1 I decreti conciliari Unitatis redintegratio e Orientalium ecclesiarum

I decreti conciliari Unitatis redintegratio e Orientalium ecclesiarum
Piccola Casa della Divina Provvidenza, 26/02/2013 – RELATORE: Don Antonio Nora, S.S.C.
1. Il movimento ecumenico: storia e definizione
«Lo Spirito suscita così in tutti i discepoli di Cristo il desiderio e l'iniziativa di tendere all’unione
pacifica di tutti i cristiani in un solo gregge sotto un solo pastore, nel modo voluto da Cristo. A
questo stesso fine la madre chiesa non cessa di pregare, sperare e operare, esortando i suoi figli a
purificarsi e a rinnovarsi, perché sul volto della chiesa splenda più chiaramente il segno di Cristo»1. Abbiamo più volte fatto riferimento, sebbene in modo implicito, all’ecumenismo. UR 4 ce ne
dà la definizione: «Per “movimento ecumenico” si intendono le attività e le iniziative che, a seconda delle varie necessità della chiesa e l’opportunità dei tempi, sono suscitate e ordinate a favorire
l’unità dei cristiani». Il fine è che «a poco a poco, superati gli ostacoli che impediscono la perfetta
comunione ecclesiastica, tutti i cristiani, in un’unica celebrazione dell’eucaristia, si riuniscano in
quella unità dell’una e unica chiesa, che Cristo fin dall’inizio donò alla sua chiesa, e che crediamo
sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella chiesa cattolica e speriamo cresca ogni giorno
di più fino alla fine dei secoli»2. «Questo movimento chiama i cristiani alla speranza che si realizzi
pienamente la preghiera di Gesù “perché tutti siano una sola cosa”»3.
L’ecumenismo — spiega il cardinal Kasper, presidente dal 2001 al 2010 del Pontificio Consiglio
per la Promozione dell’Unità dei Cristiani4 — non è una via a senso unico, ma un processo fatto di
reciproco apprendimento o — come affermato nell’enciclica Ut unum sint — uno scambio di doni e
un mutuo arricchimento (n. 28). La via verso di esso non è pertanto un semplice ritorno degli altri in
seno alla chiesa cattolica. Nel movimento ecumenico il problema è la conversione non solo degli
altri, bensì di tutti a Gesù Cristo. […] Man mano che ci avviciniamo a Gesù Cristo, ci avviciniamo
anche gli uni agli altri5. L’ecumenismo ad extra, il dialogo con altre chiese e comunità ecclesiali,
presuppone quindi l’ecumenismo ad intra, l’apprendimento reciproco e l’autoriforma. La piena comunione non può essere raggiunta soltanto con la convergenza, bensì anche, e forse ancora di più,
con la conversione implicante il pentimento, il perdono e il rinnovamento del cuore. Una simile
conversione è anche un dono della grazia, per cui alla fine non siamo noi a “fare” e a creare l’unità.
L’unità della chiesa è il dono dello Spirito di Dio, che ci è stato solennemente promesso. Pertanto
l’ecumenismo teologico deve accompagnarsi all’ecumenismo spirituale, che è il cuore dell’ecumenismo6.
Ma partiamo dalla storia. Sempre ci sono stati tentativi di riconciliazione e di ristabilimento
dell’unità. Ricordiamo soltanto i vani tentativi dei concili di Lione (1274) e di Firenze (1439) riguardo alle chiese orientali e l’influsso dello spirito di D. Erasmo sui colloqui religiosi in Germania
e in Francia al tempo della Riforma protestante. Ma soltanto nel secolo ventesimo lo scandalo della
divisione tra i cristiani è stato pienamente riconosciuto … In verità, è la Conferenza missionaria
mondiale tenutasi a Edimburgo nel 1910 che generalmente viene considerata il punto di partenza
del moderno movimento ecumenico. Come conseguenza di questa conferenza venne fondato nel
1921 l’International Missionary Council (Consiglio missionario internazionale) con lo scopo in particolare della promozione di «una solidarietà dei cristiani su scala mondiale e di una unità d’intenti e
d’azione nell’opera di evangelizzazione»7. Il Movimento di Fede e Costituzione (Faith and Order
Moviment) è sorto per affrontare i problemi teologici che erano stati consapevolmente omessi a E1
LG 15.
UR 4.
3
PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA PROMOZIONE DELL’UNITÀ DEI CRISTIANI, Direttorio per l’ecumenismo, 9.
4
Dal 1 luglio 2010 il presidente è il card. Kurt Koch.
5
W. KASPER, Vie dell’unità, 27; vedi anche p. 51 e p. 97.
6
W. KASPER, Vie dell’unità, 65.
7
K.S. LATOURETTE, «Appunti ecumenici del movimento missionario e l’International Missionary Council», in R.
ROUSE – S.C. NEILL, ed., Storia del movimento ecumenico dal 1517 al 1948. II. Dagli inizi dell’Ottocento alla Conferenza di Edimburgo, tr. A. Prandi, CSR, Bologna 1973, 303.
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1
dimburgo, ma che continuavano a pesare su tutti i successivi contatti. Il movimento organizzò due
importanti conferenze mondiali, la prima nel 1927 a Losanna e la seconda a Edimburgo nel 19378.
Una terza corrente di primaria importanza che portò alla prima Universal Christian Conference on
Life and Work (Conferenza mondiale di Cristianesimo pratico), tenutasi a Stoccolma nel 1925 e alla
seconda a Oxford nel 1937, ebbe origine dalla sollecitudine del vescovo luterano di Uppsala Nathan
Söderblom (1866-1931), a favore della pace durante la prima guerra mondiale (1914-1918) … Fu
nel 1937 che Faith and Order (Fede e costituzione) e Life and Work (Vita e Azione, detto anche
Cristianesimo pratico) decisero formalmente di fondersi nel CEC (Consiglio ecumenico delle chiese) che nacque ad Amsterdam nel 19489. L’International Missionary Council (Consiglio missionario internazionale) decise in quel momento di non entrare a far parte formalmente del Consiglio, ma
tuttavia lavorò in stretto contatto con esso. [Si riunì in grandi assemblee (le Conferenze Missionarie
Mondiali) fino a che nel 1961 a New Delhi confluì nel Consiglio ecumenico delle chiese, pur conservando una sua organizzazione specifica10.] … È giusto affermare che quando la chiesa cattolica
romana mostrò il suo interesse al movimento ecumenico nei primi anni Sessanta con la fondazione
[il 5 giugno 1960] del Segretariato per la Promozione dell’Unità dei Cristiani con il cardinal Augustin Bea (1881-1969) quale suo primo presidente, con l’invio di osservatori ufficiali all’assemblea
generale del Consiglio ecumenico delle chiese (quella tenutasi a New Delhi nel 1961) e con l’invito
a osservatori non cattolici al concilio Vaticano II, essa prese parte a un movimento che si era già
pienamente stabilito. Per molti anni la chiesa cattolica si era tenuta a distanza dal movimento ecumenico. Le encicliche Satis cognitum di Leone XIII (29 giugno 1896) e Mortalium animos di Pio
XI (6 gennaio 1928) furono un rifiuto ufficiale a collaborare: il movimento ecumenico infatti sembrava relativizzare la pretesa della chiesa cattolica di essere la vera chiesa di Gesù Cristo. Questo
atteggiamento rimase fondamentalmente inalterato fino al 1960 anche se l’Istruzione del Santo Ufficio del 20 dicembre 1949 de Motione Ecumenica, manifestò già qualche apertura. L’ingresso nel
movimento era stato preparato dall’impegno personale di molti ecumenisti cattolici come Y.M.
Congar (1904-1995), P. Couturier (1881-1953), M. Pribilla (1884-1956) e L. Beauduin (1873-1960)
… Tramite un atto conciliare il Vaticano II diede il suo appoggio allo sforzo ecumenico e lo fece
entrare a far parte, come mai prima, delle priorità ufficiali della chiesa cattolica11, come pure di altre
chiese12. [«Questo santo sinodo esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei tempi,
partecipino con slancio all’opera ecumenica»13. Dice il Direttorio ecumenico del 25 marzo 1993:
«Durante il concilio Vaticano II la chiesa cattolica ha preso solennemente l’impegno di operare
per l’unità dei cristiani»14].
2. I decreti Unitatis redintegratio e Orientalium ecclesiarum
L’Unitatis redintegratio ("ristabilimento dell'unità") è un decreto della Chiesa cattolica sull'Ecumenismo, approvato con 2.137 voti a favore e 11 contrari dal Concilio Vaticano II e, solennemente
promulgato il 21 novembre 1964 da papa Paolo VI. Il documento dichiara nell’incipit come uno dei
principali compiti del Concilio «promuovere il ristabilimento dell'unità [Unitatis redintegratio] fra
tutti i cristiani». Questo lo schema del documento (tra parentesi si indica la corrispondente numerazione interna):
8
Gli atti delle Conferenze mondiali organizzate da Fede e Costituzione tra il 1927 e il 1993 si possono consultare in
EnchOe 6, ed. S. Rosso e E. Turco, Bologna 2005.
9
«Fu allora definito come una “associazione fraterna di chiese che accettano Nostro Signore Gesù Cristo come Dio
e Salvatore”. Non si tratta di una “superchiesa”, e neppure di una segreteria organizzativa, ma di un organismo provvisorio al servizio dell’unità, con un compito di leadership spirituale» (G. CERETI, Ecumenismo, 24).
10
G. CERETI, Ecumenismo, 21.
11
Cfr UR 1; UUS 20; 31; 99.
12
J.E. VERCRUYSSE, «Ecumenismo», 362s.
13
UR 4.
14
n. 20.
