nomina, essa può essere disposta dall’autorità giudiziaria dietro richiesta di ciascun partecipante. Rappresentante può essere nominato anche un estraneo. Nel caso in cui il rappresentante comune non sia stato nominato, le comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti. I comproprietari rispondono solidalmente delle obbligazioni derivanti dall’azione. Vari sono i problemi interpretativi posti dalla norma. La prima questione riguarda l’ambito dei diritti e dei poteri interessati. Secondo una prima dottrina la norma, in considerazione del suo tenore, comprende tutti i diritti e i poteri che sono inerenti all’azione 29. Altra dottrina invece ritiene che la norma si applichi «solo nei casi nei quali, dovendosi manifestare per la comunione una volontà unitaria, in quanto riferita da un unico centro di interessi, è necessario che essa si formi all’interno della comunione e sia dichiarata al- 28 29 2. M. BIONE, Le azioni, cit., 24. Così G. FERRI, Le società, cit., 463. 14 Le azioni 30 l’esterno con riferimento all’intera compagine dei suoi componenti» . Nel caso in cui invece l’ordinamento subordina l’esercizio del diritto azionario al solo accertamento del valore del capitale rappresentato dalle azioni di riferimento i soci possono esercitare autonomamente il proprio diritto a condizione che possiedano la frazione di capitale prevista dalla legge calcolata sulla quota di comproprietà. Altra questione è poi quella «se il rappresentante comune sia un rappresentante necessario, quasi un organo del gruppo dei comproprietari, così che non si concepisca un’attività del gruppo che non si attui per suo tramite o invece la sua nomina sia soltanto un mezzo per risolvere un problema pratico, quello di assicurare la necessaria unità di atteggiamento dei comproprietari, nel qual caso non sarebbe preclusa la possibilità di usare mezzi diversi purché consentano di realizzare lo stesso risultato» 31. Al riguardo, una dottrina afferma che «con la nomina del rappresentante comune, i comproprietari non si spogliano dei loro diritti e non se ne inibiscono l’esercizio: essi possono in ogni momento sostituirsi al rappresentante comune o addirittura revocarlo, così come possono designare, in relazione a una data assemblea o ad una data impugnativa, persona diversa dal rappresentante comune; ma questo possono fare non come singoli, ma come gruppo e cioè con una deliberazione unanime o di maggioranza o sulla base di un provvedimento del giudice» 32. Anche per il diritto di impugnativa essa afferma che l’azione possa esser proposta direttamente da tutti i comproprietari e non dal singolo. La giurisprudenza sembra orientata in via prevalente nel senso che i diritti competano esclusivamente al rappresentante comune. La giurisprudenza di legittimità afferma che l’art. 2347, Giurisprudenza «nel conferire alla partecipazione azionaria il carattere dell’indivisibilità, ha considerato indispensabile, in relazione alle esigenze peculiari dell’organizzazione societaria e alla natura del bene in comunione, l’unitarietà dell’esercizio dei diritti, impedendone, quanto meno nei rapporti esterni, il godimento e l’amministrazione in forma individuale; e ciò al fine, da un lato, di evitare che contrasti interni si riflettano sulle attività assembleari e, dall’altro, di garantire certezza e stabilità alle deliberazioni assunte, correttamente approvate. E se l’intervento in assemblea e il diritto di voto in via esclusiva competono al rappresentante comune, l’impugnazione prevista dagli artt. 2377 e 2379 c.c., non può che essere a lui attribuita» Cass. 18 luglio 2007, n. 15962, in Riv. not., 2008, II, 658. La giurisprudenza di merito si è poi espressa nel senso che: 30 V. V. SALAFIA, Commento a Trib. Macerata 11 novembre 2004, in Le società, 2005, 1267. Così imposta la questione G. FERRI, Le società, cit., 463. 32 V. G. FERRI, Le società, cit., 464. 31 15 Le azioni in generale Giurisprudenza «La disciplina dei diritti amministrativi inerenti all’azione di società in comproprietà fra più titolari è diversa da quella prevista dal combinato disposto degli artt. 1105-1108 c.c. in materia di comunione di altri beni. Rispetto alle norme generali che regolano il caso in cui la proprietà o altro diritto reale spetta in comune a più persone (art. 1100 c.c., lex generalis), l’art. 2347, regolando la comproprietà di quel particolare bene, complesso, costituito dall’azione di società, costituisce norma speciale derogatrice (in quanto lex specialis) rispetto alla disciplina generale della comunione. Rileva, in questa materia, la caratteristica dell’indivisibilità della partecipazione azionaria che consegue ad esigenze proprie e peculiari dell’organizzazione societaria: l’esigenza cioè che, determinata l’unità azionaria, sia unitario l’esercizio dei relativi diritti, con preclusione di ogni possibile loro godimento o amministrazione (nei rapporti esterni) in forma individuale» App. Milano 31 marzo 2003, in Giur. it., 2003, 1178. Sulla base di tale principio, la stessa giurisprudenza ha affermato che i diritti di intervento, di voto e di impugnazione delle delibere non possano che appartenere al rappresentante comune e non possano essere esercitati disgiuntamente 33 dai singoli comproprietari . In questa scia, si è affermato che la legittimazione esclusiva del rappresentante comune lo svolgimento delle attività volte alla tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dalla titolarità dell’azione costituisce corollario processuale della caratteristica fondamentale dell’azione costituita dall’indivisibilità. Essa trova applicazione non solo con riferimento all’impugnazione delle delibere societarie ma anche con riguardo alla procedura ex art. 2409 c.c. 34. Si è così ritenuto inammissibile il ricorso per la denunzia al tribunale ex 35 art. 2409 presentato da alcuni comproprietari di un pacchetto azionario . Sono da segnalare anche opinioni della giurisprudenza di diverso tenore secondo cui invece in caso di Giurisprudenza «comproprietà di azioni, se non è stato nominato il rappresentante comune, ciascun comproprietario ha diritto di impugnare le deliberazioni invalide della società» Trib. Milano 28 giugno 2001, in Giur. it., 2001, 2323. Altra giurisprudenza ha affermato che possono essere esercitati direttamente dai soci tutti quei diritti derivanti dalla partecipazione sociale, la realizzazione dei quali non presuppone una determinazione di volontà unitaria. Nel caso di specie si è ritenuto il singolo socio comproprietario legittimato a chie36 dere la convocazione giudiziale dell’assemblea . 33 Nel senso che il diritto di intervento e di voto competono esclusivamente al rappresentante comune v. anche Trib. Verona 1° marzo 1990, in Le società, 1990, 1085. 34 App. Ancona 9 marzo 2005, in Le società, 2007, 492. 35 Trib. Macerata 11 novembre 2004, in Le società, 2005, 1265. 36 App. Bologna 12 aprile 1999, in Notariato, 2000, 2, 158.