L`uomo è un animale incontentabile. Primo punto, animale, in senso

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L’uomo è un animale incontentabile.
Primo punto, animale, in senso lato (che è anche quello originario), ogni essere animato, cioè ogni organismo
vivente dotato di moto e di sensi, dice l’Enciclopedia Treccani.
Secondo punto: incontentabile.
Ma perché?
Gli esseri viventi hanno bisogno di mangiare, dormire, procreare per la salvaguardia della specie. Non hanno
bisogno d’altro. Ma all’uomo non basta questo. L’uomo non si accontenta della carne cruda, di dormire per
terra, di far sesso all’unico scopo di procreare. Questi avverte altri bisogni, come ben ci illustra Maslow nella
sua piramide. Ha bisogno di sicurezza, di affetto, di stima, di autorealizzazione. Vive con la perenne
sensazione di vuoto, di nostalgia, perché scacciato, via, da quello che era il suo vero posto, il Mondo Ideale,
per Platone, il Paradiso Terrestre, per la Bibbia.
E’ malato, l’uomo, perché il suo è uno sviluppo anomalo che l’ha portato a questa terribile malattia:
l’incontentabilità, il volere, sempre di più, all’infinito, senza mai sentirsi del tutto soddisfatto.
Quale anomalie presenta l’uomo, dunque?
Immaginiamo di aprire la testa di un uomo e osservare, scomporre, capire, cosa c’è al suo interno.
L’uomo, come gli altri mammiferi, possiede il tronco cerebrale, l’ipotalamo, l’area del mesencefalo. È da qui
che partono gli impulsi fisiologici, naturali, quelli come “ Ho fame! Ho sete! Ho sonno! Voglio fare sesso! “.
Ma, oltre a questa parte sana, l’uomo presenta anche una sorta di malformazione, la cosiddetta corteccia.
È qui che la malattia lo porta a ricordare il passato e pensare al futuro, ad elaborare simboli corrispondenti al
linguaggio, pianificare, percepire.
E di conseguenza, è anche quella parte ( detta anche razionale ) che blocca lo sbocco delle pulsioni naturali e
creandone altre, molto spesso irraggiungibili. (Recente lo studio di Mark Solms).
Tale malattia è anche in parte presente nell’animale più vicino per caratteristiche all’uomo, la scimmia.
Difatti secondo varie osservazioni si sono potute vedere affinità di bisogni che vanno oltre il fisiologico.
Prendiamo ad esempio la ricerca ethocebus.
I cebi sono delle scimmie che vivono nel nord-est del Brasile. L’ambiente a una prima occhiata, arido e secco,
sembra sfavorevole ma non è così. Vi sono molte più possibilità di nutrimento che in una foresta. Tant’è che
tali condizioni le portano a vivere a terra invece che sugli alberi.
Ora, arriviamo ad un possibile sintomo della malattia simile a quella che troviamo nell’uomo. Scimmie così,
con diverso cibo a disposizione, perché dovrebbero andare a cercare di più? Queste infatti hanno una
passione per le noci, ma una tipologia di noce composta da un guscio veramente duro, inapribile a mani
nude. Ed è per questo che si servono di sassi, quasi più pesanti di loro, che fanno cadere sulle noci per
rompere il guscio e mangiarne la delizia interna.
Arrivano ad usare quindi degli strumenti, come il loro cugino uomo. Anche altre scimmie hanno un
comportamento simile, basti osservare gli scimpanzé che si servono dei fili d’erba per catturare le formiche.
Fu Jane Goodall a scoprire che anche i lontani cugini dell’uomo facevano uso di strumenti. Non per altro
presentano anche loro una deformazione alla zampa, cioè un pollice prensile che gli permette di far ciò.
Ma, oltre alla tecnica, le scimmie sembrano essere anche capaci di atti di generosità, come hanno potuto
constatare scienziati dell’Università di Duke, negli Stati Uniti. Messi in due gabbie collegate degli scimpanzé,
una senza cibo e l’altra che ne aveva in abbondanza, si è visto come gli scimpanzé riforniti invitassero gli altri
affamati, e sconosciuti, non appartenenti al loro branco, a mangiare con loro. Queste però, se vedevano le
non nutrite disinteressate alle loro offerta, non insistevano. Cercavano quindi un contatto, degli amici. Come
farebbe un uomo.
La malattia dell’uomo, questo continuo desiderare qualcosa, si sviluppa con la crescita. Il neonato, il cucciolo,
ha solo bisogni naturali e non presenta disfunzioni mentali gravi. Il suo modo di vivere è simile ancora una
volta a quello delle scimmie.
Questo ce lo può confermare W.Kohler, membro della psicologia della Gestalt. Fece difatti uno studio sugli
scimpanzé. Questi ultimi, erano posti davanti a problemi semplici che riuscivano a risolvere, come un
bambino al primo stadio del suo sviluppo. Questo per merito di un’intelligenza semplice, limpida, basata su
insight, e quindi percettivo-motoria. Alcune scimmie mostrandosi particolarmente dotate intellettivamente,
invece, passavano anche a uno stadio successivo, l’intelligenza rappresentativa (Bruner).
Che, se le scimmie avanzassero nella loro malattia, porterebbe poi all’uso di simboli, di linguaggio …
E l’uomo, poi, nel suo vivere in branco, sta peggio di tutti, per la sua capacità di mentalizzare, cioè capire gli
stati mentali altrui grazie ad indizi comportamentali complessi, cosa che, ahimé, condivide ancora una volta
con la cugina scimmia: difatti, anch’essa possiede i neuroni a specchio, come dimostrato dalle recenti
scoperte neuro scientifiche.
In conclusione.
L’uomo non nasce malato. Nasce come ogni altro animale, bisognoso di cose naturali. Crescendo, iniziano a
vedersi i primi sintomi della malattia, comuni anche nelle scimmie. Ed infine, adulto, si ammala, totalmente,
nel suo terribile disagio del vivere.
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