Cambiamento climatico e allevamenti intensivi © Copyright LAV Via Piave 7 – 00187 Roma Riproduzione consentita citando la fonte LAV – www.lav.it 1. Introduzione Gran parte del mondo scientifico ha preso atto di come i cambiamenti climatici, che stanno producendo gravi danni umani e ambientali, siano causati dalle attività dell’uomo. Purtroppo la situazione non fa che aggravarsi. Pochi sono a conoscenza del fatto che l’allevamento intensivo di animali è tra le attività che maggiormente hanno concorso e concorrono all’aumento della temperatura terrestre. Questo dossier mette in evidenza il ruolo determinante degli allevamenti sul cambiamento climatico in atto e propone, sia ai cittadini che alle istituzioni, alcune possibili soluzioni. Durante il vertice ONU di Copenhagen svoltosi nel dicembre 2009 i governi coinvolti avrebbero dovuto formulare un accordo globale come strategia contro i cambiamenti climatici, a compimento e attuazione di quanto previsto dal protocollo di Kyoto (vedi box). Il tanto atteso incontro internazionale si è concluso in sostanza senza accordi vincolanti per un miglioramento delle politiche ambientali. È necessario perciò fare continua pressione sui governi affinché prendano decisioni e provvedimenti in grado di modificare anche le politiche che portano lo sfruttamento e la produzione animale a livelli tali da provocare continui e gravi danni ambientali e climatici IL PROTOCOLLO DI KYOTO È un accordo stilato nel 1997 tra 37 paesi industrializzati più l’Unione Europea, con il fine di adottare una strategia globale per contenere il surriscaldamento del Pianeta. La stesura definitiva è stata formulata nel 2001 in Marocco, e il protocollo è entrato in vigore, con molta fatica, nel febbraio 2005. L’obiettivo è di riportare le emissioni di gas serra, responsabili del riscaldamento globale, a livelli paragonabili a quelli del 1990. 3 Abstract Negli ultimi 50 anni la temperatura media terrestre è aumentata di quasi 1 °C e da diversi anni nel mondo scientifico si registra un vasto consenso sul fatto che questo aumento deriva dalle attività umane. Un recente studio ha inoltre rilevato come gli allevamenti intensivi siano responsabili dell’emissione in atmosfera di ben il 51% dei gas serra (GHG), soprattutto di anidride carbonica, metano e protossido d’azoto e quindi possano essere annoverati tra i maggiori responsabili del riscaldamento globale. Già oggi, l’aumento di temperatura sta producendo i suoi effetti sul clima come accrescimento della piovosità e scioglimento dei ghiacci da una parte, e desertificazione dall’altra. Molte sono le autorità internazionali preoccupate per quella che ha i caratteri di una vera e propria emergenza: bisogna infatti intervenire il prima possibile. I dati che emergono dagli studi effettuati sull’argomento dicono chiaramente che il modo più rapido ed efficace di fermare l’aumento della temperatura globale è ridurre i numeri degli allevamenti intensivi. 4 2. Background Nel 1990 l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) ha preso atto del surriscaldamento climatico globale in atto e lo ha attribuito alle attività umane. L’industrializzazione infatti in 250 anni, e in particolar modo negli ultimi 50, ha prodotto un aumento della temperatura media terrestre: secondo il rapporto 2007 dell’IPCC dal 1906 al 2005 è aumentata di 0.74 °C. Tale valore ha determinato: – lo scioglimento di molti ghiacci; – l’innalzamento del livello del mare con la conseguente progressiva scomparsa di coste; – esondazioni e violente tempeste nel nord del mondo; – una progressiva sempre maggiore desertificazione in molte zone dell’Africa; – la riduzione dello strato di ozono; – l’acidificazione degli oceani (la CO2 in eccesso si scioglie nelle acque oceaniche