La filosofia della matematica del Novecento

Carlo Cellucci
La filosofia della matematica
del Novecento
I matematici hanno altrettanto
bisogno di essere filosofi quanto i
filosofi di essere matematici.
Leibniz 1965, I, p. 356.
Premessa
Questo libro non è una storia della filosofia della matematica, ma un
esame filosofico delle concezioni della matematica del Novecento, e ne
offre un bilancio.
Il cap. I discute il punto di vista prevalente sulla filosofia della
matematica.
Il cap. II esamina le tre più importanti scuole di filosofia della
matematica della prima metà del Novecento – logicismo, formalismo e
intuizionismo – limitatamente ai fondatori, Frege, Hilbert e Brouwer,
perché il contributo dei loro continuatori è filosoficamente minore.
Viene tralasciato anche Wittgenstein, perché le sue frammentarie e
anche incoerenti osservazioni sui fondamenti della matematica non
configurano una compiuta concezione della matematica.
Il cap. III esamina le più significative scuole di filosofia della
matematica della seconda metà del Novecento – neologicismo,
platonismo,
implicazionismo,
strutturalismo,
finzionalismo,
internalismo,
costruttivismo,
congetturalismo,
empirismo
e
cognitivismo.
Il cap. IV delinea alcuni caratteri che la filosofia della matematica
dovrebbe avere per evitare i difetti delle scuole di filosofia della
matematica del Novecento.
Il cap. V espone i teoremi di incompletezza di Gödel ed altri
risultati limitativi. Essi vengono trattati in un capitolo a parte per
separare gli aspetti tecnici da quelli filosofici, ma lo studio di questo
capitolo è essenziale per la comprensione degli altri capitoli del libro.
I rimandi interni sono indicati tra parentesi quadre. Per esempio,
[V.4.2.] rimanda al par. 4.2 del cap. V.
3
I
Filosofia e matematica
1. L’ortodossia prevalente
1.1. Matematica contro filosofia della matematica
La filosofia della matematica è un argomento antico e, secondo
l’ortodossia prevalente, dal 1884 è stata un grande argomento.
Ma questa opinione contrasta con l’atteggiamento critico di molti
matematici nei suoi confronti.
Per esempio, Gowers afferma: «Supponiamo che domani venga
pubblicato un articolo che dia un argomento nuovo e molto convincente
per una certa posizione di filosofia della matematica», e che esso
«faccia sì che molti filosofi abbandonino le loro vecchie credenze e
abbraccino un -ismo completamente nuovo. Quale effetto avrebbe sulla
matematica? Io affermo che non ne avrebbe quasi nessuno, questo
sviluppo passerebbe virtualmente inosservato»1.
Questo atteggiamento critico deriva dal fatto che molti matematici
ritengono che la filosofia della matematica si occupi di questioni
irrilevanti per l’impresa reale del fare matematica.
Per esempio, di nuovo Gowers afferma: «Le questioni considerate
fondamentali dai filosofi sono questioni strane, esterne, che sembrano
non fare alcuna differenza per l’impresa reale, interna del fare
matematica»2.
1.2. Filosofia della matematica contro tradizione filosofica
La ragione per cui, secondo l’ortodossia prevalente, la filosofia della
matematica dal 1884 è stata un grande argomento, è che per essa la
filosofia della matematica è nata con la pubblicazione delle Grundlagen
der Arithmetik di Frege.
Per esempio, Kenny afferma che «la misura della grandezza di
Frege come filosofo della matematica sta nel fatto che la sua opera rese
1
2
Gowers 2006, p. 198.
Ibid.
4
completamente antiquato tutto quanto era stato scritto prima»3. Anche
se altri autori prima di Frege hanno considerato la matematica da un
punto di vista filosofico, essi appartengono alla preistoria della filosofia
della matematica, tanto che «oggi nessuno può prendere sul serio
l’opera neppure dei più grandi autori precedenti sull’argomento»4.
Addirittura, secondo l’ortodossia prevalente, basandosi sulla logica
matematica da lui creata come strumento della filosofia della
matematica, Frege ha prodotto una rivoluzione in filosofia che ha
cambiato l’aspetto della disciplina.
Per esempio, Dummett afferma che Frege «ha realizzato una
rivoluzione» in filosofia perché ha fatto del suo approccio alla filosofia
«il punto di partenza per l’intera disciplina»5. La nuova filosofia si
fonda su quell’analisi «della struttura generale dei nostri pensieri» che
«sta alla base della logica matematica moderna e che fu iniziata da
Frege»6. Perciò «chiedere quanto la logica matematica abbia contribuito
alla filosofia è porre la domanda sbagliata»7. La nuova filosofia «è
scritta da persone a cui i principi basilari della rappresentazione delle
proposizioni nella forma quantificazionale che è il linguaggio della
logica matematica sono familiari quanto l’alfabeto»8.
2. Limiti dell’ortodossia prevalente
2.1. Limiti dell’autonomia della filosofia della matematica
Queste tesi dell’ortodossia prevalente, però, appaiono scarsamente
fondate.
Innanzitutto, affermare che la filosofia della matematica è nata con
Frege è ingiustificato. I numerosi filosofi che che si sono occupati della
natura della matematica prima di Frege – i Pitagorici, Platone,
Aristotele, Proclo, Descartes, Pascal, Hobbes, Locke, Leibniz,
Berkeley, Hume, Kant, Bolzano, Mill, per non menzionarne che alcuni
– non appartengono alla preistoria della filosofia della matematica ma,
almeno alcuni di essi, sono pietre miliari nella sua storia.
È vero che, a partire da Frege, la filosofia della matematica è stata
sviluppata come una disciplina autonoma, e che Frege è stato «il primo
filosofo della matematica a tempo pieno»9. Ma questo non significa che
3
Kenny 1995, p. 211.
Ibid.
5
Dummett 1981, pp. 665-666.
6
Dummett 1991a, p. 2.
7
Ibid.
8
Ivi, pp. 2-3.
9
Hersh 1997, p. 141.
4
5
sviluppare la filosofia della matematica come una disciplina autonoma
sia una buona idea, né che essere un filosofo della matematica a tempo
pieno sia una buona cosa.
Pensare che si possa sviluppare la filosofia della matematica come
una disciplina autonoma si basa sull’assunzione che la natura della
matematica possa essere indagata senza impegnarsi in questioni
concernenti la percezione, la mente, ecc.. Ma si tratta di un’assunzione
ingiustificata, perché quale matematica facciamo dipende
essenzialmente da quale apparato percettivo, mente, ecc., abbiamo.
Inoltre, essere un filosofo della matematica a tempo pieno significa
avere una visione unilaterale ed impoverita della matematica. Frege
dice che «un filosofo che non abbia alcuna familiarità con la geometria
è solo un filosofo dimezzato»10. Ma nello stesso modo si può dire che
un filosofo della matematica a tempo pieno è solo un filosofo
dimezzato.
2.2. Limiti della polemica contro la tradizione filosofica
È anche ingiustificato affermare che, basandosi sulla logica matematica
da lui creata come strumento della filosofia della matematica, Frege ha
prodotto una rivoluzione in filosofia che ha cambiato l’aspetto della
disciplina.
Tale affermazione intende essere polemica verso la tradizione
filosofica precedente. Ma si tratta di una polemica ingiustificata, perché
le principali idee filosofiche di Frege sulla matematica furono da lui
mutuate dalla tradizione filosofica.
In realtà, lungi dall’aver dato origine ad un nuovo tipo di filosofia
che ha cambiato l’aspetto della disciplina, il contributo di Frege alla
filosofia è stato abbastanza modesto. Lo stesso vale per Hilbert e per
Brouwer che, secondo l’ortodossia prevalente, sono gli zii della
filosofia della matematica, così come Frege ne è il padre. Anch’essi
mutuarono le loro principali idee sulla matematica dalla tradizione
filosofica.
Questo non significa che Frege, Hilbert e Brouwer non abbiano
aggiunto nulla di nuovo alla tradizione filosofica. Ma ciò che vi hanno
aggiunto è essenzialmente di natura tecnica, non filosofica, e alla fine si
è rivelato inaccettabile.
10
Frege 1969, p. 293.
6
II
La filosofia della matematica di ieri
1. Frege
1.1. Le motivazioni di Frege
Secondo Frege (1848-1925), il compito della filosofia della matematica
è indagare il fondamento della certezza della matematica.
La necessità di una tale indagine deriva dal fatto che la matematica
si è «allontanata per qualche tempo dal rigore euclideo»1. La mancanza
di rigore si accentuò con la scoperta dell’analisi matematica, nella quale
«parvero elevarsi difficoltà gravi, quasi insormontabili, contro ogni
tentativo di esporre l’analisi in forma rigorosa»2. Per porre rimedio a
questa situazione non basta «una pura e semplice persuasione morale,
fondata sul gran numero di applicazioni riuscite»3. Occorre un’indagine
sui fondamenti della matematica
Un’indagine del genere non è necessaria per la geometria, perché il
suo fondamento è stato definitivamente chiarito da Kant che,
«chiamando le verità della geometria sintetiche e a priori, ha rivelato la
loro vera natura»4. È necessaria, invece, per l’aritmetica, sul cui
fondamento Kant si è sbagliato. Si deve perciò chiarire il concetto di
numero, a cominciare da quello di numero naturale perché, «se non si è
fatta completa luce sul fondamento stesso dell’edificio aritmetico,
riuscirà ben più difficile spiegare con perfetta chiarezza i numeri
negativi, frazionari e complessi»5.
1.2. Il programma di Frege
Secondo Frege, il fondamento della certezza dell’aritmetica è la logica.
L’aritmetica «è una branca della logica», perciò «non ha bisogno di
1
Frege 1961, p. 1.
Ibid.
3
Ibid.
4
Ivi, pp. 101-102.
5
Ivi, p. II.
2
4
prendere alcun fondamento della dimostrazione né dall’esperienza né
dall’intuizione»6. Le «verità aritmetiche sono analitiche»7. Quindi sono
verità logiche.
Nel dire che le verità aritmetiche sono analitiche, Frege usa il
termine ‘analitico’ in un senso diverso da di Kant.
Per Kant una proposizione è analitica se e solo se in essa «il
predicato B appartiene al soggetto A come qualcosa che è contenuto
(occultamente) in tale concetto A», quindi se e solo se non aggiunge
«nulla, mediante il predicato, al concetto del soggetto, limitandosi a
dividere, per analisi, il concetto» del soggetto «nei suoi concetti
parziali, che erano già stati pensati in esso (sebbene confusamente)»8.
Per Frege, invece, una proposizione è analitica se e solo se può
essere dimostrata a partire da «verità primitive» logiche facendo «uso
solo di leggi logiche generali e di definizioni»9. Quindi, è analitica se e
solo se può essere dedotta da verità primitive logiche. Queste devono
essere in numero finito, perché «questa ipotesi di infinite verità
primitive indimostrabili» è «incongrua e paradossale», essendo «in
conflitto col requisito della ragione di una completa perspicuità dei
primi fondamenti»10. In definitiva, perciò, una proposizione è analitica
se e solo se è deducibile da un insieme finito di verità primitive logiche.
Pertanto, le verità aritmetiche sono verità logiche in quanto sono
deducibili da un insieme finito di verità primitive logiche.
Dunque, per mostrare che le verità aritmetiche sono verità logiche,
occorre mostrare che esse sono deducibili da un insieme finito di verità
primitive logiche. Questo è il ‘programma logicista’ di Frege. Se esso
fosse realizzabile, si potrebbe affermare che «non si può tracciare alcun
confine netto tra la logica e l’aritmetica» ma esse «insieme
costituiscono una scienza unificata»11. Quindi «non esiste un modo di
inferenza peculiarmente aritmetico che non possa essere ridotto ai modi
di inferenza generali della logica»12.
1.3. La concezione della logica di Frege
Ma che cos’è la logica per Frege? Non è la logica naturale, cioè quella
capacità di ragionare che ogni essere umano possiede, perché questa
6
Frege 1962, I, p. 1.
Frege 1961, p. 118.
8
Kant 1900–, III, p. 33 (B 10-11).
9
Frege 1961, p. 4.
10
Ivi, p. 6.
11
Frege 1990, p. 103.
12
Ivi, p. 104.
7
5
non è propriamente una logica dal momento che ciò che è naturale per
l’uno può non esserlo per l’altro. È invece la scienza del pensiero,
inteso non come un processo della mente ma come ciò che trova
espressione in una proposizione. Perciò la logica è strettamente legata al
linguaggio. Inoltre essa non è descrittiva, non descrive come di fatto
pensiamo, ma è normativa, ci dice come dobbiamo pensare se non
vogliamo contravvenire alla verità.
Non essendo descrittiva, la logica non si occupa di come arriviamo
a scoprire nuove verità nelle singole scienze, ma di come arriviamo a
giustificare verità già trovate, cioè a dar loro il più solido fondamento,
inferendole da altre verità che stanno a fondamento. Perciò la logica si
occupa delle leggi dell’esser vero – non dell’esser vero in ambiti
particolari, che è oggetto delle singole scienze, ma delle leggi più
generali dell’esser vero. Quanto alle verità logiche primitive, cioè le
verità che stanno a fondamento, esse non possono essere giustificate
dalla logica ma ci sono date dall’intuizione intellettuale.
Nel trattare la logica Frege – nella sua prima opera, la
Begriffsschrift pubblicata nel 1879 – innova rispetto alla tradizione
logica precedente. La principale innovazione è che egli tratta un
concetto come una funzione unaria F ( x ) a due valori, 1 (= vero) e 0 (=
falso), tale che, per ogni a, F ( a ) = 1 se a cade sotto quel concetto,
F ( a ) = 0 altrimenti. Per esempio, il concetto di uomo è la funzione
unaria F ( x ) tale che per ogni a, F ( a ) = 1 se a cade sotto il concetto di
uomo, F ( a ) = 0 altrimenti. Più in generale, Frege tratta una relazione
n-aria come una funzione n-aria F ( x1 ,..., xn ) tale che, per ogni
a1 ,..., an , F (a1 ,..., an ) = 1 se a1 ,..., an stanno in quella relazione,
F (a1 ,..., an ) = 0 altrimenti. Così egli supera le difficoltà della tradizione
logica precedente nel trattare le relazioni.
1.4. Il debito di Frege verso Kant e Leibniz
Nel formulare il suo programma, Frege mutua le sue principali idee
sulla logica e sulla matematica da Kant, tranne due che egli mutua da
Leibniz.
1) Da Kant, Frege mutua l’idea che la logica non è la logica
naturale, la quale non è propriamente una logica, perché «ciò che è
naturale per l’uno può essere innaturale per l’altro»13.
Kant, infatti, aveva detto che «la logica naturale, o la logica della
ragione comune (sensus communis), non è propriamente una logica, ma
13
Frege 1969, p. 158.
6
una scienza antropologica che ha solo principi empirici»14. Solo «la
logica artificiale o scientifica merita questo nome quale scienza delle
regole necessarie e universali del pensiero, le quali possono e devono
essere conosciute a priori, indipendentemente dall’uso naturale in
concreto dell’intelletto e della ragione »15. Tale logica si dice scientifica
perché è «un corpo di dottrina dimostrata»16.
2) Da Kant, Frege mutua l’idea che, poiché la logica non è la
logica naturale, «nessuna indagine psicologica può giustificare le leggi
della logica»17. Altrimenti queste sarebbero puramente contingenti,
mentre esse sono necessarie, perché è necessaria una proposizione per
la quale si può indicare «l’esistenza di giudizi universali da cui la
proposizione può essere dedotta»18. Perciò si deve evitare la «nociva
intrusione della psicologia nella logica»19.
Kant, infatti, aveva detto che la logica «non desume nulla dalla
psicologia, la quale perciò non ha assolutamente alcuna influenza sul
canone dell’intelletto»20. Se i principi della logica venissero basati sulla
psicologia, le leggi della logica sarebbero «leggi puramente
contingenti», mentre «in logica non si tratta di regole contingenti ma
necessarie»21. Perciò «ogni osservazione psicologica deve essere
esclusa dalla logica»22.
3) Da Kant, Frege mutua l’idea che la logica è la scienza del
pensiero, inteso non come un processo della mente ma come ciò che
trova espressione in «un enunciato assertorio. Pensieri sono, ad
esempio, le leggi naturali, le leggi matematiche, i fatti storici: tutti
quanti trovano espressione negli enunciati assertori»23. Perciò «il nostro
pensiero è strettamente legato al linguaggio»24. Dunque la logica è
strettamente legata al linguaggio.
Kant, infatti, aveva detto che la logica è «la scienza che si occupa
del pensiero in generale, indipendentemente dall’oggetto»25. Il nostro
14
Kant 1900–, IX, p. 17.
Ivi, IX, p. 17.
16
Ivi, III, p. 77 (B 78).
17
Frege 1969, p. 190.
18
Frege 1964, p. 4.
19
Frege 1962, I, p. XIV.
20
Kant 1900–, III, pp. 76-77 (B 78).
21
Ivi, IX, p. 14.
