Scienza
Solidali
per natura
Frans de Waal, Evonomics, Stati Uniti
Foto di Joanna Tarlet-Gauteur
L’
amministratore delegato
della Enron, che attualmente è in prigione, applicava la logica del gene
egoista ai suoi dipendenti, innescando una
di quelle profezie che si autoavverano. Partendo dal presupposto che le molle principali della specie umana fossero l’avidità e la
paura, Jefrey Skilling produceva dipendenti spinti da queste motivazioni. Nel 2001 la
Enron è implosa proprio sotto il peso della
meschinità dei suoi metodi, anticipando
quello che sarebbe successo al resto
dell’economia mondiale negli anni successivi. Skilling, che era un ammiratore della
teoria genocentrica dell’evoluzione sostenuta da Richard Dawkins, si rifaceva alla
selezione naturale classiicando i suoi dipendenti su una scala da uno (il migliore) a
cinque (il peggiore). Tutti quelli che prendevano cinque venivano licenziati dopo
essere stati umiliati su un sito in cui appariva anche la loro fotograia. A causa di questo sistema le persone erano sempre pronte
a tagliarsi la gola a vicenda, e di conseguenza l’azienda era caratterizzata da una spaventosa disonestà all’interno e da uno spietato sfruttamento all’esterno.
Il vero problema era il modo in cui Skilling vedeva la natura umana. Il libro della
natura è un po’ come la Bibbia: ognuno ci
legge quello che vuole, dalla tolleranza
all’intolleranza, dall’altruismo all’avidità.
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Ma sarebbe importante capire che, anche
se i biologi non smettono mai di parlare di
competizione, questo non signiica che la
incoraggino. E se deiniscono i geni egoisti,
non vuol dire che lo siano davvero. I geni
non possono essere più “egoisti” di quanto
un iume possa essere “furioso” o i raggi del
sole “dolci”. I geni sono frammenti di dna,
al massimo possono autopromuoversi, perché i geni di maggior successo aiutano il
loro portatore a difondere più copie di sé.
Come molti prima di lui, Skilling aveva
preso alla lettera la metafora del gene egoista, pensando che se i nostri geni sono così,
allora lo siamo anche noi. Il suo errore è
comprensibile perché, per quanto Dawkins
non intendesse dire questo, non è facile separare il mondo dei geni da quello della psicologia umana se la nostra terminologia li
sovrappone continuamente.
Tenere separati questi due mondi è dificile per chiunque sia interessato a capire
cosa signiichi l’evoluzione per la società.
Dato che procede per eliminazione, l’evoluzione è indubbiamente un processo spietato, ma non è detto che anche i suoi prodotti
debbano esserlo. Molti animali vivono in
comunità e si aiutano a vicenda, e questo
signiica che non sempre rispettano la legge
del più forte: anche i forti hanno bisogno
dei deboli. È un principio che può essere applicato alla nostra specie, se diamo agli esseri umani la possibilità di esprimere il loro
lato collaborativo. Come Skilling, troppi
PICTuRETANk
Molti economisti e imprenditori afermano
che è la concorrenza a muovere il mondo, perché
gli esseri umani sono egoisti. In realtà siamo
anche collaborativi ed empatici
economisti e politici ignorano e sofocano
quest’aspetto. Modellano la società umana
sulla perpetua lotta che, secondo loro, esiste in natura e che in realtà è solo una proiezione. Come prestigiatori, gettano i loro
pregiudizi ideologici nel cappello della natura e poi ne tirano fuori quello che vogliono
per dimostrare che la natura è d’accordo
con loro. Ovviamente la competizione esiste, ma non è l’unica molla che fa agire gli
esseri umani.
Ho studiato questo problema sia come
biologo sia come primatologo. Qualcuno
penserà che un biologo non dovrebbe iccare il naso nei dibattiti politici, ma la biologia è già entrata a farne parte ed è diicile restarne fuori. I fanatici della competizione non resistono alla tentazione di evocare il processo evolutivo. Perino Gordon
Gekko, lo speculatore senza scrupoli interpretato da Michael Douglas in Wall street, il
ilm di Oliver Stone del 1987, lo cita nel suo
famigerato discorso sull’avidità: “Il punto
è, signore e signori, che l’avidità, non trovo
una parola migliore, è valida, l’avidità è
giusta, l’avidità funziona, l’avidità chiariica, penetra e cattura l’essenza dello spirito
evolutivo”.