2
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•
•
Proemio (n. 1)
Capitolo I: Principi cattolici sull'ecumenismo
o Unità e unicità della Chiesa (n. 2)
o Relazioni dei fratelli separati con la Chiesa cattolica (n. 3)
o L'ecumenismo (n. 4)
Capitolo II: Esercizio dell'ecumenismo
o L'unione deve interessare a tutti (n. 5)
o La riforma della Chiesa (n. 6)
o La conversione del cuore (n. 7)
o L'unione nella preghiera (n. 8)
o La reciproca conoscenza (n. 9)
o La formazione ecumenica (n. 10)
o Modi di esprimere e di esporre la dottrina della fede (n. 11)
o La cooperazione con i fratelli separati (n. 12)
Capitolo III: Chiese e comunità ecclesiali separate dalla sede apostolica romana
o Le varie divisioni (n. 13)
o I. Speciale considerazione delle Chiese orientali
Carattere e storia propria degli orientali (n. 14)
Tradizione liturgica e spirituale degli orientali (n. 15)
Disciplina degli orientali (n. 16)
Carattere proprio degli orientali nell'esporre i misteri (n. 17)
Conclusione (n. 18)
o II. Chiese e Comunità ecclesiali separate in Occidente
Condizione di queste comunità (n. 19)
La fede in Cristo (n. 20)
Studio della Sacra Scrittura (n. 21)
La vita sacramentale (n. 22)
La vita in Cristo (n. 23)
15
Conclusione (n. 24)
L’Orientalium ecclesiarum è un decreto del Concilio Vaticano II sulle chiese orientali cattoliche.
Venne approvato con 2.110 voti favorevoli e 39 contrari dai vescovi riuniti in Concilio e fu promulgato dal papa Paolo VI il 21 novembre 1964. Il titolo Orientalium ecclesiarum significa dal latino le
chiese orientali al genitivo plurale, e deriva dalle prime parole del decreto stesso («La chiesa cattolica ha in grande stima le istituzioni, i riti liturgici, le tradizioni ecclesiastiche e la disciplina della
vita cristiana delle chiese orientali [Orientalium ecclesiarum]»). Il decreto Orientalium ecclesiarum
parla delle chiese di rito orientale in comunione con la Chiesa cattolica. Questo lo schema del documento (tra parentesi si indica la corrispondente numerazione interna):
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Proemio (n. 1)
Chiese particolari o riti (n. 2-4)
Patrimonio spirituale delle chiese orientali che deve essere conservato (n. 5-6)
I patriarchi orientali (n. 7-11)
Disciplina dei sacramenti (n. 12-18)
Il culto divino (n. 19-23)
Rapporti con i fratelli delle chiese separate (n. 24-29)
Conclusione (n. 30)
3. Il direttorio per l’ecumenismo e l’enciclica Ut unum sint
15
Si tenga presente che questa conclusione è tale non solo della parte II del cap. III, ma anche di tutto il decreto.
3
L’ingresso della chiesa cattolica mutò il panorama ecumenico. Se in precedenza il movimento ecumenico poteva largamente identificarsi con le realizzazioni del Consiglio ecumenico delle chiese, il
Consiglio ora diventava una parte importante di un più vasto movimento. In questo panorama i dialoghi bilaterali tra le confessioni e le chiese acquistarono una grande importanza. Sebbene la rete
dei dialoghi sia più ampia di quella in cui è coinvolta la chiesa cattolica, è anche vero che
quest’ultima possiede un’indubbia predilezione per essi. Nominiamo alcuni dei dialoghi più fruttuosi a livello mondiale: la Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la chiesa cattolica romana e la chiesa ortodossa, la Commissione internazionale anglicana-cattolica romana
(ARCIC), la Commissione congiunta cattolica romana-evangelica luterana e la Commissione mista
di studio cattolica romana-riformata. Ci sono anche dialoghi e incontri con le antiche chiese orientali, con i battisti, i discepoli di Cristo, i pentecostali e i metodisti. [Un frutto recente del dialogo ecumenico è senz’altro la “Dichiarazione congiunta sulla dottrina della giustificazione” tra la Chiesa
Cattolica e la Federazione Luterana Mondiale (31 ottobre 1999)] … L’iniziativa ecumenica non si
limita ai contatti ufficiali e ai dialoghi dottrinali. È qualcosa di più di un semplice impegno tra tanti
altri. È diventata una forma esigente di rapporto vicendevole in differenti modi e a diversi livelli
della vita ecclesiale, dalle forme ufficiali fino ad altre molto informali di vivere insieme nella vita
quotidiana16.
Oggi l’ecumenismo — come fa rilevare il cardinal Kasper già nell’Introduzione del suo Vie
dell’unità — sta vivendo un momento difficile. Alcuni spiriti critici ritengono che, dopo una breve
“primavera” e fioritura negli anni 1960 e 1970, il movimento ecumenico stia adesso vivendo una
fase di ibernazione (o inverno ecumenico). Il processo di avvicinamento sta durando molto più a
lungo di quanto molti si aspettavano nella prima ottimistica fase17. Inoltre diffusa è la convinzione
che le differenze tradizionali siano oggi irrilevanti per la maggioranza della gente e che sarebbe
possibile passarci semplicemente sopra, arrendendosi al relativismo dogmatico, all’indifferentismo
e a un puro pragmatismo. Sul tavolo c’è primariamente una questione, intorno alla quale finora non
si è fatto alcun progresso significativo: quella dell’ecclesiologia. Il punto cruciale del dialogo ecumenico sono i ministeri della chiesa, in particolare l’episcopato nella successione apostolica e il ministero petrino18.
Uno strumento importante per raggiungere l’unità dei cristiani è il dialogo. È una parola-chiave del
moderno movimento ecumenico. In un documento di lavoro del Segretariato per la Promozione
dell’Unità dei Cristiani contenente riflessioni e suggerimenti riguardo al dialogo ecumenico (15 agosto 1970) si afferma: «Considerato nella sua generalità, il dialogo esiste, tra persone o tra gruppi, quando ogni partecipante ascolta e risponde al tempo stesso, cerca di comprendere e di farsi
comprendere, interroga e si lascia interrogare, si mette a disposizione e accoglie gli altri, a propo16
J.E. VERCRUYSSE, «Ecumenismo», 363s.
Anche il card. Ratzinger rileva questo passaggio dall’ottimismo dell’immediato post-concilio a una specie di quiete, e ne individua le ragioni nel fallimento sia del tentativo di far sorgere l’unità “dal basso” senza il coinvolgimento
delle “autorità” (il modello dell’ecumenismo “di base”) sia, viceversa, del tentativo di far sorgere l’unità “dall’alto”,
cioè per decisione e impegno delle autorità (l’ecumenismo d’autorità) o per la strada delle dichiarazioni teologiche di
consenso ( l’“ecumene contrattuale”): «Nella prospettiva dell'avvenire mi sembra quindi importante riconoscere i limiti
dell'“ecumene contrattuale” e non aspettarsi da essa più di ciò che può dare: avvicinamento su importanti aspetti umani,
ma non l'unità stessa. A me sembra che si sarebbero potute evitare certe delusioni, se tutto ciò si fosse tenuto chiaramente presente fin dal principio. Così invece molti, dopo i successi dei primi anni postconciliari, hanno concepito l'ecumenismo come un compito diplomatico secondo categorie politiche. Come da buoni intermediari ci si aspetta che appunto si addivenga dopo un certo tempo a un accordo per tutti accettabile, così si è potuto credere di attendersi tutto ciò
dall'autorità ecclesiastica in questioni di ecumenismo. Ma in tal modo si domandava troppo a una simile autorità. Ciò
che essa ha potuto fare dopo il Concilio si fondava su un processo di maturazione che non era stato da essa compiuto,
ma aveva solo bisogno di essere tradotto nell'ordinamento esterno della chiesa» (J. RATZINGER, Chiesa, ecumenismo e
politica, 133s = «Ecumenismo», 584). In conclusione: «portatrici di azioni ecumeniche, non possono venir considerate
né una “base” isolata, né un’“autorità” isolata; un’azione ecumenica reale presuppone l’intima unità tra l’azione delle
autorità e l’autentica vita di fede della Chiesa» (J. RATZINGER, Chiesa, ecumenismo e politica, 133 = «Ecumenismo»,
583).
18
Cfr W. KASPER, Vie dell’unità, 5-7.11.24.106.
17
4
sito di una situazione, di una ricerca, di una azione, allo scopo di avanzare insieme verso una più
grande comunione di vita, di vedute, di realizzazioni»19. Il dialogo tra le chiese cristiane ha acquistato un’estensione e una profondità che non si poteva prevedere dal concilio Vaticano II. Se era
considerato come mezzo di conoscenza reciproca e di ricerca di qualche soluzione, non c’era però
l’idea di mezzo richiesto dalla qualità ecclesiale dell’interlocutore (Maffeis). L’accenno alla gerarchia delle verità in UR 11 resta importante per il dialogo ecumenico. Il decreto specifica: «Nel mettere a confronto le dottrine si ricordino che esiste un ordine o piuttosto una “gerarchia” delle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana». Il
concilio non volle adottare la distinzione tra verità “essenziali” e “non essenziali”. Sebbene tutti gli
articoli di fede siano egualmente veri e vincolanti, essi tuttavia non possiedono tutti la medesima
aderenza al nucleo della fede circa Dio e la salvezza mediante Cristo20. Un altro importante principio ermeneutico è la distinzione tra il contenuto della fede e la sua espressione (GS 62)21. Infine nella Redemptoris missio (7 dicembre 1990) il papa dà un principio a proposito del dialogo: «Il dialogo
deve esser condotto e attuato con la convinzione che la chiesa è la via ordinaria di salvezza e che
solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza»22.