22
Ivi, XXIV, p. 694.
23
Frege 1969, p. 142.
24
Ivi, p. 288.
25
Kant 1900–, XXIX, p. 13.
15
7
pensiero è strettamente legato al linguaggio perché «noi pensiamo con
parole»26. Il «linguaggio significa il pensiero e, dall’altro lato, il mezzo
par excellence della significazione intellettuale è il linguaggio»27. La
«forma del linguaggio e la forma del pensiero sono parallele l’una
all’altra e sono simili»28. Dunque la logica è strettamente legata al
linguaggio.
4) Da Kant, Frege mutua l’idea che la logica non è descrittiva ma è
«una scienza normativa, come l’etica»29. Le leggi logiche non sono
descrizioni di «come effettivamente si svolge il pensiero, di come si
arriva ad una convinzione», ma sono «prescrizioni per il giudicare, di
cui il giudizio deve avvalersi se non vuole lasciarsi sfuggire la verità»30.
Per «leggi logiche» si devono intendere «quelle che prescrivono come
si deve pensare»31.
Kant, infatti, aveva detto che nella logica non si tratta «di come
pensiamo ma di come dobbiamo pensare»32. In essa «noi non vogliamo
sapere come l’intelletto è e pensa e come ha proceduto finora nel
pensare, ma come dovrebbe procedere nel pensare. La logica deve
insegnarci il retto uso dell’intelletto»33. Essa è come «l’etica pura, la
quale non contiene altro che le leggi morali necessarie di una volontà
libera in generale»34.
5) Da Kant, Frege mutua l’idea che la logica, non essendo
descrittiva ma normativa, non può occuparsi di come arriviamo a
scoprire verità, cioè di come «siamo arrivati gradualmente ad una data
proposizione»35.
Kant, infatti, aveva detto che la logica non è «un’indicazione della
maniera in cui una determinata conoscenza deve essere ottenuta»36.
Essa «non può essere una euristica, perché astrae da ogni contenuto
della conoscenza. Perciò non può produrre nuova conoscenza».37
26
Ivi, XXIX, p. 31.
Ivi, VII, p. 192.
28
Ivi, XXIX, p. 31.
29
Frege 1969, p. 139.
30
Ivi, p. 157.
31
Frege 1962, I, p. XVI.
32
Kant 1900–, IX, p. 14.
33
Ibid.
34
Ivi, III, p. 77 (B79).
35
Frege 1964, p. IX.
36
Kant 1900–, IX, p. 13.
37
Kant 1998, II, p. 279.
27
8
6) Da Kant, Frege mutua l’idea che la logica in particolare non può
occuparsi di come arriviamo a scoprire verità nelle singole scienze,
quindi non si addentra «nella specificità delle singole discipline e dei
loro oggetti», ma si occupa di «ciò che vi è di più generale, di valido in
tutti i campi del pensiero»38.
Kant, infatti, aveva detto che la logica è una scienza delle «leggi
necessarie del pensiero, ma non riguardo a oggetti particolari, bensì a
tutti gli oggetti in generale»39. Essa «concerne l’intelletto, a prescindere
dalla varietà degli oggetti a cui esso può essere rivolto»40 Infatti, «astrae
da ogni contenuto della conoscenza intellettuale e dalla varietà dei suoi
oggetti, non trattando che della semplice forma del pensiero»41.
7) Da Kant, Frege mutua l’idea che la logica si occupa solo di
come giustifichiamo verità già trovate, cioè di come, per ogni verità già
trovata, «arriviamo a darle il più solido fondamento»42.
Kant, infatti, aveva detto che la logica non può servire «ad
ampliare la nostra conoscenza, ma semplicemente a vagliarla e a
correggerla»43. Essa ha una funzione di fondazione trascendentale della
conoscenza, serve a «costituire la possibilità di quest’ultima»44.
8) Da Kant, Frege mutua l’idea che «la logica tratta delle leggi
dell’esser vero»45. Non dell’esser vero in ambiti particolari, ma «delle
leggi più generali dell’esser vero»46.
Kant, infatti, aveva detto che la logica «è anche giustamente
chiamata logica della verità, perché contiene le regole necessarie di
ogni verità (formale)»47.
9) Da Kant, Frege mutua l’idea che le verità logiche primitive non
possono essere giustificate dalla logica, perché cercare di giustificarle
mediante la logica sarebbe «come tentare di uscir fuori della propria
pelle»48. O «giudicare senza giudicare, o lavare la pelliccia senza
38
Frege 1969, p. 139.
Kant 1900–, IX, p. 16.
40
Ivi, III, p. 75 (B 76).
41
Ivi, III, p. 76 (B 78).
42
Frege 1964, p. IX.
43
Kant 1900–, IX, p. 13.
44
Ivi, IV, p. 279.
45
Frege 1969, p. 161.
46
Ivi, p. 139.
47
Kant 1900–, IX, p. 16.
48
Frege 1962, I, p. XVII.
39
9
bagnarla»49. Perciò, rispetto alle verità logiche primitive, la logica
«dovrà rimanere debitrice della risposta»50.
Kant, infatti, aveva detto che i principi logici, «non possono essere
dimostrati affatto, né a priori né empiricamente»51.
10) Da Kant, Frege mutua l’idea che la matematica è
assolutamente certa ma, «una volta convinti dell’immobilità di una
roccia, per aver tentato invano di spostarla, ci si può chiedere che cosa
la sostenga con tanta saldezza»52. Cioè, quale sia il suo fondamento.
Kant, infatti, aveva detto che la matematica è «una grande e
verificata conoscenza», che «ha in sé, da parte a parte, una certezza
apodittica, cioè una assoluta necessità»53. Perciò non ci deve domandare
se le conoscenze matematiche «sono possibili», perché esse «sono date
a sufficienza, e certo con una realtà di incontestabile certezza»54. Ci si
deve domandare invece «come esse sono possibili»55. Si deve cioè
«indagare il fondamento di tale possibilità, e domandare come è
possibile questa conoscenza»56.
11) Da Kant, Frege mutua l’idea che «gli elementi di tutte le
costruzioni geometriche sono intuizioni, e la geometria si rivolge
all’intuizione come alla fonte di tutti i suoi assiomi»57. Essa «si basa su
assiomi che derivano la loro validità dalla natura della nostra facoltà
intuitiva»58.
Kant, infatti, aveva detto che «tutti i principi geometrici, per
esempio che in un triangolo la somma di due lati è maggiore del terzo,
non sono mai derivati dai concetti generali di linea e di triangolo, ma
dall’intuizione»59.
12) Da Leibniz, Frege mutua l’idea che l’aritmetica è
«semplicemente uno sviluppo della logica, ed ogni proposizione
dell’aritmetica è una legge della logica, sebbene derivata»60. Le «leggi
49
Frege 1961, p. 36.
Frege 1962, I, p. XVII.
51
Kant 1900–, XXIV, p. 694.
52
Frege 1961, p. 2.
53
Kant 1900–, IV, p. 280.
54
Ivi, IV, p. 276.
55
Ivi, III, p. 40 (B 20).
56
Ibid.
57
Frege 1990, p. 50.
58
Ivi, p. 1.
59
Kant 1900–, III, p. 53 (B 39).
60
Frege 1961, p. 99.
50
10
aritmetiche sono giudizi analitici»61. Dunque «Kant si sbagliò riguardo
all’aritmetica»62.
Leibniz, infatti, aveva detto che le verità logiche primitive sono
«sufficienti per dimostrare tutta l’aritmetica»63.
13) Da Leibniz, Frege mutua l’idea che le verità logiche primitive
sono date dalla «fonte conoscitiva logica»64. Cioè, dall’intuizione
intellettuale.
Leibniz, infatti, aveva detto che «le verità primitive che si
conoscono per mezzo dell’intuizione» comprendono in primo luogo le
verità logiche primitive, «che io chiamo col nome generico di
identiche»65.
1.5. Deviazioni da Leibniz
A differenza di Leibniz, però, Frege non è un logicista assolutamente
coerente.
Per Leibniz i principi logici sono «sufficienti per dimostrare tutta
l’aritmetica e tutta la geometria, cioè tutti i principi matematici»66.
Per Frege, invece, «c’è una notevole differenza tra la geometria e
l’aritmetica nel modo in cui esse fondano i loro principi»67. Mentre le
verità aritmetiche sono leggi logiche, le verità geometriche si basano
sull’intuizione sensibile pura.
Ma a partire da Descartes si sa che la geometria euclidea può
essere interpretata nella teoria dei numeri reali, e quindi nell’aritmetica
intesa come la scienza del numero in generale. Perciò, se le verità
aritmetiche sono verità logiche, anche le verità geometriche lo sono.
1.6. Gli argomenti di Frege contro Kant
Frege motiva la sua affermazione che Kant si sbaglia riguardo
all’aritmetica, muovendogli alcune obiezioni, che però risultano
infondate.
1) Frege obietta che noi «possiamo sempre assumere l’opposto di
questo o di quell’assioma geometrico, senza cadere perciò in
autocontraddizione quando procediamo alle nostre deduzioni,
nonostante il conflitto tra le nostre assunzioni e la nostra intuizione»,
61
Ivi p. 99.
Ivi, p. 102.
63
Leibniz 1965, VII, p. 355.
64
Frege 1969, p. 298.
65
Leibniz 1965, V, p. 343.
66
Ivi, VII, p. 355.
67
Frege 1990, p. 50.
62
11
perciò «gli assiomi geometrici sono indipendenti tra loro», e «di
conseguenza sono sintetici»68. Invece, «la negazione di una qualsiasi»
delle «leggi fondamentali della scienza del numero» ci fa cadere in
autocontraddizione quando procediamo alle nostre deduzioni, con la
conseguenza che cade «tutto in confusione»69.
Ma non è così. Infatti, si può negare ogni singolo assioma
dell’aritmetica senza cadere in autocontraddizione.
Inoltre, anche secondo Kant si può assumere l’opposto di questo o
di quell’assioma geometrico senza cadere in autocontraddizione. Infatti,
Kant afferma che «una scienza di tutti questi tipi possibili di spazio»,
euclidei e non euclidei, «sarebbe indubbiamente la più alta geometria
che un intelletto finito potrebbe intraprendere»70. Anzi, «se è possibile
che si diano estensioni di altre dimensioni» oltre le tre della geometria
euclidea, «è anche molto probabile che Dio le abbia realmente collocate
da qualche parte», anche se «spazi siffatti non apparterrebbero affatto al
nostro mondo ma dovrebbero costituire universi propri», benché
eventualmente «collegati col nostro»71. Kant, dunque, ammette la
possibilità di geometrie basate su assiomi contraddittori con quelli di
Euclide. E avrebbe potuto ammettere anche la possibilità di aritmetiche
basate su assiomi contraddittori con quelli dell’aritmetica ordinaria se
assiomi per l’aritmetica ordinaria fossero stati noti alla sua epoca, ma
essi sarebbero stati formulati solo successivamente.
2) Frege obietta che, a differenza delle proposizioni fondamentali
su cui si basa la geometria, le proposizioni fondamentali «su cui si basa
l’aritmetica non possono applicarsi semplicemente ad un’area limitata,
le cui peculiarità esse esprimono così come gli assiomi della geometria
esprimono le peculiarità di ciò che è spaziale»72. Infatti, si può «contare
quasi tutto ciò che può essere oggetto del pensiero: l’ideale come il
reale, i concetti come gli oggetti, le entità spaziali come quelle
temporali, gli eventi come i corpi, i metodi come i teoremi»73. Perciò le
proposizioni fondamentali su cui si basa l’aritmetica «devono estendersi
a tutto il pensabile; e una proposizione generalissima siffatta la si
attribuisce molto a buon diritto alla logica»74.
68
Frege 1961, pp. 20-21.
Ivi, p. 21.
70
Kant 1900–, I, p. 24.
71
Ivi, I, p. 25.
72
Frege 1990, p. 103.
73
Ibid.
74
Ibid.
69
12
Ma non è così. Non è affatto vero che le proposizioni fondamentali
su cui si basa l’aritmetica, in quanto si estendendono a tutto il
pensabile, possano attribuirsi alla logica. Le leggi della logica di Frege
non si estendendono a tutto il pensabile, per esempio non si estendono
agli oggetti della matematica intuizionista, per i quali non vale il
principio del terzo escluso.
Inoltre, anche Kant avrebbe potuto affermare che le proposizioni
fondamentali su cui si basa l’aritmetica si estendono a tutto il pensabile,
anche a ciò che non può essere dato nell’intuizione, per esempio a enti
immaginari. Ma – egli avrebbe aggiunto – le proposizioni fondamentali
applicate a ciò che non può essere dato nell’intuizione non ci danno
conoscenza sul nostro mondo, eventualmente solo su un qualche altro
mondo possibile.
3) Frege obietta che, poiché «nella geometria le proposizioni
generali derivano dall’intuizione», è comprensibile che «i punti, le
linee, i piani intuiti», cioè le immagini che li rappresentano, «non hanno
propriamente alcuna particolarità, e perciò possono servire come
rappresentati del loro intero genere»75. Ma «con i numeri le cose stanno
in modo differente: ciascuno di essi ha la sua particolarità. In che
misura un determinato numero possa rappresentare tutti gli altri, e dove
invece entri in gioco il suo carattere particolare, non può essere stabilito
senz’altro»76. Cioè, mentre una particolare immagine di triangolo può
rappresentare l’universalità del concetto di triangolo, una particolare
immagine di numero, per esempio cinque punti, non può rappresentare
l’universalità del concetto di numero.
Ma non è così. Infatti, se si assume che gli oggetti su cui vengono
condotte le dimostrazioni della geometria non sono oggetti particolari
ma sono oggetti generali, si ottiene una contraddizione 77.
Inoltre, l’obiezione assume che per Kant un concetto geometrico
come quello di triangolo possa essere rappresentato da un’immagine
particolare. Ma questo è negato da Kant, il quale afferma che «nessuna
immagine sarebbe mai adeguata al concetto di triangolo in generale.
Infatti l’immagine non potrebbe in nessun caso accedere alla generalità
del concetto, che lo rende valido per ogni triangolo, sia esso rettangolo
o di un altro genere, e resterebbe sempre circoscritta a una parte
soltanto di questa sfera»78. Perciò «alla base dei nostri concetti sensibili
75
Frege 1961, pp. 19-20.
Ivi, p. 20.
77
V. Cellucci 2007.
78
Kant 1900–, III, p. 136 (B 180).
76
13
puri non vi sono le immagini degli oggetti ma gli schemi»79. Per
«schema di un concetto» si intende «la rappresentazione del
procedimento generale mediante il quale l’immaginazione fornisce al
concetto la sua immagine»80. Ma l’immagine non deve essere
effettivamente prodotta, basta mostrare la possibilità di farlo in linea di
principio, dando la regola per farlo. Per esempio, è sufficiente mostrare
«la possibilità di esibire il concetto di un chiliagono», cioè un poligono
di mille lati, «in un’intuizione», dando la regola secondo la quale questo
può essere fatto, è quanto basta per «fondare la possibilità di questo
oggetto in matematica. Allora, infatti, la costruzione dell’oggetto può
essere prescritta completamente»81.
Similmente Kant si esprime sull’aritmetica, riguardo alla quale
afferma che, se «dispongo di seguito cinque punti: ..... , questa è
un’immagine del numero cinque. Se invece soltanto penso un numero
in generale, che sia cinque o cento, questo pensiero è più la
rappresentazione di un metodo per rappresentare una molteplicità (per
esempio, mille) in un’immagine, in base ad un certo concetto, che
questa immagine stessa, la quale, in questo caso, sarebbe difficilmente
esaminabile interamente e raffrontabile col concetto»82. Tale pensiero è
cioè uno schema, una regola per rappresentare una molteplicità in
un’immagine. Si ha così una situazione simile a quella del chiliagono,
come si vede dal fatto che Kant afferma che essa «diventa tanto più
evidente quanto più grandi sono i numeri presi in considerazione»83.
1.7. Il principio di Hume
Frege avvia la realizzazione del suo programma di dedurre, da un
insieme finito di verità logiche primitive, tutte le verità aritmetiche
note, nella sua seconda opera, le Grundlagen der Arithmetik,
pubblicata nel 1884.
La realizzazione del programma gli richiede innanzitutto di
definire il concetto di numero naturale. Ma, poiché per Frege il
fondamento della certezza dell’aritmetica non è l’intuizione sensibile
pura, questo gli pone il problema: «Come può esserci dato un numero
se non possiamo averne alcuna rappresentazione o intuizione?»84. La
risposta di Frege fa appello al ‘principio del contesto’: «Solo nel
79
Ibid.
Ibid., p. 135 (B 179-180).
81
Ivi, XI, p. 46.
82
Ivi, III, p. 135 (B 179).
83
Ivi, III, p. 37 (B 16).
84
Frege 1961, p. 73.
80
14
contesto di una proposizione le parole hanno un significato»85. Perciò,
per definire il concetto di numero, «occorre spiegare il senso di una
proposizione in cui compare un numerale»86. Cioè, il nome di un
numero.
