UF10 - Unita Elettromagnetiche

Le unità di misura in elettromagnetismo e le equazioni di Maxwell
Autore:
Pietro Romano ([email protected])
Liceo Scientifico Statale “Leonardo” – Giarre (CT) (www.liceoleonardogiarre.it)
Abstract
In this work, c.g.s. and S.I. metric systems are compared, from the electromagnetic units point of
view. Starting from a system-independent form of the electric and magnetic basic equations, based
on three constants k e , k m , and γ em , we obtain the light velocity as:
c=
k
e
2
em m
γ k
[I]
c is a cinematic parameter that can be independently measured . Thus, only two of the three
constants can be arbitrarily fixed, determining the different systems by this choice.
Premessa
In queste pagine, viene trattata la questione relativa alle unità di misura delle grandezze
elettromagnetiche, al fine di migliorare la comprensione delle relazioni tra i vari sistemi di unità di
misura che, tra la fine del XIX° secolo e gli inizi del XX°, si sono succeduti e che, spesso, sono
anche stati utilizzati in forma ibrida.
Inizialmente, tutte le relazioni importanti dell’elettromagnetismo vengono introdotte senza fare
riferimento ad alcuno dei sistemi di unità di misura. Così facendo, ci si ritroverà in presenza di tre
costanti arbitrarie (una elettrica, k e , una magnetica, k m , ed una elettromagnetica, γ em ), che, infine,
risulteranno collegate dalla relazione che esprime la velocità della luce:
ke
c=
[I]
2
γ em k m
Essendo c una velocità, quindi un parametro essenzialmente cinematico, la sua determinazione è
indipendente dalle leggi dell’elettromagnetismo; nella relazione [I] sono allora solamente due le
grandezze indipendenti e l’accento viene posto sul fatto che è il modo in cui viene effettuata la loro
scelta che determina il tipo di sistema di unità di misura.
La legge di Coulomb per l’elettrostatica
La legge che và sotto il nome di legge di Coulomb viene scoperta nel 1766 da Priestley e,
indipendentemente, da Cavendish, alcuni anni dopo. Priestley partì da una osservazione
sperimentale di Franklin, il quale osservò che un corpo, posto all’interno di un recipiente metallico
cavo ed elettricamente carico, non presentava alcuna carica elettrostatica. Avendo presente la
dimostrazione teorica di Newton, secondo la quale, se si considerava valida la legge dell’inverso
del quadrato della distanza, all’interno di una sfera cava non agisce nessuna forza gravitazionale,
Priestley ne dedusse che la stessa legge doveva valere anche per le forze elettrostatiche.
Nel 1785, Coulomb sottopone la legge a verifica sperimentale, utilizzando una bilancia a torsione,
e verificando che:
q q'
Fe = k e 2
[1]
r
P. Romano – Le unità di misura in elettromagnetismo e le equazioni di Maxwell
1
La costante k e può essere determinata per via sperimentale attraverso la [1], se è stata
preliminarmente definita l’unità di carica elettrica.
In alternativa, è possibile fissare k e in modo arbitrario e definire l’unità di carica attraverso la [1].
La legge di Coulomb per la magnetostatica
La differenza fondamentale tra fenomeni elettrici e magnetici è data dal fatto che non risulta
possibile isolare singoli poli magnetici. Se però il magnete ha una forma allungata, in prossimità di
un polo l’effetto dell’altro polo risulta trascurabile.
La possibilità di misurare l’intensità magnetica di un polo consegue da alcuni fatti sperimentali
(Michell, 1750; Coulomb, 1800), che possono essere messi in evidenza attraverso una bilancia di
torsione modificata e qui ne diamo una breve descrizione:
•
•
Dati due poli magnetici A e B, diremo che essi hanno la stessa intensità magnetica se
esercitano forze uguali su uno stesso polo C di riferimento. Inoltre, sotto questa
ipotesi, avvicinando contemporaneamente e contiguamente al polo di riferimento C il
nord di A ed il sud di B, al migliorare della contiguità la forza tende ad annullarsi.
Se due poli magnetici aventi uguale intensità agiscono contemporaneamente e con lo
stesso segno sul polo magnetico di riferimento, questo risulta soggetto ad una forza
doppia di quella applicata da ciascuno dei due poli separatamente.
Gli esperimenti misero in evidenza che la forza tra due poli magnetici è:
p p'
Fm = k m 2
[2]
r
quindi una legge simile a quella valida in elettrostatica. Le quantità p e p ' indicano le intensità
