ATENE
1. L’EDUCAZIONE DEI GIOVANI ATENIESI
«Gli Ateniesi, finché vivono, educano i giovani e li seguono fin dall’infanzia. Appena
il bambino comincia a comprendere le parole, la nutrice, la madre, il maestro, il
padre stesso gli insegnano quello che è giusto e quello che non è giusto. Se egli
obbedisce spontaneamente tanto meglio, se no, come un ramoscello torto e ricurvo,
lo raddrizzano con le minacce e le percosse. Poi nel mandarli a scuola
raccomandano ai maestri che abbiano più a cuore il comportamento degli allievi che
le lettere o il suonare la cetra. E i maestri si preoccupano di questo e quando i
fanciulli hanno imparato a leggere e a scrivere, li costringono a imparare a memoria
le opere dei grandi poeti dove trovano molti buoni consigli ed esempi delle gesta
degli antichi eroi che essi possono imitare.
Quando poi lasciano la scuola, la città a sua volta li costringe a imparare le leggi e
a vivere secondo esse. E a chi se ne discosta, infligge punizioni secondo giustizia.
(Platone, filosofo greco vissuto fra il 427 e il 347 a.C., tratto da il Protagora)
2. COME SI DIVENTA CITTADINI
«Ora la città ha questo ordinamento. Fanno parte della popolazione politica vera
e propria coloro che sono nati da genitori entrambi cittadini in senso pieno; vengono
accolti nella cittadinanza quelli che hanno raggiunto i diciotto anni di età. Quando è
ora di iscriverli sulle liste dei cittadini, gli abitanti del demos cui appartengono,
dopo aver prestato giuramento, decidono con una votazione, se essi dimostrano
l’età che è prescritta dalla legge – ché in caso contrario vengono rinviati tra i
fanciulli – se sono liberi e se sono nati nelle modalità previste dalle leggi. Quando i
giovani sono passati a questo esame, i loro padri si riuniscono e, fatto giuramento,
eleggono tre uomini, di più di quarant’anni, che appartengano alla loro stessa tribù
e che godano fama d’essere i migliori e i più adatti a prendersi cura dei giovani. Da
questi il popolo sceglie il più saggio per ciascuna tribù e il migliore degli altri
ateniesi ad occuparsi di tutti i giovani. Questi raccolgono i giovani, con essi visitano
i templi. Quindi eleggono per votazione due istruttori ginnici e i maestri che hanno
l’incarico d’insegnare ai giovani a maneggiare le armi, a lanciare le frecce, a
lanciare i giavellotti e ad usare la catapulta. Questa vita dura un anno.
In seguito si tiene un’assemblea in teatro e qui i giovani mostrano al popolo gli
esercizi che hanno imparato e ricevono dalla città lo scudo e la lancia; allora
soggiornano nella regione e prestano servizio di guarnigione nei diversi posti di
guardia. Durante i due anni di servizio militare portano la clamide e sono esenti da
ogni imposta. Passati i due anni ritornano regolarmente con gli altri cittadini.
Questo è pertanto il procedimento che si segue per l’iscrizione di un giovane nella
lista dei cittadini e in genere per la compilazione di essa.»
(Aristotele, filosofo greco vissuto nel IV sec. a.C., tratto da La costituzione di Atene)
3. LA TIRANNIDE
Pisistrato divenne tiranno nel 561 a.C. con l’appoggio del popolo e dei contadini.
Oltre all’agricoltura, attività più importante fino a quel momento, Pisistrato ne
favorì altre, quali il commerci0 e l’artigianato. Diede anche grande impulso alla
flotta.
«Egli si fece delle leggere ferite e ferì anche le sue mule; poi spinse il carro in mezzo
all’agorà (la piazza) come se fosse appena sfuggito a dei nemici […] e domandò al
popolo di accordargli delle guardie […]. Il popolo ateniese ingannato gli credette e gli
diede, perché lo scortassero, delle guardie scelte fra i cittadini armati con mazze di
legno. Con esse Pisistrato s’impadronì dell’acropoli (la fortezza). Da allora Pisistrato
governò gli Ateniesi e governò attenendosi all’ordine stabilito […].