Questo, però, «lascia ancora molto spazio all’arbitrio»87. Infatti
non chiarisce di quali proposizioni in cui compare un numerale occorra
spiegare il senso.
Per chiarirlo, Frege afferma che i numerali sono «oggetti
autosussistenti», cioè hanno un’identità che ne consente «il
riconoscimento sempre di nuovo»88. Questo richiede di dare un criterio
per decidere se un numerale è lo stesso di un altro numerale.
A tale scopo, secondo Frege, «dobbiamo definire il senso della
proposizione ‘il numero che appartiene al concetto F è lo stesso del
numero che appartiene al concetto G’»89. Infatti un’affermazione su un
numero è sempre un’affermazione sul numero che appartiene ad un
concetto. Per esempio, l’affermazione che Giove ha quattro lune è
l’affermazione che quattro è il numero che appartiene al concetto ‘lune
di Giove’. Perciò, per dare un criterio per decidere se un numerale è lo
stesso di un altro numerale, dobbiamo definire il senso della
proposizione ‘il numero che appartiene al concetto F è lo stesso del
numero che appartiene al concetto G’.
Tale proposizione, con il suo articolo determinativo, assume però
che siamo già in grado di decidere se un numerale è lo stesso di un altro
numerale. Perciò la si deve riformulare «senza far uso dell’espressione
‘il numero che appartiene al concetto F ’ » 90.
Per farlo, Frege si ispira a Hume, il quale afferma che «quando
due numeri sono combinati in modo tale che l’uno ha sempre un’unità
corrispondente ad ogni unità dell’altro, li dichiariamo eguali»91. Perciò
Frege definisce ‘il numero che appartiene al concetto F è lo stesso del
numero che appartiene al concetto G ’ come ‘Esiste una corrispondenza
biunivoca R tra gli oggetti che cadono sotto F e gli oggetti che cadono
sotto G ’ , che egli abbrevia in « ‘Il concetto F è equinumeroso al
concetto G ’ »92. Poiché tale definizione si ispira a Hume, essa va sotto il
nome di ‘principio di Hume’.
85
Ibid.
Ibid.
87
Ibid.
88
Ibid.
89
Ibid.
90
Ibid.
91
Hume 1978, p. 71.
92
Frege 1961, p. 85.
86
15
Indicando ‘il numero che appartiene al concetto F ’ con NxF ( x ) ,
e ‘F è equinumeroso a G ’ con F ≈ G , il principio di Hume è:
(HP)
NxF ( x ) = NxG ( x ) ↔ F ≈ G ,
che esprime ‘Il numero che appartiene al concetto F è eguale al numero
che appartiene al concetto G se e solo se F è equinumeroso a G’.
F ≈ G è definito, senza far uso dell’espressione NxF ( x ) , da:
(1) ∃R (∀x ( F ( x ) → ∃! y (G ( y ) ∧ R ( x , y ))) ∧
∀y (G ( y ) → ∃! x ( F ( x ) ∧ R ( x , y )))) ,
che esprime ‘Esiste una relazione R che fa corrispondere, a ogni oggetto
che cade sotto F, un unico oggetto che cade sotto G, e viceversa, a ogni
oggetto che cade sotto G, un unico oggetto che cade sotto F’, dunque
esprime ‘Esiste una corrispondenza biunivoca R tra gli oggetti che
cadono sotto F e gli oggetti che cadono sotto G ’ .
Mentre F ≈ G è definito esplicitamente da (1), NxF ( x ) è
definito da (HP) solo contestualmente. Tra definizioni esplicite e
definizioni contestuali vi è una sostanziale differenza.
Una definizione esplicita permette di sostituire l’espressione
definita con l’espressione definente in ogni contesto in cui l’espressione
definita occorre. Per esempio, la definizione di F ≈ G data da (1)
permette di sostituire l’espressione definita F ≈ G con l’espressione
definente (1) in ogni contesto in cui F ≈ G occorre.
Invece una definizione contestuale non permette di sostituire
l’espressione definita con l’espressione definente in ogni contesto in cui
l’espressione definita occorre, ma solo in contesti di una particolare
forma. Per esempio, (HP) permette di sostituire l’espressione definita
NxF ( x ) con l’espressione definente F ≈ G solo in contesti della
forma NxF ( x ) = NxG ( x ) .
Per mezzo di (HP) si può sviluppare l’aritmetica dei numeri
naturali.
Così, 0 è definito da Nx ( x ≠ x ) , che esprime: «Il numero che
appartiene al concetto ‘non identico a se stesso’»93.
La relazione binaria ‘y è il successore di x ’ , scritta S ( x , y ) , è
definita da:
∃F (NwF ( w ) = y ∧ ∃z ( F ( z ) ∧ Nw( F ( w ) ∧ w ≠ z ) = x )) ,
93
Ivi, p. 87.
16
che esprime ‘Esiste un concetto F tale che y è il numero che appartiene
a F ed esiste un z tale che z cade sotto F e x è il numero che appartiene
al concetto ‘cade sotto F ma è diverso da z’.
La proprietà N(w), che esprime ‘w è un numero naturale’, è
definita da:
∀F ( F (0) ∧ ∀x∀y ( F ( x) ∧ S ( x, y ) → F ( y )) → F ( w)) ,
che esprime ‘w cade sotto ogni concetto F tale che 0 cade sotto F e, se x
cade sotto F, anche il successore y di x cade sotto F ’ .
Con queste definizioni, da (HP) si possono dedurre gli assiomi
dell’aritmetica di Peano. Questo risultato va sotto il nome di ‘teorema
di Frege’.
1.8. Il problema di Cesare
Tuttavia (HP) va incontro alla difficoltà che esso non permette di
decidere se una proposizione della forma NxF ( x ) = q è vera o falsa
quando q non ha la forma NxG ( x ) , per esempio quando q è ‘Giulio
Cesare’. Infatti, per stabilire NxF ( x ) = q , occorrerebbe stabilire
∃G (NxG ( x ) = q ∧ F ≈ G ) , ma questo richiederebbe che si potesse
stabilire NxG ( x ) = q , il che darebbe luogo ad un rimando all’infinito.
Questa difficoltà va sotto il nome di ‘problema di Cesare’. Essa
costituisce un serio problema per Frege perché, come abbiamo visto,
egli introduce (HP) allo scopo di dare un criterio per decidere se un
numerale è lo stesso di un altro numerale. Non permettendo di decidere
se una proposizione della forma NxF ( x ) = q è vera o falsa quando q
non ha la forma NxG ( x ) , (HP) non fornisce un tale criterio.
Per superare questa difficoltà Frege considera la possibilità di dare
una definizione esplicita di NxF ( x ) . La definizione che egli dà è in
termini della nozione di estensione di un concetto F. Se indichiamo
l’estensione di F con {x : F ( x )} , allora egli definisce NxF ( x ) come
{X : X
≈ F } . Infatti afferma: «Io perciò definisco: Il numero che
appartiene al concetto F è l’estensione del concetto ‘equinumeroso al
concetto F ’ »94.
Con questa definizione di NxF ( x ) , (HP) diventa:
(HP ')
94
{X : X
≈ F } = { X : X ≈ G} ↔ F ≈ G ,
Ivi, pp. 79-80.
17
che esprime: «L’estensione del concetto ‘equinumeroso al concetto F ’
è la stessa dell’estensione del concetto ‘equinumeroso al concetto G ’ »
se e solo se «il concetto F è equinumeroso al concetto G»95.
1.9. La difficoltà di definire l’estensione di un concetto
Definendo NxF ( x ) come { X : X ≈ F } , Frege pensa di poter risolvere
il problema di Cesare, ma non è così. Tale definizione, infatti, permette
decidere se Giulio Cesare è il numero appartenente ad un concetto solo
se è già stato deciso se Giulio Cesare è l’estensione di un concetto.
Questo presuppone che si sappia che cos’è l’estensione di un concetto,
ma Frege, nelle Grundlagen der Arithmetik, non spiega che cosa sia, si
limita a dire che in questa definizione egli suppone «noto il senso
dell’espressione ‘estensione di un concetto’ si suppone noto»96. Cioè,
egli suppone «che si sappia che cos’è l’estensione di un concetto»97.
Ma questo è insoddisfacente, e lo stesso Frege è consapevole che
«non ci si può aspettare che questo modo di superare la difficoltà
incontri un’approvazione universale»98. Nondimeno dichiara: «Io non
attribuisco alcuna importanza decisiva al far intervenire l’estensione di
un concetto»99.
Invece avrebbe dovuto attribuirgli un’importanza decisiva, perché,
senza far intervenire l’estensione di un concetto, il problema di Cesare
non può considerarsi risolto.
Ma spiegare che cos’è l’estensione di un concetto costituisce una
difficoltà per Frege, perché egli non è in grado di dare una definizione
esplicita dell’estensione di un concetto.
Nella tradizione logica precedente l’estensione di un concetto era
definita esplicitamente come «la quantità delle cose contenute sotto il
concetto»100. Cioè, come l’insieme degli oggetti che cadono sotto il
concetto.
Ma Frege non può definire l’estensione di un concetto in questo
modo, perché egli definisce un insieme come l’estensione di un
concetto. Per lui un insieme non può essere definito come un
‘aggregato’, perché un aggregato è una riunione di oggetti in un tutto, e,
«se ci è dato un tutto, non è ancora determinato quali debbano essere
considerate le sue parti», mentre quando è dato un insieme, «è
95
Ivi, p. 85.
Ivi, p. 117.
97
Ivi, p. 80, nota.
98
Ivi, p. 117.
99
Ibid.
100
Kant 1900–, XXIV, p. 911.
96
18
determinato quali oggetti appartengano ad esso»101. Perciò un insieme
deve essere definito come l’estensione di un concetto, e in effetti «ciò
che i matematici chiamano insieme non è altro che l’estensione di un
concetto»102.
Ma, definendo un insieme come l’estensione di un concetto, Frege
non può definire l’estensione di un concetto come l’insieme degli
oggetti che cadono sotto il concetto, perché ciò darebbe luogo ad un
circolo. Per questo motivo egli non è in grado di dare una definizione
esplicita dell’estensione di un concetto.
Ne segue che, definendo NxF ( x ) come { X : X ≈ F } , Frege non
risolve il problema di Cesare.
1.10. L’acme del programma di Frege
Non essendo in grado di dare una definizione esplicita dell’estensione
di un concetto, Frege – nei due volumi, pubblicati rispettivamente nel
1893 e nel 1903, della sua terza e più importante opera, i Grundgesetze
der Arithmetik, che contiene la formulazione finale della sua
‘ideografia’, cioè del suo sistema logico – ne dà solo una definizione
contestuale. Egli lo fa mediante il quinto assioma dell’ideografia, la
cosiddetta ‘legge fondamentale 5’:
(LF5)
{x : F ( x )} = {x : G ( x )} ↔ ∀x ( F ( x ) ↔ G ( x )) ,
che esprime ‘Due concetti F e G hanno la stessa estensione se e solo se,
per lo stesso argomento x, F e G hanno lo stesso valore, cioè, un
oggetto x cade sotto F se e solo se cade sotto G’ 103. Tale legge, per
Frege, «deve considerarsi una legge logica»104.
Da (LF5) e dagli altri assiomi dell’ideografia si possono dedurre
gli assiomi di Peano, gli assiomi dei numeri reali e degli altri tipi di
numeri. Perciò Frege afferma di aver dato, nelle Grundgesetze der
Arithmetik, «la deduzione delle leggi più semplici dei numeri mediante
mezzi puramente logici»105.
La validità di tale deduzione dipende naturalmente dalla verità
degli assiomi dell’ideografia. Di essa Frege era così convinto da
dichiarare: «Come confutazione riconoscerei soltanto che qualcuno mi
101
Frege 1976, pp. 222-223.
Frege 1962, II, p. 148.
103
La formulazione originaria di Frege è un po’ più generale, perché
considera non solo concetti ma funzioni qualsiasi. Ma questo è
inessenziale qui.
104
Frege 1962, I, p. 14.
105
Ivi, I, p. 1.
102
19
mostrasse con i fatti che un edificio migliore e più duraturo può essere
costruito sopra convinzioni fondamentali differenti, oppure che
qualcuno mi mostrasse che i miei principi conducono a conseguenze
palesemente false. Ma questo non riuscirà a nessuno»106.
1.11. Ancora il problema di Cesare
Ma (LF5) va incontro a grosse difficoltà. Tanto per cominciare, non
risolve il problema di Cesare.
Per risolvere tale problema, Frege parte dall’idea di considerare
ogni oggetto «come l’estensione di un concetto sotto il quale cade solo
quell’oggetto»107. Questo risolverebbe il problema di Cesare, perché
allora Giulio Cesare potrebbe essere concepito, per esempio, come
l’estensione del concetto ‘vincitore di Pompeo a Farsalo’. Ma, come lo
stesso Frege sottolinea, mentre questa idea «è possibile per ogni oggetto
che non ci sia già dato» come l’estensione di un concetto, nel caso di un
oggetto che ci sia già dato come l’estensione di un concetto «si pone il
problema» se questa idea «non sia contraddittoria»108. In effetti lo è
perché, in base ad essa, ogni oggetto viene identificato col suo insieme
unità, cioè con l’insieme il cui solo elemento è quell’oggetto. Ma
ovviamente non ogni oggetto può essere identificato col suo insieme
unità, specificamente nessun insieme che abbia più di un elemento può
essere identificato con esso.
Questo suggerisce di sostituire l’idea in questione con quella di
considerare ogni oggetto che non sia l’estensione di un concetto come
l’estensione di un concetto sotto cui cade solo quell’oggetto. In base a
tale idea, ogni oggetto che non sia l’estensione di un concetto viene
identificato col suo insieme unità. Ma anche questa idea è inadeguata
perché, se un oggetto non è l’estensione di un concetto, allora, in base a
tale idea, esso è l’estensione di un concetto, il suo insieme unità, il che è
contraddittorio.
Questo a sua volta suggerisce di sostituire questa idea con
l’ulteriore idea di considerare ogni oggetto che non ci sia già dato come
l’estensione di un concetto, come l’estensione di un concetto sotto cui
cade solo quell’oggetto. In base a tale idea, ogni oggetto che non ci sia
già dato come l’estensione di un concetto viene identificato col suo
insieme unità. Ma allora, che cosa sia un oggetto dipende dal modo in
106
Ivi, I, p. XXVI.
Ivi, I, p. 18, nota 1.
108
Ibid.
107
20
cui quell’oggetto ci è dato, e, come Frege riconosce, «lo stesso oggetto
ci può essere dato in molti modi differenti»109.
Se ne conclude che la nostra apprensione delle estensioni di
concetti come oggetti non può essere spiegata unicamente in termini di
(LF5). Quindi (LF5) non risolve il problema di Cesare.
1.12. Il paradosso di Russell
Ma (LF5) va incontro ad una difficoltà ancor più grave: da essa si può
dedurre una contraddizione. Tale contraddizione fu comunicata da
Russell a Frege con una lettera datata 16 giugno 1902, mentre Frege
stava per pubblicare il secondo volume dei Grundgesetze der
Arithmetik, e perciò va sotto il nome di ‘paradosso di Russell’.
Informalmente il paradosso di Russell può essere ottenuto nel
modo seguente. Sia y l’insieme di tutti gli insiemi che non
appartengono a se stessi. Chiediamoci: y appartiene a se stesso? Sia la
risposta affermativa che quella negativa danno luogo ad una
contraddizione. Infatti, se y appartiene a se stesso, allora a y appartiene
un insieme che appartiene a se stesso, contraddicendo la scelta di y in
virtù della quale a y appartengono solo insiemi che non appartengono a
se stessi. Se invece y non appartiene a se stesso, allora a y non
appartiene un insieme che non appartiene a se stesso, contraddicendo la
scelta di y in virtù della quale a y appartengono tutti gli insiemi che non
appartengono a se stessi.
Formalmente il paradosso di Russell può essere dedotto da (LF5)
nel modo seguente. Definiamo l’appartenenza x ∈ y come:
(1)
∃X ( y = {z : X ( z )} ∧ X ( x )) .
Dimostriamo innanzitutto:
(2)
y = {x : F ( x )} → ∀x ( x ∈ y ↔ F ( x )) ,
cioè che ‘Se y è l’estensione del concetto F, allora y contiene come
membri tutti e solo quegli oggetti x che cadono sotto F ’ . Per dimostrare
(2) assumiamo y = {x : F ( x )} . Allora:
x∈ y
109
↔
x ∈ {x : F ( x )}
↔
∃X ({
∀xz (: FF((zx))}= =X{(zz ))
( x∧))X ( x ))
: X∧( X
z )}
Ibid.
21
per
per (1)
(LF5)
↔
F ( x) .
Dunque ∀x ( x ∈ y ↔ F ( x )) . Si è così dimostrato (2).