magnetiche dei poli. Come prima, anche la costante k m può essere determinata attraverso la [2] per
via sperimentale, dopo che si è introdotta il valore unitario della carica magnetica oppure
fissandola arbitrariamente, per poi definire, sempre da qui, l’unità di misura della carica magnetica.
Per la già espressa difficoltà di isolare un singolo polo magnetico, questo approccio alla
magnetostatica non è molto praticato, ma la [2] è una relazione che tornerà utile più in là.
L’intensità di corrente
Viene definita come la carica che nell’unità di tempo attraversa la sezione di un conduttore:
dq
i=
[3]
dt
La sua unità di misura è quindi derivabile dall’unità di carica e dall’unità di tempo.
La connessione tra fenomeni elettrici e magnetici
Nel 1820, Oërsted mise in evidenza la stretta connessione tra elettricità e magnetismo, dimostrando
sperimentalmente gli effetti di una corrente elettrica su un ago magnetico. Dopo poco più di un
 F 
mese, Biot e Savart dimostrano che la forza che un campo magnetico H  = m  esercita su un
 p' 
filo percorso da corrente e la cui direzione è perpendicolare a quella del campo, risulta
proporzionale alla corrente, alla lunghezza del conduttore e al campo stesso:
F = γ em ilH
[4]
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2
Da qui, la costante γ em può essere determinata a partire da misure di i, di l e di H.
Le equazioni dell’elettromagnetismo
Il vettore induzione magnetica B
La relazione [4] consente l’introduzione di una nuova grandezza magnetica di grande utilità. Se
poniamo infatti:
B = γ em H
[5]
la [4] diventa:
F = ilB
[6]
La grandezza B, che prende il nome di induzione magnetica, risulta quindi definibile
operativamente attraverso la [6], facendo ricorso solo a grandezze meccaniche ed elettriche; per
tale motivo, essa viene considerata la quantità fondamentale nella misura dei fenomeni
magnetostatici.
L’evidenza sperimentale conferma la natura vettoriale di B. Sempre dal lavoro sperimentale, segue
la generalizzazione della [6] al caso in cui il filo e il campo non sono ortogonali:
F = il × B
[7]
Partendo da questa relazione sperimentale, Laplace dedusse una formula matematica (nota col
nome di 2a formula di Laplace) che consente di calcolare la forza elementare dF agente su un
circuito di lunghezza dl immerso in un campo di induzione B :
dF = i dl × B
[8]
La forza di Lorentz
Consideriamo un conduttore cilindrico, di sezione S e lunghezza l, immerso in un campo elettrico
che per semplicità supponiamo parallelo al suo asse (fig.1).
Detta e la carica elettronica, n la densità, e v la velocità di
deriva, gli elettroni che nel tempo ∆t attraversano un
qualunque sezione del conduttore sono tutti quelli contenuti
nel
volume:
∆V = S v∆t .
Da
qui
segue:
∆N = n∆V = n S v∆t .
La corrente è:
∆q e∆N e n S v∆t
Fig. 1: conduttore sotto l’azione di un campo elettrico
=
=
= enS v
∆t
∆t
∆t
La [7] può allora scriversi: F = e n S v l × B . Indicando con Vtot = S l il volume totale del
i=
conduttore, e osservando che la quantità N tot = n Vtot rappresenta il numero totale degli elettroni
all’interno del conduttore, si può scrivere:
F = N tot e v × B
La quantità:
F = ev × B
[9]
rappresenta allora la forza agente su un singolo elettrone, nota come forza di Lorentz.
La 1a formula di Laplace
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3
Consideriamo un filo percorso da una corrente di intensità i (fig. 2). Consideriamone un piccolo
tratto dl , sul centro del quale, per comodità, poniamo l’origine
di un sistema 0xyz. Si supponga che in un punto a distanza r
dall’ele-mento dl sia presente un polo magnetico positivo di
valore unitario. La [8] esprime la forza che il polo magnetico
esercita sull’elemento di corrente dl . Per reazione, questa forza
deve essere uguale e contraria alla forza che l’elemento di
corrente esercita sul magnete. Questa forza non elettrostatica che
agisce sul polo indica che l’elemento di corrente è a tutti gli
effetti una sorgente di campo magnetico. Si ha:
Fig. 2: Dimostrazione della 1a formula di
Laplace
dF ' = − dF = − i dl × B
Questa forza dF ' che l’elemento di corrente esercita sul polo unitario è quindi il campo magnetico
dB
generato dall’elemento di corrente. Cioè dF ' = dH =
. Poiché il campo di induzione generato
γ em
r
dal polo magnetico è esprimibile come B = − γ em km 3 , la [9] assume la forma:
r
dl × r
2
dB = γ em
k mi 3
[10]
r
