Le unità di misura in elettromagnetismo e le equazioni di Maxwell

Le unità di misura in elettromagnetismo e le
equazioni di Maxwell
Pietro Romano
Liceo Scientifico Statale “Leonardo” – Giarre (CT)
28 febbraio 2006
Premessa
In queste pagine, rivolte principalmente agli studenti di V° anno che intendono proseguire
gli studi in facoltà quali fisica o ingegneria, viene trattata la questione relativa alle unità di
misura delle grandezze elettromagnetiche, al fine di migliorare la comprensione delle
relazioni tra i vari sistemi di unità di misura che, tra la fine del XIX° secolo e gli inizi del
XX°, si sono succeduti e che, spesso, sono anche stati utilizzati in forma ibrida.
Inizialmente, tutte le relazioni importanti dell’elettromagnetismo vengono introdotte senza
fare riferimento ad alcuno dei sistemi di unità di misura. Così facendo, ci si ritroverà in
presenza di tre costanti arbitrarie (una elettrica, k e , una magnetica, k m , ed una
elettromagnetica, γ ), che, infine, risulteranno collegate dalla relazione che esprime la
velocità della luce:
ke
c=
[I]
k mγ
Essendo c una velocità, quindi un parametro essenzialmente cinematico, la sua
determinazione è indipendente dalle leggi dell’elettromagnetismo; nella relazione [I] sono
allora solamente due le grandezze indipendenti e l’accento viene posto sul fatto che è il
modo in cui viene effettuata la loro scelta che determina il tipo di sistema di unità di
misura.
La carica elettrica.
•
•
•
Lo stato di elettrizzazione di un corpo può essere determinato mediante un elettroscopio (in
fig. 1, viene schematizzato il dispositivo di Faraday). Fra i fatti sperimentali più rilevanti,
ricordiamo:
La possibilità di determinare lo stesso
stato di elettrizzazione di due conduttori,
osservando l’angolo di deviazione dell’asta
mobile (confronto);
Disponendo di n conduttori identici, di
cui uno solo carico, e ponendoli in contatto
tra loro, si osserva come lo stato di
elettrizzazione si ripartisce in modo uguale
tra essi. Ciò può essere osservato inserendo
uno per uno i conduttori entro il pozzo di
Faraday (senza che si determini contatto con
Fig. 1: il dispositivo di Faraday
le pareti interne) e osservando che l’angolo
di deviazione dell’asta mobile dell’elettroscopio è lo stesso per tutti (costruzione del
sottomultiplo rispetto all’intero n);
Dati n conduttori identici, tutti dotati della stessa carica, ponendoli successivamente
entro il pozzo di Faraday e quindi in contatto con le pareti interne, risulta possibile
trasferire la carica all’elettroscopio (costruzione del multiplo secondo l’intero n).
I fatti sperimentali descritti permettono di considerare lo stato di elettrizzazione di un corpo
come una grandezza misurabile, la cui unità di misura và definita in modo arbitrario.
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1
La legge di Coulomb per l’elettrostatica
La legge che và sotto il nome di legge di Coulomb viene scoperta nel 1766 da Priestley e,
indipendentemente, da Cavendish, alcuni anni dopo. Priestley partì da una osservazione
sperimentale di Franklin, il quale osservò che un corpo, posto all’interno di un recipiente
metallico cavo ed elettricamente carico, non presentava alcuna carica elettrostatica. Avendo
presente la dimostrazione teorica di Newton, secondo la quale, se si considerava valida la
legge dell’inverso del quadrato della distanza, all’interno di una sfera cava non agisce
nessuna forza gravitazionale, Priestley ne dedusse che la stessa legge doveva valere anche
per le forze elettrostatiche.
Nel 1785, Coulomb sottopone la legge a verifica sperimentale, utilizzando una bilancia a
torsione (fig. 2). Egli dedusse la seguente legge:
q q'
[1]
Fe = k e 2
r
Il valore di questa legge non sta di certo nella precisione delle misure con la quale fu
dedotta, ma piuttosto nella
validità
sperimentale
dei
risultati
che
da
essa
conseguono e, in forza di ciò, si
postula che la [1] dà il valore
della forza (attrattiva o
repulsiva) tra due cariche
elettriche puntiformi poste a
distanza r. La costante k e può
essere
determinata
sperimentalmente attraverso la
[1], se è stata preliminarmente
Fig. 2: bilancia a torsione
definita l’unità di carica
elettrica. In alternativa, è possibile fissare k e in modo arbitrario e definire l’unità di carica
attraverso la [1].