Lo spirito evolutivo? Nelle scienze sociali la natura umana è rappresentata dalla
vecchia formula hobbesiana dell’homo homini lupus, un’afermazione discutibile sulla nostra specie, basata su supposizioni sbagliate a proposito di un’altra specie. Ma lo
spirito evolutivo produce solo avidità, come
sostiene Gekko? Questo modo di pensare
non lo troviamo solo nei personaggi di fantasia. In un editoriale del 2007 sul New York
Times, David Brooks metteva in ridicolo i
programmi sociali del governo statunitense: “Dal contenuto dei nostri geni, dalla
natura dei nostri neuroni e da tutto quello
che abbiamo imparato dalla biologia evoluzionistica, si deduce chiaramente che in
natura regnano la competizione e il conlitto d’interessi”. Ai conservatori piace tanto
pensarlo, ma la suprema ironia della loro
storia d’amore con l’evoluzione è quanto
poco interessa a queste persone sapere cosa
sia veramente.
Durante il dibattito per le presidenziali
del 2008, tre candidati repubblicani alzarono la mano alla domanda “chi non crede
all’evoluzione?”. I conservatori statunitensi
sono darwinisti sociali, non veri darwinisti.
Secondo il darwinismo sociale è sbagliato
aiutare i poveri e gli ammalati, perché la na-
tura vuole che sopravvivano con i loro mezzi o soccombano. Se ci sono persone che
non hanno un’assicurazione sanitaria peggio per loro, dicono, purché ce l’abbiano
quelle che se la possono permettere. Jon
Kyl, un senatore dell’Arizona, è andato perfino oltre, suscitando scalpore sui mezzi
d’informazione e proteste nel suo stato: ha
votato contro una legge che obbligava le polizze sanitarie a coprire le spese per la maternità. Lui non ne aveva mai avuto bisogno, ha spiegato.
La logica secondo cui la competizione è
positiva per tutti è diventata molto popolare
da quando Ronald Reagan e Margaret
Thatcher ci hanno assicurato che il libero
mercato avrebbe risolto tutti i nostri problemi. Ma da quando è scoppiata la crisi economica ovviamente quest’idea va molto
meno di moda. Ai paladini del libero mercato piace pensare che ogni individuo sia
un’isola, ma non siamo fatti di puro individualismo. Anche l’empatia e la solidarietà
fanno parte della nostra evoluzione, e non
sono un’acquisizione recente, sono tratti
vecchi come il mondo che condividiamo
con altri mammiferi.
Molti grandi progressi sociali – la democrazia, la parità di diritti, la previdenza sociale – sono stati resi possibili dalla solidarietà. I rivoluzionari francesi inneggiavano
alla fraternité, Abraham Lincoln faceva appello alla compassione e Theodore Roosevelt definiva la solidarietà “il fattore più
importante per realizzare una vita politica e
sociale sana”.
La ine dello schiavismo ne è un esempio. Viaggiando nel sud degli Stati Uniti,
Lincoln aveva visto gli schiavi in catene e,
come aveva scritto a un amico, quest’immagine lo aveva tormentato. Era stato il
sentimento di pietà a spingere lui e molti
altri a combattere lo schiavismo. Oppure
prendiamo il dibattito sull’assistenza sanitaria negli Stati Uniti. Qui l’empatia ha un
ruolo importante e inluenza il modo in cui
guardiamo alle sofferenze delle persone
che sono state emarginate dal sistema o rimaste senza l’assicurazione perché hanno
perso il lavoro. Pensate al termine stesso:
non la chiamiamo “industria” sanitaria ma
“assistenza” sanitaria, proprio perché riguarda l’interesse umano per gli altri.
Fuori dal contesto
Ovviamente non è possibile comprendere
la natura umana fuori dal contesto del mondo naturale, e qui entra in gioco la biologia.
Se osserviamo la nostra specie senza lasciarci accecare dai progressi tecnici degli
ultimi millenni, ci rendiamo conto che siaInternazionale 1172 | 23 settembre 2016
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mo creature fatte di carne e ossa con un cervello che, sebbene tre volte più grande di
quello di uno scimpanzé, non contiene parti diferenti. Può anche darsi che il nostro
intelletto sia superiore, ma tutti i nostri bisogni fondamentali possono essere osservati nei nostri parenti più stretti. Anche loro,
come noi, lottano per il potere, amano il
sesso, cercano sicurezza e afetto, uccidono
per difendere il loro territorio e attribuiscono valore alla iducia e alla collaborazione.
Noi usiamo i cellulari e gli aerei, ma la nostra psiche è essenzialmente quella di un
primate sociale.
Anche senza afermare che gli altri primati sono esseri morali come noi, non è
diicile riconoscere nel loro comportamento i princìpi fondamentali della moralità.