producendo un abbassamento del pH con effetti vari sugli ecosistemi, tra cui l’erosione delle barriere coralline). L’aumento della temperatura è provocato dai cosiddetti “gas serra” (di seguito GHG, dall’inglese Green House Gases), gas cioè, che per le loro caratteristiche chimico – L’effetto “riscaldante”dei GHG è espresso come CO 2eq (CO 2 equivalenti): si considera cioè l’anidride carbonica come riferimento. Il suo potenziale riscaldante globale (GWP, global warming potential) è considerato pari a 1, mentre quello del metano e dell’ossido di azoto sono rispettivamente pari a 25 e 298. Questo significa che a parità di quantità, metano e ossido di azoto contribuiscono al riscaldamento globale 25 volte e 298 1 volte rispettivamente in confronto a quanto contribuisce l’anidride carbonica. Dire quindi che un Paese o un’industria ha emesso una determinata quantità di CO 2 equivalenti fornisce una indicazione di quanto esso ha contribuito al riscaldamento globale, ma non specifica sotto forma di quale gas in particolare. 5 fisiche sono in grado di intrappolare calore nell’atmosfera. I principali gas serra nell’atmosfera terrestre sono: anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ossido di azoto (NO2) e clorofluorocarburi (CFC). Anidride carbonica, metano e ossido di azoto sono prodotti naturalmente dai processi biologici, ma l’industrializzazione e l’intensificazione sempre più spinta di agricoltura e zootecnia hanno esasperato questa situazione, producendo livelli di GHG che gli ecosistemi non sono in grado di tamponare e così, liberati in grandi quantità nell’atmosfera, i gas hanno avuto e hanno tuttora come effetto un surriscaldamento del clima globale. 2.1 Previsioni I gas serra ed il conseguente incremento di temperatura sono in continuo aumento. Gli esperti hanno dichiarato che, al fine di evitare catastrofi irreversibili, è necessario per ogni Paese implementare delle politiche per contenere le proprie emissioni di GHG per far sì che globalmente non si raggiunga mai un innalzamento termico globale di 2 °C. La situazione è urgente poiché i GHG già emessi nell’aria producono i loro effetti per lungo tempo, è quindi fondamentale intervenire subito. Le previsioni degli scienziati sugli esiti che il continuo aumento di temperatura potrà avere sono ad esempio: – ripercussioni sull’agricoltura (iniziale aumento delle rese per aumento CO2 ma inferiore qualità nutritive); – estinzione di specie; – cambiamenti degli ecosistemi; – diffusione di malattie; – conseguenze economiche: diminuzione dei consumi e del PIL. Nel Libro Bianco sul futuro del modello sociale “La vita buona nella società attiva” del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, è riportato che “i cambiamenti climatici possono avere pesanti conseguenze per gli equilibri mondiali. In assenza di una azione coordinata a livello internazionale si stima una perdita equivalente del 2 per cento del PIL mondiale2”. 6 3. Surriscaldamento e allevamenti intensivi. 3.1 Allevamenti intensivi L’attività di produzione animale e l’aumento della temperatura globale sono strettamente connessi tra loro, infatti la produzione di carne e di latte negli allevamenti intensivi è una delle principali responsabili dell’emissione in atmosfera di GHG. Nel Rapporto FAO del 2006 Livestock’s long shadow è stato calcolato che gli allevamenti intensivi producono il 18% di anidride carbonica, metano e ossido di azoto, mentre, ad esempio, l’attività di trasporto via terra, acqua e mare ne causa solo il 14%. In un recente studio di due degli autori dello stesso Rapporto FAO, il valore è stato revisionato e risulta ammontare addirittura a oltre il 50%, poiché in Livestock’s long shadow alcune voci non erano state conteggiate. A causare la