Nel Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo (25 marzo 1993) del
Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani si approfondisce la multidimensionalità dell’impegno ecumenico. Riportiamo alcuni stralci del capitolo primo.
«I cattolici sono invitati a rispondere, secondo le indicazioni dei loro pastori, con solidarietà e gratitudine agli sforzi che si compiono per ristabilire l’unità dei cristiani in molte chiese e comunità
ecclesiali e nelle varie organizzazioni alle quali danno la loro collaborazione. Là dove non si realizza nessuna attività ecumenica, almeno praticamente, i cattolici cercheranno di promuoverla»23.
«Qualunque sia la situazione locale, i cattolici, per essere in grado di assumere le loro responsabilità ecumeniche, devono agire insieme e in accordo con i loro vescovi. Innanzi tutto devono conoscere a fondo la natura della chiesa cattolica ed essere capaci di render conto del suo insegnamento, della sua disciplina e dei suoi principi ecumenici. Quanto meglio conoscono tutto questo, tanto
meglio lo possono esporre nelle discussioni con gli altri cristiani e convenientemente spiegarlo motivandolo. Devono anche avere una corretta conoscenza delle altre chiese e comunità ecclesiali con
le quali sono in rapporto. È necessario prendere in attenta considerazione le varie condizioni preliminari all’impegno ecumenico, che sono enunciate nel decreto del concilio Vaticano II
sull’ecumenismo»24.
«L’ecumenismo, con tutte le sue esigenze umane e morali, è talmente radicato nell’azione misteriosa della Provvidenza del Padre, per il Figlio e nello Spirito, da toccare le profondità della spiritualità cristiana. Esso richiede quella “conversione del cuore e quella santità della vita, insieme con le
preghiere private e pubbliche per l’unità dei cristiani”, che il decreto del concilio Vaticano II
sull’ecumenismo chiama “ecumenismo spirituale” e ritiene essere “l’anima di tutto il movimento
ecumenico”»25.
«Le possibilità e le esigenze dell’azione ecumenica non si presentano nello stesso modo in una parrocchia, in una diocesi, a livello di un’organizzazione regionale o nazionale delle diocesi, a livello
della chiesa universale. L’ecumenismo richiede un impegno del popolo di Dio nelle strutture ecclesiastiche e secondo la disciplina propria di ciascuno di tali livelli»26.
19
n. II.1.
J.E. VERCRUYSSE, «Ecumenismo», 365-370. Maggiori dettagli in W. KASPER, Vie dell’unità, 63-69.
21
W. KASPER, Vie dell’unità, 67s. Un’applicazione di questo criterio ha consentito il superamento delle dispute cristologiche con le chiese orientali antiche: cfr infra.
22
RMi 55.
23
n. 23.
24
n. 24.
25
n. 25. Un approfondimento sull’ecumenismo spirituale in W. KASPER, Vie dell’unità, cap. 9; specialmente le pp.
220s.
26
n. 26.
20
5
«Nella diocesi, raccolta attorno al suo vescovo, nelle parrocchie e nei diversi gruppi e comunità,
l’unità dei cristiani si costruisce e si evidenzia giorno per giorno: uomini e donne ascoltano nella
fede la parola di Dio, pregano, celebrano i sacramenti, si mettono al servizio gli uni degli altri e testimoniano il Vangelo della salvezza a coloro che ancora non credono.
Tuttavia, quando membri di una stessa famiglia appartengono a chiese e comunità ecclesiali diverse, quando dei cristiani non possono ricevere la comunione con il coniuge o i figli o gli amici, la
sofferenza per la divisione si fa acutamente sentire e dovrebbe più fortemente stimolare alla preghiera e all’attività ecumenica»27.
«… Le situazioni di cui l’ecumenismo si occupa molto spesso sono senza precedenti, variano da
luogo a luogo e di epoca in epoca. Vanno incoraggiate anche le iniziative dei fedeli nel campo
dell’ecumenismo. È però indispensabile un attento e continuo discernimento, che compete a coloro
che hanno la responsabilità ultima della dottrina e della disciplina della chiesa. A costoro spetta
incoraggiare iniziative serie e assicurare che siano attuate secondo i principi cattolici
dell’ecumenismo. Essi devono ridare fiducia a coloro che si lasciano scoraggiare dalle difficoltà e
moderare la generosità imprudente di coloro che non soppesano debitamente le reali difficoltà disseminate sulla via della ricomposizione dell’unità. Il Pontificio consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani, il cui ruolo e la cui responsabilità consistono nel dare direttive e suggerimenti per l’attività ecumenica, offre lo stesso servizio all’intera chiesa»28.
«Il compito ecumenico si presenterà in modo diverso in un paese in prevalenza cattolico e in un paese in cui cristiani orientali o anglicani o protestanti sono in gran numero o maggioranza. Il compito assumerà aspetti ancora diversi in paesi nei quali c’è una maggioranza di non-cristiani. La
partecipazione della chiesa cattolica al movimento ecumenico in paesi in cui essa è largamente
maggioritaria è cruciale perché l’ecumenismo sia un movimento che coinvolga tutta la chiesa»29.
«Per quel che riguarda le sette e i nuovi movimenti religiosi, la situazione è assai complessa e si
presenta in modo differente secondo il contesto culturale. In alcuni paesi le sette si sviluppano in un
ambiente culturale fondamentalmente religioso. In altri luoghi si diffondono in società sempre più
secolarizzate, ma che, al tempo stesso, conservano credenze e superstizioni. Certe sette sono e si
dicono di origine non-cristiana; altre sono eclettiche; altre ancora si dichiarano cristiane, ma possono sia aver rotto con comunità cristiane, sia conservare ancora legami con il cristianesimo. È
chiaro che spetta primariamente al vescovo, alla conferenza episcopale o al sinodo delle chiese orientali cattoliche discernere il miglior modo di rispondere alla sfida rappresentata dalle sette in
una determinata regione. Bisogna però insistere sul fatto che i principi della condivisione spirituale
o della cooperazione pratica indicati in questo Direttorio si applicano esclusivamente alle chiese e
27
n. 27.
n. 30.
29
n. 32. A proposito di questo occorre rilevare come in Italia negli ultimi anni le cose stiano cambiando: «Circa la
metà degli immigrati sono cristiani: fra di loro i fedeli ortodossi erano stimati nel 2008 in circa un milione centotrentamila. Il numero dei cristiani orientali non cattolici, e in particolare ortodossi di tradizione bizantina, è in veloce incremento. Si può prevedere che, se i flussi migratori manterranno le caratteristiche attuali, nei prossimi anni l’insieme di
tali fedeli diventerà la seconda comunità religiosa italiana. La presenza rilevante di cristiani di confessione ortodossa ha
favorito l’erezione di parrocchie ortodosse, di diocesi in Italia o aventi giurisdizione sulle comunità ortodosse in Italia.
Inoltre, i cristiani ortodossi costituiscono una presenza significativa in molte diocesi cattoliche, apportandovi la ricchezza di tradizioni diverse e un notevole fervore spirituale. Questa nuova realtà cambia anche i termini dei rapporti ecumenici nel nostro Paese. Essi, infatti, non possono più limitarsi alle tradizionali relazioni con piccole minoranze storiche,
spesso circoscritte in ristrette aree geografiche, oppure con i vertici istituzionali delle diverse confessioni, coinvolgendo
gli specialisti o un numero limitato di delegati. Si tratta di una presenza diffusa sul territorio nazionale, che interessa direttamente le strutture pastorali di base, coinvolgendo le diocesi e le parrocchie cattoliche. Infatti, il numero dei fedeli è
tale da rendere impossibile alle comunità orientali, che pure vanno progressivamente strutturandosi, di fare fronte compiutamente alle loro esigenze spirituali e pastorali. È dunque urgente considerare le conseguenze pastorali e giuridiche
della presenza dei fedeli orientali non cattolici all’interno delle comunità cattoliche, a motivo dei contatti che si instaurano, per rispondere in maniera corretta alle richieste che essi presentano» (UFFICIO NAZIONALE PER L’ECUMENISMO E IL
DIALOGO INTERRELIGIOSO – UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI GIURIDICI, Vademecum per la pastorale delle parrocchie cattoliche verso gli orientali non cattolici, Introduzione).
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alle comunità ecclesiali con le quali la chiesa cattolica ha instaurato relazioni ecumeniche. Al lettore di questo Direttorio apparirà con chiarezza che l’unico fondamento per tale condivisione e per
tale cooperazione sta nel riconoscere da una parte e dall’altra una certa comunione già esistente,
anche se imperfetta, congiunta all’apertura e al rispetto reciproco generati da un simile riconoscimento»30.
Facciamo poi riferimento all’enciclica di Giovanni Paolo II Ut unum sint (25 maggio 1995). Richiamiamo innanzitutto lo schema generale.
− Introduzione
− L’IMPEGNO ECUMENICO DELLA CHIESA CATTOLICA
− I FRUTTI DEL DIALOGO
− QUANTA EST NOBIS VIA?
− Esortazione
Anche qui riportiamo alcuni passaggi più significativi.