che costituisce la 1a formula di Laplace.
La legge di Biot e Savart
La [10], applicata al caso di un filo rettilineo consente di valutare l’induzione B a distanza r da
esso. Si trova:
i
2
B = 2 γ em
km
[11]
r
nota come legge di Biot e Savart, per il fatto che furono questi ricercatori a dedurre
sperimentalmente la relazione di proporzionalità diretta di B con i e inversa di B con r. La
direzione ed il verso di B si determinano con le regole del prodotto vettoriale e le linee di forza
sono date da circonferenze col centro nei punti del filo.
L’interazione corrente-corrente
Nel 1820, Ampere determina sperimentalmente la forza reciproca che si esercita tra due conduttori
paralleli, di lunghezza l, posti a distanza r l’uno dall’altro e attraversati dalle correnti i1 e i 2 ,
l
trovando che F ∝ i1i2 . Questa legge può essere dedotta utilizzando le relazioni [6] e [11]. Con
r
riferimento alla fig. 6, la forza F esercitata dal primo filo sul secondo è, per la [6], F = i 2 lB . Dalla
[11], il campo B che il primo filo esercita in P è B =
F=
2
2γ em
kmi1
e quindi:
r
2
2γ em
kml
i1i2
r
[12]
Il teorema della circuitazione di Ampere
Sempre con riferimento ad un filo rettilineo, valutiamo la circuitazione di B scegliendo come
percorso concatenato al filo una circonferenza di raggio r avente il centro nel filo e giacente su un
piano ad esso normale. Si ha, da [11]:
2
C ( B ) = ∑ B ⋅ ∆l = B ∑ ∆l = B ⋅ 2πr = 4π γ em
k mi
[13]
P. Romano – Le unità di misura in elettromagnetismo e le equazioni di Maxwell
4
la [13] ha validità generale ed è nota come teorema della circuitazione di Ampere.
1. Teorema di Gauss
Il teorema di Gauss consente di valutare il flusso del campo elettrico attraverso una superficie che
racchiude una carica complessiva q. E’:
Φ( E ) = 4πk e q
[14]
Nell’elettromagnetismo, non esistendo monopoli magnetici, il teorema di Gauss fornisce:
Φ( B) = 0
[15]
La legge di Faraday – Neumann – Lenz
Dalle osservazioni sperimentali di Faraday, Neumann dedusse che la forza elettromotrice indotta in
un circuito per effetto di variazioni del campo magnetico in cui esso risulta immerso è uguale alla
variazione del flusso di B concatenato con il circuito. Lenz osservò che questa forza è tale da
opporsi alle stesse variazioni di B che la generano. In formula:
∆Φ ( B)
f = C(E) = −
[16]
∆t
Corrente di spostamento
La [16] mostra come un campo magnetico variabile nel tempo determina un campo elettrico.
Maxwell si chiese se un campo elettrico variabile nel tempo è in
grado di indurre un campo magnetico. La risposta a questa domanda
venne con l’introduzione (Maxwell, 1865) del concetto di corrente
di spostamento, che risolse un paradosso relativo al teorema di
Ampere e spianò la strada alla teoria delle onde elettromagnetiche.
Si consideri la figura seguente (fig. 3):
Il teorema della circuitazione di Ampere fornisce due risultati
differenti se applicato alla linea 1, considerando come contorno la
superficie a oppure la superficie b:
2
C ( B )1 = 4π γ em
k mi per la superficie a
 C ( B )1 = 0
per la superficie b
Fig. 3: calcolo della circuitazione di B
Nel secondo caso, infatti, la linea 1 non può considerarsi concatenata con il circuito dato che si fa
riferimento ad una superficie (b) che non è attraversata dal conduttore che porta la corrente i.
Maxwell risolve il problema osservando che, durante la carica (o la scarica) del condensatore, il
campo elettrico E tra le armature varia (in quanto varia la carica q). In base al teorema di Gauss,
∆q
1 ∆Φ ( E )
risulta ∆Φ ( E ) = 4πk e ∆q e si determina da qui una corrente pari a: i =
=
. Oggi
∆t 4πk e ∆t
spieghiamo questo termine di corrente facendo ricorso alle proprietà del campo elettrico e quindi
non è necessario che tra le armature del condensatore di fig.3 sia presente materia. Ai tempi in cui
Maxwell diede la sua interpretazione, invece, si riteneva che i fenomeni elettromagnetici
necessitassero comunque di un supporto materiale. Maxwell fa osservare come le variazioni di
campo elettrico determinano un diverso grado di deformazione delle molecole del dielettrico.
Durante queste variazioni di forma, si ha un momentaneo spostamento di cariche e quindi una
corrente, che Maxwell denominò appunto corrente di spostamento. Il teorema di Ampere, con la
corrente di spostamento, diventa:
P. Romano – Le unità di misura in elettromagnetismo e le equazioni di Maxwell
5

