SECONDO TEMPO
Alimentazione
La dieta senza carne: un valore
che diventa anche una cura
A PARITÀ DI SOSTANZE NUTRIENTI, IL MENÙ "VERDE" RIDUCE LE EMISSIONI DI GAS SERRA DEL 34%
Approfondimento ragionato sull'alimentazione sostenibile. E in un istituto
geriatrico di Milano, la scelta vegeteriana è affiancata alla terapia
di Alessandro Giannini
e Giorgio Vacchiano
La
L’agricoltura, che
include la zootecnica, è responsabile di un terzo
delle emissioni
complessive di
gas serra
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polpetta nel piatto di un paziente dell’istituto geriatrico Redaelli
di Milano non è di carne: è di ceci
o lenticchie, insaporita con spezie;
se a prima vista rende diffidenti alla
fine risulta comunque gustosa. Limitare gli alimenti di origine animale al Redaelli è una scelta
ben precisa: qui si cura anche con la dieta, quella
mediterranea.
L’eccessivo consumo di carne, oltre a effetti collaterali sulla salute, ne ha di altrettanto importanti
sull’ambiente. Secondo la FAO, infatti, il 14% delle emissioni di gas ad effetto serra nel 2013 a livello mondiale erano dovute all’allevamento, e se
la produzione mondiale di carne è dominata da
suini e pollame, è proprio l’allevamento dei ruminanti (costituito per l’80% dai bovini) il principale responsabile delle emissioni. Da una parte i
ruminanti emettono notevoli quantità di metano
a causa della fermentazione enterica; dall’altra le
loro deiezioni producono protossido di azoto.
Sul totale delle emissioni del settore dell’allevamento, secondo il Joint Research Centre della
Commissione europea, la fermentazione enterica
contribuisce per il 39% (sulla quale incidono soprattutto i bovini), e l’utilizzo e la gestione del letame per il 26%. Questi processi contribuiscono
Altreconomia
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in così grande quantità al riscaldamento globale
perché il metano e il protossido di azoto hanno
un effetto serra rispettivamente 25 e 300 volte
più elevato della CO2, a causa della loro struttura chimica e del diverso tempo di permanenza in
atmosfera, come ha confermato l’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC). In merito all’impatto ambientale dell’alimentazione,
tre ricercatori della Carnegie Mellon University
di Pittsburgh (USA) hanno pubblicato a fine novembre 2015 uno studio che sembrava apparentemente smentire questi dati, tanto che uno dei
firmatari, il professor Paul Fischbeck, ha affermato che “mangiare lattuga è tre volte peggiore,
in quanto a emissioni di gas serra, che mangiare
bacon”; la notizia è stata riportata, fra gli altri, da
repubblica.it: “A parità di calorie -si poteva leggere- la produzione di melanzane e cetrioli consuma più acqua ed energia, producendo più gas
serra”.
In termini di calorie, 50 grammi di pancetta (la
porzione per un piatto di pasta alla carbonara)
equivalgono ad 1,6 chilogrammi di lattuga, cioè
alla quantità di insalata che si può consumare in
una settimana o due: quindi il confronto non regge. Il dottor Antonino Frustaglia, geriatra e cardiologo, lavora all’istituto Redaelli, dove si occupa
anche di nutrizione. Ci spiega che “non è possibile confrontare gli alimenti a parità di calorie, perché il nostro corpo non ha bisogno solo di energia
ma anche di altri componenti fondamentali, come
le proteine e gli acidi grassi essenziali (da cui si
traggono anche calorie, ma non solo), e poi le fibre e i micronutrienti (vitamine, minerali, etc) che
non danno apporto di calorie”.
Ancor prima di fornire valori a parità di calorie,
gli autori del citato studio Carnegie Mellon hanno utilizzato dati sull’emissione di gas serra per
chilogrammo di alimento (tratti da uno studio di
Heller e Keoleian dell’Università del Michigan).