La legge di Coulomb per la magnetostatica
•
La differenza fondamentale tra fenomeni elettrici e magnetici è data dal fatto che non
risulta possibile isolare singoli poli magnetici. Se
però il magnete ha una forma allungata, in
prossimità di un polo l’effetto dell’altro polo
risulta trascurabile.
La possibilità di misurare l’intensità magnetica di
un polo consegue da alcuni fatti sperimentali
(Michell, 1750; Coulomb, 1800), che possono
essere messi in evidenza attraverso una bilancia di
torsione modificata (fig. 3) e che brevemente
descriviamo:
Dati due poli magnetici A e B, diremo che essi
hanno la stessa intensità magnetica se esercitano
forze uguali su uno stesso polo C di riferimento.
Inoltre, sotto questa ipotesi, avvicinando Fig. 3: dispositivo per lo studio dell’interazione tra poli
magnetici
contemporaneamente e contigua-mente al polo di
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2
•
riferimento C il nord di A ed il sud di B, al migliorare della contiguità la forza tende ad
annullarsi.
Se due poli magnetici aventi uguale intensità agiscono contemporaneamente e con lo
stesso segno sul polo magnetico di riferimento, questo risulta soggetto ad una forza doppia
di quella applicata da ciascuno dei due poli separatamente.
Gli esperimenti misero in evidenza che la forza tra due poli magnetici è:
p p'
[2]
Fm = k m 2
r
quindi una legge simile a quella valida in elettrostatica. Le quantità p e p 'indicano le
intensità magnetiche dei poli. Come prima, anche la costante k m può essere determinata (a)
attraverso la [2] per via sperimentale, dopo che si è introdotta il valore unitario della carica
magnetica oppure (b) fissandola arbitrariamente, per poi definire, con la [2], l’unità di
misura della carica magnetica.
L’intensità di corrente
Viene definita come la carica che nell’unità di tempo attraversa la sezione di un conduttore:
∆q
[3]
i=
∆t
La sua unità di misura è quindi derivabile dall’unità di carica e dall’unità di tempo.
La connessione tra fenomeni elettrici e magnetici
Nel 1820, Oërsted mise in evidenza la stretta connessione tra elettricità e magnetismo,
dimostrando sperimentalmente gli effetti di una corrente elettrica su un ago magnetico.
Dopo poco più di un mese, Biot e Savart dimostrano che la forza che un campo magnetico
F
H = m esercita su un filo percorso da corrente e la cui direzione è perpendicolare a
p'
quella del campo, risulta proporzionale alla corrente, alla lunghezza del conduttore e al
campo stesso:
F = ilH
[4]
Da qui, la costante può essere determinata a partire da misure di i, di l e di H.
Le equazioni dell’elettromagnetismo
1.
Il vettore induzione magnetica B
La relazione [4] consente l’introduzione di una nuova grandezza magnetica di grande
utilità. Se poniamo infatti:
[5]
B= H
la [4] diventa:
[6]
F = ilB
La grandezza B, che prende il nome di induzione magnetica, risulta quindi definibile
operati-vamente attraverso la [6], facendo ricorso solo a grandezze meccaniche ed
elettriche; per tale motivo, essa viene considerata la quantità fondamentale nella misura
dei fenomeni magnetostatici.
L’evidenza sperimentale conferma la natura vettoriale di B. Sempre dal lavoro
sperimentale, segue la generalizzazione della [6] al caso in cui il filo e il campo non sono
ortogonali:
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3
F = il × B
[7]
Partendo da questa relazione sperimentale, Laplace dedusse una formula matematica (nota
col nome di 2a formula di Laplace) che consente di calcolare la forza elementare dF
agente su un circuito di lunghezza dl immerso in un campo di induzione B :
[8]
dF = i dl × B
2.
La forza di Lorentz
Consideriamo un conduttore di sezione S e lunghezza l, sottoposto all’azione di un campo
elettrico (fig. 4). Detta e la carica elettronica, n la densità, e v la velocità di deriva, gli
elettroni che nel tempo ∆t attraversano un qualunque sezione del conduttore sono tutti
quelli contenuti nel volume ∆V = S v∆t e
quindi ∆N = n∆V = n S v∆t . La corrente è:
E
∆q e∆N e n S v∆t
i=
=
=
= enS v
∆t
∆t
∆t
La [7] può allora scriversi:
F = enS vl × B
indicando con Vtot = S l il volume totale del
conduttore, e osservando che la quantità
N tot = n Vtot rappresenta il numero totale degli
elettroni all’interno del conduttore, si può
scrivere:
F = N tot e v × B
S
v
v∆t
Fig. 4: conduttore sotto l’azione di un campo elettrico
La quantità:
[9]
F = ev × B
rappresenta allora la forza agente su un singolo elettrone, nota come forza di Lorentz.