1 ∆Φ ( E ) 
2

[17]
C ( B) = 4π γ em k m  i +
 4πke ∆t 
Il notevole risultato che si trae da questa legge è che un campo elettrico variabile genera a sua
volta un campo magnetico.
Onde elettromagnetiche
Le equazioni dalla [14] alla [17] costituiscono le cosiddette equazioni di Maxwell. Partendo da esse
(o, più esattamente, da una loro formulazione equivalente), Maxwell (1873) riuscì a prevedere
teoricamente l’esistenza delle onde. Egli dimostrò infatti che, se in un punto dello spazio si genera
una variazione di campo elettrico o magnetico, questa si propaga nello spazio circostante per
effetto della reciproca generazione di campi elettrici e magnetici.
Uno dei presupposti di questa analisi è che questi campi elettrici e magnetici siano trasversali
rispetto alla direzione di propagazione dell’onda (esperimenti di Fresnel e Arago del 18191):
Fig. 4: la propagazione delle onde elettromagnetiche
Le previsioni teoriche di Maxwell, cioè l’esistenza di tali perturbazioni ondulatorie, vennero
confermate successivamente dagli esperimenti di Hertz (1886-1889).
Dall’analisi di Maxwell, segue che le onde elettromagnetiche si propagano nel vuoto sempre con la
stessa velocità2, che risulta espressa da:
ke
c=
[18]
2
γ em k m
In questa relazione confluiscono la tre costanti k e , k m , e γ em . La velocità c è un parametro
cinematico, quindi indipendente dalle unità di misura elettromagnetiche, che può essere
determinato sperimentalmente. Il suo valore oggi accettato è 2.99792 × 10 8 m / s .
Da ciò, come detto in premessa, si trae l’importante conclusione che le tre costanti k e , k m , e γ em
non sono tra loro indipendenti: due di esse possono essere fissate in modo arbitrario e il modo in
cui ciò viene fatto determina differenti sistemi di unità, che passiamo ora a descrivere.
1
2
Questi ricercatori hanno dimostrato sperimentalmente che onde luminose polarizzate a 90° non mostrano interferenza.
Vedi in appendice
P. Romano – Le unità di misura in elettromagnetismo e le equazioni di Maxwell
6
I sistemi di unità di misura
Sistemi c.g.s.
I sistemi c.g.s. sono tre: elettrostatico, elettromagnetico, di Gauss. Tutti sono accomunati dal fatto
che le unità fondamentali sono il centimetro (cm), il grammo (g) ed il secondo (s).
•
c.g.s. elettrostatico: in questo sistema, si sceglie k e = 1 e γ em = 1 . Per effetto di
questa scelta, risulta, da [18], k m = 1 2 . L’unità di misura della carica elettrica si
c
qq '
definisce da Fe = 2 e prende la denominazione di StatCoulomb (StatC: due
r
cariche elettriche pari a 1 StatC si respingono, se poste ad 1 cm di distanza, con la
forza di 1 dina - [ qes ] = [ F ] ⋅ [ r ] ). Questo sistema si presta assai bene per lo studio
dei fenomeni elettrici ma dà luogo ad unità poco convenienti per le varie grandezze
magnetiche, per via del valore piccolo di k m .
•
c.g.s. elettromagnetico: in questo sistema, si sceglie k m = 1 e γ em = 1 . Per effetto di
questa scelta, risulta, da [18], k e = c 2 . L’unità di misura della carica magnetica si
pp '
definisce da Fm = 2 e anche in questo caso si denomina StatCoulomb (StatC: due
r
cariche magnetiche pari a 1 StatC si respingono, se poste ad 1 cm di distanza, con la
forza di 1 dina). Questo sistema si presta assai bene per lo studio dei fenomeni
magnetici ma dà luogo ad unità poco convenienti per le varie grandezze elettriche,
per via del valore molto elevato di k e . L’unità di misura della carica elettrica è
[qem ] = [F ][r ] = [qes ] . Il campo di induzione magnetica viene definito attraverso la
c
c
[7] e la sua unità di misura è:
[ F ] = dina ⋅ s = Gauss
[ B] = q
[ em ] l StatC ⋅ cm
[]
[t ]
•
[19]
c.g.s. di Gauss: in questo sistema, si sceglie k e = 1 e k m = 1 . Per effetto di questa
scelta, risulta, da [18], γ em = 1 . L’unità di misura della carica elettrica è
c