Da questi emerge che la carne bovina ha il valore
maggiore (oltre 25 kg CO2eq per kg), seguita da
burro e formaggi, le altre carni, le uova; al confronto, tutti gli altri alimenti -in particolare legumi, ortaggi, cereali e frutta- hanno emissioni almeno dieci volte inferiori, a parità di peso.
Questi dati di emissione per unità di peso sono
indicativi ma non esaustivi; Frustaglia continua:
“si potrebbero fare confronti tra alimenti a parità
di nutrienti, ma è molto complesso: è più corretto
confrontare le diete”.
Il titolo dell’articolo di repubblica.it riportava “La
dieta vegetariana è nemica dell’ambiente” e in
modo simile titolavano anche ansa.it, lastampa.it.
In realtà, le conclusioni contenute nello studio
Carnegie sono differenti: le due diete raccomandate dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati
Uniti (USDA) nel 2010 hanno cioè impatti maggiori (soprattutto in termini di energia, quindi di
acqua, infine di gas serra) rispetto all’attuale dieta
statinutense corretta, con una leggera diminuzione nelle quantità.
I media sono stati tratti in inganno dalla dichiarazione di Fischbeck: le diete consigliate dal USDA
aumentano i latticini e riducono soprattutto zuccheri, grassi solidi e olii, e in minima parte la carne. Sono sì diete più salutari rispetto alle abitudini alimentari degli statunitensi, ma non sono
affatto diete vegetariane.
Per vederci più chiaro abbiamo confrontato due
diete -che non sono consigliate ma puramente esemplificative-, utili solo per confrontarne le
emissioni di gas serra.
La prima si basa sul modello alimentare mediterraneo “moderno”, come lo definisce il Consiglio
per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA, già INRAN), e sulle porzioni
consigliate dallo stesso istituto nelle “Linee guida
per una sana alimentazione italiana”.
g CO2 equiv /
kg per alimenti
Carne suina/avicola
6.170
Carne bovina
26.450
Pesci e crostacei
6.090
Uova
3.540
Legumi
780
Latte/Yogurt
1.510
Formaggio fresco
1.800
stagionato
9.780
Burro
11.920
Olio
1.630
Pane
n.d.
Pasta
n.d.
Riso
1.140
Patate
210
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Ortaggi
730
Insalata
1.080
Frutta
350
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Maggio 2016
www.altreconomia.it
SECONDO TEMPO
Alimentazione
LE EMISSIONI DI GAS SERRA IN UNA DIETA RICCA DI CARNE E IN UNA DIETA VEGETARIANA
La misura dell'impatto ambientale
DIETA ONNIVORA 25,2 kg CO2 eq/settimana - 1.311 kg CO2 eq/anno
gr/settimana - kg CO2 a settimana
Carne210
bovina
Salumi
150 Carne suina 140
Carne140
avicola
Pesci 100
e crostacei
Uova120
Legumi30
secchi
Latte/2.625
yogurt
Formaggio
- fresco
100
- stagionato100
Burro100
Olio110
Pane1.750
Biscotti140
Pasta320
Riso240
Altri cereali Patate400
Ortaggi2.250
Insalata250
Frutta3.150
7,8
1,2
0,4
6,5
0,3
3,5
2,5
2,9
Carne
Rossa
Pollame
e pesce
Uova
e legumi
Latte
e derivati
Olii
Cereali
Verdura
Frutta
0
0
0,9
5,2
0,4
2,7
5,4
2,0
Ortaggi5.000
Insalata400
Frutta2.100
Carne0
bovina
Salumi0
Carne suina 0
Carne 0
avicola
Pesci 0
e crostacei
Uova180
Legumi360
secchi
Latte/1.500
Yogurt
Formaggio
- fresco
700
- stagionato50
Burro60
Olio150
Pane800
Biscotti140
Pasta320
Riso320
Altri cereali 300
Patate200
DIETA VEGETARIANA 16,6 kg CO2 eq/settimana - 863 kg CO2 eq/anno
kg CO2 a settimana - gr/settimana
Fonte: elaborazione a cura di Altreconomia
700g
la carne consumata mediamente da un italiano
ogni settimana.