massiccia emissione di GHG nell’atmosfera sono in modo particolare: – nel caso dell’anidride carbonica, l’impiego di combustibili fossili (petrolio, carbone, gas naturale), che ha mobilitato la CO2 fissata nel sottosuolo nel corso di milioni di anni, disperdendola nell’atmosfera grazie alla combustione di petrolio, gas naturale e carbone. I combustibili fossili vengono utilizzati ampiamente in vari settori: per il riscaldamento domestico, nell’industria, nei trasporti e altro. Di tutti i GHG di origine umana, almeno il 21% della CO2 deriva dalla produzione animale (considerando solo quella emessa dalla respirazione degli animali) (2). In maniera indiretta, ma molto consistente, gli allevamenti sono inoltre responsabili della elevata presenza di CO2 nell’atmosfera, anche per la distruzione di migliaia di ettari di foreste per fare posto ai pascoli (vedi oltre). – nel caso del metano: il 72 % (2) del metano totale derivante da attività umane emesso in atmosfera proviene sia direttamente dai processi digestivi dei ruminanti (bovini, ovini, caprini) che dall’evaporazione dei composti presenti nel letame. – nel caso del monossido di azoto, gli allevamenti contribuiscono per il 65% alle emissioni antropogeniche totali di questo gas, e per il 75-80%1 di quelle dovute alle attività agricole. L’NO2 proviene da due fonti principali: una è l’impiego di fertilizzanti chimici a base di azoto, senza i quali l’agricoltura intensiva non 7 potrebbe sussistere. I fertilizzanti azotati sono prodotti industrialmente (con grande impiego di energia e quindi emissione di GHG a loro volta) e riversati sui terreni agricoli, mentre tonnellate di deiezioni animali, che potrebbero essere utilizzate allo stesso scopo, rimangono inutilizzate a cielo aperto. L’evaporazione dei composti azotati dai fertilizzanti e dal letame, che ne è la seconda fonte, è responsabile della formazione di monossido di azoto, il più potente dei tre GHG per effetto riscaldante. 3.2 Deforestazione Gli allevamenti intensivi contribuiscono anche in un altro modo alla presenza di una eccessiva quantità di GHG nell’aria: per far posto ai pascoli necessari infatti, ampie zone sono state deforestate. I vegetali, a differenza degli organismi animali, sono in grado di catturare la CO2 presente nell’aria, liberando poi ossigeno ed utilizzando il carbonio per crescere: è la cosiddetta fotosintesi clorofilliana. L’eliminazione massiccia di migliaia di ettari di alberi ad alto fusto ha come effetto la diminuita capacità di catturare l’anidride carbonica. Dal Rapporto FAO prima citato risulta che ben il 70% delle aree deforestate in Amazzonia sono occupate da pascoli, il resto da coltivazione di foraggio. Il rapporto evidenzia inoltre che: – il 26% delle terre libere da ghiacci sulla Terra è occupato da pascoli, e che, globalmente: – il 33% dei terreni agricoli è occupato dalla coltivazione di foraggio; – un terzo dei cereali raccolti sono impiegati come foraggio per gli animali; – il 20% dei pascoli sono degradati e sterili per via dell’eccessivo sfruttamento. Va tenuto presente che i terreni sfruttati dall’eccessivo pascolo diventano praticamente sterili e inutilizzabili. Laddove c’era il polmone del mondo, la 8 rigogliosa foresta amazzonica, nelle aree sfruttate dai pascoli ora c’è il deserto e ormai, sempre secondo la FAO, i pascoli mondiali sono ormai esauriti, poiché le aree sfruttabili sono già state tutte utilizzate e non rimane che abbattere altre foreste. Nel 2005 l’importazione nell’UE di carni bovine dal Brasile era di oltre il 64% (circa 340.000 tonnellate) del totale delle carni bovine importate, ed era aumentata progressivamente dal 2000 (46,6%)3. Questi dati, peraltro in preoccupante ascesa, sono indice del fatto che la UE