Ormai il popolo era pronto a lottare per Pisistrato. Fu convocato in assemblea e uno
propose di concedere a Pisistrato una guardia personale di cinquanta mazzieri.
Solone (un aristocratico che l’aveva preceduto nel governo della città) parlò a lungo
contro la proposta, ma vide che i poveri erano decisi a sostenere Pisistrato, mentre
gli aristocratici avevano paura e fuggivano. Tuttavia Pisistrato, divenuto padrone
della città, diede a Solone tanti onori ed anzi lo fece suo consigliere e attuò molti dei
suoi atti. Per la verità Pisistrato conservò la maggior parte delle leggi di Solone,
osservandole egli per primo e costringendo i suoi sostenitori a fare altrettanto.»
(Plutarco, scrittore greco)
4. L’OSTRACISMO
L’ostracismo, che derivava dalla parola greca ostrakon (coccio), doveva costituire
una garanzia per la democrazia ateniese e fu introdotta da Clistene (arconte nel
509 a.C.) per impedire il ritorno dei tiranni. L’ostracismo era molto temuto,
poiché permetteva all’assemblea di esiliare per dieci anni i cittadini ritenuti
pericolosi per la democrazia.
«Il giorno del giudizio ogni cittadino prendeva un coccio, vi scriveva sopra il nome
della persona che voleva esiliare, poi portava il coccio in un luogo del
mercato delimitato tutto intorno. I funzionari per prima cosa contavano tutti i cocci
che erano stati consegnati poiché la votazione non era valida se ce n’erano meno di
6000. Poi dividevano e contavano i cocci in base al nome, e quello che era indicato
dalla maggioranza veniva esiliato per dieci anni, mentre le sue proprietà restavano
intatte.»
(Plutarco)
5. ELOGIO AD ATENE
«La nostra costituzione non calca l’orma di leggi straniere. Noi piuttosto siamo
d’esempio agli altri senza imitarli. Il suo nome è democrazia, perché affidiamo la
città non ad un’oligarchia, ma a una più vasta cerchia di cittadini; ma in realtà le
sue leggi danno a tutti indistintamente i medesimi diritti nella vita privata; e per
quanto riguarda gli onori ognuno viene prescelto secondo la fama che gode, non per
l’appartenere all’uno o all’altro partito a preferenza del valore. Né avviene che la
povertà offuschi il prestigio e arresti la carriera di chi può rendere buoni servigi alla
città. Libera si svolge la vita politica nella nostra città. Senza alcuna costrizione
nella vita privata, nei rapporti pubblici non trasgrediamo la legge soprattutto per
reverenza verso di essa: ubbidendo ai magistrati in carica e alle diverse leggi,
specialmente a quante proteggono gli offesi e a quante, senza essere scritte, recano
come universale sanzione il disonore.
Non solo; ma abbiamo procurato allo spirito numerosissimi svaghi dalle fatiche, con
la consuetudine di gare e di feste religiose durante tutto l’anno, e con eleganti case
private, il cui godimento giornaliero mette in fuga la tristezza. Inoltre la grandezza
della nostra città è tale che da tutta la Terra vi affluisce ogni cosa, e col godimento
che ne prendiamo rivendichiamo per noi ciò che di buono le altre parti del mondo
producono, non meno di ciò che ci dà il nostro paese.
L’amore del bello non c’insegna lo sfarzo, né la cultura c’infiacchisce. La ricchezza è
per noi stimolo di attività, con motivo di superbia loquace. E quanto alle ristrettezze
della povertà, non il confessarle è umiliante presso di noi, ma piuttosto il non
saperle superare lavorando.»
(Tucidide, storico greco vissuto nel V secolo a.C., tratto da La guerra del Peloponneso)