Di questi, 175
grammi rappresentano quella
conservata o
lavorata
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Nella suddivisione delle porzioni consigliate
per i cibi proteici si è dato maggior peso alle carni
rispetto ai legumi per renderle più simili al dato
reale italiano: varie fonti indicano un consumo di
circa 700 grammi a settimana.
L’altra è una dieta vegetariana, “nutrizionalmente valida -spiega Frustaglia- perché molto ricca di
legumi, fondamentali per l’apporto proteico; abbinandoli a cereali integrali, invece che raffinati,
si completa la gamma degli aminoacidi essenziali
(cioè quelli che il corpo umano non può produrre autonomamente, ndr), proprio perché i cereali
integrali compensano quelli non forniti dalle proteine dei legumi”.
Moltiplicando i dati di consumo (gr/settimana)
per i dati di emissioni si ottengono i kg di CO2eq
per alimento o gruppo di alimenti.
Altreconomia
Numero 182
Tra la dieta ricca di carne e quella vegetariana risulta una differenza di 450 kg CO2eq/anno pari
ad una riduzione del 34%. Questa quantità è equivalente alla CO2 emessa da un’auto nuova per percorrere circa 4.000 chilometri.
A conferma di questo risultato, una revisione di
14 studi scientifici sulle variazioni degli impatti
del cambio di dieta in Europa riporta una riduzione tra dieta media attuale e dieta vegetariana compresa tra il 20 e il 35%, con una media di
540 kg CO2eq all'anno. Altri ricercatori della stessa Carnegie Mellon University, in uno studio del
2008, facevano notare che l’impatto (in termini di
gas serra) generato dagli individui è in larga misura dovuto a tre fattori: il cibo, l’energia domestica e i trasporti. Di questi, è solo sul cibo che il
consumatore ha un potere immediato; sugli altri
le scelte sono a medio-lungo termine e maggiormente legate alle possibilità offerte dalla tecnologia o dalla società.
Eva Alessi, responsabile sostenibilità di WWF
Italia, ci conferma che il parametro CO2eq è il
primo a cui rivolgere l’attenzione nello studio
dell’impatto dell’alimentazione; basta considerare che “l’agricoltura, che nella sua definizione
include la zootecnica, è responsabile di un terzo
delle emissioni complessive di gas serra”.
Inoltre, escluse la Groenlandia e l’Antardide, “l’agricoltura occupa il 38-40% delle terre emerse; le
restanti sono zone inadatte alla coltivazione o utilizzate per le infrastrutture: si potrebbe espandere ulteriormente solo in aree di pregio ambientale
(foreste tropicali e savane) ma con danni enormi”.
“Secondo la FAO -continua Alessi- il 36% della
produzione mondiale di cereali è impiegato per
nutrire animali da carne e da latte. E per un chilogrammo di carne di manzo servono oltre 10mila
litri di acqua per la produzione dei mangimi necessari, costituiti da 15 kg di cereali e soia”.
“Non dobbiamo scegliere tutti una dieta vegetariana o vegana -conclude Alessi- ma ridurre drasticamente il consumo di carne, questo sì. In Italia
andrebbe almeno dimezzato”.
Per avere un’indicazione su consumo di carne e
salute, vanno considerate le raccomandazioni del
Fondo mondiale per la ricerca sul cancro (WCRF)
riprese anche dall’Istituto italiano tumori: si consiglia di limitare il consumo di carni rosse (manzo, maiale, agnello e capra) sotto i 500 grammi a
settimana, e ridurre al minimo o evitare del tutto
il consumo di carne conservata (affumicata, trattata o salata, o contenente conservanti chimici).
