La strategia del Daesh. È l`Egitto la preda più ambita di chi vuole lo

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Avvenire.it, 11 aprile 2017
La strategia del Daesh. È l'Egitto la preda più ambita di chi vuole lo
scontro tra fedi
Vogliono «sirianizzare» il Paese. Il gigante nordafricano rimane l'obiettivo preferito
dal Daesh. Al-Azhar condanna gli attentati
L’Egitto è sotto attacco. I due gravissimi attentati siglati dai seguaci di Abu Bakr alBaghdadi sono sì un colpo al cuore della comunità cristiana più consistente nel mondo
arabo, quella copta, ma anche di tutta la nazione nel suo insieme. In questo momento,
infatti, svuotati Iraq e Siria della loro tradizionale commistione di fedi, il gigante
nordafricano rimane la “preda” più appetibile per qualsiasi movimento che si prefigga di
seminare il caos. Di più, per qualsiasi struttura terroristica che abbia come obiettivo quello
di scatenare una guerra fra religioni.
Che i copti continuino a pagare il loro sostegno alla presidenza di Abdel Fattah al-Sisi è un
teorema che ormai non regge più: da tempo la minoranza cristiana d’Egitto denuncia le
negligenze di politici, esercito e polizia nel creare una rete di sicurezza rafforzata per quei
10-13 milioni di concittadini che vivono discriminazioni, abusi, violenze di intensità
crescente. È vero che il colpo di Stato militare contro il presidente eletto Mohammed Morsi
(islamista, membro della dirigenza della Fratellanza musulmana) avvenuto nel luglio del
2013 ha ricevuto il placet manifesto del patriarca copto ortodosso Tawadros II. E che la
gerarchia copta si è detta soddisfatta dell’elezione plebiscitaria di al-Sisi nella primavera
dell’anno successivo. Tuttavia, tale appoggio non ha mai assunto la forma di un assegno
in bianco; i copti, al pari dei concittadini egiziani, hanno espresso i proprio dubbi di fronte
alla dura repressione scatenata dal regime nei confronti di qualsiasi forma di dissenso.
C’è poi una differenza che balza agli occhi di chi osserva lo scenario egiziano: l’escalation
di violenze seguita alla destituzione di Morsi è stata caratterizzata da feroci assalti di
giovani e giovanissimi musulmani contro luoghi simbolo della comunità copta. Non l’azione
del singolo: chiese, centri culturali, esercizi commerciali, abitazioni sono stati incendiati e
distrutti da uomini a volto scoperto, incuranti di un eventuale intervento degli agenti. E le
aree in cui le azioni si sono concentrate, va detto, erano “infiammabili” da decenni: Assiut,
Sohag, Minia, Gharbiya. Lì, faide familiari, contrasti economici e dissidi politici avevano già
prodotto fatti di cronaca nera gravi sia sotto la presidenza di Hosni Mubarak che di Morsi.
Ma oggi i copti e gli egiziani tutti si devono guardare le spalle da un nemico diverso: dal
Sinai, in cui è ben radicato, il Daesh punta a “sirianizzare” l’Egitto pluriconfessionale,
annientandone le fondamenta cristiane e dando l’assalto all’islam dialogante. Nel Sinai
settentrionale – nonostante tre anni di guerra fra jihadisti ed esercito del Cairo – il modus
operandi è ben chiaro: i miliziani tagliano la testa senza remore a cristiani e musulmani,
accomunati dal medesimo “peccato”: la mancata sottomissione. Tant’è che al-Azhar, il
punto di riferimento dell’islam sunninta nel mondo, ha pesantemente condannato, fin
dall’inizio, e con uguale forza ieri, l’emergere di questa frangia radicale.
Per il presidente al-Sisi si tratta dunque di tenere fede ai proclami che ne hanno distinto la
retorica in questi 4 anni: l’ex generale si è finora presentato come guida di tutti gli egiziani.
La realtà, però, racconta un’altra storia: al-Sisi si è impegnato soprattutto a tenere nel
mirino una parte cospicua dei suoi concittadini. Una scelta “strategica” che indirettamente
ha finito per rafforzare l’ala radicale dell’islamismo egiziano a discapito della componente
della Fratellanza musulmana moderata. Non solo. L’aver indebolito l’attivismo politico e le
opposizioni laiche ha sottratto forze utili a lottare contro il radicalismo. La speranza del
progetto jihadista risiede in questo contesto disarmonico, in cui le libertà sono già state
ridotte e violate dal nuovo regime. Quelle del Cairo, invece, nella capacità di interrompere
la caccia alle streghe per concentrarsi davvero sulla lotta al terrore, in collaborazione con i
partner internazionali.
Federico Zoia
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