− Il primato della preghiera. «Quando si prega insieme tra cristiani, il traguardo dell'unità appare più vicino. La lunga storia dei cristiani segnata da molteplici frammentazioni sembra ricomporsi, tendendo a quella Fonte della sua unità che è Gesù Cristo. Egli «è lo stesso ieri, oggi e
sempre!» (Eb13,8). Nella comunione di preghiera Cristo è realmente presente; prega «in noi»,
«con noi» e «per noi». È Lui che guida la nostra preghiera nello Spirito Consolatore che ha
promesso e ha dato alla sua Chiesa già nel Cenacolo di Gerusalemme, quando Egli l'ha costituita nella sua originaria unità. Sulla via ecumenica verso l'unità, il primato spetta senz'altro
alla preghiera comune, all'unione orante di coloro che si stringono insieme attorno a Cristo
stesso. Se i cristiani, nonostante le loro divisioni, sapranno sempre di più unirsi in preghiera
comune attorno a Cristo, crescerà la loro consapevolezza di quanto sia limitato ciò che li divide a paragone di ciò che li unisce. Se si incontreranno sempre più spesso e più assiduamente
davanti a Cristo nella preghiera, essi potranno trarre coraggio per affrontare tutta la dolorosa
ed umana realtà delle divisioni, e si ritroveranno insieme in quella comunità della Chiesa che
Cristo forma incessantemente nello Spirito Santo, malgrado tutte le debolezze e gli umani limiti» (n. 22). «È motivo di gioia il costatare come i tanti incontri ecumenici comportino quasi
sempre la preghiera ed anzi culminino con essa. La Settimana di Preghiera per l'unità dei cristiani, che si celebra nel mese di gennaio, o intorno a Pentecoste in alcuni Paesi, è diventata
una tradizione diffusa e consolidata. Ma anche al di fuori di essa, molte sono le occasioni che,
durante l'anno, inducono i cristiani a pregare insieme. In questo contesto, desidero richiamarmi a quell'esperienza particolare che è il peregrinare del Papa tra le Chiese, nei diversi continenti e nei vari paesi dell'oikoumene contemporanea. È stato il Concilio Vaticano II, ne sono
ben consapevole, ad orientare il Papa verso questo particolare esercizio del suo ministero apostolico. Si può dire di più. Il Concilio ha fatto di questo peregrinare del Papa un preciso dovere, in adempimento del ruolo del Vescovo di Roma a servizio della comunione. Queste mie visite hanno quasi sempre comportato un incontro ecumenico e la preghiera comune di fratelli che
cercano l'unità in Cristo e nella sua Chiesa»31.
− Il dialogo ecumenico richiede un coinvolgimento concreto e generale. «L'impegno per il dialogo ecumenico, così come esso si è palesato sin dai tempi del Concilio, lungi dall'essere prerogativa della Sede Apostolica, incombe anche alle singole Chiese locali o particolari. Speciali
commissioni per la promozione dello spirito e dell'azione ecumenica sono state istituite dalle
Conferenze Episcopali e dai Sinodi delle Chiese orientali cattoliche. Analoghe ed opportune
strutture operano a livello delle singole diocesi. Tali iniziative attestano il coinvolgimento concreto e generale della Chiesa cattolica nell'applicare gli orientamenti conciliari sull'ecumenismo: è questo un aspetto essenziale del movimento ecumenico. Il dialogo non soltanto è stato
intrapreso; esso è diventato una necessità dichiarata, una delle priorità della Chiesa; si è di
30
31
n. 36.
UUS 24.
7
conseguenza affinata la «tecnica» per dialogare, favorendo nel contempo la crescita dello spirito di dialogo. In questo contesto ci si vuole prima di tutto riferire al dialogo tra i cristiani delle diverse Chiese o Comunità, “avviato tra esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno
espone più a fondo la dottrina della propria comunità, e ne presenta con chiarezza le caratteristiche”. Tuttavia giova ad ogni fedele conoscere il metodo che permette il dialogo»32.
− Il dialogo ha dato tra i suoi frutti la fraternità ritrovata. «Avviene ad esempio che - nello stesso
spirito del Discorso della montagna - i cristiani appartenenti ad una confessione non considerino più gli altri cristiani come nemici o stranieri, ma vedano in essi dei fratelli e delle sorelle.
D'altro canto, persino all'espressione fratelli separati, l'uso tende a sostituire oggi vocaboli più
attenti ad evocare la profondità della comunione - legata al carattere battesimale - che lo Spirito alimenta malgrado le rotture storiche e canoniche. Si parla degli “altri cristiani”, degli
“altri battezzati”, dei “cristiani delle altre Comunità”. Il “Direttorio per l'applicazione dei
principi e delle norme sull'ecumenismo” designa le Comunità alle quali appartengono questi
cristiani come “Chiese e Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa
cattolica”. Tale ampliamento del lessico traduce una notevole evoluzione delle mentalità. La
consapevolezza della comune appartenenza a Cristo si approfondisce. L'ho potuto constatare
molte volte di persona, durante le celebrazioni ecumeniche che sono uno degli eventi importanti dei miei viaggi apostolici nelle varie parti del mondo, o negli incontri e nelle celebrazioni ecumeniche che hanno avuto luogo a Roma. La “fraternità universale” dei cristiani è diventata
una ferma convinzione ecumenica. Relegando nell'oblio le scomuniche del passato, le Comunità un tempo rivali oggi in molti casi si aiutano a vicenda; a volte gli edifici di culto vengono
prestati, si offrono borse di studio per la formazione dei ministri delle Comunità più prive di
mezzi, si interviene presso le autorità civili per la difesa di altri cristiani ingiustamente incriminati, si dimostra l'infondatezza delle calunnie di cui sono vittime certi gruppi. In una parola,
i cristiani si sono convertiti ad una carità fraterna che abbraccia tutti i discepoli di Cristo
…»33.
− «Nel movimento ecumenico, non è soltanto la Chiesa cattolica, insieme con le Chiese ortodosse, a possedere questa esigente concezione dell'unità voluta da Dio. La tendenza verso una tale
unità è espressa anche da altri. L'ecumenismo implica che le Comunità cristiane si aiutino a vicenda affinché in esse sia veramente presente tutto il contenuto e tutte le esigenze dell’“eredità
tramandata dagli Apostoli”. Senza di ciò, la piena comunione non sarà mai possibile. Questo
vicendevole aiuto nella ricerca della verità è una forma suprema della carità evangelica»34.
− «Esorto, dunque, i miei Fratelli nell'episcopato a porre ogni attenzione a tale impegno. I due
Codici di Diritto Canonico annoverano tra le responsabilità del Vescovo quella di promuovere
l'unità di tutti i cristiani, sostenendo ogni azione o iniziativa intesa a promuoverla nella consapevolezza che la Chiesa è tenuta a ciò per volontà stessa di Cristo. Ciò fa parte della missione
episcopale ed è un obbligo che deriva direttamente dalla fedeltà a Cristo, Pastore della Chiesa.
Tutti i fedeli, però, sono invitati dallo Spirito di Dio a fare il possibile, perché si rinsaldino i legami di comunione tra tutti i cristiani e cresca la collaborazione dei discepoli di Cristo: “La
cura di ristabilire l'unione riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, e tocca ognuno
secondo la propria capacità” (UR 5)»35.
A proposito della responsabilità dei Vescovi afferma la Pastores gregis: «La preghiera del Signore
Gesù per l'unità fra tutti i suoi discepoli (“ut unum sint”: Gv 17, 21) costituisce per ogni Vescovo
un pressante appello ad un preciso dovere apostolico. Non è possibile attendersi questa unità come
frutto dei nostri sforzi; essa è principalmente dono della Trinità Santa alla Chiesa. Ciò tuttavia non
dispensa i cristiani dal porre ogni impegno, a cominciare da quello della preghiera, per affrettare
32
UUS 31.
UUS 42.
34
UUS 78.
35
UUS 101.
33
8
il cammino verso la piena unità. Rispondendo alle preghiere e alle intenzioni del Signore e alla sua
oblazione sulla Croce per radunare i figli dispersi (cfr Gv 11, 52), la Chiesa cattolica si sente impegnata in modo irreversibile nel dialogo ecumenico, dal quale dipende l'efficacia della sua testimonianza nel mondo. Occorre, dunque, perseverare sulla via del dialogo della verità e dell'amore»36.
Alcuni spunti interessanti si trovano infine nella Nota dottrinale della Congregazione per la dottrina
della fede su alcuni aspetti dell’evangelizzazione datata 3 dicembre 2007: «L’evangelizzazione, tuttavia, si realizza diversamente, secondo le differenti situazioni in cui avviene. In senso proprio c’è
la “missio ad gentes” verso coloro che non conoscono Cristo. In senso lato si parla di “evangelizzazione”, per l’aspetto ordinario della pastorale, e di “nuova evangelizzazione”, verso coloro che non
seguono più la prassi cristiana. Inoltre, vi è l’evangelizzazione in paesi dove vivono cristiani non
cattolici, soprattutto in paesi di antica tradizione e cultura cristiana. […] Nell’impegno ecumenico,
si possono distinguere diverse dimensioni: anzitutto l'ascolto, come condizione fondamentale di ogni dialogo; vi è poi la discussione teologica, nella quale, cercando di capire le confessioni, le tradizioni e le convinzioni altrui, si può arrivare a trovare la concordia, a volte nascosta nella discordia.
Ed inseparabilmente da tutto ciò, non può mancare un'altra essenziale dimensione dell'impegno ecumenico: la testimonianza e l'annuncio degli elementi che non sono tradizioni particolari o sfumature teologiche bensì appartengono alla Tradizione della fede stessa. […] Al riguardo va notato che
se un cristiano non cattolico, per ragioni di coscienza e convinto della verità cattolica, chiede di entrare nella piena comunione della Chiesa cattolica, ciò va rispettato come opera dello Spirito Santo e
come espressione della libertà di coscienza e di religione. In questo caso non si tratta di proselitismo, nel senso negativo attribuito a questo termine. […] Questa prospettiva richiede naturalmente
di evitare ogni indebita pressione: “Nel diffondere la fede religiosa e nell’introdurre usanze ci si deve sempre astenere da ogni genere d’azione che sembri aver sapore di coercizione o di sollecitazione disonesta o scorretta, specialmente se si tratta di persone incolte o bisognose” (DH 4). […]
L’amore e la testimonianza alla verità mirano a convincere anzitutto con la forza della parola di Dio
(cfr 1Cor 2, 3-5; 1Ts 2, 3-5). La missione cristiana risiede nella potenza dello Spirito Santo e della
stessa verità proclamata»37.