Non a caso l’agenzia internazionale per la ricerca
sul cancro (IARC, organo dell’OMS) ha inserito la
carne lavorata tra i “cancerogeni”.
Gli italiani consumano molta carne conservata o
lavorata: 175 grammi a settimana, secondo alcune
associazioni di produttori di carne (carnisostenibili.it). Eppure la dieta mediterranea è stata inserita nel 2010 dall’UNESCO nel patrimonio culturale immateriale dell’umanità; “è un bene che
abbiamo da millenni senza averne consapevolezza
Secondo la FAO, il 36% della
produzione mondiale di cereali va a
nutrire animali da carne e da latte.
E per un chilogrammo di carne di
manzo servono 10mila litri di acqua
-spiega Frustaglia, medico del Redaelli-. Prevede
un basso consumo di carni rosse, intorno a 1-2
volte alla settimana, come accadeva fino alla fine
degli anni 50, mentre oggi spesso viene consumata quasi quotidianamente”. I consumi sono esplosi nei primi anni 60. Come al solito a porre problemi è stato il consumismo più che il consumo.
Lo slogan “non han mai fatto male tre fette di salame” era reale quando le tre fette di salume erano
consumate una o due volte a settimana.
All'istituto geriatrico Redaelli i pazienti sono circa 500, in maggioranza lungodegenti che lì restano per mesi o anni, a cui si cerca di restituire le
capacità personali residue, soprattutto motorie.
“Negli ospedali in cui i pazienti sono ricoverati
per un tempo limitato, l’incidenza dell’alimentazione è relativa, mentre in una struttura di lungodegenza si può fare un buon lavoro di supporto con una dieta più salubre possibile”, dice
Frustaglia.
Esclusi i pazienti con patologie particolari, agli
altri vengono proposte diete a basso contenuto di
proteine animali, al massimo nell’ordine di 1 o 2
porzioni alla settimana per ciascuno dei seguenti alimenti: carne rossa, carne bianca, derivati del
latte, uova.
In cucina c’è stata una rivoluzione: man mano che
aumentava la consapevolezza sull’uso di alimenti
non animali, venivano introdotti, uno alla volta,
i legumi, che rispetto alla carne (molto più facile
da cucinare) vanno preparati, cotti, asciugati ed
elaborati. C’è anche un vantaggio economico: “se
un chilogrammo di carne costa 3 o 4 euro all’ingrosso, un chilogrammo di legumi ne costa meno
di uno”.
“Nei dati preliminari dello studio che stiamo
completando, in collaborazione con l’Università di Milano-Bicocca, abbiamo notato che non ci
sono perdite di vitamine importanti (come la B12
o la D) né anemia. Sembrerebbe che nei tempi di
degenza, che talvolta si riducono, una dieta mediterranea possa aiutare il recupero motorio, e magari anche le performance psichiche.
La nostra intenzione è anche di far parsimonia
dell’uso di certi farmaci, che hanno comunque effetti collaterali. È noto che il grasso favorisce la
formazione di trombi: a un iperteso con colesterolo alto, forse, posso dimezzare l’aspirina utilizzando una dieta povera di grassi animali”.
Inoltre, diminuire la produzione di mangimi è un
atto responsabile perché libera risorse agricole da
destinare direttamente all’alimentazione umana.
Con questa consapevolezza, oltre ai benefici per
la salute e per l’ambiente, c’è ancora più gusto a
ridurre il consumo di carne.
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Impronta idrica
(litri/Kg di cibo)
Carne suina/avicola
2.842
Carne bovina
10.003
Salumi
4.667
Pesci e crostacei
49
Uova
1.068
Legumi
1.744
Latte/Yogurt
666
Formaggio fresco
1.888
stagionato
2.997
Burro
33
Olio
9.102
Pane
1.045
Pasta
1.202
Riso
1.477
Patate
217
Ortaggi
302
Insalata
138
Frutta
443
Maggio 2016
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