contribuisce, attraverso i propri consumi di carne seppur in maniera indiretta, alla deforestazione dell’Amazzonia. Per riassumere, gli effetti sul clima dei GHG prodotti dagli allevamenti intensivi provengono da: – 34,0% deforestazione; – 30,4% letame; – 25,3% fermentazione intestinale dei ruminanti; – 6,2% uso di fertilizzanti; – 4,1% altro. La scarsità di territori coltivabili inoltre ha come effetto l’aumento dei prezzi dei cereali a livello globale. Se si considera poi che uno dei metodi presi in considerazione per diminuire il ricorso ai combustibili fossili è la produzione di carburanti da colture vegetali oleose, si comprende come queste produzioni richiederanno sempre di più ampie aree. 9 4. La soluzione Secondo la FAO, l’allarme ambientale creato dalla produzione intensiva di animali è già elevato e, per evitare di aumentare i danni già ingenti, le emissioni devono essere dimezzate al più presto. Come già accennato, una delle caratteristiche dei GHG è che permangono nell’atmosfera per molto tempo: le concentrazioni attualmente presenti continueranno quindi i loro effetti per diversi decenni ancora. Consumo prodotti locali: la scelta vincente? Pensare di ridurre il proprio impatto ambientale orientandosi su carni di allevamenti locali non è una soluzione. Lo ha dimostrato uno studio dell’Università di Oxford: quello che si può risparmiare in termini di GHG mangiando solo ed esclusivamente prodotti locali (anche vegetali) può essere risparmiato, e di più, sostituendo carne e pesce con cibi vegetali una sola volta a settimana.(4) La FAO ha proposto misure come ad esempio il riutilizzo delle deiezioni come fonte energetica e altro: si tratta di soluzioni non facilmente realizzabili nell’arco di un breve periodo di tempo, e anzi, due degli autori del rapporto FAO Livestock’s long shadow, hanno di recente dichiarato esplicitamente che non esiste misura più efficace, pratica e allo stesso tempo rapida, in grado di diminuire le emissioni di GHG come la diminuzione dei consumi di prodotti animali (2). D’altra parte, come si può evincere dai dati sopracitati, un decisivo impatto ambientale (quasi il 60%) è dovuto ai naturali processi di digestione degli animali (letame e fermentazione intestinale). Si tratta di un punto cruciale su cui intervenire e lo si può fare solo ridimensionando gli allevamenti. Infatti, secondo uno studio belga dell’Ufficio Federale degli Affari Scientifici, Tecnici e Culturali del 2001 una riduzione in numeri riguardanti gli allevamenti intensivi è sempre la misura più efficiente per ridurre emissioni di GHG. Una diminuzione del 10% ridurrebbe le emissioni annuali di 0,242 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti (2) . Nel nostro Paese, una riduzione del 10% dei consumi di carne equivarrebbe per ogni italiano alla diminuzione di 8 kg l’anno, ovvero 150 gr a settimana (si intende 10 carne di animali terrestri, esclusi quindi pesce e prodotti ittici). Questo si traduce semplicemente nella sostituzione di una piccola porzione di carne (1 hamburger, 1 petto di pollo, una fettina di vitello) con una cotoletta di soia oppure un piatto di legumi. Ovvero sostituire per una volta a settimana un cibo ricco di proteine animali con uno ricco di proteine vegetali. In termini di kg CO2 equivalenti prodotti, per ogni kg di cibo, i seguenti alimenti producono: carne di maiale 9,3; carne bovina 30; merluzzo 8,5; soia 0,92; fagioli 1,3 5 (vedi Grafico 1). 