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LES NOUVELLES ECRITURES SCENIQUES
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Programme international de rencontres et de recherche
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Rdv01 : le théâtre dans la sphère du numérique
VERSO UNA NUOVA SCRITTURA SCENICA
par Anna-Maria Monteverdi
Il panorama del teatro di ricerca italiano che si è arricchito della presenza dei media in scena come è stato
rilevato da più critici e storici del teatro e studiosi di nuovi media da Brunella Eruli a Anna Maria Sapienza a
Andrea Balzola ha un grande debito nei confronti del Teatro-immagine degli anni Settanta (tra i protagonisti
Carlo Quartucci, Memé Perlini, Mario Ricci, Leo De Berardinis) alla cui definizione contribuiscono alcune
esperienze a metà tra il teatro e le arti visive ed eventi videoperformativi. Teorizzatore di questa tendenza è
stato Giuseppe Bartolucci, uno dei critici militanti che ha portato contributi notevoli alla diffusione e alla
promozione del teatro di ricerca italiano come organizzatore di alcune delle rassegne che hanno prodotti i
“manifesti” e sancito i principi del Nuovo teatro. Questa prevalenza dell'immagine sulla parola sarà
riconosciuta ufficialmente in Italia alla rassegna di Salerno Incontro/Nuove tendenze (1973). I differenti
metodi di composizione e di espressione sperimentati, nel comune rifiuto del testo drammatico, propongono
l'elaborazione di una scrittura scenica innovatrice che privilegiasse, come ricordava Bartolucci, i tre elementi
di: spazio, immagine, movimento temi che ci riconduncono anche ai padri fondatori della regia, la cinetica
scenica di Craig, lo spazio-immagine di Appia.
Il teatro della post-avanguardia (inaugurato ufficialmente dal convegno di Salerno del 1976) accentuerà
ulteriormente le caratteristiche antinarrative e visive, visionarie e oniriche inaugurate dal teatro-immagine: ne
sono protagonisti la Gaia scienza di Giorgio Barberio Corsetti e il Carrozzone (primo nucle dei Magazzini
Criminali, oggi solo Magazzini) e in seguito Falso movimento di Mario Martone (1977 col nome di Nobili di
Rosa), Krypton di Giancarlo Cauteruccio quest'ultimi insieme con il Tam teatromusica di Michele Sambin e
Pierangela Allegro creeranno le premesse per il fenomeno del cosiddetto media-teatro o videoteatro ancora
una volta inaugurato con una rassegna a Roma dal titolo Nuova Spettacolarità nel 1981. Il videoteatro è un
termine che è andato genericamente a definire sia la produzione videografica di ispirazione teatrale legata a
uno spettacolo -quella che Valentina Valentini definisce una videodrammaturgia residua- sia creazioni
completamente autonome (videodocumentazioni, biografie videoartistiche, produzioni di teatro televisivo
pensiamo alle sperimentazioni televisive di Ronconi, Carmelo Bene e Martone); ma videoteatro è sopratutto,
performance tecnologiche o spettacoli teatrali che utilizzano l'elettronica in scena. In queste produzioni entra
con chiara contaminazione l'esperienza contemporanea della metropoli, l'universo cinematografico, i
fumetti, la musica rock, e le tecnologie elettroniche. In Martone l'uso di macchine elettroniche è senz'altro più
limitato ma l'attenzione è volta all'assimilazione del linguaggio e dell'espressività tecnologica che va al di là
degli strumenti usati. Corsetti protagonista assoluto di questa stagione videoteatrale introduce una struttura
complessa di dialogo tra corpo e ambiente, luce e spazio, immagine video e presenza attoriale in tre
spettacoli di cui ricordiamo La camera astratta. Camera astratta (1987) di Corsetti con Studio azzurro
presentato a Dokumenta kassel e poi vincitore del premio Ubu massimo riconoscimento per il teatro di
ricerca. Paolo Rosa parla di un percorso del gruppo video Studio azzurro verso il teatro, di una espansione
in senso teatrale delle videoinstallazioni; teatro “latente presente in embrione come ambito in cui sconfinare”;
in Camera astratta si mette in scena il “carattere bicefalo del video” come ricordava Philpe Dubois,
“dispositivo e immagine-processo”: c'è una doppia scena, una materiale e una immateriale, una visibile e
una invisibile, un set e un retroset dove gli attori vengono ripresi e la loro immagini riproposte in diretta nella
parte frontale del palco. I monitor in scena che scorrono su binari o appesi in aria e in una complessa
articolazione di movimenti, incorporano e scompongono il corpo dell'attore. Corsetti parla della presenza
elettronica che “rafforza le potenzialità dell'azione teatrale”. La presenza del monitor agisce come elemento
linguistico e drammaturgico nuovo in un contesto teatrale.