Sia allora y = {x : x ∉ x} , cioè l’estensione del concetto ‘x non
appartiene a se stesso’, ovvero l’insieme di tutti gli insiemi che non
appartengono a se stessi. Prendendo in (2) x ∉ x come F ( x ) si ottiene
∀x ( x ∈ y ↔ x ∉ x ) , da cui segue in particolare y ∈ y ↔ y ∉ y , che è
una contraddizione.
Il paradosso di Russell fu un duro colpo per Frege perché scosse
«uno dei fondamenti del suo edificio»110. Per alcuni anni egli tentò di
modificare (LF5) in modo che da essa non si potesse più dedurre una
contraddizione pur rimanendo una legge logica, ma alla fine riconobbe:
«I miei sforzi di chiarire ciò che si vuole chiamare ‘numero’ sono finiti
in un completo fallimento»111. Perciò «ho dovuto abbandonare la mia
idea che l’aritmetica sia una branca della logica»112.
Il fallimento dei tentativi di Frege non fu dovuto a suoi limiti:
anche i tentativi fatti da altri, da Russell a Ramsey, fallirono. Fu dovuto,
invece, al fatto che il primo teorema di incompletezza di Gödel,
pubblicato nel 1931, implica che il programma di Frege non è
realizzabile.
1.13. Il crollo del programma di Frege
Che il primo teorema di incompletezza di Gödel implichi che il
programma di Frege non è realizzabile può essere visto nel modo
seguente.
Supponiamo che tutte le verità aritmetiche siano verità logiche in
quanto sono deducibili da un insieme finito LT di verità logiche
primitive. Sia T la teoria tutti i cui assiomi sono costituiti da LT. Poiché
tutte le verità aritmetiche sono deducibili da LT, tutte le verità
aritmetiche sono dimostrabili in T, perciò banalmente T è una teoria
sufficientemente potente in senso esteso [V.4.9]. Inoltre, poiché
l’insieme LT è finito, banalmente T è una teoria RE [V.3.3]. E ancora,
poiché LT contiene solo verità logiche, T è coerente. Ma allora, per il
primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2, V.7.2], esiste un
enunciato della forma ∀x ( f ( x ) = 0) , dove f è una funzione ricorsiva
primitiva, che è vero ma non è deducibile da LT. Dunque tale enunciato
fornisce un esempio di verità aritmetica che non è deducibile da LT. Ma
110
Ivi, II, p. 253.
Frege 1969, p. 282.
112
Ivi, p. 298.
111
22
per ipotesi tutte le verità aritmetiche sono deducibili da LT.
Contraddizione. Se ne conclude che non tutte le verità aritmetiche sono
deducibili da LT, e dunque che non tutte le verità aritmetiche sono
verità logiche.
Contro l’affermazione che il primo teorema di incompletezza di
Gödel implichi che il programma di Frege non è realizzabile e perciò
«era destinato al fallimento fin dal principio», Hale e Wright hanno
però obiettato che essa è «semplicemente un errore. Anche con la
formulazione più impegnativa del logicismo» come la tesi che «si può
vedere che tutte le verità aritmetiche sono verità logiche, è per lo meno
opinabile che il teorema di Gödel ne segnali il fallimento»113. Infatti «la
verità logica si sottrae ad una caratterizzazione deduttiva completa»114.
Perciò sarebbe una petizione di principio trarre dal risultato di Gödel
«la conclusione che non tutte le verità aritmetiche sono verità logiche,
perché ciò richiederebbe l’identificazione della logica con la logica del
primo ordine, e questa è un’identificazione che il logicista fregeano
respinge, e deve respingere, in ogni caso»115. Se «il logicista è
autorizzato a considerare la logica come comprendente la logica del
secondo ordine», tale risultato non fa nascere «alcuno speciale
problema per lui. In breve, il risultato di incompletezza di Gödel non ha
alcuna specifica rilevanza per il progetto logicista»116.
L’obiezione di Hale e Wright è che il fatto che, per il primo
teorema di incompletezza di Gödel, per ogni insieme finito LT di verità
logiche primitive esista un enunciato della forma ∀x ( f ( x ) = 0) , dove f
è una funzione ricorsiva primitiva, che è vero ma non è deducibile da
LT, non prova che tale enunciato non è una verità logica. Infatti, se non
si restringe la logica alla logica del primo ordine, l’enunciato in
questione può benissimo essere una verità logica, pur non essendo
deducibile da LT, perché, per un corollario del teorema di
incompletezza forte della logica del secondo ordine [V.7.6], nella teoria
T i cui assiomi sono costituiti da LT e che, come abbiamo visto, è RE,
non sono dimostrabili tutti gli enunciati logicamente validi del
linguaggio di T. Ora, se l’enunciato dato dal primo teorema di
incompletezza di Gödel è una verità logica, questo equivale a dire che
esso è logicamente valido. Perciò tale enunciato può benissimo essere
una verità logica e non essere dimostrabile in T.
113
Hale-Wright 2001, p. 4, nota 5.
Ibid.
115
Ivi, pp. 4-5, nota 5.
116
Ivi, p. 5, nota 5.
114
23
Ma l’obiezione di Hale e Wright è fallace. Infatti, l’enunciato dato
dal primo teorema di incompletezza di Gödel, avendo la forma
∀x ( f ( x ) = 0) , è un enunciato del primo ordine, e gli assiomi logici e le
regole di deduzione logica di T comprendono quelli della logica del
primo ordine. Ora, per il teorema di completezza della logica del primo
ordine [V.1.5], tutti gli enunciati del primo ordine logicamente validi
sono dimostrabili in T mediante gli assiomi logici e le regole di
deduzione logica di T. Perciò, se l’enunciato in questione fosse una
verità logica, e quindi un enunciato logicamente valido, esso dovrebbe
essere dimostrabile in T. Dal fatto che tale enunciato non è dimostrabile
in T, ne segue che esso non può essere una verità logica. Questa
conclusione non presuppone l’identificazione della logica con la logica
del primo ordine, fa solo uso del teorema di completezza della logica
del primo ordine.
Dunque, contrariamente a quanto affermano Hale e Wright, il
primo teorema di incompletezza di Gödel davvero implica che il
programma di Frege non è realizzabile, e quindi ha una rilevanza
assolutamente specifica per il progetto logicista.
1.14. La reazione finale di Frege
La reazione finale di Frege al paradosso di Russell fu l’abbandono
dell’idea che le verità aritmetiche sono verità logiche. L’abbandono fu
così totale che in seguito Frege non mostrò alcun interesse per gli
sviluppi di quella logica matematica che, pure, lui aveva creato. Questo
dipese dal fatto che la logica matematica era per Frege solo un mezzo
rispetto al fine di mostrare che le verità aritmetiche sono verità logiche.
Una volta rivelatosi irraggiungibile tale fine, il mezzo perse interesse.
Lo scopo logico di Frege di mostrare che le verità aritmetiche sono
verità logiche era funzionale al suo scopo epistemologico di mostrare il
fondamento della certezza della matematica. Quando l’assunzione che il
fondamento della certezza dell’aritmetica era la logica si rivelò
insostenibile, Frege la sostituì con quella che tale fondamento fosse la
geometria. Le verità aritmetiche sono verità geometriche, e perciò «tutta
la matematica è, propriamente, geometria. La matematica appare così
perfettamente unitaria nella sua essenza»117. L’aritmetica e la
geometria, «e quindi l’intera matematica, scaturiscono da un’unica
fonte conoscitiva, cioè quella geometrica»118. Come la geometria, anche
l’aritmetica mutua il suo «fondamento dimostrativo dall’intuizione»,
dove per intuizione si intende «la fonte conoscitiva geometrica», cioè
117
118
Frege 1969, p. 297.
Ivi, p. 299.
24
l’intuizione sensibile pura spaziale, che è «quella fonte conoscitiva da
cui derivano gli assiomi della geometria»119.
Questo contraddice la precedente assunzione di Frege, che la base
concettuale dell’aritmetica «non può essere l’intuizione spaziale; così,
infatti, la disciplina si ridurrebbe alla geometria»120. Ad ogni modo,
anche l’assunzione che le verità aritmetiche sono verità geometriche era
funzionale allo scopo epistemologico di mostrare il fondamento della
certezza della matematica.
Per mostrare che le verità aritmetiche sono verità geometriche,
invece di costruire il campo dei numeri partendo dai numeri naturali e
passando poi ai numeri negativi, frazionari e complessi, Frege si dirige
«direttamente alla meta finale, cioè ai numeri complessi»121. Egli
introduce un sistema i cui concetti primitivi «sono linea e punto», e la
cui unica relazione primitiva è: «Il punto A è simmetrico al punto B
rispetto alla linea l»122. In esso si può dimostrare che, ad ogni rapporto
di due segmenti in un dato piano corrisponde un unico punto C nel
piano. Un numero complesso può essere identificato con tale punto.
Perciò Frege definisce un numero complesso come un rapporto tra due
segmenti in un dato piano. Tutti gli altri tipi di numeri saranno definiti
in termini dei numeri complessi.
Filosoficamente, questa mossa di Frege era un ritorno a Kant,
sebbene di tipo anomalo perché, mentre per Kant le proposizioni
aritmetiche si fondano sull’intuizione spaziale e temporale, Frege
afferma che esse si basano solo sull’intuizione spaziale. Lo fa senza
sentire il bisogno di spiegare perché non consideri più valida la sua
precedente affermazione che non si può definire «il numero
geometricamente, come un rapporto tra lunghezze o superfici» in
quanto questo «presuppone come già conosciuti i concetti di grandezza
e di rapporto tra grandezze», per cui «la definizione di numero in senso
stretto, di numero cardinale, sarà tutt’altro che superflua»123
Matematicamente, la mossa di Frege era disperata, perché la
nozione di rapporto in termini della quale egli definisce i numeri
complessi non può essere quella usuale, che si fonda sul confronto tra
grandezze. Infatti, quando si confrontano due segmenti con il metodo di
Frege e si fa corrispondere al loro rapporto un punto del piano, il punto
dipenderà anche dall’angolo con cui i segmenti sono orientati l’uno
119
Ivi, p. 298.
Frege 1990, p. 104.
121
Frege 1969, p. 299.
122
Ivi, p. 300.
123
Frege 1961, p. 25.
120
25
rispetto all’altro. Perciò due coppie di segmenti che hanno lo stesso
rapporto nel senso usuale non avranno lo stesso rapporto nel senso di
Frege. Ma allora non è chiaro che cosa si guadagni definendo i numeri
complessi come rapporti tra segmenti.
In definitiva, dunque, Frege mutuò le sue principali idee sulla
natura della logica e della matematica da Kant, tranne due, che egli
mutuò da Leibniz, e il suo unico contributo originale alla filosofia della
matematica − che era di natura non filosofica ma tecnica: il progetto di
dedurre le verità aritmetiche da un insieme finito di verità logiche − si
risolse in un fallimento. Questo lo convinse a ritornare a Kant, sebbene
in un modo filosoficamente anomalo e matematicamente disperato.
2. Hilbert
2.1. Le motivazioni di Hilbert
Anche secondo Hilbert (1862-1943) il compito della filosofia della
matematica è indagare il fondamento della certezza della matematica.
L’esigenza di una tale indagine è nata col calcolo infinitesimale di
Newton e Leibniz, che dava luogo a paradossi. Per eliminarli
Weierstrass, Dedekind e Cantor diedero una fondazione del calcolo
infinitesimale, che però dava luogo anch’essa a paradossi, «i paradossi
della teoria degli insiemi. In particolare, una contraddizione scoperta da
Zermelo e Russell ebbe un effetto addirittura catastrofico quando
divenne nota nel mondo matematico»124. A causa di essa la matematica
è stata «colpita per due decenni come da un incubo»125. Addirittura
Brouwer ha preteso che si dovesse rinunciare a parti sostanziali della
matematica. Ma, «seguendo questi riformatori, corriamo il pericolo di
perdere una gran parte dei nostri più prezioni tesori»126.
Ad ogni modo, la situazione creata dalla contraddizione scoperta
da Zermelo e Russell «non può essere sopportata a lungo. Si pensi:
nella matematica, in questo modello di sicurezza e di verità, le
concettualizzazioni e le inferenze che tutti imparano, insegnano e
adoperano portano ad assurdità. E dove si può trovare altrove sicurezza
e verità se persino il pensiero matematico viene meno?»127. Che «ne
sarebbe della verità della nostra conoscenza, che ne sarebbe
dell’esistenza e del progresso della scienza, se nemmeno nella
matematica ci fosse una verità sicura?»128. Perciò, dovunque «ci si
124
Hilbert 1926, p. 169.
Hilbert 1929, p. 2.
126
Hilbert 1970b, p. 159.
127
Hilbert 1926, p. 170.
128
Hilbert 1929, p 9.
125
26
presenti anche solo una minima speranza, noi vogliamo esaminare
accuratamente tutte le concettualizzazioni e i ragionamenti fecondi,
consolidarli e renderli passibili di impiego»129.
2.2. Matematica finitaria e matematica infinitaria
A tale scopo Hilbert distingue, all’interno della matematica, una sua
parte, detta ‘matematica finitaria’, che si basa unicamente
sull’intuizione sensibile pura e corrisponde grosso modo alla
matematica sviluppata dall’antichità fino ai primi decenni
dell’Ottocento. La matematica nel suo complesso consiste dalla
matematica finitaria più le integrazioni introdotte da Weierstrass,
Dedekind e Cantor per dare una fondazione del calcolo infinitesimale,
integrazioni che comportano l’uso di oggetti e metodi astratti, e
specificamente dell’infinito attuale. Perciò la matematica nel suo
complesso può essere detta ‘matematica infinitaria’.
La matematica finitaria è una parte abbastanza ristretta della
matematica infinitaria, perché non contiene già parti rilevanti
dell’aritmetica. Quest’ultima «si basa in modo sostanziale su principi di
ragionamento aggiuntivi» di tipo infinitario, perciò la matematica
finitaria è una parte propria dell’aritmetica, dunque «i metodi finitari
sono già compresi» come parte propria «nell’aritmetica usuale»130.
Nella matematica finitaria «abbiamo i segni numerici |, ||, |||, ||||,
…»131. Essi vengono indicati con 1, 2, 3, 4, … . Inoltre abbiamo i segni
+, = e altri «che servono per comunicare asserzioni. Così 2 + 3 = 3 + 2
serve per comunicare che, tenendo conto delle abbreviazioni adoperate,
2 + 3 e 3 + 2 sono lo stesso segno numerico, cioè |||||»132. E ancora,
abbiamo «lettere a, b, c per segni numerici»133. Esse servono per lo
stesso scopo. Così a + b = b + a serve per comunicare che « a + b è lo
stesso di b + a »134.
Ma già un enunciato come ‘Esiste un numero primo > p ’, dove p
indica il più grande numero primo attualmente noto, non appartiene alla
matematica finitaria. Esso, infatti, sta per «‘ p + 1 oppure p + 2 oppure
p + 3 … oppure … in infinitum’ è un numero primo», dunque sta per
una disgiunzione infinita, e perciò, dal punto di vista della matematica
129
Hilbert 1926, p. 170.
Hilbert-Bernays 1968-70, I, p. 42.
131
Hilbert 1926, p. 171.
132
Ibid.
133
Ibid.
134
Ibid.
130
27
finitaria, è «privo di senso»135. Dunque, già quantificando
esistenzialmente un enunciato della matematica finitaria si può andare
oltre la matematica finitaria.
Solo gli enunciati della matematica finitaria hanno propriamente
un contenuto, mentre quelli della matematica infinitaria «in sé non
significano niente»136. Sono «semplicemente un modo di dire»137.
Infatti, mentre gli enunciati della matematica finitaria sono relativi ad
oggetti che possono essere dati nell’intuizione sensibile pura, quindi
esistono in un senso reale, e perciò possono essere detti «enunciati
reali», gli enunciati della matematica infinitaria sono relativi ad oggetti
che, comportando un riferimento all’infinito attuale, non possono essere
dati nell’intuizione sensibile pura, quindi non esistono in un senso reale,
sono solo cose ideali, e perciò possono essere detti «enunciati ideali»138.
La descrizione di Hilbert della matematica finitaria non è molto
precisa. Egli stesso dichiara di usare ‘finitario’ non «come un termine
nettamente delimitato», ma solo «come una designazione di un
principio guida metodologico che, è vero, ci permette di riconoscere
conclusivamente certi tipi di formazioni di concetti e di inferenze come
finitari, certi altri come non finitari, ma non fornisce una linea di
divisione precisa tra quelli che soddisfano i requisiti dei metodi finitari
e quelli che non li soddisfano»139.
Nondimeno, che cosa Hilbert intenda per ‘matematica finitaria’ è
chiaro, perché egli dichiara che «la teoria dei numeri contenutistica
finitaria» è «formalizzata mediante l’aritmetica ricorsiva primitiva»140.
Si ammettono «come enunciati finitari solo quegli enunciati che
possono essere espressi nel formalismo dell’aritmetica ricorsiva
primitiva»141. Dunque per Hilbert la matematica finitaria è quella
formalizzata dall’aritmetica ricorsiva primitiva PRA [V.2.2]. Ciò
implica che tutti gli enunciati della matematica finitaria possono essere
espressi nella forma ∀x ( f ( x ) = 0) , dove f è una funzione ricorsiva
primitiva.