4. Ecumenismo con le chiese orientali38
Oltre alle chiese ortodosse, le chiese orientali comprendono anche le chiese orientali antiche che si
separarono dalla chiesa imperiale nel IV e V secolo (copti, siriani, armeni, etiopi, malankaresi). A
noi occidentali esse danno l'impressione di qualcosa di arcaico, ma in realtà sono chiese vive, profondamente radicate nella vita dei rispettivi popoli e culture. Unendosi al movimento ecumenico esse diventano capaci di superare il loro perenne isolamento e di riprendere il loro posto all'interno
della cristianità.
Le ragioni che stanno alla base della loro separazione, oltre che in ragioni politiche, consistono nella disputa sulla formula cristologica. Mentre il concilio di Calcedonia (451) stabilì che Gesù Cristo
è vero Dio e vero uomo in un'unica persona, cioè una persona in due nature, queste chiese aderirono
alla formula di Cirillo di Alessandria, secondo la quale l'unica natura divina si fece carne39. Dopo
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PG 64.
n. 12.
38
Per questo ed il prossimo paragrafo si segue W. KASPER, Vie dell’unità, 29-41. Le note non sono quelle proprie
del testo, ma chiarificazioni che si è ritenuto di inserire, tratte per lo più dallo stesso volume…
39
Cirillo si trovò a dover difendere tenacemente l’unità della persona del Verbo contro Nestorio. L'accusa che viene
addebitata a quest’ultimo è di affermare l'esistenza di "due figli" in Cristo, il Logos e l'uomo-Gesù. Egli si muove all'interno dello schema Logos-anthropos (Verbo-uomo) e, in antagonismo agli alessandrini, parla di Figlio unico e di due
nature, ma non intende il Logos «come portatore insieme della divinità e dell’umanità; invece egli considera “Cristo”
in modo superficiale come la somma delle due nature … Così Cristo è il “nome comune delle due nature”» (A. GRILLMEIER, Gesù il Cristo nella fede della Chiesa, I/2, 832). Cirillo — vescovo di Alessandria — contro Nestorio difende
l'idea di un Cristo unico e medesimo, cioè il Logos che appare, coerentemente con la cristologia del Logos-sarx (Verbo37
9
un intenso lavoro preparatorio, comprendente ricerche storiche sui dogmi, e dopo una discussione
mediata dalla Fondazione “Pro Oriente” di Vienna, questa controversia è stata recentemente risolta
attraverso le dichiarazioni bilaterali del papa e dei rispettivi patriarchi40. Si è riconosciuto che, nel
parlare di una persona e di due nature, si partiva da una differente concezione filosofica della persona e della natura, ma con lo stesso significato per quanto riguardava il contenuto. Questo riconoscimento ha permesso alle chiese di mantenere la loro fede comune in Gesù Cristo senza imporre le
loro rispettive formule l’una all'altra. Il risultato finale è stato una unità nella diversità dei modi di
espressione.
Nel frattempo abbiamo anche iniziato una seconda fase del dialogo, questa volta con tutte le chiese
orientali insieme. Avendo risolto i problemi cristologici, ci stiamo adesso concentrando sul tema
della chiesa come comunione e speriamo di poter compiere altri passi concreti e di poter prendere in
considerazione in futuro la prospettiva di una comunione piena.
Nessun accordo ufficiale è stato finora raggiunto con le chiese ortodosse della tradizione bizantina e
slava. Però la scomunica del 1054, la data simbolica della separazione tra Oriente e Occidente, fu
cancellata «dalla coscienza della chiesa» l'ultimo giorno del concilio Vaticano II (7 dicembre 1965).
Naturalmente il 1054 è piuttosto una data simbolica. L'Oriente e l'Occidente avevano ricevuto il
messaggio del vangelo in modo diverso e avevano sviluppato tradizioni diverse, forme diverse di
cultura e mentalità diverse. Ma nonostante queste differenze tutti vivevano in un'unica chiesa. Nel
corso del primo millennio Oriente e Occidente si erano già estraniati sempre più l'uno dall'altro, avevano finito per capirsi sempre meno, e tale estraniazione fu la vera causa della separazione nel
secondo millennio.
Pure oggi, in ogni incontro con le chiese ortodosse, vediamo che, mentre siamo molto vicini gli uni
agli altri nella fede e nella vita sacramentale, abbiamo difficoltà ad intenderci culturalmente e mentalmente a vicenda. In Oriente incontriamo una cultura altamente sviluppata, ma una cultura che
non ha sperimentato né la separazione occidentale tra chiesa e stato, né il moderno illuminismo, e
che è stata segnata culturalmente e mentalmente soprattutto dai cinquanta o settant'anni dell'oppressione comunista. Dopo i cambiamenti verificatisi alla fine del secolo scorso queste chiese sono adesso libere per la prima volta, libere dagli imperatori bizantini, libere dagli ottomani, libere dagli
zar e libere dal sistema totalitario comunista; però si vedono poste di fronte a un mondo completamente trasformato, in cui devono ancora trovare la loro via, una cosa questa che richiederà tempo e
pazienza41.
carne), come l'unico protagonista dell'attività di Cristo. A Cirillo preme salvare l'unione, tuttavia usa una terminologia
incerta che a volte richiama un certo apollinarismo. Il suo limite è dunque quello di non distinguere abbastanza “natura”
e “persona” (fÚsij e ØpÒstasij), al punto che li usa indifferentemente, giungendo a parlare di “unione di natura”
oppure “unione di persona” (›nwsij kaq’ØpÒstasin oppure kat¦ fÚsin): «Ma se, al di là della formula m…a
fÚsij, guardiamo al resto del linguaggio di Cirillo, troviamo che egli possiede una serie di espressioni che esprimono
non soltanto l’unità di persona, ma anche la distinzione delle nature» (A. GRILLMEIER, Gesù il Cristo nella fede della
Chiesa, I/2, 873).
40
Si segnala come esempio la Dichiarazione comune fra il papa Giovanni Paolo II e il patriarca siro-ortodosso di
Antiochia Moran Mar Ignatius Zakka I Iwas (capo supremo della chiesa siro ortodossa universale) del 23 giugno 1984
in cui si dice al n. 3: «Essi [il papa e il patriarca] comprendono oggi che le confusioni e gli scismi avvenuti tra le loro
Chiese nei secoli successivi [al concilio di Nicea del 325 d.C.], in nessun modo intaccano o toccano la sostanza della
loro fede, poiché tali confusioni e scismi avvennero solo a causa di differenze nella terminologia e nella cultura e a causa delle varie formule adottate da differenti scuole teologiche per esprimere lo stesso argomento. Conseguentemente,
non troviamo oggi nessuna base reale per le tristi divisioni e per gli scismi che avvennero poi tra di noi circa la dottrina
dell’incarnazione. Con le parole e nella vita, noi confessiamo la vera dottrina su Cristo nostro Signore, malgrado le differenze nell’interpretazione di questa dottrina che sorsero all’epoca del concilio di Calcedonia» (in EnchVat 9/839).
41
W. KASPER, Vie dell’unità, 131: «Le chiese ortodosse orientali pensano, non meno della chiesa cattolica, di essere
la vera chiesa di Gesù Cristo. Vedono ciò come una netta affermazione di identità e, a differenza del concilio Vaticano
II, non hanno sostituito tale definizione con l’affermazione più aperta, secondo la quale la Chiesa di Cristo sussiste nella
chiesa cattolica (LG 8). Perciò all’interno dell’ortodossia non è stata finora trovata alcuna risposta accettata da tutti al
problema di come la chiesa di Gesù Cristo possa esistere al di fuori dei confini della propria chiesa; tale definizione potrebbe essere trovata solo per mezzo di un concilio pan-ortodosso o ecumenico. Perciò molte chiese ortodosse hanno
10
I tre documenti prodotti dalla Commissione cattolico-ortodossa mista per il dialogo teologico tra il
1980 e il 1990 mostrano una profonda comunanza nella concezione della fede, della chiesa e dei sacramenti. Lungo questa linea si possono ripristinare importanti elementi dell'antica comunione ecclesiale con le chiese sorelle ortodosse e orientali antiche, come visite reciproche, corrispondenza
regolare tra il papa e i patriarchi, frequenti contatti a livello delle chiese locali e — cosa importante
per le chiese orientali fortemente monastiche — a livello dei monasteri.
L'unico tema teologico seriamente dibattuto tra noi e la chiesa ortodossa, oltre all'aggiunta del Filioque nel Credo42 (che a nostro giudizio costituisce un'affermazione complementare più che un'affermazione contraddittoria), è la questione del primato romano. Come Paolo VI e Giovanni Paolo II
hanno spesso detto, per i cristiani non cattolici questo tema è l'ostacolo più serio. In questa prospettiva nella sua enciclica ecumenica Ut unum sint (1995) Giovanni Paolo II ha lanciato un invito a un
dialogo fraterno sul futuro esercizio del primato. Un passo questo molto rivoluzionario per un papa43! La risonanza fu grande. Il Pontificio Consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani raccolse le reazioni a tale iniziativa e ne inviò un sommario a tutte le chiese e a tutti i gruppi ecclesiali
interessati. Il risultato della prima fase fu lontano — come c'era da aspettarsi — da un consenso;
sembra però che ci siano una nuova atmosfera, un nuovo interesse e una nuova apertura. Adesso
speriamo di iniziare una seconda fase del dialogo. Nel maggio del 2003 il Pontificio Consiglio per
la promozione dell'unità dei cristiani ha convocato un simposio teologico sul ministero petrino con
teologi delle principali chiese ortodosse; e, come c'era da aspettarsi, non abbiamo trovato una soluzione, ma ambedue le parti hanno manifestato aperture promettenti e hanno di conseguenza deciso
di continuare questo tipo di dialogo a livello accademico.