Giacomo Verde.
Æ www.verdegiac.org
Æ www.xear.org/storiemandaliche
E' videomaker, tecnoartista, mediattivista legato alla sperimentazione delle tecnologie povere con le quali
mostra nelle installazioni e a teatro come la creatività non dipenda da un forte dispiegamento di mezzi. Le
sue oper’azioni sono da sempre una critica al “consenso mediatico” e variazioni sul tema della necessità di
un uso politico delle immagini e di una riappropriazione-socializzazione dei saperi tecnologici. A teatro
l'accento è posto sul live, sulla performatività dei media per comprendere questa realtà tecnologicamente
aumentata, come scrive in un suo bel testo: “Per un teatro tecno.logico vivente. Verde parla di una
tecnonarrazione che rivitalizzi l'antica arte della narrazione orale con i nuovi strumenti comunicativi e che
faccia sentire lo spettatore necessario alla rappresentazione; la tecnologia deve essere un mezzo che
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amplifica il contatto, il tempo reale e non una gabbia che detta regole e ritmi preregistrati e immutabili”.
Verde è attore-narratore autore di videocreazioni teatrali, e di videofondali live e/o interattivi progettati per
performance, reading poetici, concerti. Il teleracconto, ideato nel 1989 e inaugurato con Hansel e Gretel (H &
G Tv), coniuga narrazione teatrale realizzata con piccoli oggetti e macroripresa in diretta. Una telecamera
inquadra in macro alcuni oggetti collocati vicinissimo alla telecamera; questi, attraverso la riproduzione
televisiva e soprattutto attraverso la trama del racconto orale associata alla disponibilità immaginativa del
pubblico si trasfigurano fino a diventare quello che la storia ha necessità di raccontare. Il perfomer è
narratore che manipola oggetti e le immagini di questi oggetti ripresi in diretta, gioca sullo spiazzamento
percettivo.Coi Teleracconti Verde ci mostra come è facile attraverso una telecamera “far credere che
le cose sono diverse da quelle che sono”, in altre parole, che le immagini trasmesse dalla televisione
non sono quelle della realtà ma quelle di chi vuole fissare per noi un punto di vista sul mondo. Si può
considerare una continuazione o prolungamento del teleracconto OVMM acronimo da Ovidio
metamorfoseon, dalle metamorfosi di Ovidio. L'attore Marco Sodini racconta con parole con azioni e
coreografie i miti di trasformazione. Sullo sfondo, immagnini create in dretta da Verde. Verde presente e
visibile in scena mette in atto un doppio dispositivo di ripresa, la webcam che riprende lo spazio con
l'attore e la videoproiezioni, e la videocamera che riprende sullo schermo del computer le immagini della
webcam sulle quali vengono sovrapposti piccoli oggetti, materiali e riflessi. Le immagini sono tutte in tempo
reale e seguono il ritmo della scena, si moltiplicano attraverso l'azione dell'attore. Anche la musica e i suoni
rispondono al principio del live, suoni campionati che sono un tappeto sonoro continuo vengono trafsormati
in diretta con variazioni di intensità, sovrapposizioni ed echi della voce del protagonista. Nella primavera del
1998 Giacomo Verde e il drammaturgo e critico Andrea Balzola pongono per la prima volta mano ad un
progetto di narrazione teatrale con uso di tecnologia interattiva ispirandosi, per la stesura dei testi, alla forma
e al significato del Mandala, guida della meditazione e simbolo della trasformazione spirituale dell'individuo.