3.
La 1a formula di Laplace
Consideriamo un filo percorso da una corrente di intensità i (fig. 5). Consideriamone un
piccolo tratto dl , sul centro del quale, per
comodità, poniamo l’origine di un sistema 0xyz. Si
supponga che in un punto a distanza r
dall’elemento dl sia presente un polo magnetico
positivo di valore unitario. La [8] esprime la forza
che il polo magnetico esercita sull’elemento di
corrente dl . Per reazione, questa forza deve essere
uguale e contraria alla forza che l’elemento di
corrente esercita sul magnete. Questa forza non
elettrostatica che agisce sul polo indica che
l’elemento di corrente è a tutti gli effetti una
Fig. 5: Geometria relativa alla dimostrazione
della 1a formula di Laplace
sorgente di campo magnetico. Si ha:
dF '= −dF = −i dl × B
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4
Questa forza dF 'che l’elemento di corrente esercita sul polo unitario è quindi il campo
dB
magnetico generato dall’elemento di corrente. Cioè dF '= dH =
. Poiché il campo di
induzione generato dal polo magnetico è esprimibile come B = − k m
forma:
dl × r
r3
a
che costituisce la 1 formula di Laplace.
dB =
2
k mi
r
, la [9] assume la
r3
[10]
4.
La legge di Biot e Savart
La [10], applicata al caso di un filo rettilineo consente di valutare l’induzione B a distanza r
da esso. Si trova:
i
B = 2 2km
[11]
r
nota come legge di Biot e Savart, per il fatto che
furono essi a dedurre sperimentalmente la
relazione di proporzionalità diretta di B con i e
inversa di B con r. La direzione ed il verso di B si
determinano con le regole del prodotto vettoriale
e, in fig. 6, ne vengono rappresentate le linee di
forza.
Fig. 6: linee di forza del campo magnetico
5.
L’interazione corrente-corrente
Nel 1820, Ampere determina sperimentalmente la forza reciproca che si esercita tra due
conduttori paralleli, di lunghezza l, posti a distanza r l’uno dall’altro e attraversati dalle
l
correnti i1 e i 2 , trovando che F ∝ i1i 2 . Questa legge può essere dedotta utilizzando le
r
relazioni [6] e [11]. Con riferimento alla fig. 6, la forza F esercitata dal primo filo sul
secondo è, per la [6], F = i 2 lB . Dalla [11], il campo B che il primo filo esercita in P è
2 2 k m i1
B=
e quindi:
r
2 2 kml
F=
i1i 2
[12]
r
6.
Il teorema della circuitazione di Ampere
Sempre con riferimento ad un filo rettilineo, valutiamo la circuitazione di B scegliendo
come percorso concatenato al filo una circonferenza di raggio r avente il centro nel filo e
giacente su un piano ad esso normale. Si ha, da [11]:
C ( B) = B ⋅ ∆l = B ∆l = B ⋅ 2 r = 4 2 k m i
[13]
la [13] ha validità generale ed è nota come teorema della circuitazione di Ampere.
7.
Teorema di Gauss
Il teorema di Gauss consente di valutare il flusso del campo elettrico attraverso una
superficie che racchiude una carica complessiva q. E’:
Φ( E ) = 4 k e q
[14]
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5
Nell’elettromagnetismo, non esistendo monopoli magnetici, il teorema di Gauss fornisce:
[15]
Φ( B) = 0
8.
La legge di Faraday – Neumann – Lenz
Dalle osservazioni sperimentali di Faraday, Neumann dedusse che la forza elettromotrice
indotta in un circuito per effetto di variazioni del campo magnetico in cui esso risulta
immerso è uguale alla variazione del flusso di B concatenato con il circuito. Lenz osservò
che questa forza è tale da opporsi alle stesse variazioni di B che la generano. In formula:
∆Φ( B)
[16]
f = C(E) = −
∆t
9.