Questi princìpi sono riassunti in una regola
aurea che trascende tutte le culture e le religioni: “Non fare agli altri quello che non
tendono alla prosocialità e hanno il senso
della giustizia. Gli scimpanzé aprono spontaneamente una porta per permettere a un
compagno di accedere al cibo. Lo abbiamo
veriicato mettendo due scimmie una vicino all’altra, separate ma a vista. Una di loro
doveva contrattare con noi usando piccoli
gettoni di plastica. Il momento critico arrivava quando gli ofrivamo la possibilità di
scegliere tra due gettoni che avevano significati diversi: uno era “egoista” e l’altro
“prosociale”. Se la scimmia che stava contrattando sceglieva il gettone egoista, poteva scambiarlo con un pezzetto di mela, ma
la sua compagna non riceveva niente. Se
invece sceglieva l’altro, entrambe le scimmie ottenevano un premio. Con il tempo le
scimmie hanno imparato a dare la preferenza al gettone prosociale. La scelta non
era dovuta alla paura di possibili rappresaglie, perché abbiamo visto che gli esemplari
Dopo che uno scimpanzé è stato
attaccato, un compagno va
ad abbracciarlo e lo tiene stretto ino
a quando non smette di guaire
vorresti fosse fatto a te”. La massima fonde
l’empatia (l’attenzione per i sentimenti degli altri) con la reciprocità (se gli altri seguiranno la stessa regola, anche tu sarai trattato bene). Senza l’empatia e la reciprocità,
osservate anche negli altri primati, la moralità umana non potrebbe esistere.
Dopo che uno scimpanzé è stato attaccato, un compagno va ad abbracciarlo e lo
tiene stretto ino a quando non smette di
guaire. La tendenza a consolare è così forte
che un secolo fa Nadia Kohts, una scienziata russa che aveva allevato un piccolo scimpanzé, disse che se scappava sul tetto della
casa, c’era un solo modo per farlo scendere:
sedersi e singhiozzare ingendo di sofrire.
La scimmietta scendeva subito e si precipitava ad abbracciarla.
La tendenza a consolare è stata ampiamente studiata sulla base di centinaia di
casi, perché tra le scimmie è un comportamento difuso e prevedibile. Anche la reciprocità è facilmente osservabile: in genere
gli scimpanzé condividono il cibo con i
compagni che poco prima li hanno aiutati a
pulirsi il pelo o li hanno assistiti in una lotta
di potere. Una molla importante è anche il
desiderio sessuale. Sono stati osservati maschi che correvano gravi rischi entrando
nella piantagioni per prendere delle papaie
da regalare alle femmine fertili.
È stato dimostrato anche che i primati
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dominanti erano anche i più generosi. Probabilmente anche per loro aiutare gli altri
era una gratiicazione in sé.
Da altri studi è emerso che i primati sono disposti a eseguire un compito in cambio
di un cetriolo ino a quando non vedono che
qualcun altro viene ricompensato con un
grappolo d’uva, che è più buona. Cominciano ad agitarsi, gettano a terra il cetriolo e
scendono in sciopero. Il cetriolo non gli piace più, semplicemente perché hanno visto
che un compagno ha qualcosa di meglio.
Nessun dubbio
Molte persone, tuttavia, preferiscono credere nella natura violenta degli animali.
Quando si tratta di comportamenti negativi
non abbiamo mai nessun dubbio sulla continuità tra gli esseri umani e gli altri animali:
quando le persone si massacrano e si uccidono le chiamiamo bestie, mentre a noi
stessi preferiamo attribuire tratti più nobili.
Ma nello studio della natura umana questa
è una strategia sbagliata, perché non tiene
conto di metà della nostra storia. Anche il
lato più gradevole del nostro comportamento è frutto dell’evoluzione.
Tutti sanno come i mammiferi reagiscono alle nostre emozioni e come noi reagiamo alle loro. Questo crea quel tipo di legame che spinge milioni di noi a condividere
la propria casa con cani e gatti. Gli studi
sull’empatia degli animali sono sempre più
numerosi, compresi quelli su come i roditori partecipano al dolore dei loro simili.
Quando vedono sofrire uno di loro, i topi di
laboratorio diventano più sensibili al dolore. Il contagio avviene tra i topi che vivono
nella stessa gabbia, ma non tra quelli che
non si conoscono. È un pregiudizio tipico
anche dell’empatia umana: più siamo vicini
a una persona, più siamo simili a lei e più
facilmente proviamo empatia.
L’empatia trova le sue radici nella mimica corporea più elementare, non nelle regioni più alte del cervello né nella capacità
d’immaginare come ci sentiremmo se fossimo al posto di un altro. È legata alla sincronizzazione dei corpi, alla tendenza a
correre quando gli altri corrono o a sbadigliare quando sbadigliano.
Alcuni ricercatori dell’università di Kyoto hanno mostrato alle scimmie del loro laboratorio un filmato in cui comparivano
degli scimpanzé selvatici che sbadigliavano. Poco dopo anche gli scimpanzé del laboratorio hanno cominciato a sbadigliare.