Sfortunatamente, dopo i cambiamenti politici verificatisi nel 1989/90 in Medio Oriente e nell'Europa orientale, le relazioni con le chiese ortodosse sono diventate più difficili. In Ucraina e in Romania le chiese orientali in unione con Roma, che erano state brutalmente oppresse e perseguitate dai
regimi comunisti, sono uscite dalle catacombe e sono rientrate nella vita pubblica. Sono così riemerse vecchie ostilità sul proselitismo e sul cosiddetto “uniatismo”, che da allora in poi hanno reso
il dialogo più difficile e a volte anche polemico44. Nell'ultimo incontro plenario della Commissione
internazionale congiunta a Baltimora, nel 2001, è stato sfortunatamente impossibile fare qualche
progresso sullo spinoso problema del cosiddetto “uniatismo”, e dopo Baltimora non è stato purtroppo più possibile convocare tale Commissione. Problemi e difficoltà sono sorti in modo particolare,
ancora difficoltà a riconoscere la chiesa cattolica, e più che mai le chiese cattoliche orientali, come chiese sorelle».
42
Si rinvia alla spiegazione contenuta in CCC 248: «La tradizione orientale mette innanzi tutto in rilievo che il Padre, in rapporto allo Spirito, è l'origine prima. Confessando che lo Spirito “procede dal Padre” (Gv 15,26), afferma che
lo Spirito procede dal Padre attraverso il Figlio. La tradizione occidentale dà maggior risalto alla comunione consostanziale tra il Padre e il Figlio affermando che lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio (Filioque). Lo dice “lecitamente e
ragionevolmente”; infatti l'ordine eterno delle Persone divine nella loro comunione consostanziale implica che il Padre
sia l'origine prima dello Spirito in quanto “principio senza principio”, ma pure che, in quanto Padre del Figlio unigenito,
egli con lui sia “l'unico principio dal quale procede lo Spirito Santo”. Questa legittima complementarità, se non viene
inasprita, non scalfisce l'identità della fede nella realtà del medesimo mistero confessato».
43
W. KASPER, Vie dell’unità, 199: «Il papa non intende chiaramente mettere in discussione il ministero petrino e il
dogma del primato e dell’infallibilità, ma cerca nuove forme del suo esercizio, senza rinunciare alla sua essenza». Cfr
UUS 95, ma su questo tema è interessante tutto quanto affermato nei n. 88-97.
44
W. KASPER, Vie dell’unità, 119.128: «Le chiese orientali comprendono sia le chiese cattoliche orientali, che sono
in piena comunione con Roma, sia le chiese ortodosse, che non sono in piena comunione con Roma, ma che sono ciononostante riconosciute come vere chiese. […] Le chiese ortodosse orientali non vedono affatto le chiese cattoliche orientali in piena comunione con Roma (“chiese uniati”, per usare il loro termine) come un ponte, ma le vedono piuttosto
come un muro e una barriera, anzi come un abominio, le accusano di apostasia e di tradimento e rimproverano loro di
rubare pecore dal loro gregge (proselitismo) e di saccheggiare le loro chiese madri». L’uniatismo inteso come assorbimento da parte della chiesa latina o unioni particolari tra chiese è generalmente rigettato come metodo per arrivare
all’unità della chiesa, preferendogli ordinariamente il metodo del dialogo e il modello delle chiese sorelle: cfr W. KASPER, Vie dell’unità, 130.
11
dopo l'erezione di quattro diocesi all'interno della Federazione russa45, con la chiesa ortodossa più
importante, la chiesa ortodossa russa.
Nel frattempo, però, il dialogo non è affatto cessato. Attraverso visite personali e contatti fraterni,
attraverso il cosiddetto dialogo dell'amore, siamo stati capaci di migliorare le relazioni bilaterali con
le chiese ortodosse della Romania, della Serbia e della Bulgaria. Delegazioni ad alto livello si sono
scambiate visite. In particolare, dopo la storica visita del papa ad Atene nel 2001, le nostre relazioni
con la chiesa greca, fino ad allora piuttosto fredde, sono diventate cordiali e si sono sviluppate in direzione di una cooperazione sempre più intensa. Un ulteriore passo fu la visita di una delegazione
della Santa Sede ad Atene e una visita di una delegazione del Santo Sinodo della chiesa ortodossa
greca a Roma, visite che solo due anni prima sarebbero state del tutto inimmaginabili. Nelle nostre
relazioni con Mosca ci sono dei segni di distensione e di miglioramento, e la mia impressione è che
siamo riusciti a voltar pagina.
Il maggior problema teologico che stiamo oggi affrontando è la nostra condivisa e diversa concezione della communio (koinōnía). Qui ci troviamo di fronte al vero nodo della nostra differenza: da
un lato il ministero petrino e una concezione universalistica della chiesa, dall'altro lato l'idea
dell’autocefalia delle chiese nazionali. Per superare questa differenza dobbiamo, da parte nostra, lavorare a una reinterpretazione e a una nuova ricezione del concilio Vaticano I46, che salvino il dono
del ministero petrino per l'unità e per la libertà della chiesa e che mantengano nello stesso tempo la
tradizione orientale di chiese sui iuris47 con la loro propria tradizione teologica, spirituale e canonica, ma senza cadere nella trappola delle chiese nazionali autocefale. Anche teologi ortodossi vedono
in questa autocefalia nazionale una debolezza dell'odierna ortodossia48. Occorre trovare una nuova
soluzione dell'annoso problema dell'unità e della legittima diversità. Anche se in futuro continueremo a trovarci di fronte a difficoltà e a problemi, la mia impressione è che siamo all'inizio di una
promettente nuova fase.
Sono convinto che il miglioramento nelle nostre relazioni ecumeniche con le chiese orientali è d'essenziale importanza anche per superare le divisioni all'interno della cristianità occidentale. Dopo la
sua separazione dall'Oriente la cristianità latina si è sviluppata in modo unilaterale, ha respirato, per
così dire, con un solo polmone e si è impoverita. Tale impoverimento è stato, tra le altre, una delle
cause della seria crisi della chiesa nel tardo Medioevo, crisi che sfociò nella tragica divisione del
XVI secolo.
5. Ecumenismo con le comunità ecclesiali della tradizione protestante
Le osservazioni seguenti si limitano al dialogo con i luterani che, unitamente al dialogo con la Comunione anglicana, è il più sviluppato. Molti passi in avanti sono stati compiuti negli ultimi decenni
con la Federazione luterana mondiale in dialoghi a livello internazionale, regionale e locale. Nel
1999, dopo un considerevole lavoro preparatorio, fu solennemente sottoscritta la Dichiarazione
congiunta sulla dottrina della giustificazione. Essa — come disse giustamente il papa — è stata una
pietra miliare, cioè un importante passo in avanti, ma non ancora la fine del viaggio. Certo c'è anco45
Sono l’Arcidiocesi di Mosca, la Diocesi di Saratov, la Diocesi di Novosibirsk e la Diocesi di Irkutsk. Le prime
due sono nella Russia europea, le ultime due sono in Siberia. Sono le più estese del mondo quanto a dimensione territoriale.
46
W. KASPER, Vie dell’unità, 91: «Il concilio Vaticano I insegnò […] che il primato di giurisdizione del papa è iure
divino e che è essenziale alla chiesa per essere tale (DH 3050s)».
47
W. KASPER, Vie dell’unità, 88: «Dal momento che ogni chiesa locale è chiesa nel senso più pieno del termine, non
ci può essere ministero ecclesiale o autorità ecclesiale più alta di quella del vescovo. Ciononostante fin dai primi tempi,
come testimoniato dai primi concili ecumenici, le sedi metropolitane e le successive sedi patriarcali ottennero la precedenza. La loro autorità è però sinodalmente incorporata. […] Il ministero petrino è esercitato da tutti i vescovi individualmente e in comunione sinodale».
48
In W. KASPER, Vie dell’unità, 114 il relativo riferimento bibliografico (Meyendorff). «Il più recente sviluppo di
chiese nazionali autocefale e le concomitanti tensioni hanno anche sollevato la questione di sapere se è possibile parlare
di una chiesa ortodossa al singolare, o se non si debba piuttosto parlare di chiese ortodosse al plurale» (Ibid.).
12
ra un certo numero di problemi irrisolti a proposito della giustificazione. Però le chiese non devono
concordare punto per punto su tutte le questioni teologiche. Se c'è un consenso sostanziale, eventuali singole differenze non devono necessariamente dividerle; alcune differenze possono essere concepite non come contraddittorie, ma come complementari. In questo senso un consenso differenziato49, una diversità riconciliata, o comunque la si voglia chiamare, è sufficiente50.
Alcuni, specialmente alcuni teologi protestanti, hanno espresso la loro delusione a proposito della
Dichiarazione congiunta, perché non vi scorgono delle conseguenze ecclesiali concrete. A mio giudizio questa critica è ingiustificata, perché la stessa Dichiarazione congiunta afferma molto chiaramente che non intende risolvere le questioni ecclesiologiche. Essa ha introdotto una dimensione e
un'intensità nuova e più profonda nelle relazioni con i nostri fratelli e con le nostre sorelle luterane,
una dimensione che non abbiamo con altre denominazioni protestanti. In ultima analisi questo ci
permette di rendere davanti al mondo la nostra comune testimonianza all'essenza del vangelo: a Gesù Cristo e alla sua rilevanza salvifica. E nel nostro mondo largamente secolarizzato ciò non è una
cosa da poco.