[
F] 

[q] = [qes ]. L’unità naturale per la misura di B è  [B] = [q ]  . Utilizzando
es
[l ]

[
] 
t

queste unità, l’espressione della forza di Lorentz è F = e v × B . In pratica, per B si
preferisce continuare ad utilizzare il Gauss del sistema c.g.s. elettrostatico. Per poter
fare ciò, nelle formule in cui è presente B , bisogna dividere per c. Ciò segue
dall’equazione dimensionale di B :
P. Romano – Le unità di misura in elettromagnetismo e le equazioni di Maxwell
7
[B] = [q[F]] = [q [F] ] = [q [F] ] = Gauss
c
es
[l ] es c [l ] em c[l ]
[t ]
[t ] c
[t ]
e e per la forza di Lorentz avremo F = v × B .
c
Mentre i sistemi c.g.s. elettrostatico ed elettromagnetico sono ormai in disuso, il sistema di Gauss
ha ancora applicazioni, in special modo in fisica teorica. Le equazioni di Maxwell, tenuto conto di
quanto appena detto sul modo di intendere B , in questo sistema si scrivono:
1. Φ ( E ) = 4π q
2. Φ ( B) = 0
1 ∆Φ ( B)
[20]
3. C ( E ) = −
c ∆t
4π
1 ∆Φ ( E )
4. C ( B) =
i+
c
c ∆t
Sistema mksA
In questo sistema, le costanti k e e k m vengono poste, nel vuoto, nella forma:
1

k e = 4π ε

0
[21]