Corrente di spostamento
La [16] mostra come un campo magnetico variabile nel tempo determina un campo
elettrico. Maxwell si chiese se un campo elettrico variabile
nel tempo è in grado di indurre un campo magnetico. La
risposta a questa domanda venne con l’introduzione
(Maxwell, 1865) del concetto di corrente di spostamento, che
risolse un paradosso relativo al teorema di Ampere e spianò
la strada alla teoria delle onde elettromagnetiche. Con
riferimento alla fig. 7, il teorema della circuitazione di
Ampere fornisce due risultati differenti se applicato alla linea
1, considerando come contorno la superficie a oppure la
superficie b:
C ( B )1 = 4
C ( B )1 = 0
2
k m i per la superficie a
per la superficie b
Fig. 7: calcolo della circuitazione di B
Nel secondo caso, infatti, la linea 1 non può considerarsi concatenata con il circuito dato
che si fa riferimento ad una superficie (b) che non è attraversata dal conduttore che porta la
corrente i. Maxwell risolve il problema osservando che, durante la carica (o la scarica) del
condensatore, il campo elettrico E tra le armature varia (in quanto varia la carica q). In
base al teorema di Gauss, risulta ∆Φ( E ) = 4 k e ∆q e si determina da qui una corrente pari a
∆q
1 ∆Φ ( E )
.
=
∆t 4 k e ∆t
Oggi spieghiamo questo termine di corrente
facendo ricorso alle proprietà del campo elettrico
e quindi non è necessario che tra le armature del
condensatore di fig. 7 sia presente materia.. Ai
tempi in cui Maxwell diede la sua interpretazione,
invece, si riteneva che i fenomeni elettromagnetici
necessitassero comunque di un supporto
materiale. Per comprendere il meccanismo
proposto da Maxwell si può fare riferimento alla
Fig. 8: Interpretazione della corrente di spostamento
fig. 8. In essa, si osserva come le variazioni di
campo elettrico determinano un diverso grado di deformazione delle molecole del
dielettrico. Durante queste variazioni di forma, si ha un momentaneo spostamento di
i=
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6
cariche e quindi una corrente, che Maxwell denominò appunto corrente di spostamento. Il
teorema di Ampere, con la corrente di spostamento, diventa:
1 ∆Φ( E )
[17]
4 k e ∆t
Il notevole risultato che si trae da questa legge è che un campo elettrico variabile genera a
sua volta un campo magnetico.
C ( B) = 4
2
km i +
Onde elettromagnetiche
Le equazioni dalla [14] alla [17] costituiscono le cosiddette equazioni di Maxwell. Partendo
da esse (o, più esattamente, da una loro formulazione equivalente), Maxwell (1873) riuscì a
prevedere teoricamente l’esistenza delle onde elettromagnetiche. Egli dimostrò infatti che,
se in un punto dello spazio si genera una variazione di campo elettrico o magnetico, questa
si propaga nello spazio circostante per effetto della reciproca generazione di campi elettrici
e magnetici (eq. [16] e [17]).
Fig. 9: la propagazione delle onde elettromagnetiche
Le previsioni teoriche di Maxwell vennero confermate successivamente dagli esperimenti
di Hertz (1886-1889).
Maxwell dedusse inoltre che le onde elettromagnetiche sono trasversali (fig. 9), con i campi
elettrici e magnetici ortogonali tra loro e alla direzione di propagazione, e si propagano nel
vuoto sempre con la stessa velocità, che risulta espressa da:
ke
c=
[18]
km 2
In questa relazione confluiscono la tre costanti k e , k m , e . La velocità c è un parametro
cinematico, quindi indipendente dalle unità di misura elettromagnetiche, che può essere
determinato sperimentalmente. Il suo valore è 2.99792 × 10 8 m / s . Ne segue allora che solo
due delle tre costanti possono essere fissate in modo arbitrario. Il modo in cui ciò viene
fatto determina differenti sistemi di unità, che passiamo ora a descrivere.
I sistemi di unità di misura
Sistemi c.g.s.
I sistemi c.g.s. sono tre: elettrostatico, elettromagnetico, di Gauss. Tutti sono accomunati
dal fatto che le unità fondamentali sono il centimetro (cm), il grammo (g) ed il secondo (s).
c.g.s. elettrostatico: in questo sistema, si sceglie k e = 1 e
scelta, risulta, da [18], k m = 1
c2
= 1 . Per effetto di questa
. L’unità di misura della carica elettrica si definisce da
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qq '
e prende la denominazione di StatCoulomb (StatC: due cariche elettriche pari a 1
r2
StatC si respingono, se poste ad 1 cm di distanza, con la forza di 1 dina - [ qes ] = [ F ] ⋅ [ r ] ).