E' Storie mandaliche di Giacomo Verde e Zonegemma. La scelta della tecnologia va inizialmente al sistema
Mandala System per Amiga, e contestualmente si pongono le premesse per la scelta dell'iconografia e il
primo abbozzo di un testo che viene concepito con caratteristiche ipertestuali, ovvero connessioni, incastri,
corrispondenze tra i personaggi e i luoghi. Balzola li definisce “iperracconti”. Sono sette storie di
trasformazioni nei diversi regni: umano, minerale, vegetale, animale e divino, ovvero sette storie di
personaggi “linkate” tra loro a formare una rete e un labirinto: il bambino-uomo, il mandorlo, la principessa
nera, il corvo, il cane bianco, la pietra del parco, l'ermafrodita. Ogni storia e ogni personaggio è associato a
un colore, ad un elemento e ad un punto cardinale. La struttura del mandala è concentrica: ha quattro porte
che corrispondono ai punti cardinali. Le storie portano sempre al centro: il mandala è la determinazione di un
percorso che conduce all'illuminazione attraverso un rito di orientamento. Nel Mandala System è possibile
fondere insieme sfondi, ambienti bidimensionali con oggetti tridimensionali attraverso la videocamera: la
videocamera riprende in diretta il corpo o la mano del narratore che viene digitalizzata in tempo reale e la
sagoma della figura ripresa, appare sovrapposta alle immagini e agli oggetti generati, invece, dal computer.
Lo spettacolo ha attraversato diverse fasi ed è appena terminata una sua ulteriore metamorfosi con le
animazioni in flash MX (programma per animazioni audiovisive 2 d usato in Internet) delle immagini che
sostituiscono il Mandala system per un'ipotesi anche di futura fruizione Web. Il cyber contastorie (la
definizione è di Giacomo Verde, che ci tiene a definire il narratore sulla base dell'immagine del tradizionale
raccontastorie) anziché la tela disegnata, ha davanti a lui immagini in videoproiezione che lui stesso può
trasformare seguendo il ritmo in tempo reale del suo racconto.
Motus.
Æ www.motusonline.it
Motus è uno dei gruppi di punta della cosiddetta generazione Novanta, o terza onda, fenomeno esploso agli
inizi degli anni Novanta che ha come epicentro la Romagna; è lì che si crea un terreno favorevole e le
premesse per una nuova ricerca teatrale da parte di giovanissimi romagnoli grazie anche alla presenza del
Teatro delle Albe e della Socìetas Raffaello Sanzio; gruppi che, date le caratteristiche simili, formali e
contenutistiche, vengono accorpati insieme dalla critica a farne una etichetta un movimento, che
contraddistingueva una nuova tendenza del teatro. I nuovi gruppi teatrali dopo essere stati per lungo tempo
invisibili (questo era anche il nome di una rassegna che li proponeva a San Benedetto del Tronto) nati e
cresciuti nella semiclandestinità, nelle pieghe e nell'ombra della cultura ufficiale, in spazi underground, in
circuiti alternativi, extrateatrali decentrati in Romagna in centri sociali o spazi occupati (Link a Bologna,
Interzona Verona) ottengono una loro visibilità di pubblico grazie al Festival Crisalide, Opera prima di Rovigo
e Teatri 90: Motus, Fanny e Alexander, Teatrino clandestino, Masque teatro Teatro degli Artefatti Nuovo
complesso camerata. Teatro dai forti connotati visivi, legato a un vero culto dell'immagine
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caratterizzato anche dall'eccesso di visione, una visione mediatizzata, televisione, video, cinema
(Cronenberg), pittura e fotografia (da Warhol a Muybridge), pubblicità e che scopre ispirazione e tematiche e
spazi di rappresentazione dall'ambito urbano metropolitano (dai metrò alle discoteche alle camere d'hotel);
ossessiva indagine sulle tematiche del corpo (postorganico, cyber, corpo fagocitato nell'intero
meccanismo tecnologico; corpo mostrato, violato, nei suoi aspetti estremi di violenza e di sesso); attenzione
verso i meccanismi di visione del corpo stesso: esposto a obiettivi fotografici, e video, costretto dentro
teche trasparenti.
Il tema del teatro come sguardo, della ricerca di particolari dispositivi di visione è una delle costanti
del giovane gruppo riminese fondato nel 1990 da Enrico Casagrande e Daniela Niccolo. Il loro teatro
attraversa da sempre i territori più svariati della visione: cinema, video, architettura, fotografia. Sguardo
catturato in scena da una fotocamera in Catrame tratto da Ballard e che guarda a Crash di Cronenberg;
corpo dell'attore rinchiuso in teche di plexiglass e costretto in una struttura circolare in movimento in Orlando
furioso, trasgressivo spettacolo che li ha imposti all'attenzione del pubblico. La caratteristica del loro teatro è
che lo spettacolo nasce dapprima come installazione, come scultura scenica perché protagonista è il luogo
come dispositivo scenico che si impone con le sue grandi proporzioni nello spazio dell'archittettura del
teatro.