2.3. L’intento di Hilbert
135
Ivi, p. 173.
Ivi, p. 175.
137
Ivi, p. 162.
138
Hilbert 1928, p. 72.
139
Hilbert-Bernays 1968-70, I, p. 361.
140
Ivi, II, p. 224.
141
Ivi, II, p. 362.
136
28
La ragione per cui Hilbert distingue, nell’ambito della matematica, la
matematica finitaria, è che egli la considera assolutamente certa in
quanto basata sull’intuizione sensibile pura. I dubbi possono nascere
solo riguardo alla matematica infinitaria, la quale ammette operazioni
astratte su estensioni di concetti e contenuti di concetti generali che
comportano un riferimento all’infinito attuale. Infatti, i paradossi della
teoria degli insiemi mostrano che è proprio «l’operare astratto con
estensioni di concetti e contenuti di concetti generali» che «è risultato
difettoso e insicuro»142.
Tuttavia la matematica infinitaria, e in particolare la teoria degli
insiemi, è importante per la fondazione dell’analisi infinitesimale di
Weierstrass, Dedekind e Cantor, perché gli enunciati ideali permettono
di abbreviare le dimostrazioni degli enunciati reali, e perciò di
semplificare e concludere la teoria. Per questo motivo Hilbert afferma:
«Nessuno deve poterci mai scacciare dal paradiso che Cantor ha creato
per noi»143.
Si deve però essere sicuri che, mediante l’uso di enunciati ideali,
non si possano dimostrare enunciati reali falsi. Per esserlo si deve
mostrare che, mediante l’uso di enuciati ideali, non si possono
dimostrare enunciati reali che non siano dimostrabili senza di esso, cioè
non siano dimostrabili nella matematica finitaria, e perciò non siano
veri. Mostrarlo assicurerebbe che «i modi inferenziali basati
sull’infinito» possono essere «sostituiti con processi finiti che danno
esattamente gli stessi risultati»144.
2.4. Il programma della conservazione
Per mostrarlo Hilbert formula un programma, detto ‘programma della
conservazione’, che consta dei seguenti due passi:
1) Formalizzare la matematica infinitaria mediante una teoria T.
2) Dimostrare nella matematica finitaria che T è esternamente
coerente [V.4.7].
Col passo 1) del programma della conservazione, tutto ciò che
costituisce la matematica nel senso corrente, cioè la matematica
infinitaria, viene «rigorosamente formalizzato, cosicché la matematica
propriamente detta, o matematica in senso stretto, diventa un
patrimonio di formule»145. Essa comprende, «in primo luogo, le
142
Hilbert 1970b, p. 162.
Hilbert 1926, p. 170.
144
Ivi, p. 162.
145
Hilbert 1931a, p. 489.
143
29
formule a cui corrispondono comunicazioni contenutistiche di enunciati
finitari», cioè esprimono enunciati reali, e, «in secondo luogo, altre
formule che non significano niente e che sono i costrutti ideali della
nostra teoria»146. Cioè esprimono enunciati ideali.
La necessità di formalizzare la matematica infinitaria nasce dal
fatto che, alle formule che esprimono enunciati ideali, che quindi non
significano niente, «non si possono applicare contenutisticamente le
operazioni logiche e anche le stesse dimostrazioni matematiche. È
perciò necessario formalizzare le operazioni logiche e anche le stesse
dimostrazioni matematiche; ciò richiede che le relazioni logiche siano
tradotte in formule»147.
Formalizzare la matematica infinitaria ci evita di dover assegnare
un’interpretazione agli enunciati ideali. In effetti «non è per nulla
ragionevole la richiesta generale che ogni singola formula» che
compare in una dimostrazione «sia interpretabile per se stessa;
corrisponde invece alla natura di una teoria il fatto che noi non
dobbiamo ricorrere all’intuizione o al significato nel suo sviluppo»148.
La formalizzazione ci evita di dover ricorrere all’intuizione e al
significato, perché con essa la matematica infinitaria si trasforma in
qualcosa che ha lo stesso carattere degli oggetti della matematica
finitaria. Infatti le formule che esprimono enunciati ideali sono stringhe
di segni-base di un linguaggio segnico, quindi sono oggetti concreti che
esistono intuitivamente. E le dimostrazioni formali contenenti formule
che esprimono enunciati ideali sono successioni finite di formule,
quindi sono oggetti concreti che esistono intuitivamente.
Per assicurare che le dimostrazioni formali siano oggetti concreti
che esistono intuitivamente, la teoria T che formalizza la matematica
infinitaria innanzitutto deve essere RE perché, in virtù della proprietà
delle teorie RE [V.3.3], questo assicura che si possa riconoscere nella
matematica finitaria che una dimostrazione formale è una
dimostrazione.
Ma perché la teoria T possa considerarsi una formalizzazione
adeguata della matematica infinitaria, essa deve soddisfare anche altre
condizioni.
a) T deve permettere di esprimere tutti i concetti della matematica
infinitaria. Questo assicura che tutti «i concetti matematici sono inclusi
nell’edificio della matematica come componenti formali»149.
146
Hilbert 1926, pp. 175-176.
Ivi, p. 176.
148
Hilbert 1928, p. 79.
149
Hilbert 1970b, p. 165.
147
30
b) T deve permettere di dimostrare tutti gli enunciati veri della
matematica finitaria. Questo assicura che le regole di T sono
«sufficienti nell’ambito della teoria dei numeri»150.
c) T deve permettere di decidere, per ogni enunciato, se è
dimostrabile o non è dimostrabile in T. Questo assicura che si può dare
una risposta affermativa alla «questione della decidibilità mediante un
numero finito di operazioni»151.
d) T deve permettere di dimostrare tutti gli enunciati logicamente
validi. Questo assicura che «le regole formalizzate del ragionamento
logico sono comunque sufficienti» per dimostrare tutte «le asserzioni
logiche universalmente valide»152. Tali regole devono essere quelle
della logica del secondo ordine, perché la formalizzazione della
matematica infinitaria richiede quantificazioni su «specie superiori di
variabili»153. Solo così si può avere «la completezza dei sistemi di
assiomi per la teoria dei numeri e per l’analisi», anche se essa va
stabilita
con
un’argomentazione
differente
dalla
«usuale
argomentazione con cui si mostra che due realizzazioni qualsiasi del
sistema di assiomi della teoria dei numeri, rispettivamente, dell’analisi,
devono essere isomorfe», che «non soddisfa i requisiti del rigore
finitario»154.
Si noti che l’assunzione c) di Hilbert, che T debba permettere di
decidere, per ogni enunciato, se è dimostrabile o non è dimostrabile in
T, non va confusa con un’altra sua assunzione, il ‘principio della
solubilità di ogni problema matematico’, secondo cui «ogni problema
matematico è suscettibile di soluzione»155. Cioè, è «suscettibile di una
rigorosa sistemazione, o riuscendo a dare una soluzione alla questione
posta oppure mostrando l’impossibilità di una sua soluzione e quindi la
necessità dell’insuccesso di ogni tentativo»156.
Infatti, il principio della solubilità di ogni problema matematico
non si riferisce solo alla solubilità per mezzo degli assiomi di una teoria
RE data, ma alla solubilità con qualsiasi mezzo, perciò l’assunzione c) è
solo un caso particolare di tale principio. In effetti Hilbert asserisce il
principio della solubilità di ogni problema matematico non in relazione
al programma della conservazione, ma in polemica con du BoisReymond, il quale aveva affermato che lo scienziato non può limitarsi a
150
Hilbert 1929, p. 7.
Hilbert 1970a, p. 155.
152
Hilbert 1929, pp. 7-8.
153
Ivi, p. 6.
154
Ibid.
155
Hilbert 1926, p. 180.
156
Hilbert 1970c, p. 297.
151
31
dire ‘ignoramus’ ma «deve, una volta per sempre, decidersi per il
verdetto molto più duro da pronunciare: ignorabimus»157. E in polemica
con coloro «che oggi, con un’aria da filosofi e con tono di superiorità
profetizzano il tramonto della cultura e si compiacciono dello
‘ignorabimus’»158. Ciò appare evidente dal fatto che Hilbert riassume il
principio della solubilità di ogni problema matematico nel motto: «In
matematica non esiste alcun ‘ignorabimus’»159.
Col passo 2) del programma della conservazione si dimostra, con i
metodi assolutamente certi della matematica finitaria, che ogni
enunciato esprimente un enunciato reale dimostrabile in T è vero.
Dimostrarlo è essenziale perché solo così «l’estensione mediante
aggiunta di elementi ideali è ammissibile»160. In questo modo, infatti, si
assicura che ogni enunciato ideale «può essere eliminato da una
dimostrazione» di un enunciato reale, «nel senso che le figure composte
con esso possono essere rimpiazzate da segni numerici in modo tale che
le formule» che costituiscono gli enunciati reali «si trasformano con
questi rimpiazzamenti in formule ‘vere’»161. Così si è certi che gli
assiomi infinitari «non possono mai portare ad un risultato
dimostrabilmente falso»162. E perciò che «le asserzioni matematiche
sono realmente verità incontestabili e definitive»163.
Inoltre, la dimostrazione del fatto che ogni enunciato esprimente
un enunciato reale dimostrabile in T è vero deve essere data nella
matematica finitaria, perché «l’operare con l’infinito può essere reso
sicuro solo mediante il finito»164.
2.5. Il programma della coerenza
Secondo Hilbert, per realizzare il programma della conservazione basta
realizzare un programma strettamente connesso con esso, detto
‘programma della coerenza’, che consta dei seguenti due passi:
1) Formalizzare la matematica infinitaria mediante una teoria T.
2) Dimostrare nella matematica finitaria che T è coerente.
157
du Bois-Reymond 1967, p. 51.
Hilbert 1970e, p. 387.
159
Hilbert 1926, p. 180.
160
Hilbert 1928, p. 73.
161
Ivi, p. 82.
162
Hilbert-Bernays 1968-70, I, p. 44.
163
Hilbert 1970b, p. 162.
164
Hilbert 1926, p. 190.
158
32
Col passo 1) del programma della coerenza, di nuovo, la
matematica infinitaria viene rigorosamente formalizzata.
Col passo 2) del programma della coerenza si dimostra, con i
metodi assolutamente certi della matematica finitaria, che in T non si
possono dimostrare enunciati contraddittori tra loro.
Dimostrarlo è essenziale perché così si assicura che, «con
l’introduzione di costrutti ideali, non possono venir fuori due enunciati
che si contrappongono logicamente l’uno all’altro A, ¬A»165. Questo è
importante perché in una teoria incoerente «possiamo dimostrare la
falsità di ogni enunciato corretto»166.
Ma, per Hilbert, dimostrare che T è coerente non serve soltanto per
garantirsi che in T non si possono dimostrare enunciati contraddittori
tra loro, ha anche una valenza positiva: la coerenza è una condizione
necessaria e sufficiente per la verità degli assiomi di T. Infatti, «se
assiomi arbitrariamente stabiliti non sono in contraddizione tra loro, con
tutte le loro conseguenze, allora essi sono veri»167. E vale anche
l’inverso. Dunque «‘non contraddittorio’ è identico a ‘vero’», e
parimenti «’falso’ e ‘portante ad una contraddizione’ sono identici»168.
La dimostrazione del fatto che T è coerente deve essere data nella
matematica finitaria, di nuovo perché l’operare con l’infinito può essere
reso sicuro solo mediante il finito.
Mentre il programma della conservazione richiede di mostrare che
tutti gli infiniti enunciati esprimenti enunciati reali dimostrabili in T
sono veri, il programma della coerenza ha il vantaggio che esso richiede
solo di mostrare che un singolo enunciato «non è una formula
dimostrabile»169. Infatti, per l’equivalenza tra coerenza e
indimostrabilità di 0 = 1 [V.2.3], per mostrare la coerenza di T basta
mostrare che 0 = 1 non è dimostrabile in T.
2.6. Sufficienza del programma della coerenza
Mostriamo che, come afferma Hilbert, per realizzare il programma della
conservazione basta realizzare quello della coerenza.
Supponiamo che i passi 1) e 2) del programma della coerenza
siano realizzabili. Allora banalmente il passo 1) del programma della
conservazione è realizzabile perché coincide col passo 1) del
165
Hilbert 1928, p. 74.
Hilbert 1905, p. 217.
167
Hilbert 1976, p. 66.
168
Hilbert 1931b, pp. 122-123.
169
Hilbert 1928, p. 74.
166
33
programma della coerenza. Mostriamo che anche il passo 2) del
programma della conservazione è realizzabile.
Supponiamo che esso non sia realizzabile. Allora qualche
enunciato reale, quindi della forma ∀x ( f ( x ) = 0) dove f è una
funzione ricorsiva primitiva [V.2.2], è dimostrabile in T ma è falso.
Questo significa che, per qualche numero naturale m, nella matematica
finitaria si può stabilire che f ( m ) ≠ 0 . Inoltre si può «ottenere questa
equazione come formula dimostrabile, esprimendo la determinazione»
della differenza tra f ( m ) e 0 «sotto forma di una dimostrazione»170.
Cioè, f ( m ) ≠ 0 è dimostrabile nella matematica finitaria. Ma allora,
per il passo 1) del programma della coerenza, f ( m ) ≠ 0 è dimostrabile
anche in T. D’altra parte, dal fatto che ∀x ( f ( x ) = 0) è dimostrabile in
T, segue in particolare che f ( m ) = 0 è dimostrabile in T. Perciò T è
incoerente. Ma, per il passo 2) del programma della coerenza, T è
coerente, e «la dimostrazione della coerenza mostra» questo «in modo
finitario»171. Contraddizione. Se ne conclude che l’enunciato
∀x ( f ( x ) = 0) non può essere falso, e quindi deve essere vero.
Pertanto il passo 2) del programma della conservazione è
realizzabile.
2.7. Il debito di Hilbert verso Kant
Hilbert mutua le sue principali idee sulla natura della matematica da
Kant.
1) Da Kant, Hilbert mutua l’idea che nella matematica «domina
una completa sicurezza del ragionamento e un manifesto accordo tra
tutti i risultati»172. Tuttavia, «dovunque emergano concetti matematici»,
sorge «il compito di indagare i principi che stanno alla base di questi
concetti»173. Infatti, «una scienza come la matematica non può
sostenersi su credenze, per quanto forti esse siano, ma ha il dovere di
una chiarificazione totale»174. Tale chiarificazione non serve «per
consolidare singole teorie matematiche»175. Serve invece per mostrare il
fondamento della loro certezza.
170
Ivi, p. 78.
Ivi, p. 79.
172
Hilbert 1970b, p. 159.
173
Hilbert 1970d, p. 295.
174
Hilbert 1931a, p. 488.
175
Hilbert 1970b, p. 157.
171
34
Kant, infatti, aveva detto che la matematica è conoscenza dotata di
certezza apodittiche, ma ci si deve domandare come questo sia possibile
e indagare il fondamento di tale possibilità [II.1.4].
2) Da Kant, Hilbert mutua l’idea che ci è possibile avere
conoscenza matematica solo di oggetti che possono essere dati «in
modo immediatamente intuitivo»176.
Kant, infatti, aveva detto che «ci è possibile avere conoscenza di
un oggetto» solo «in quanto oggetto dell’intuizione sensibile»177.
3) Da Kant, Hilbert mutua l’idea che nondimeno nella matematica
si possono usare enunciati ideali, che sono utili in quanto indirizzano
meglio e più a fondo nel dimostrare enunciati reali, permettendo così di
«semplificare e concludere la teoria»178. Tali enunciati ideali, e i
concetti che intervengono in essi, non servono ad estendere la nostra
conoscenza oltre gli oggetti reali ma svolgono «il ruolo di una idea, se
per idea, secondo l’accezione di Kant, si intende un concetto della
ragione che trascende ogni esperienza e per mezzo del quale il concreto
viene completato in una totalità»179.
Kant, infatti, aveva detto che le idee della ragion pura sono utili in
quanto, anche se «per mezzo di esse non può essere determinato alcun
oggetto», tuttavia per mezzo di esse l’intelletto, «nella conoscenza»
degli oggetti conoscibili, «è indirizzato meglio e più a fondo»180. Tali
idee non servono ad estendere «la nostra conoscenza oltre gli oggetti
dell’esperienza possibile», bensì «ad esprimere l’unità sistematica che
deve farci da guida nell’uso empirico della ragione»181.
4) Da Kant, Hilbert mutua l’idea che l’uso degli enunciati ideali è
giustificato nella misura in cui per mezzo di essi non si può dimostrare
alcun nuovo enunciato reale non dimostrabile senza di essi, perché ciò
garantisce che «nel vecchio dominio sono sempre valide le relazioni
che risultano per i vecchi oggetti eliminando gli oggetti ideali»182.