Fe =
Questo sistema si presta assai bene per lo studio dei fenomeni elettrici ma dà luogo ad unità
poco convenienti per le varie grandezze magnetiche, per via del valore piccolo di k m .
c.g.s. elettromagnetico: in questo sistema, si sceglie k m = 1 e
= 1 . Per effetto di
questa scelta, risulta, da [18], k e = c . L’unità di misura della carica magnetica si definisce
pp '
da Fm = 2 e anche in questo caso si denomina StatCoulomb (StatC: due cariche
r
magnetiche pari a 1 StatC si respingono, se poste ad 1 cm di distanza, con la forza di 1
dina). Questo sistema si presta assai bene per lo studio dei fenomeni magnetici ma dà luogo
ad unità poco convenienti per le varie grandezze elettriche, per via del valore molto elevato
[F ][r ] [q es ] . Il campo di
di k e . L’unità di misura della carica elettrica è [q em ] =
=
c
c
induzione magnetica viene definito attraverso la [7] e la sua unità di misura è:
[ F ] = dina ⋅ s = Gauss
[19]
[ B] = q
[ em ] l StatC ⋅ cm
[]
[t ]
2
c.g.s. di Gauss: in questo sistema, si sceglie k e = 1 e k m = 1 . Per effetto di questa
scelta, risulta, da [18],
= 1 . L’unità di misura della carica elettrica è [q ] = [q es ]. L’unità
c
naturale per la misura di B è
[B ] = [q[F]]
es
[l ]
[t ]
. Utilizzando queste unità, l’espressione della
forza di Lorentz è F = e v × B . In pratica, per B si preferisce continuare ad utilizzare il
Gauss del sistema c.g.s. elettrostatico. Per poter fare ciò, nelle formule in cui è presente B ,
bisogna dividere per c. Ciò segue dall’equazione dimensionale di B :
[B] = [q[F]] = [q [F] ] = [q [F] ] = Gauss
c
es
[l ] es c [l ] em c[l ]
[t ]
[t ] c
[t ]
e
e per la forza di Lorentz avremo F = v × B .
c
Mentre i sistemi c.g.s. elettrostatico ed elettromagnetico sono ormai in disuso, il sistema di
Gauss ha ancora applicazioni, in special modo in fisica teorica. Le equazioni di Maxwell,
tenuto conto di quanto appena detto sul modo di intendere B , in questo sistema si
scrivono:
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1. Φ ( E ) = 4π q
2. Φ ( B) = 0
1 ∆Φ ( B)
c ∆t
4π
1 ∆Φ ( E )
4. C ( B) =
i+
c
c ∆t
[20]
3. C ( E ) = −
Sistema mksA
In questo sistema, le costanti k e e k m vengono poste, nel vuoto, nella forma:
1
ke =
4π
km =
0
[21]
1
4π
0
Le costanti 0 e 0 appena introdotte si dicono costante dielettrica e permeabilità
magnetica. La [18] assume allora la forma:
c=
0
0
Si pone
=
c=
0
[22]
2
. La [22] diventa:
1
[23]
ε 0 µ0
Resta da fissare in modo arbitrario un’altra delle due costanti rimanenti ( ε 0 oppure µ 0 ). In
questo sistema di unità, ciò viene fatto definendo una quarta unità fondamentale, l’intensità
di corrente elettrica (Ampere, simbolo A), come quella corrente che, attraversando nello
stesso verso due conduttori paralleli di lunghezza molto grande e sezione trascurabile
rispetto alla lunghezza, posti alla distanza di 1 m, determina una forza di attrazione di
2 ⋅ 10 −7 N per ogni metro di lunghezza. Mediante questa nuova grandezza fondamentale,
attraverso la relazione [12]
che in questo sistema, si scrive F =
la costante µ 0 , che risulta pari a 4π ⋅ 10 −7 N
2
ε 0 e si ottiene 8.859 ⋅ 10 −12 C
N m2
A2
µ 0l
i1i2 , si può definire
2π r
. Infine, da [23], si determina il valore di
(si è fatto uso del Coulomb, simbolo C, definibile
attraverso la [3]).
Le equazioni di Maxwell, in questo sistema, assumono la seguente forma:
q
1. Φ ( E ) =
ε0
2. Φ ( B) = 0
3. C ( E ) = −
[24]
∆Φ( B)
∆t
4. C ( B) = µ0 i + ε 0
∆Φ ( E )
∆t
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