Il “nocciolo duro” tutt'oggi perdurante riguarda le congiunte questioni della chiesa e del ministero.
Esse sono adesso in agenda. Secondo la concezione protestante la chiesa è “creatura verbi”, è concepita primariamente a partire dalla proclamazione della parola e dalla risposta della fede, ed è di
conseguenza l'assemblea dei credenti, in cui il vangelo è predicato nella sua purezza e in cui i sacramenti sono amministrati secondo il vangelo51. Pertanto il centro di vita non risiede più nella
49
W. KASPER, Vie dell’unità, 182s: «C’è un consenso fra luterani e cattolici su alcune verità basilari (non su le verità basilari) della dottrina della giustificazione, […] nella esposizione delle quali sono possibili vari punti di partenza,
differenti forme di pensiero e differenti espressioni, nonché differenti enfasi e affermazioni».
50
Al di là del caso particolare della Dichiarazione congiunta, ci sembra importante sottolineare con il card. Ratzinger, un principio generale che deve guidare l’ecumenismo e che lui chiama unità attraverso diversità: «Sulla strada mostrata da Cullmann noi dovremmo per prima cosa cercare di trovare unità attraverso diversità, cioè a dire: assumere nella divisione ciò che è fecondo, disintossicare la divisione stessa e ricevere proprio dalla diversità quanto è positivo; naturalmente nella speranza che alla fine la rottura smetta radicalmente d'essere rottura e sia invece solo una “polarità”
senza contraddizione. Ma quando ci si protende troppo direttamente verso quest’ultimo stadio con la fretta superficiale
del voler fare tutto da sé, si approfondisce la separazione invece di sanarla. Mi permetta di dire il mio pensiero
[l’interlocutore è M. Seckler in una lettera] con un esempio molto pratico. Non è stato forse in tanti modi un bene per la
Chiesa cattolica in Germania e altrove il fatto che sia esistito accanto alla Chiesa il protestantesimo con la sua liberalità
e la sua devozione religiosa, con le sue lacerazioni e la sua elevata pretesa spirituale? Certo, ai tempi delle lotte per la
fede, la spaccatura è stata quasi soltanto contrapposizione; ma poi sono cresciuti sempre di più elementi positivi per la
fede in entrambe le parti, un positivo che ci permette di comprendere qualcosa del misterioso “è necessario” di san Paolo [si riferisce a 1Cor 11,19: “È necessario che avvengano divisioni tra voi”]. Giacché, viceversa, ci si potrebbe immaginare un mondo unicamente protestante? O non è forse vero che il protestantesimo in tutte le sue affermazioni, e proprio come protesta, è del tutto riferito al cattolicesimo, al punto che senza di questo sarebbe quasi impensabile?» (J. RATZINGER, Chiesa, ecumenismo e politica, 134s = «Ecumenismo», 585).
51
W. KASPER, Vie dell’unità, 7: «I protestanti non desiderano essere considerati chiesa nello stesso senso in cui la
chiesa cattolica vede se stessa». Per Karl Barth la Chiesa è “Congregatio vivens Jesu Christi, Domini viventis”. Questa
congregatio viene intesa da Barth come un “evento” che ha luogo ovunque due o tre si riuniscono nel nome di Cristo:
per esempio si riuniscono per la fede in Cristo Salvatore, per la comunione nello Spirito Santo, per la carità fraterna, per
il mutuo servizio. Viene chiamata “congregatio Jesu Christi Domini viventis” perché è Gesù stesso che la riunisce o la
vivifica ed è Lui solo che la governa. In questa congregatio nessun uomo ha diritto di governo sugli altri; ogni autorità
risiede nella parola rivelata da Cristo. Non c’è nessun ufficio gerarchico, ma tutta la comunità partecipa al ministero che
viene esercitato in forme e modi diversi, secondo le varie esigenze e i diversi doni dello Spirito. Contro la dottrina della
successione apostolica egli sostiene che Dio non può legarsi ad un atto umano: è inconcepibile che un uomo abbia a sua
disposizione lo Spirito Santo al punto di poterlo trasmettere agli altri quando gli piace. Emil Brunner lamenta che quasi
tutte le chiese, cattolica e protestanti, abbiano un falso concetto della Chiesa, la quale viene concepita come un'istituzione più o meno giuridica, come un organismo amministrativo. In realtà, dice Brunner, la vera Chiesa di Cristo fu una pura comunione (koinōnía): comunione con Cristo, comunione di carità fraterna tra le membra del suo Corpo. Tra le
membra del corpo Mistico non c’è alcun vincolo gerarchico, perché è il solo Cristo a governare la Chiesa, attraverso
l’autorità della Parola rivelata e attraverso l'intervento dello Spirito Santo. É vero: nella prima generazione gli Apostoli
erano i testimoni qualificati della parola rivelata, ma Cristo non conferì loro alcuna autorità sugli altri fedeli. Ogni autorità risiede nella parola di Cristo e, dopo che tale parola fu fissata per iscritto, l'autorità che avevano gli Apostoli è deposta in quella parola e in tutta la comunità cui essa è affidata. Infine Brunner afferma che se c’è una Chiesa terribilmente
13
chiesa, ma nella comunità «punto centrale dì riferimento delle idee e delle strutture mentali protestanti basilari» (G. Gloege). Per questa ragione la costituzione delle chiese della tradizione protestante non è episcopale, ma comunitaria-sinodale e presbiterale; sotto il profilo teologico l'episcopato è un ministero presbiterale (uguale a quello dei pastori) con la funzione di guida della chiesa, una
sottoestimazione questa che è ancora più fortemente marcata nelle chiese calviniste che non nelle
chiese luterane.
Tuttavia negli ultimi due decenni c'è stato qualche cambiamento. Il documento di Lima su Battesimo, eucaristia e ministero (1982), in cui la successione apostolica nell'episcopato è considerata
«come un segno, anche se non una garanzia, della continuità e dell'unità della chiesa», è benvenuto.
Nel frattempo, nel dialogo con le chiese anglicane, che occupano ecumenicamente un'importante
posizione intermedia, le chiese luterane scandinave e degli USA hanno affrontato il tema dell'episcopato storico. Le chiese luterane europee continentali della Concordia di Leuenberg hanno una
posizione diversa; per esse l'ordinamento episcopale e l'ordinamento sinodale-presbiterale sono ordinamenti legittimi all'interno di una pluralità di ordinamenti e strutture ecclesiali.
Ci troviamo perciò di fronte a due diversi approcci: da un lato quello episcopale, orientato in senso
universale, degli anglicani e di qualche chiesa luterana, approccio ispirantesi alla tradizione ecclesiale antica; e dall'altro lato un approccio più locale, più incentrato sulla comunità e presbiterale. Alle spalle dei due approcci ci sono interpretazioni diverse della precisa intenzione della Riforma protestante. I riformatori protestanti intesero rinnovare la chiesa universale mantenendo la continuità
con la sua struttura fondamentale, come suggerisce la Confessione di Augusta (1530)? oppure lo
sviluppo di un tipo e di un paradigma nuovo di chiesa fu una conseguenza inevitabile e deliberata
delle loro azioni? c'è in proposito un consenso di fondo o — come oggi molti sostengono — una
differenza di fondo?
Attualmente riceviamo segnali diversi dai nostri partner, e al momento non è per noi facile distinguere la direzione in cui essi si muovono in termini ecclesiali. C'è ancora bisogno di una chiarificazione sui temi ecclesiologici, specialmente sul ministero ordinato, sia sul piano ecumenico sia all'interno dello stesso mondo protestante. La Commissione internazionale mista per il dialogo con i luterani sta ora lavorando su questi temi e anche la Commissione fede e costituzione ha avviato un
processo di consultazione sulla natura e sul fine della chiesa, processo che, speriamo, lavorerà in
maniera costruttiva sulla base del documento di Lima intitolato Battesimo, eucaristia e ministero
(1982).
Sfortunatamente, mentre siamo impegnati a superare queste e altre differenze tradizionali, nuovi
problemi stanno sorgendo nel campo dell'etica, dove prima esisteva un consenso generale. Oltre che
sul tema dell'ordinazione delle donne, che Lutero respinse decisamente, il mondo anglicano e protestante è oggi profondamente diviso sui problemi etici dibattuti nella nostra moderna cultura occidentale, ivi inclusi l'aborto, l'omosessualità e l'eutanasia52. Ciò innalza nuove barriere, che rendono
più difficile e a volte addirittura impossibile la testimonianza comune, di cui il nostro mondo ha tanto bisogno. [In questo contesto di divisione all’interno del mondo anglicano è emersa la richiesta da
parte di alcuni gruppi di essere ricevuti, anche corporativamente, nella piena comunione cattolica e
a tal fine il papa Benedetto XVI — con la costituzione apostolica Anglicanorum coetibus del 4 novembre 2009 — ha disposto l’istituzione di appositi Ordinariati Personali. Il documento ha suscitato
dibattito perché prevede l’accoglienza tra il clero cattolico di ex-clero anglicano uxorato e la possidistante dall’ideale vangelico è proprio quella Cattolico-romana per la sua dottrina della trasmissione dei poteri sacri
attraverso la successione (cfr P. RIPA BUSCHETTI DI MEANA, Chiesa 1, 176-178).