Kant, infatti, aveva detto che l’uso delle idee della ragion pura è
giustificato nella misura in cui per mezzo di esse «l’intelletto non può
conoscere alcun oggetto oltre quelli conoscibili con i suoi concetti»183.
176
Ivi, p. 162.
Kant 1900–, III, p. 16 (B XXVI).
178
Hilbert 1970c, p. 187.
179
Hilbert 1926, p. 190.
180
Kant 1900–, III, p. 255 (B 385).
181
Ivi, III, p. 445 (B 702-703).
182
Hilbert 1928, p. 73.
183
Kant 1900–, III, p. 255 (B 385).
177
35
5) Da Kant, Hilbert mutua l’idea che, per giustificare l’uso degli
enunciati ideali, basta dimostrarne la coerenza, perché «c’è una
condizione, una sola ma assolutamente necessaria, alla quale è collegato
l’uso» degli enunciati ideali, «e questa è la dimostrazione della non
contraddittorietà»184.
Kant, infatti, aveva detto che, per giustificare l’uso delle idee della
ragion pura, basta dimostrare che esse sono non contraddittorie, perché
«io posso pensare ciò che voglio purché non mi contraddica, ossia
purché il mio concetto sia un pensiero possibile, quantunque io non
possa garantire che, nell’insieme di tutte le possibilità, gli corrisponda
anche un oggetto»185.
6) Da Kant, Hilbert mutua l’idea che si possa dare una risposta
affermativa alla questione della «decidibilità di un problema
matematico mediante un numero finito di operazioni»186.
Kant, infatti, aveva detto che, nella natura di scienze come la
matematica, «è implicito che ogni questione da esse sollevata debba
poter ottenere immediatamente una risposta a partire da ciò che si sa»,
cioè dai dati, assiomi o teoremi, «per il fatto che la risposta deve essere
desunta dalle fonti stesse della domanda, senza dunque che sia lecito
appellarsi ad una irrimediabile ignoranza, ma dovendosi in ogni caso
fornire una soluzione»187. Perciò la matematica può «richiedere e
aspettarsi, rispetto a tutte le questioni che rientrano nel suo ambito
(quaestiones domesticae), esclusivamente soluzioni certe, anche se per
il momento non ancora disponibili»188.
2.8. Deviazioni da Kant
Hilbert, però, interpreta alcune delle idee che egli mutua da Kant in
modo deviante rispetto a Kant.
1) Per Hilbert, il compito di indagare il fondamento della certezza
della matematica non può essere realizzato dalla filosofia ma solo dalla
matematica, perché quest’ultima non dipende da alcuna autorità esterna,
in particolare «per la sua fondazione non ha bisogno né del buon Dio,
come Kronecker, né dell’assunzione di una particolare capacità del
nostro intelletto sintonizzata col principio di induzione completa, come
Poincaré, né dell’intuizione originaria di Brouwer, e neppure infine,
come Russell e Whitehead, di assiomi dell’infinito, di riducibilità o di
184
Hilbert 1926, p. 179.
Kant 1900–, III, p. 17 nota (B XXVI nota).
186
Hilbert 1970a, p. 153.
187
Kant 1900–, III, p. 330 (B 504).
188
Ivi, III, p. 332 (B 508).
185
36
completezza»189. Specificamente, per indagare il fondamento della
certezza della matematica, si deve far uso della logica matematica, che
è una branca della matematica creata specificamente a tale scopo e con
la quale alla «matematica vera e propria si aggiunge una matematica in
certo senso nuova, una metamatematica»190.
Invece, per Kant, il compito di indagare il fondamento della
certezza della matematica deve essere realizzato della filosofia, perché
rientra nel «problema vero e proprio della ragion pura» che «è
contenuto nella domanda: Come sono possibili giudizi sintetici a
priori?»191. Nella «soluzione del suddetto problema è contenuta nello
stesso tempo la possibilità dell’uso puro della ragione nel fondare e
nell’edificare tutte le scienze che contengono una conoscenza teoretica
a priori di oggetti, cioè la risposta alle domande: Come è possibili la
matematica pura? Come è possibile la fisica pura?»192.
2) Per Hilbert, gli oggetti matematici ci sono dati dall’intuizione,
perché «qualcosa ci è già dato in anticipo nella rappresentazione, cioè
certi oggetti concreti extra-logici che esistono intuitivamente come
esperienze immediate prima di ogni pensiero»193.
Invece, per Kant, gli oggetti matematici non ci sono dati
dall’intuizione, ma sono costruzioni di concetti matematici, cioè
esibizioni di concetti matematici nell’intuizione, perché «la conoscenza
matematica è conoscenza razionale per costruzione di concetti», dove
«costruire un concetto significa esibire a priori l’intuizione ad esso
corrispondente»194.
3) Per Hilbert, «al posto dello stolto ‘ignorabimus’, la nostra
parola d’ordine è invece: noi dobbiamo sapere, noi sapremo»195.
Invece, per Kant, «la ragione umana ha il peculiare destino di
essere tormentata da problemi che non può evitare, perché le sono
imposti dalla sua stessa natura, ma a cui tuttavia non è in grado di dare
soluzione, perché oltrepassano tutti i suoi poteri»196
2.9. Aspettative sulla realizzabilità dei programmi
Hilbert era convinto che i suoi programmi fossero realizzabili, e in uno
scritto pubblicato nel 1931 addirittura dichiara: «Credo di aver
189
Hilbert 1928, p. 85
Hilbert 1970b, p 174.
191
Kant 1900–, III, p. 39 (B 19).
192
Ivi, III, p. 40 (B 20).
193
Hilbert 1931a, p. 486.
194
Kant 1900–, III, p. 469 (B 741).
195
Hilbert 1970e, p. 387.
196
Kant 1900–, III, p. 7 (A VII).
190
37
raggiunto completamente ciò che volevo e avevo promesso: il problema
dei fondamenti della matematica in quanto tale è stato con ciò
definitivamente eliminato»197.
Ma il 7 settembre 1930, durante una discussione ad un convegno
tenuto a Königsberg, Gödel aveva già annunciato quel suo primo
teorema di incompletezza che, insieme ad altri risultati limitativi,
avrebbe segnato il crollo dei programmi di Hilbert. Aveva detto, infatti,
che «(sotto l’ipotesi della coerenza della matematica classica) si
possono dare persino esempi di asserzioni» che «sono
contenutisticamente vere» ma non sono dimostrabili nel sistema
formale della matematica classica»198.
2.10. Il crollo del programma della coerenza
I teoremi di incompletezza di Gödel e altri risultati limitativi implicano
che nessuno dei passi dei programmi di Hilbert è realizzabile.
Il passo 1) del programma della coerenza richiede di formalizzare
tutta la matematica infinitaria mediante una teoria T che sia RE e
soddisfi le condizioni a) - d) di [II.2.4].
Ma, per il teorema di indefinibilità della verità insiemistica
[V.5.4], l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati del linguaggio di
T che sono veri nella gerarchia cumulativa V [III.2.2] non può essere
definito in V da alcuna formula di tale linguaggio. Perciò T non
permette di esprimere un concetto della matematica infinitaria, ossia
quello di insieme dei numeri di Gödel di tali enunciati. Dunque la
condizione a) non può essere soddisfatta.
Per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2, V.4.9], se
T è coerente, esiste un enunciato della forma ∀x ( f ( x ) = 0) , dove f è
una funzione ricorsiva primitiva, quindi un enunciato della matematica
finitaria, che è vero in N ma non è dimostrabile in T. Dunque la
condizione b) non può essere soddisfatta. Anche prescindendo dalla
nozione di verità in N, per il teorema di incompletezza di Rosser [V.4.6,
V.4.9], se T è coerente, esiste un enunciato della forma ∀x ( f ( x ) = 0) ,
dove f è una funzione ricorsiva primitiva, dunque un enunciato della
matematica finitaria, tale che né esso né la sua negazione sono
dimostrabili in T. Dunque T non permette di determinare tutti i suoi
enunciati.
Per il teorema di indecidibilità [V.5.2, V.5.4], se T è coerente, T
non permette di decidere, per ogni enunciato di T, se è dimostrabile o
non è dimostrabile in T. Dunque la condizione c) non può essere
197
198
Hilbert 1931a, p. 494.
Gödel 1986-2002, I, p. 202.
38
soddisfatta. Addirittura, per il teorema di indecidibilità della logica del
secondo ordine [V.7.3], gli assiomi logici e le regole di deduzione
logiche della logica del secondo ordine non permettono di decidere se
un enunciato del secondo ordine è logicamente valido, e, per il teorema
di Church [V.5.3], lo stesso vale per gli assiomi logici e regole di
deduzione logiche della logica del primo ordine.
Per un corollario del teorema di incompletezza forte della logica
del secondo ordine [V.7.6], non esiste alcun insieme di assiomi logici e
regole di deduzione logiche della logica del secondo ordine che sia RE
e tale che tutti gli enunciati logicamente validi siano dimostrabili per
mezzo di tali assiomi logici e regole di deduzione logiche. Quindi la
condizione d) non può essere soddisfatta.
Ne segue che il passo 1) del programma della coerenza non può
essere realizzato. Per stabilirlo basterebbe che non potesse essere
soddisfatta una delle condizioni a) - d), ma il fatto che non possa essere
soddisfatta nessuna di esse lo stabilisce ad abundantiam.
Il passo 2) del programma della coerenza richiede di dimostrare
nella matematica finitaria che T è coerente.
Ma questa condizione non può essere soddisfatta perché, per il
secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4, V.4.9], se T è
coerente, l’enunciato ConT che esprime canonicamente la coerenza di
T non è dimostrabile in T. Per dimostrarlo c’è «sempre bisogno di
qualche metodo dimostrativo che trascende il sistema»199.
Non essendo dimostrabile in T, a maggior ragione ConT non è
dimostrabile nella matematica finitaria, perché quest’ultima è una parte
propria della matematica infinitaria e, per il passo 1) del programma
della coerenza, T deve contenere tutta la matematica infinitaria.
Poiché il requisito di dimostrare nella matematica finitaria che T è
coerente non può essere soddisfatto, ne segue che il passo 2) del
programma della coerenza non può essere realizzato.
2.11. L’obiezione di Detlefsen
Questa conclusione si fonda sul secondo teorema di incompletezza di
Gödel, la cui validità dipende in modo essenziale dal requisito che
l’enunciato ConT che esprime la coerenza di T la esprima
canonicamente [V.4.4]. Senza tale requisito, «la coerenza (nel senso
della indimostrabilità di una proposizione e della sua negazione), anche
di sistemi T molto forti, può essere dimostrabile in T»200. Infatti,
199
200
Ivi, III, p. 34
Ivi, II, p. 305.
39
esistono enunciati Con′T che esprimono la coerenza di T ma non
canonicamente, i quali sono dimostrabili in T [V.4.5].
Detlefsen ha perciò obiettato che il secondo teorema di
incompletezza di Gödel non prova conclusivamente che il passo 2) del
programma della coerenza non può essere realizzato. La condizione che
l’enunciato ConT che esprime la coerenza di T debba esprimerla
canonicamente non è «qualcosa a cui l’hilbertiano è impegnato dalla
natura della sua impresa» perché «non esiste alcuna ragione» per
supporlo, e perciò non si può dire che il secondo teorema di
incompletezza di Gödel «si applichi al programma di Hilbert in sé»201.
Come vedremo, però, anche se l’obiezione di Detlefsen fosse
valida, questo non salverebbe il programma della coerenza dal crollo.
2.12. Il crollo del programma della conservazione
Si può infatti dimostrare che il passo 2) del programma della
conservazione non può essere realizzato, senza far uso del secondo
teorema di incompletezza di Gödel.
Il passo 2) del programma della conservazione richiede di
dimostrare nella matematica finitaria che T è esternamente coerente.
Ma questa condizione non può essere soddisfatta perché, per il terzo
teorema di incompletezza di Gödel [V.4.7], se T è coerente, l’enunciato
ExtConT che esprime la coerenza esterna di T non è dimostrabile in T.
Non essendo dimostrabile in T, a maggior ragione ExtConT non è
dimostrabile nella matematica finitaria, perché quest’ultima è una parte
propria della matematica infinitaria e, per il passo 1) del programma
della conservazione, T deve contenere tutta la matematica infinitaria.
La validità del terzo teorema di incompletezza di Gödel non
dipende da alcuno speciale requisito su ExtConT. Contro questa
conclusione non si può dunque avanzare un’obiezione simile a quella di
Detlefsen [II.2.11]. Perciò Gödel afferma che il terzo teorema di
incompletezza è «la versione migliore e più generale
dell’indimostrabilità della coerenza nel sistema»202.
Poiché il requisito di dimostrare nella matematica finitaria che T è
esternamente coerente non può essere soddisfatto, ne segue che il passo
2) del programma della conservazione non può essere realizzato.
D’altra parte neppure il passo 1) del programma della conservazione
può essere realizzato, perché coincide col passo 1) del programma della
201
202
Detlefsen 1990, 345.
Gödel 1986-2002, II, p. 305.
40
coerenza, che, come abbiamo visto, non può essere realizzato. Pertanto
il programma della conservazione non può essere realizzato.
Ma allora neppure il programma della coerenza può essere
realizzato, perché, come abbiamo visto, per realizzare il programma
della conservazione, basta realizzare il programma della coerenza.
2.13. Inadeguatezza della coerenza
Un ulteriore limite dei programmi di Hilbert è che, secondo Hilbert, la
coerenza è una condizione necessaria e sufficiente per la verità degli
assiomi di T [II.2.5].
Ma questo è smentito dal fatto che, per il teorema dell’esistenza di
teorie coerenti false [V.4.3], la coerenza non è una condizione
sufficiente per la verità degli assiomi di T.
2.14. Le ragioni di Kant
I teoremi di incompletezza di Gödel segnano il crollo dei programmi
della conservazione e della coerenza. Ma, indipendentemente da essi,
già alcuni indizi avrebbero permesso ad Hilbert di rendersi conto
dell’intrinseca debolezza dei suoi programmi.
1) Il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2, V.4.9]
mostra che nessuna teoria T mediante la quale si formalizzi la
matematica infinitaria permette di dimostrare tutte le verità
matematiche.
Ma Hilbert non aveva bisogno di Gödel per rendersi conto di
questo. Infatti, già Kant aveva affermato che nella geometria il
matematico «arriva ad una soluzione del problema illuminante e nello
stesso tempo generale» non semplicemente deducendo conseguenze
dagli assiomi, ma «attraverso una catene di inferenze che è sempre
guidata dall’intuizione»203. Dunque nella dimostrazione di teoremi
geometrici abbiamo bisogno dell’intuizione, e perciò una deduzione
puramente logica di ogni teorema geometrica da assiomi è impossibile.
E Gödel sottolinea che, sebbene questa affermazione di Kant sia
«scorretta se presa alla lettera», cioè se riferita alla geometria,
nondimeno, se in essa «sostituiamo il termine ‘geometrico’ con
‘matematico’ o ‘insiemistico’, allora diventa una proposizione
dimostrabilmente vera»204.
2) Il secondo e il terzo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4,
V.4.7, V.4.9] mostrano che nessuna teoria T mediante la quale si
formalizzi la matematica infinitaria può essere giustificata mediante i
203
204
Kant 1900–, p. 471 (B 745-746).
Gödel 1986-2002, III, p. 385.
41
metodi della matematica finitaria. Perciò gli enunciati ideali e i concetti
che intervengono in essi – che corrispondono a ciò che Kant chiamava
le idee della ragion pura – non ammettono alcuna giustificazione
assoluta.
Ma Hilbert non aveva bisogno di Gödel per rendersi conto di
questo. Infatti, già Kant aveva sottolineato che «non è propriamente
possibile alcuna deduzione oggettiva» delle idee della ragion pura,
perché esse «non intrattengono alcun rapporto con un qualsiasi oggetto
che possa essere dato in modo adeguato, e ciò appunto perché non si
tratta che di idee»205. Per ‘deduzione’ Kant intende qui ‘giustificazione’
e ‘legittimazione’, perché usa tale termine nel senso dei giuristi, i quali
chiamano la prova «che deve dimostrare la legittimità o anche la pretesa
giuridica, ‘deduzione’»206. Dunque, affermando che per le idee della
ragion pura non è propriamente possibile alcuna deduzione oggettiva,
Kant vuole dire che per esse non è possibile alcuna giustificazione
assoluta. Le idee della ragion pura vengono assunte solo «come principi
euristici, e senza che si pretenda di poterne dare una deduzione
trascendentale»207. Di esse si può dare solo «una deduzione
soggettiva»208. Un’eventuale fallacia che si annidi in esse «non può
venir contenuta nei suoi limiti per mezzo di alcuna indagine oggettiva e
dogmatica delle cose» perché una tale indagine è impossibile, «ma solo
per mezzo di un’indagine soggettiva sulla ragione stessa, in quanto la
fonte delle idee»209.
3) Il teorema dell’esistenza di teorie coerenti false [V.4.3], che è
un corollario del primo teorema di incompletezza di Gödel, mostra che
la coerenza non è una condizione sufficiente per la verità degli assiomi
di una teoria T mediante la quale si formalizzi la matematica infinitaria.