2000 600 400 200 0 1 2 3 4 5 mangiare solo cibi di produzione locale 800 sostituzione 1kg merluzzo/mese con 1 kg fagioli 1000 sostituzione 1kg carne suina/mese con 1 kg fagioli 1200 uso lampadina60 w basso consumo vs tradizionale 1400 sostituzione 1 kg carne a settimana 1600 sostituzione 1kg carne bovina/mese con 1 kg fagioli 1800 6 Grafico 1: Risparmio in kg CO2 equivalenti/anno. Sostituire 1 kg di carne a settimana fa risparmiare 1872 CO2 equivalenti in un anno, mentre sostituire una lampadina da 60 W con una a basso consumo 26. Sostituire 1 kg di carne suina, bovina e di merluzzo al mese, invece (sempre per un anno), ne fa risparmiare rispettivamente 96, 344,4 e 86, 4 e mangiare solo ed esclusivamente cibo locale (anche vegetale), 367. Quindi un piatto ricco di proteine vegetali diminuisce l’emissione di GHG da circa 10 a 30 volte rispetto ad uno di proteine animali. 11 Con un piccolo cambiamento si potrebbe ottenere molto e si tratta di una modifica alla portata di tutti. Una scelta tanto semplice quanto rivoluzionaria che, oltre ad avere benefici ambientali li produrrebbe anche sul piano igienico sanitario (vedi scheda su proteine vegetali). Vantaggi legati al consumo di proteine vegetali: – Il vantaggio di ricavare le proteine dai cibi vegetali anziché dai cibi animali è che, così facendo, è possibile soddisfare il proprio bisogno di proteine (in particolare se queste ultime sono abbinate ai cereali) senza introdurre colesterolo e grassi saturi, notoriamente deleteri per la salute e inevitabilmente presenti in tutti i cibi animali. – L’assunzione nell’arco della giornata di cereali (pane, pasta, riso, ecc), insieme a legumi (fagioli, lenticchie, ceci, ecc) fornisce tutti gli aminoacidi necessari nelle giuste quantità e proporzioni(la soia è l’unica leguminosa in grado di fornire da sola tutti gli aminoacidi necessari nelle giuste proporzioni). È quanto avviene quando si consumano piatti tradizionali della cucina mediterranea, quali pasta con fagioli e pasta con ceci, nonché nel riso con piselli, ecc.. – I legumi contengono pochi grassi e molta fibra alimentare. Le proteine vegetali dei legumi e altri loro componenti esercitano inoltre un’azione «ipocolesterolemizzante», anche indipendentemente dall’azione della fibra. – I semi di leguminose contengono anche una discreta quantità di fosforo, di calcio e soprattutto di ferro, uno dei minerali più scarsamente presenti negli alimenti. Per quanto riguarda le vitamine, i legumi apportano quantità apprezzabili di alcune vitamine del gruppo B (B1, B2 e niacina), e, allo stato fresco, anche di vitamina C. 12 4.2 Soluzioni possibili Qualsiasi governo e cittadino, in particolare dei Paesi industrializzati, ha la stessa responsabilità nel contribuire alla diminuzione del’emissione di GAS serra, poiché gli effetti dei GHG sono globali,a prescindere dal luogo di emissione. 4.2.1 I cittadini È molto raro che, di fronte a grandi problematiche, il singolo cittadino possa contribuire in maniera diretta con le proprie scelte. Nel caso dei mutamenti climatici invece è possibile contrastare da subito e in modo efficace i mutamenti climatici in atto attraverso la scelta di ciò che quotidianamente mettiamo nel carrello della spesa. È necessario inoltre essere consapevoli di come dietro al prezzo della carne si nascondano costi che vengono pagati dai contribuenti come: – aiuti e premi agli allevatori; – spese sanitarie (degenza ospedali, giorni di lavoro persi ecc.) causate da: malattie cardiovascolari, cancro, diabete e obesità. Queste patologie dimostrano infatti un’incidenza maggiore tra chi mangia carne. È stato calcolato, ad esempio, che solo per le malattie cardiovascolari il costo procapite annuo sociale è di circa 400 euro6. Se si pagasse inoltre una tassa sulle foreste distrutte o sulle emissioni di GHG prodotte da un certo bene alimentare, la carne avrebbe costi tanto elevati da essere proibitivi. 