Con i nostri scimpanzé noi siamo andati
ancora oltre. Invece di mostrargli dei veri
scimpanzé, gli facciamo vedere il disegno
animato tridimensionale di una testa simile
a quella di una scimmia che sbadiglia. A
quel punto le nostre scimmie spalancano la
bocca, chiudono gli occhi e ciondolano la
testa, come se stessero per addormentarsi.
La contagiosità dello sbadiglio dimostra
il potere della sincronia inconscia, profondamente radicata in noi come in altri animali. La sincronia si esprime imitando piccoli movimenti del corpo, come uno sbadiglio, ma si veriica anche su scala più ampia.
Non è diicile capire il suo valore ai ini della sopravvivenza. Se un uccello fa parte di
uno stormo e vede un compagno prendere
improvvisamente il volo, anche se non ha il
tempo di capire cosa sta succedendo prende subito il volo anche lui. Se non lo facesse
potrebbe cadere in pasto a un predatore.
Il contagio serve anche a coordinare le
attività, aspetto cruciale per tutte le specie
che si spostano. Se i miei compagni stanno
mangiando decido di farlo anch’io, perché
una volta ripartiti non potrò più farlo. L’individuo che non si sintonizza con gli altri lo
fa a proprio discapito, come il viaggiatore
che non va in bagno come gli altri quando il
pullman fa una sosta.
La selezione naturale ha prodotto animali altamente sociali e collaborativi. Da
solo un lupo non può abbattere una grossa
preda, e sappiamo che nella foresta gli
scimpanzé rallentano se c’è un compagno
che non riesce a stare al passo a causa di una
PICTuRETAnk
ferita o di un piccolo ammalato. Allora perché accettiamo l’idea della natura violenta
quando abbiamo le prove del contrario?
La cattiva biologia esercita un fascino
irresistibile. Chi pensa che la vita sia solo
competizione e ritiene che i forti debbano
sopravvivere a spese dei deboli abbraccia il
darwinismo come supporto alla sua teoria.
Dipinge l’evoluzione quasi come qualcosa
di divino. John D. Rockefeller era arrivato
alla conclusione che la crescita di una grande impresa fosse “semplicemente il prodotto delle leggi della natura e di Dio”.
Tendiamo a pensare che l’economia sia
stata uccisa da chi corre rischi insensati,
dalla mancanza di regolamentazione o dalla bolla del mercato immobiliare, ma il problema è molto più profondo. Il vero colpevole è stato il fascino della cattiva biologia,
che ha prodotto una grossolana sempliicazione della natura umana. La confusione
tra come opera la selezione naturale e il tipo
di creature che ha prodotto ha portato a negare quello che tiene unite le persone. La
società stessa è stata vista come un’illusione. Thatcher diceva: “La società non esiste,
esistono solo i singoli uomini e donne, e le
famiglie”. Gli economisti dovrebbero rileggere le opere di Adam Smith, che vedeva la
società come un’enorme macchina in cui
gli ingranaggi girano senza sforzo grazie
alla virtù, mentre il vizio li fa inceppare. La
macchina non può funzionare bene se tutti
i cittadini non condividono un forte senso
della comunità. Smith considerava l’onestà,
la moralità, la solidarietà e la giustizia compagne essenziali della mano invisibile del
mercato.
Invece di credere a certe false idee sulla
natura, perché non prestiamo più attenzione a quello che sappiamo davvero sulla natura umana e sul comportamento delle specie che ci sono più vicine? Il messaggio della
biologia è che siamo animali destinati a vivere in gruppo e profondamente sociali,
crediamo nella giustizia e siamo abbastanza collaborativi da essere diventati i padroni
del mondo. La nostra grande forza sta pro-
prio nella nostra capacità di andare oltre la
competizione. Perché non costruire la società in modo tale da esprimere questa forza a tutti i livelli? Invece di mettere gli individui gli uni contro gli altri, dovremmo attribuire più importanza alla dipendenza
reciproca. E per quelli che continuano a
guardare alla biologia per trovare una risposta, la domanda fondamentale che dovrebbero porsi è: perché la selezione naturale ha
plasmato il nostro cervello in modo da farci
sentire in sintonia con gli altri esseri umani,
sofrire quando sofrono e gioire quando
gioiscono? Se nella vita contasse solo sfruttare i nostri simili, l’evoluzione non avrebbe
prodotto l’empatia. Ma lo ha fatto, e le élite
economiche e politiche dovrebbero sbrigarsi a prenderne atto. u bt
L’AUTORE
Frans de Waal è un biologo e primatologo
olandese. Il suo ultimo libro uscito in Italia
è Il bonobo e l’ateo. In cerca di umanità fra i
primati (Rafaello Cortina 2013).
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