Ma Hilbert non aveva bisogno di Gödel per rendersi conto di
questo. Infatti, già Kant aveva sottolineato che «è certamente una
condizione logica necessaria» che un dato concetto «non debba
contenere alcuna contraddizione; ma questo non è affatto sufficiente a
garantire la realtà oggettiva del concetto, ossia la possibilità
dell’oggetto che viene pensato mediante il concetto»210. Infatti, «un
nostro giudizio può essere esente da contraddizioni e tuttavia unire i
concetti in un modo contrastante con l’oggetto; e dunque può unirli
anche se manca un fondamento che giustifichi, a priori o a posteriori,
205
Kant 1900–, III, p. 259 (B 393).
Ivi, III, p. 99 (B 116).
207
Ivi, III, p. 439 (B 691-692).
208
Ibid.
209
Ivi, IV, p. 329.
210
Ivi, III, p. 187 (B 267-268).
206
42
tale giudizio. In tal caso il giudizio, pur essendo esente da ogni
contraddizione interna, può essere falso o infondato»211.
2.15. La reazione finale di Hilbert
La portata distruttiva dei risultati di Gödel per i programmi di Hilbert
non venne riconosciuta da Hilbert. Egli infatti dichiarò che «si è
dimostrata errata l’opinione temporaneamente accolta che da certi
nuovi risultati di Gödel segua l’impraticabilità della mia teoria»212. Da
essi segue soltanto che, «per lo sviluppo della dimostrazione di
coerenza, si deve utilizzare il punto di vista finitario in un modo più
acuto di quanto è richiesto dalla trattazione di formalismi
elementari»213. A tale scopo basta «estendere la precedente
delimitazione del punto di vista finitario»214. Cioè, basta ammettere che
la matematica finitaria vada oltre quella formalizzata nell’aritmetica
ricorsiva primitiva PRA.
Ma non è così. Infatti, per il primo teorema di incompletezza di
Gödel [V.4.2, V.4.9], se la teoria T mediante la quale si formalizza la
matematica infinitaria è coerente, esisterà comunque un enunciato della
forma ∀x ( f ( x ) = 0) , dove f è una funzione ricorsiva primitiva, vero
ma non dimostrabile in T, e tale enunciato ovviamente sarà finitario
anche nel senso esteso. Inoltre, per il secondo teorema di incompletezza
di Gödel [V.4.4], se T è coerente, l’enunciato ConT che esprime
canonicamente la coerenza di T non sarà dimostrabile in T, cioè nella
matematica infinitaria, e quindi neppure nella matematica finitaria nel
senso esteso, che sarà comunque una parte di quella formalizzata da T.
Dunque i risultati di Gödel segnano davvero il crollo dei
programmi di Hilbert, e per questi non vi è alcuna possibilità di
salvezza.
In definitiva, dunque, Hilbert mutuò le sue principali idee sulla
matematica da Kant, e il suo unico contributo originale alla filosofia
della matematica – che era di natura tecnica: il progetto di dimostrare
nella matematica finitaria la coerenza di una formalizzazione di tutta la
matematica – si risolse in un fallimento.
3. Brouwer
3.1. Le motivazioni di Brouwer
211
Ivi, III, p. 141 (B 190).
Hilbert-Bernays 1968-70, I, p. VII.
213
Ibid.
214
Ivi, II, p. VII.
212
43
Anche secondo Brouwer (1881-1966) il compito della filosofia della
matematica è indagare il fondamento della certezza della matematica.
Ma per lui la matematica esistente non è assolutamente certa nella sua
totalità. Questo dipende dal fatto che, per dare una fondazione
dell’analisi infinitesimale, Weierstrass, Dedekind e Cantor hanno
introdotto oggetti e metodi astratti che non possono essere dati
dall’intuizione, e nelle dimostrazioni hanno fatto uso del principio del
terzo escluso che non può essere giustificato dall’intuizione.
Alcuni, come Hilbert, hanno sperato che «la scienza matematica
eretta secondo i loro principi sarebbe stata coronata un giorno da una
dimostrazione di non contraddittorietà», ma questa speranza «non è mai
stata soddisfatta e oggi, visti i risultati di certe indagini degli
ultimissimi decenni, è stata», sembra, «abbandonata»215.
Si deve perciò lasciar perdere la ‘matematica classica’, cioè la
matematica risultante dalla fondazione di Weierstrass, Dedekind e
Cantor, e riconoscere che «non può esistere alcuna matematica che non
sia stata costruita intuitivamente»216.
Un oggetto o metodo è legittimo se e solo se si può darne una
costruzione basata sull’intuizione, perché l’unico «possibile
fondamento della matematica va ricercato in questa costruzione»217.
Parimenti, un enunciato matematico è vero se e solo se si può
darne una dimostrazione, perché non si possono ammettere «verità
prima che tali verità siano state esperite»218.
3.2. Il programma di Brouwer
Abbandonare la matematica classica comporta ricostruire «daccapo
parecchie teorie della matematica vera e propria con incrollabile
certezza»219.
In particolare, si deve dare una nuova fondazione dell’analisi
infinitesimale in cui si usino solo oggetti e metodi che possono essere
dati dall’intuizione, e nelle dimostrazioni si usino solo principi che
possono essere giustificati dall’intuizione.
Si deve quindi sviluppare una nuova matematica, alternativa a
quella classica, la quale, per il ruolo che vi dovrà avere l’intuizione, può
dirsi ‘matematica intuizionista’. Non essendo semplicemente una
restrizione della matematica classica ma avendo oggetti e metodi suoi
215
Brouwer 1975, p. 508.
Ivi, p. 52.
217
Ibid.
218
Ivi, p. 488.
219
Ivi, p. 412.
216
44
propri, la matematica intuizionista non sarà confrontabile con quella
classica.
Questo è il programma di Brouwer, che egli cercò di realizzare, ed
effettivamente realizzò, per alcuni decenni, ricostruendo daccapo
parecchie teorie della matematica classica in base ai suoi principi.
3.3. Il rifiuto del principio del terzo escluso
Uno degli aspetti più noti del programma di Brouwer è il rifiuto del
principio del terzo escluso.
Tale principio «asserisce che ogni supposizione è vera o falsa», il
che per Brouwer significa che ogni supposizione, o «si può» stabilirla
«mediante una costruzione oppure si può arrivare, mediante una
costruzione, all’arresto del processo»220. Cioè, o si può dimostrarla
oppure si può mostrare che la supposizione che si possa dimostrarla
porta ad un’assurdità. Ma allora «ogni asserzione matematica» che non
è stata dimostrata, e per la quale non si sa mostrare che la supposizione
che essa sia dimostrabile porta ad un’assurdità, «dà luogo ad una
confutazione del principio del terzo escluso»221. Tale è il caso, ad
esempio, della congettura di Goldbach, ‘Ogni numero pari maggiore di
2 è la somma di due numeri primi’.
Il principio del terzo escluso, inteso come lo intende Brouwer, è
equivalente al principio di Hilbert della solubilità di ogni problema
matematico [II.2.4]. Infatti, dire che ogni supposizione, o si può
dimostrarla oppure si può mostrare che la supposizione che si possa
dimostrarla porta ad un’assurdità, equivale a dire che ogni problema
matematico è solubile. Questo viene sottolineato da Brouwer dicendo
che «la questione della validità del principio del terzo escluso è
equivalente alla questione se possano esistere problemi matematici
insolubili»222.
Se, come Hilbert, si è ottimisti sulle capacità umane e si ritiene che
ogni problema matematico è suscettibile di soluzione, allora il principio
del terzo escluso sarà ammissibile. Si dirà che tale principio «non ha
mai prodotto il minimo errore», in particolare «non ha la minima colpa
per la comparsa dei noti paradossi della teoria degli insiemi», e che
negare al matematico l’uso di tale principio «sarebbe come vietare
all’astronomo il telescopio o al pugile l’uso dei pugni»223. E ci si
meraviglierà del fatto che «un matematico possa dubitare della rigorosa
validità» del principio in questione, e che, sotto l’influenza di Brouwer,
220
Ivi, p. 109.
Ivi, p. 552.
222
Ivi, p. 109.
223
Hilbert 1928, p. 80.
221
45
«un’intera comunità di matematici si sia oggi ritrovata a fare questo», il
che mostra che «la capacità di suggestione di un singolo uomo, dotato
di un forte carattere e ricco ingegno, riesce ad esercitare la più
improbabili ed eccentriche influenze»224.
Se invece, come Brouwer, si è pessimisti sulle capacità umane e si
ritiene che «non vi è ombra di prova per la convinzione» che «non
esistano problemi matematici insolubili», allora il principio del terzo
escluso non sarà ammissibile, non essendo «affidabile come principio
di ragionamento»225. Si dirà che la credenza nella validità di tale
principio è «un fenomeno della storia della civiltà dello stesso tipo della
credenza di un tempo nella razionalità di π o nella rotazione del
firmamento su un asse passante per la terra»226.
3.4. La nozione intuizionista di dimostrazione
Se il rifiuto del principio del terzo escluso è uno degli aspetti più noti
del programma di Brouwer, la nozione di dimostrazione di Brouwer è
uno degli aspetti meno noti e meno compresi di tale programma.
Secondo un’opinione diffusa, Brouwer rifiuterebbe il metodo
assiomatico
riducendo
la
dimostrazione
matematica
ad
un’illuminazione. Ma tale opinione è contraddetta dal fatto che
Brouwer definisce la «matematica intuizionista» come una matematica
che «deduce teoremi», sebbene li deduca «esclusivamente per mezzo
della costruzione introspettiva»227. Cioè, la matematica intuizionista è
una matematica che deduce teoremi da assiomi basati sull’intuizione,
mediante deduzioni basate sull’intuizione. Ciò che Brouwer rifiuta non
è dunque il metodo assiomatico, ma solo il metodo assiomatico formale
di Hilbert, che deduce teoremi mediante dimostrazioni formali le quali
possono contenere formule che non significano niente, e perciò non
poggiano sull’intuizione.
Secondo Brouwer, per assicurare l’affidabilità dei ragionamenti
matematici, si deve partire da assiomi basati sull’intuizione e proseguire
mediante inferenze deduttive anch’esse basate sull’intuizione. È quanto
fanno le dimostrazioni di Euclide, che accompagnano «il passaggio, per
mezzo di una catena di tautologie, da relazioni (cioè, sottostrutture)
chiaramente percepite» mediante l’intuizione, «a nuove relazioni che
non sono percepite immediatamente»228.
224
Ivi, pp. 80-81.
Brouwer 1975, p. 109.
226
Ivi, p. 492.
227
Ivi, p. 488.
228
Ivi, p. 76.
225
46
In generale, in una dimostrazione matematica «si comincia
costruendo una struttura che soddisfa parte delle relazioni richieste»,
cioè, costruendo assiomi basandosi sull’intuizione, «poi si cerca di
dedurre da queste relazioni, per mezzo di tautologie, altre relazioni»
sempre basandosi sull’intuizione, «in modo che queste nuove relazioni,
combinate con quelle che non sono ancora state usate, diano luogo ad
un sistema di condizioni adatto come punto di partenza per la
costruzione della struttura richiesta»229.
Dunque per Brouwer le dimostrazioni matematiche sono
dimostrazioni assiomatiche, sebbene assiomatiche non nel senso di
Hilbert ma nel senso di Euclide. Questo è confermato da Heyting – il
principale allievo e continuatore di Brouwer – il quale afferma che «il
metodo assiomatico è», nella matematica intuizionista, «uno strumento
altrettanto importante che nella matematica classica»230. A condizione,
naturalmente, che esso venga usato, come Euclide, per descrivere
oggetti matematici che sono considerati esistenti in quanto basati
sull’intuizione, e non, come Hilbert, per introdurre oggetti matematici
che non hanno alcuna base nell’intuizione, perché nella matematica
intuizionista «un oggetto matematico viene considerato esistente solo
dopo la sua costruzione», e perciò «non può essere portato in essere da
un sistema di assiomi»231.
3.5. I due atti dell’intuizionismo
Secondo Brouwer, l’intuizionismo si basa su due assunzioni
fondamentali o «atti»232.
Il primo atto dell’intuizionismo «riconosce che la matematica
intuizionista è un’attività essenzialmente alinguistica della mente che ha
la sua origine nella percezione di un passaggio di tempo, cioè nello
scindersi di un momento di vita in due cose distinte, una delle quali
cede il passo all’altra, ma è conservata dalla memoria»233. Se «la duità
così nata viene spogliata di tutte le qualità, rimane la forma vuota del
sostrato comune di tutte le duità», ed «è questo sostrato comune, questa
forma vuota, che è l’intuizione base della matematica»234. Dunque «il
fenomeno base» della matematica «è la semplice intuizione del
tempo»235.
229
Ibid.
Heyting 1962, p. 240.
231
Ivi, p. 239.
232
Brouwer 1975, p. 509.
233
Ivi, p. 510.
234
Ibid.
235
Ivi, p. 53.
230
47
Il primo atto dell’intuizionismo «crea non solo i numeri uno e due,
ma anche tutti i numeri ordinali finiti, in quanto uno degli elementi
della duità può essere pensato come una nuova duità, e questo processo
può essere ripetuto indefinitamente»236. Perciò il primo atto
dell’intuizionismo sta alla base dell’aritmetica dei numeri naturali.
Col primo atto dell’intuizionismo si possono generare però solo
«successioni infinite predeterminate che, come quelle classiche,
procedono in modo che il loro m-esimo termine è fissato dall’inizio per
ogni m»237. Questo potrebbe far temere che «la matematica intuizionista
debba necessariamente essere povera e anemica, e in particolare che in
essa non vi sia posto per l’analisi» matematica, «ma non è così; al
contrario, un campo di sviluppo molto più ampio, che comprende
l’analisi, e in molto punti va ben oltre le frontiere della matematica
classica, viene aperto dal secondo atto dell’intuizionismo»238.
Il secondo atto dell’intuizionismo «riconosce la possibilità di
generare nuovi enti matematici: in primo luogo, sotto forma» di
successioni di scelte, cioè «di successioni che proseguono all’infinito» i
cui «termini sono scelti più o meno liberamente tra enti matematici
precedentemente acquisiti»; e, «in secondo luogo, sotto forma di specie
matematiche, cioè di proprietà ipotizzabili per enti matematici
precedentemente acquisiti», che «si dicono elementi della specie»239.
Il secondo atto dell’intuizionismo «crea la possibilità di introdurre
il continuo intuizionista come la specie delle successioni infinite
convergenti di numeri razionali che proseguono più o meno
liberamente»240.
Vedremo in seguito come il secondo atto dell’intuizionismo crei
tale possibilità.
3.6. Il debito di Brouwer verso Kant
Anche Brouwer mutua le sue principali idee sulla natura della
matematica da Kant.
1) Da Kant, Brouwer mutua l’idea che non può esistere alcuna
matematica che non sia stata costruita intuitivamente, in particolare che
«una costruzione logica della matematica, indipendente dall’intuizione
matematica, è impossibile»241.
236
Ivi, pp. 127-128.
Ivi, p. 511.
238
Ibid.
239
Ibid.
240
Ivi, pp. 511-512.
241
Ivi, p. 97.
237
48
Kant, infatti, aveva detto che la matematica «non può concludere
nulla col semplice concetto, e si volge subito all’intuizione per
considerarvi il concetto in concreto»242.
2) Da Kant, Brouwer mutua l’idea che l’intuizione base della
matematica, che crea i numeri naturali, è l’intuizione temporale, sicché
«l’apriorità del tempo» qualifica «le proprietà dell’aritmetica come
giudizi sintetici a priori»243.
Kant, infatti, aveva detto che la matematica «riesce a costruire i
suoi concetti di numero mediante una successiva aggiunta delle unità
nel tempo»244.
3) Da Kant, Brouwer mutua l’idea che la costruzione intuitiva
della matematica non ha nulla di psicologico, perciò «le interpretazioni
psicologistiche della matematica intuizionista, per quanto interessanti,
non possono mai essere adeguate»245.
Kant, infatti, aveva detto che la costruzione di concetti in cui
consiste la matematica non ha nulla di psicologico, perché «non esiste
una psicologia razionale come dottrina capace di incrementare la
conoscenza»246.
4) Da Kant, Brouwer mutua l’idea che la dimostrazione
matematica parte da verità immediate (assiomi) basate sull’intuizione, e
prosegue per mezzo di inferenze deduttive basate sull’intuizione.
Dunque le dimostrazioni matematiche sono dimostrazioni assiomatiche
[II.3.4].