Motus : da Vacancy room a Twin rooms.
Æ www.exibart.com (rubrica arteatro: intervista di A.Monteverdi a D. Niccolò su Twin rooms)
Æ www.cut-up.net (sez.teatro: saggio di A. Monteverdi su Twin rooms dal catalogo Teatri90)
Room è costruito intorno ad una struttura "abitabile". Una camera d'albergo: bagno e camera da letto
contigui e comunicanti percorsi a vista dagli attori in coppia, a gruppi o singoli; quasi una sensazione di
immobilità di azione in questa rigida delimitazione dello spazio, e di uscita dal tempo. E’ il luogo stesso a
suggerire questa dimensione astratta: la camera d’albergo è un (non) luogo intimissimo e anonimo insieme
La struttura è quadro che isola e insonorizza dal mondo. E’ anche la scatola ottica davanti alla quale poter
esercitare, la propria (voc)azione voyeuristica (in quanto spettatori).
Lo svolgimento dello spettacolo rivela molte affinità con il procedimento filmico. Il soggetto stesso è un vero
e proprio topos a lungo esplorato e rivisitato dalla cinematografia e da un certo film di genere. Il progetto
teatrale è terminato con la creazione di un ulteriore dispositivo di sguardi: una struttura modulare che
raddoppia la stanza: una digital room che duplica i personaggi: le immagini proiettate provenienti da
telecamere in mano agli attori e da microcamere fisse contribuiscono a dare l'impressione di assistere ad un
"doppio film" .Le immagini preesistenti vengono mixate live con quelle girate in diretta. La regia teatrale
diventa regia di montaggio. Twin room è ispirato a DeLillo (Rumore bianco) ha avuto una prima visione in
forma installattiva al Museo Pecci di Prato; in scena un "contenitore" d'ambienti: camera d'albergo e bagno
che si impone quale macchina dello sguardo e simbolo di una esasperata ricerca di uno spazio interiore; un
luogo riempito di oggetti, parole, suoni e immagini evocati dal cinema e dalla letteratura.Il ruolo del video in
Twin rooms: moltiplicatore di sguardi, introspettivo, narcisistico, mnesico. Video come una finestra sull'io. Per
certi aspetti il video esaspera operazioni come The merchant of Venice di Peter Sellars. Un eccesso di
visibilità e anche un incrudelimento e una morbosità dell'occhio della telecamera che si sofferma sui corpi. E
questo è in De Lillo, interessato a quello che il consumo cannibalico delle immagini potrebbe dirci
sull'inconscio collettivo politico e culturale. I personaggi di De Lillo parlano sullo sfondo di immagini televisive
di morte e disastri, da Piazza Tienanmen, alla tragedia allo stadio di Hillsborough. In De Lillo i personaggi
passeggiano tra i grandi magazzini e si vedono ripresi dalle telecamere, i loro volti andare in diretta in
televisione. Le tecnologie negli spazi urbani ci coinvolgono , nelle strade, nelle banche, vediamo immagini di
noi stessi ovunque. La sorveglianza non viene soltanto assunta da istituzioni pubbliche e ufficiali, sta
assumendo caratteristiche individuali e familiari. Scrive in un romanzo De Lillo: “La gente agisce in terza
persona, si trasforma via via nella propria succursale di spionaggio, nella propria compagnia televisiva, nella
propria stazione televisiva. Filma le percosse della polizia, i maltrattamenti delle baby sitter ai bambini che
custodiscono”. C'è una video vigilanza diffusa. La città viene a costituire un mosaico di microvisioni e
microvisibilità. Il video in scena quindi integra il procedimento del romanzo: lo shock dell'immediatezza, il
senso di alienazione e di perdita di identità nel flusso della rappresentazione del sé: “Una sera camminavano
accanto a un grande mafazzino,andavano a zonzo. E Marina guardando verso un televisore in vetrina vide
la cosa più sorprendente, una cosa talmente strana che dovette fermarsi a fissarla, afferrandosi saldamente
a Lee. Era il mondo che andava dal di dentro verso il di fuori. Stavano a bocca aperta a fissare se stessi
dallo schermo tv. Era in televisione!” (Don DeLillo).
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