4.2.2 Le istituzioni I governi dei Paesi industrializzati sono tenuti a dare il buon esempio soprattutto ai governi di quelle nazioni come la Cina, l’India e il Brasile in cui si rileva al presente un aumento vertiginoso di produzione di carne. L’attuale situazione è tuttavia conseguenza delle economie dei paesi industrializzati e del modello alimentare occidentale. Le istituzioni dovrebbero quindi prendere atto che la riduzione dei consumi di prodotti animali, mai come oggi, costituisce una scelta virtuosa sotto il profilo ambientale, ma anche igienico sanitario, e si dovrebbero impegnare nella promozione di azioni in questa direzione attraverso: – l’incentivazione delle diete basate su alimenti vegetali soprattutto per ciò che concerne le proteine (valorizzazione colture protealeaginose italiane: legumi e semi oleosi); – la facilitazione dell’opzione vegetariana nelle mense pubbliche; – la revisione delle proprie politiche agricole, incentivando il modello estensivo (biologico, ad esempio) e disincentivando quello intensivo. 13 Soia Oltre il 90% della soia prodotta nel mondo, è utilizzata come foraggio per gli animali. La soia viene prodotta nel 30% delle aree deforestate (il restante 70% di queste aree è adibito a pascolo), viene coltivata con largo impiego di pesticidi con gravi ripercussioni sull’ambiente ma anche sulle popolazioni locali che si trovano defraudate della loro terra. La soia, prodotta con metodo biologico, potrebbe venire utilizzata direttamente per l’alimentazione umana; la soia è infatti un ottimo prodotto dal punto di vista dell’approvvigionamento proteico. I legumi in generale e la soia in particolare contengono un elevato contenuto di proteine (100 gr di alimento secco contiene rispettivamente circa il 22 e il 36% di proteine). Le proteine della soia somministrata come foraggio agli animali invece non si trasformano automaticamente in bistecca: nel passaggio lungo la catena alimentare si disperde una gran quantità di energia, ecco perché da 30 gr di proteine sotto forma di soia, che equivalgono ad una porzione di alimento sotto forma di fagioli di soia o relativi prodotti (tofu ad esempio), si ottiene solo 1 gr di proteine animali, pari a circa 5 gr di carne, ovvero praticamente nulla. Le proteine vegetali sono un metodo molto più efficiente di produrre proteine di buon valore biologico e allo stesso tempo occupare una estensione relativamente bassa di terreno, diminuire l’impatto ambientale e l’emissione di GHG e diminuire l’impatto sulla vita di milioni di animali. La coltivazione della soia è un modo di occupare la terra molto più efficiente degli allevamenti, infatti per ogni caloria di cibo consumato è 65 volte più energeticamente efficiente della carne bovina e 73 volte più del salmone d’allevamento (3). 14 Note bibliografiche Quando non altrimenti specificato, il riferimento bibliografico è: (1) Steinfeld et al., 2006, Rome FAO. Livestock’s long shadow - environmental issues and options Altri riferimenti principli: (2) Robert Goodland e Jeff Anhang, 2009, World Watch Institute. Livestock and climate change http://www.worldwatch.org/node/6294 (3) Global Warning, 2007. Compassion In World Farming, UK. Note Gohar and Shine, Equivalent CO2 and its use in understanding the climate effects of increased greenhouse gas concentrations, Weather, Nov 2007, p307-311. 2 http://www.ministerosalute.it/imgs/C_17_pubblicazioni_955_allegato.pdf 3 Statistiche UNICEB. Milano, 26 maggio 2006. XXXVII Assemblea Ordinaria Annuale. 4 Weber C. e R. Saunders, 2008. Do food miles matter? Science news. 5 Carlsson – Kanyama A. et al, 2009. Potential contributions of food consumption patterns to climate change. Am J Clin Nutr 89 (suppl):1704S-9S. 6 European cardiovascular disease statistics, 2008. Allender et al, Department of Public Health, University of Oxford. 1 15 LAV Via Piave 7 – 00187 Roma Tel. 06 4461325 www.lav.it [email protected]