k = 1
 m 4π µ 0
Le costanti ε 0 e µ 0 appena introdotte si dicono costante dielettrica e permeabilità magnetica (Si
noti che, al momento, si sono solo espresse in altro modo le due costanti ke e k m , ma non se né è
stabilito il valore). La [18] assume allora la forma:
µ0
c=
[22]
2
ε 0 γ em
Si pone γ em = µ 0 . Scegliamo cioè la terza costante in modo che sia uguale a µ0 . La [22] diventa:
1
c=
[23]
ε 0 µ0
Resta da fissare in modo arbitrario un’altra delle due costanti rimanenti ( ε 0 oppure µ 0 ). In questo
sistema di unità, ciò viene fatto definendo una quarta unità fondamentale, l’intensità di corrente
elettrica (Ampere, simbolo A), come quella corrente che, attraversando nello stesso verso due
conduttori paralleli di lunghezza molto grande e sezione trascurabile rispetto alla lunghezza, posti
alla distanza di 1 m, determina una forza di attrazione di 2 ⋅ 10 −7 N per ogni metro di lunghezza.
Mediante questa nuova grandezza fondamentale, attraverso la relazione [12], che in questo
µl
sistema, si scrive F = 0 i1i2 , si può definire la costante µ 0 , che risulta pari a 4π ⋅ 10 −7 N 2 .
A
2π r
2
Infine, da [23], si determina il valore di ε 0 e si ottiene 8.859 ⋅ 10 −12 C
N m2
(si è fatto uso del
Coulomb, simbolo C, definibile attraverso la [3]).
Le equazioni di Maxwell, in questo sistema, assumono la seguente forma:
P. Romano – Le unità di misura in elettromagnetismo e le equazioni di Maxwell
8
q
1. Φ( E ) =
ε0
2. Φ( B ) = 0
∆Φ ( B)
3. C ( E ) = −
∆t

∆Φ( E ) 
4. C ( B) = µ0  i + ε 0

∆t 

P. Romano – Le unità di misura in elettromagnetismo e le equazioni di Maxwell
[24]
9
APPENDICE
Derivazione della equazione delle onde elettromagnetiche
Si vuole derivare l’equazione delle onde elettromagnetiche e l’espressione [18] della loro velocità,
partendo dalle equazioni di Maxwell espresse attraverso le costanti ke , k m , γ em (equazioni [14] →
[17]). Esprimendole nella la cosiddetta forma differenziale:
∇ ⋅ E = 4πke ρ
 ∇ ⋅ B = 0
 ∂B
∇ × E = −
∂t

 
1 ∂E 
2

∇ × B = 4πγ em k m  J +
4πke ∂t 


In assenza di cariche e correnti, queste si riducono a:
∇ ⋅ E = 0
 ∇ ⋅ B = 0
 ∂B
(*)
∇ × E = −
∂
t

 γ 2 k ∂E
∇ × B = em m

ke ∂t
Cerchiamo una soluzione del tipo onda piana. Scegliamo l’asse z nella direzione di propagazione
dell’onda. È allora: E = E ( z , t ) e B = B( z , t ) . Dalla prima delle equazioni (*),
∂E
deduciamo: z = 0 .
∂t
La componente z di E è allora costante nel tempo e la si può ignorare. Questo vettore deve allora
oscillare lungo il piano xy. Supponiamo che sia: E = E x i (quindi, l’oscillazione si abbia lungo
l’asse x).
Considerando la seconda delle (*), ne segue un analogo ragionamento per B . Per definire la
∂E x ∂B
direzione di questo vettore, usiamo la terza equazione (*). Da qui segue:
j=
⇒ B = By j
∂z
∂t
∂B
γ 2 k ∂E x
Quindi B deve essere diretto come l’asse y. Dall’ultima equazione, segue allora: y = em m
∂z
ke ∂t
Queste ultime due equazioni danno luogo al sistema:
 ∂E x ∂By
 ∂z = ∂t

 ∂B
2
 y = γ em k m ∂E x
 ∂z
ke ∂t
Eseguendo le derivate parziali, si trova che E x e By , soddisfano alle equazioni:
P. Romano – Le unità di misura in elettromagnetismo e le equazioni di Maxwell
10
2
 ∂ 2 E x γ em
km ∂ 2 Ex
=
 ∂z 2
ke ∂t 2

 2
2
2
 ∂ By = γ em km ∂ By
 ∂z 2
ke ∂t 2

Queste espressioni hanno la forma classica dell’equazione delle onde in una corda. Le componenti
dei campi elettrico e magnetico si propagano quindi con velocità data da:
ke
c=
2
γ em k m
Bibliografia
1. R. Blum, D. E. Roller, FISICA, volume 2, Elettricità, Magnetismo, Ottica, Zanichelli, 1985,
Bologna.
2. Ugo Amaldi, La Fisica di Amaldi, Idee ed esperimenti, Zanichelli, 2008, Bologna.
P. Romano – Le unità di misura in elettromagnetismo e le equazioni di Maxwell
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