52
Nel suo viaggio pastorale in Germania dal 22 al 25 settembre 2011 il papa Benedetto XVI ha riservato
un’attenzione particolare al cammino dell’ecumenismo, introducendo nell’agenda ecumenica — con molto coraggio ma
anche con molta chiarezza — proprio le questioni etiche, sulle quali finora non era stato possibile formulare dichiarazioni comuni. Indipendentemente dalla confessione di appartenenza, il papa ha individuato alcuni punti di convergenza
irrinunciabili per tutti i veri cristiani, e sono: la dignità inviolabile dell’uomo, la protezione della vita umana (dal suo
concepimento fino alla sua morte naturale), l’integrità e la singolarità del matrimonio tra un uomo e una donna: cfr E.
CATTANEO, «Benedetto XVI traccia il cammino dell’ecumenismo», CivCatt 162/IV (2011) 173-177 e relative fonti.
14
bilità di ammettere caso per caso all’Ordine Sacro del presbiterato — con deroga pontificia alla
norma del celibato — anche uomini coniugati53.]
Quanto alle questioni del ministero ecclesiale e dell'etica, la teologia protestante ha una preoccupazione comune: la libertà cristiana. Il famoso trattato di Lutero del 1520, una delle più importanti
pubblicazioni protestanti, intitolato La libertà del cristiano [trad. italiana, in Scritti politici, UTET,
Torino 1959, 349ss], diventa ancora una volta rilevante. Lutero fu spesso visto, ma anche più spesso
erroneamente visto, come un liberatore dal giogo del papato e da tutte le costrizioni istituzionali e,
in quanto tale, come un pioniere della libertà nel senso liberale moderno del termine. Perciò, per
quanto riguarda il dialogo con le chiese della tradizione protestante, i temi ancora sul tappeto sono,
dopo la chiarificazione della dottrina della giustificazione, primariamente e eminentemente temi riguardanti l'ecclesiologia. Ma una soluzione delle questioni ecclesiologiche va vista nel contesto
molto più ampio dell'atteggiamento che dobbiamo assumere nei confronti della nostra cultura moderna e postmoderna e del modo in cui dobbiamo concepire la libertà cristiana rispetto alla libertà
liberale occidentale.
[Pubblicato a Londra dalla Casa editrice Continuum Press e successivamente tradotto in lingua italiana in Regno-doc. 54/19 (2009), è a disposizione di tutti il prezioso documento ecumenico di studio: Raccogliere i frutti. Aspetti fondamentali della fede cristiana nel dialogo ecumenico. Consensi,
convergenze e differenze. «Se non desistiamo, mieteremo» (Gal 6,9), a firma del card. Walter Kasper, allora Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei cristiani, che lo ha
presentato nella Sala stampa della Santa Sede il 15 ottobre 2009. Era dal 2007 che il Cardinale aveva discusso col suo Dicastero il progetto di raccogliere e presentare una sintesi dei risultati dei dialoghi ufficiali bilaterali internazionali tra la Chiesa cattolica e le Chiese storiche protestanti: luterani, riformati, anglicani e metodisti, nostri primi partner di dialogo dopo il Concilio Vaticano II, con
l’intento di far conoscere in forma comparata i frutti di quarant’anni di dialogo e con l’auspicio che
tale lavoro possa «avviare, promuovere e agevolare forme di ricezione dei risultati dei dialoghi nella nostra Chiesa e anche nelle Comunità ecclesiali dei nostri partner» al fine di «stimolare nuovi
dialoghi sulle questioni ancora aperte e ispirare un nuovo entusiasmo e un maggiore livello di testimonianza comune nel mondo di oggi», data «la consapevolezza del grado di fede apostolica che
già condividiamo»54.]
Appendice A55
Presentazione schematica delle Chiese orientali non cattoliche
A) Le Chiese ortodosse di tradizione bizantina comprendono:
1) i quattro antichi Patriarcati:
a. Patriarcato ecumenico di Costantinopoli (con giurisdizione su Turchia, Creta, diocesi della Grecia Settentrionale, eparchie greche della diaspora nelle Americhe, Europa occidentale e Australia);
b. Alessandria (Egitto e Africa);
c. Antiochia (Siria, Libano, Iraq, Kuwait, Iran, Americhe, Australia, Europa);
d. Gerusalemme (Israele, Giordania, zone sotto il controllo dell’Autorità palestinese);
2) le altre Chiese autocefale:
a. Chiesa ortodossa di Russia (con giurisdizione su Russia, Ucraina, Bielorussia, Kazakhstan e le altre repubbliche ex sovietiche, nonché sulla diaspora russa);
b. Chiesa ortodossa di Serbia (Serbia e le altre repubbliche ex jugoslave, Europa occidentale, Americhe,
Australia e Nuova Zelanda);
c. Chiesa ortodossa di Romania (Romania, Europa occidentale, Nord America);
d. Chiesa ortodossa di Bulgaria (Bulgaria e diaspora in Europa e America);
53
Cfr n. VI.
Da un articolo dell’Eco del p. Enrico Sironi.
55
Le seguenti due appendici sono a conclusione del documento dell’UFFICIO NAZIONALE PER L’ECUMENISMO E IL
DIALOGO INTERRELIGIOSO – UFFICIO NAZIONALE PER I PROBLEMI GIURIDICI, Vademecum per la pastorale delle parrocchie cattoliche verso gli orientali non cattolici.
54
15
e. Chiesa ortodossa di Georgia;
f. Chiesa ortodossa di Cipro;
g. Chiesa ortodossa di Grecia;
h. Chiesa ortodossa di Polonia;
i. Chiesa ortodossa di Albania;
j. Chiesa ortodossa delle Repubbliche Ceca e Slovacca;
3) le Chiese ortodosse autonome:
a. Chiesa ortodossa del Monte Sinai (dipendente dal patriarcato di Gerusalemme), con giurisdizione su
Sinai ed Egitto;
b. Chiesa ortodossa di Finlandia (dipendente dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli);
c. Chiesa ortodossa del Giappone (autonomia concessa dal patriarcato di Mosca, ma non riconosciuta da
Costantinopoli);
d. Chiesa ortodossa della Cina (autonomia concessa dal patriarcato di Mosca, ma non riconosciuta da Costantinopoli, che ha eretto a sua volta una metropolia a Hong Kong);
e. Chiesa ortodossa apostolica estone (dipendente dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, non riconosciuta dal Patriarcato di Mosca);
4) le Chiese canoniche dipendenti da Costantinopoli:
a. Diocesi americana ortodossa carpato-russa degli Stati Uniti d’America;
b. Chiesa ortodossa ucraina degli Stati Uniti d’America e della diaspora;
c. Esarcato ortodosso russo in Europa occidentale;
d. Diocesi ortodossa albanese d’America;
e. Chiesa ucraina ortodossa in Canada.
B) Vi sono poi le Antiche Chiese d’Oriente:
1) Chiesa apostolica armena, con due catolicosati: Etchmiadzin (con giurisdizione sui patriarcati di Gerusalemme e Costantinopoli) e Cilicia;
2) Chiesa assira dell’Oriente (Patriarcato della Chiesa Assira dell’Oriente – Stati Uniti d’America);
3) Chiesa copta ortodossa;
4) Chiesa etiopica ortodossa Tewahedo;
5) Chiesa ortodossa eritrea (riconosciuta dalla Chiesa copta);
6) Chiesa sira ortodossa (Patriarcato siro-ortodosso di Antiochia e dell’Oriente);
7) Chiesa ortodossa siro-malankarese (India).
C) Vi sono infine alcune Chiese che hanno uno status canonico irregolare:
1) Vecchi credenti;
2) Chiesa ortodossa ucraina – Patriarcato di Kiev e Chiesa ortodossa autocefala ucraina;
3) Chiesa ortodossa autocefala bielorussa (Nord America, Regno Unito, Australia);
4) Chiesa ortodossa macedone;
5) Chiese ortodosse vecchio-calendariste.
Appendice B
Le Chiese ortodosse in Italia
Esiste oggi in Italia una certa difficoltà a orientarsi in un panorama piuttosto complesso di realtà ecclesiali
vecchie e nuove. Si elencano qui di seguito, senza pretese di esaustività, le presenze orientali non cattoliche
più rilevanti nel nostro Paese:
– Patriarcato ecumenico di Costantinopoli;
– Chiesa ortodossa di Russia;
– Chiesa ortodossa di Serbia;
– Chiesa ortodossa di Romania;
– Chiesa ortodossa di Bulgaria;
– Chiesa ortodossa di Polonia;
– Chiesa ortodossa di Grecia;
– Chiesa copta ortodossa;
– Chiesa etiopica ortodossa Tewahedo;
– Chiesa ortodossa eritrea;
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– Chiesa apostolica armena;
– Chiesa ortodossa macedone (non riconosciuta dalle altre Chiese ortodosse);
– Esarcato ortodosso russo in Europa occidentale (legato al Patriarcato di Costantinopoli);
– Chiesa ortodossa russa di rito antico (non canonica, legata ai Vecchi credenti russi);
– Chiesa ortodossa greca del Vecchio Calendario (separatasi dalla Chiesa ortodossa greca, antiecumenica);
– Chiesa ortodossa romena del Vecchio Calendario (separatasi dalla Chiesa ortodossa romena);
– Chiesa ortodossa in Italia (non canonica);
– Chiesa ortodossa autonoma dell’Europa occidentale e delle Americhe - Metropolia di Milano e Aquileia
(non canonica).
Bibliografia e abbreviazioni
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BENEDETTO XVI, Anglicanorum coetibus. Costituzione apostolica circa l’istituzione di Ordinariati
Personali per Anglicani che entrano nella piena comunione con la Chiesa Cattolica, 4
novembre 2009: AAS 101 (2009) 985-990; EnchVat 26/1275-1304.
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