Kant, infatti, aveva detto che la dimostrazione parte da assiomi che
sono proposizioni fondamentali le quali «possono essere esibite
nell’intuizione»247. E prosegue con inferenze deduttive immediate
fondate sull’intuizione, perché «non è possibile che essa proceda di un
passo se le manca l’intuizione pura»248. Dunque le dimostrazioni
matematiche sono dimostrazioni assiomatiche. Che ogni passo di una
dimostrazione si fondi sull’intuizione mostra che le dimostrazioni,
«come il loro stesso nome sta a significare, procedono nell’intuizione
dell’oggetto»249. Il nome ‘dimostrazione’ «viene da ‘monstrare’,
mostrare, porre dinanzi agli occhi. Perciò esso può essere usato in senso
proprio e reale solo per prove in cui l’oggetto viene presentato
242
Kant 1900–, III, p. 470 (B 743-744).
Brouwer 1975, p. 128.
244
Kant 1900–, IV, p. 283.
245
Brouwer 2004, p. 76.
246
Kant 1900–, III, p. 274 (B 421).
247
Ivi, IX, 110.
248
Ivi, IV, p. 283.
249
Ivi, III, p. 482 (B 763).
243
49
nell’intuizione e in cui la verità viene conosciuta non solo in modo
discorsivo ma anche intuitivo»250.
3.7. Le deviazioni da Kant
Anche Brouwer, però, interpreta alcune delle idee che egli mutua da
Kant in modo deviante rispetto a Kant.
1) Per Brouwer, l’intuizione temporale «genera successivamente
ciascun numero naturale, la successione procedente all’infinito dei
numeri naturali»251.
Invece, per Kant, il numero è «lo schema puro della quantità», e
«consiste in una rappresentazione che abbraccia la successiva aggiunta
di uno ad uno (omogenei)», perciò «non è altro che l’unità della sintesi
del molteplice di una intuizione omogenea in generale, per il fatto che
io genero il tempo stesso nell’apprensione dell’intuizione»252. Essendo
uno schema, il numero non è generato dall’intuizione temporale.
2) Per Brouwer, le successioni di scelte sono date nell’intuizione
temporale in quanto incorporano una delle caratteristiche centrali di
quest’ultima, cioè il carattere aperto del futuro, perché lo sviluppo delle
successioni di scelte non è predeterminato ma ad ogni passo i loro
«termini sono scelti più o meno liberamente tra enti matematici
precedentemente acquisiti»253.
Invece, per Kant, una successione che procede in indefinitum non
può mai essere data «nell’intuizione (come un tutto)»254. È solo un
processo «continuato indeterminatamente (in indefinitum)»255. Tale
processo obbedisce sì «ad una regola, la quale porta da qualsiasi
membro della successione, in quanto condizionato, ad un membro più
remoto»256. Ma essa non conduce ad uno sviluppo ben determinato, «si
limita a dire che, per quanto possiamo aver proceduto nella serie delle
condizioni empiriche, non ci è mai lecito ammettere un limite
assoluto»257. Perciò non determina l’oggetto nella sua totalità. Per
questo motivo lo sviluppo di una tale successione non può essere «dato
in un’intuizione collettiva»258.
250
Ivi, XXIV, p. 894.
Brouwer 1975, p. 523.
252
Kant 1900–, III, p. 137 (B 182).
253
Brouwer 1975, p. 523.
254
Kant 1900–, III, p. 355 (B 547).
255
Ivi, III, p. 354 (B 546).
256
Ivi, III, p. 356 (B 549).
257
Ivi, III, p. 355 (B 547).
258
Ivi, III, p. 357 (B 551).
251
50
3) Per Brouwer, l’intuizione temporale è il fondamento non solo
dell’aritmetica ma anche della geometria, perché alla scoperta della
geometria non euclidea si può rispondere solo «abbandonando
l’apriorità dello spazio di Kant e aderendo ancor più risolutamente
all’apriorità del tempo»259. È «da questa intuizione del tempo,
indipendente dall’esperienza», che «sono stati costruiti tutti i sistemi
matematici, inclusi gli spazi con le loro geometrie»260.
Invece, per Kant, «la geometria pone a fondamento l’intuizione
pura dello spazio»261.
4) Per Brouwer, il principio del terzo escluso non vale perché ogni
asserto matematico che non è stato dimostrato vero né è stato
dimostrato falso, e per il quale non conosciamo alcun metodo che
permetta di dimostrare che è vero oppure che è falso, dà luogo ad una
confutazione del principio del terzo escluso [II.3.3].
Invece, per Kant, il principio del terzo escluso vale perché è su di
esso che «si fonda la necessità (logica) di una conoscenza – il fatto che
la si debba giudicare necessariamente così e non altrimenti, cioè che
l’opposto sia falso – per giudizi apodittici»262.
5) Per Brouwer, la matematica «è una costruzione mentale
essenzialmente indipendente dal linguaggio»263. Le parole di una
«dimostrazione matematica semplicemente accompagnano una
costruzione matematica che è effettuata senza parole»264.
Invece, per Kant, la matematica è un’attività che si basa sul
linguaggio, perché è conoscenza razionale per costruzione di concetti, e
i concetti, così come i giudizi di cui fanno parte, si basano in modo
essenziale sul linguaggio, perché «senza parole noi non giudicheremmo
affatto»265. Infatti, «come potete pensare i giudizi senza parole?»266.
3.8. Il continuo intuizionista
Vediamo ora come il secondo atto dell’intuizionismo crei la possibilità
di introdurre il continuo intuizionista come la specie delle successioni
infinite convergenti di numeri razionali che proseguono più o meno
liberamente.
259
Brouwer 1975, p. 127.
Ivi, p. 116.
261
Kant 1900–, IV, p. 283.
262
Ivi, IX, p. 53.
263
Brouwer 1975, p. 477.
264
Ivi, p. 73.
265
Kant 1900–, IX, p. 109.
266
Ivi, XXIV, p. 934.
260
51
Chiamiamo ‘successione fondamentale’ una successione di scelte
r1 , r2 , r3 ,... di numeri razionali tale che
∀k ∃n∀m∀p( rn + m − rn + p < 2 − k ) .
Cioè r1 , r2 , r3 ,... è tale che, per ogni k, da un certo punto n in poi, i
membri della successione r1 , r2 , r3 ,... avranno tra loro una distanza
minore di 2 − k .
Diciamo che
due
successioni
fondamentali
r1 , r2 , r3 ,...
e
s1 , s2 , s3 ,... ‘coincidono’ se e solo se
−k
∀k ∃n∀m ( rn + m − sn + m < 2 ) .
Cioè r1 , r2 , r3 ,... e s1 , s2 , s3 ,... sono tali che, per ogni k, da un certo
punto n in poi, i membri corrispondenti delle successioni r1 , r2 , r3 ,... e
s1 , s2 , s3 ,... avranno tra loro una distanza minore di 2 − k .
Chiamiamo ‘numero reale’ la specie delle successioni
fondamentali che coincidono con una data successione fondamentale.
Cioè un numero reale è la proprietà di coincidere con una data
successione fondamentale.
Ogni successione fondamentale r1 , r2 , r3 ,... determina un numero
reale r, cioè la specie delle successioni fondamentali che coincidono
con tale successione fondamentale. Per esempio la successione
fondamentale
1, 1.4, 1.41, 1.414, 1.4142, 1.41421, ... .
determina il numero reale 2 , che è la specie delle successioni
fondamentali che coincidono con tale successione fondamentale. A
questa specie appartiene anche, ad esempio, la successione
fondamentale
2, 1.5, 1.42, 1.415, 1.4143, 1.41422, …
perché essa coincide, nel senso già definito, con la successione
fondamentale precedente.
Chiamiamo ‘continuo intuizionista’ la specie dei numeri reali.
Cioè il continuo intuizionista è la proprietà di essere un numero reale.
Questa definizione del continuo intuizionista si basa sulle nozioni
di successione di scelte e di specie, perciò è resa possibile dal secondo
atto dell’intuizionismo.
52
3.9. Il teorema di continuità
Un risultato fondamentale della matematica intuizionista è il teorema di
continuità.
Una funzione f dai numeri reali ai numeri reali si dice ‘continua’ se
soddisfa la condizione:
∀k ∀x∃m∀y ( x − y < 2
−m
−k
→ f ( x) − f ( y) < 2 ) .
Dunque una funzione continua è una funzione il cui grafico è dato una
curva che non presenta interruzioni né salti.
Il teorema di continuità asserisce allora che tutte le funzioni
definite ovunque sui numeri reali sono continue.
Tale teorema non vale nella matematica classica, nella quale
esistono funzioni definite ovunque e discontinue. Quindi il teorema di
continuità fornisce un esempio di teorema che vale nella matematica
intuizionista ma non in quella classica.
Viceversa, vi sono teoremi che valgono nella matematica classica
ma non in quella intuizionista. Un esempio è dato dal teorema di
Bolzano-Weierstrass
Ne segue che la matematica intuizionista e la matematica classica
non sono confrontabili tra loro, nel senso che «enti matematici
riconosciuti» sia dalla matematica intuizionista sia da quella classica
«soddisfano teoremi che per l’altra scuola sono o falsi, o privi di senso,
o anche in un certo modo contraddittori»267. La loro non confrontabilità
dipende dal fatto che la matematica intuizionista non applica il
principio del terzo escluso, ma ammette successioni che proseguono
all’infinito i cui termini sono scelti più o meno liberamente, e viceversa
la matematica classica «applica il principio del terzo escluso», ma «si
limita a successioni infinite predeterminate per le quali l’n-esimo
elemento è fissato dall’inizio per ogni n»268.
3.10. I limiti del programma di Brouwer
Anche il programma di Brouwer di costruire un nuovo tipo di
matematica è fallito, non perché egli non sia riuscito a realizzarlo, ma
perché la matematica intuizionista non costituisce una valida alternativa
alla matematica classica.
Una prova di ciò è data dal fatto che, nella matematica
intuizionista non esistono certi oggetti matematici che sono importanti
per la fisica, per esempio «non esiste alcuna funzione definita ovunque»
267
268
Brouwer 1975, p. 489.
Ivi, p. 488.
53
sui numeri reali e «discontinua»269. Ciò segue dal teorema di continuità,
per il quale tutte le funzioni definite ovunque sui numeri reali sono
continue. Questo non significa che nella matematica intuizionista non
esistano funzioni discontinue. In essa «si possono considerare funzioni
che sono definite su sottospecie ovunque dense del continuo» e che
«possono benissimo essere discontinue»270. Tuttavia in essa non
esistono funzioni definite ovunque sui numeri reali e discontinue.
Che nella matematica intuizionista non esistano funzioni definite
ovunque sui numeri reali e discontinue può essere anche visto, senza
ricorrere al teorema di continuità, mediante il seguente controesempio.
Sia f la funzione definita da:
⎧0 se x = 0
f ( x) = ⎨
, per ogni numero reale x.
⎩1 se x ≠ 0
Tale funzione f è discontinua nel punto x = 0 perché, come mostra la
seguente figura,
y
f(x)
0
x
la curva che costituisce il grafico di f presenta un salto nel punto x = 0 .
Facciamo vedere che, nella matematica intuizionista, la funzione f
non esiste.
Infatti, supponiamo che f esista. Sia A(n ) una proprietà dei numeri
naturali tale che, per ogni n, si sa se vale A(n ) ma non se vale ∀nA( n ) ,
perciò non si può decidere ∀nA( n ) ∨ ¬∀nA( n ) . Per esempio, si può
prendere come A(n ) la proprietà ‘ 2 n + 4 è la somma di due numeri
primi’ perché, per tale A(n ) , ∀nA( n ) esprime la congettura di
269
270
Ivi, p. 558.
Ibid.
54
Goldbach, ‘Ogni numero pari maggiore di 2 è la somma di due numeri
primi’.
Definiamo allora una successione r1 , r2 , r3 ,... di numeri razionali
nel modo seguente:
rn =
Cioè
⎧⎪2- n se ∀k ≤ nA( k ),
⎨ -k
⎪⎩2 se ¬A( k ) ∧ k ≤ n ∧ ∀m < kA( m ).
r1 , r2 , r3 ,... è tale che, se vale ∀nA( n ) , allora r1 , r2 , r3 ,... è
1,1 2 ,1 3,1 4,... , ma se ad un certo punto si trova un k tale che
k
k
k
¬A(k ) , allora r1 , r2 , r3 ,... è 1,1 2 ,1 3,1 4,...,1 / 2 ,1 / 2 ,1 / 2 ,...
È facile vedere che ∀n ≥ m( rn − rm < 2 − m ) , perciò r1 , r2 , r3 ,... è una
successione fondamentale. Dunque r1 , r2 , r3 ,... determina un numero
reale r, cioè la specie delle successioni fondamentali che coincidono
con r1 , r2 , r3 ,... . Per tale numero reale r vale:
(1) r = 0 ↔ ∀nA( n ) .
Infatti, per la definizione di r1 , r2 , r3 ,... , se ∀nA( n ) , allora ovviamente
r = 0 ; viceversa, se r = 0 , allora necessariamente, per tutti gli n,
rn +1 < 2 − n , e perciò, per tutti gli n, A( n ) , cioè ∀nA( n ) .
Poiché la funzione f esiste, si può calcolare il valore di f ( x ) per
ogni numero reale x. Perciò in particolare si può calcolare il valore di
f ( r ) . Ma allora si può decidere f ( r ) = 0 ∨ f ( r ) = 1 . Perciò per la
definizione di f si può decidere r = 0 ∨ r ≠ 0 , e quindi per (1) si può
decidere ∀nA( n ) ∨ ¬∀nA( n ) . Ma, per la scelta di A( n ) , non si può
decidere ∀nA( n ) ∨ ¬∀nA( n ) . Contraddizione. Se ne conclude, perciò,
che, nella matematica intuizionista, la funzione f non esiste.
3.11. L’estetismo di Brouwer
Che nella matematica intuizionista non esistano certi oggetti
matematici, come le funzioni definite ovunque sui numeri reali e
discontinue, che sono importanti per la fisica, non preoccupa
minimamente Brouwer, perché egli non solo non è interessato all’uso
55
della matematica nella fisica ma «rifiuta l’allargamento del dominio
umano sulla natura»271.
Per Brouwer la matematica è ricerca del bello, mentre in una
matematica che serva da strumento per l’allargamento del dominio
umano sulla natura «non si troverà bellezza»272. La bellezza è
soprattutto «bellezza del costruire, che appare talora quando l’attività
del costruire cose viene esercitata per gioco»273. Ma «la bellezza più
piena del costruire è la bellezza introspettiva della matematica, nella
quale, invece di elementi di azione causale fatta per gioco, l’intuizione
base della matematica viene lasciata dispiegarsi liberamente. Tale
dispiegarsi non è vincolato dal mondo esterno, e quindi dalla finitezza e
dalla responsabilità; perciò le sue armonie introspettive possono
raggiungere ogni grado di ricchezza e chiarezza»274.
Ma queste affermazioni di Brouwer sono ingiustificate perché la
matematica intuizionista è esteticamente povera. È piena di distinzioni
scarsamente perspicue, è farraginosa e poco lineare. Perciò, considerare
la matematica intuizionista ricerca del bello non è credibile.
3.12. Il crollo del programma di Brouwer
Che nella matematica intuizionista non esistano certi oggetti matematici
che sono importanti per la fisica non è l’unica prova dell’inadeguatezza
del programma di Brouwer. Un’altra prova è la seguente.
Come abbiamo visto, Brouwer assume che un enunciato
matematico è vero se e solo se si può darne una dimostrazione, dove per
dimostrazione si intende una dimostrazione assiomatica [II.3.4]. In
particolare, allora, un enunciato dell’aritmetica è vero se e solo si può
darne una dimostrazione in un certa teoria T.
Ora, per tale teoria T, è facile vedere che la funzione
corrispondente prf T [V.3.3] non può essere aritmetica, nel senso che
non può esistere alcuna formula A( x, y ) di T contenente come sue
uniche variabili individuali libere x e y, tale che, per ogni numero
naturale k e p, se prfT (k, p) = 1 allora si può dare una dimostrazione
di A( k , p ) in T, mentre se prfT (k, p) = 0 allora si può dare una
dimostrazione di ¬A( k , p ) in T.
271
Ivi, p. 483.
Ibid.
273
Ivi, p. 484.
274
Ibid.
272
56
Infatti, supponiamo che
prf T
sia aritmetica. Applicando il
teorema del punto fisso [V.4.1] alla formula ∀x¬A( x, y ) , otteniamo un
termine chiuso t tale che si può dare una dimostrazione di
t = ∀x¬A( x, t ) in T. Con una dimostrazione del tutto simile a quella
del primo teorema di di incompletezza di Gödel [V.4.2] si vede allora
che l’enunciato ∀x¬A( x, t ) è vero ma non se ne può dare una
dimostrazione in T. Ma, poiché ∀x¬A( x, t ) è vero, per l’assunzione su
T questo significa che se ne può dare una dimostrazione in T.
Contraddizione. Se ne conclude che la funzione prfT non può essere
aritmetica.
Che la funzione prfT non possa essere aritmetica implica che la
proprietà di essere una dimostrazione in T deve essere molto astratta.
Ma, secondo Brouwer, una dimostrazione matematica parte da assiomi
basati sull’intuizione e prosegue con una deduzione basata
sull’intuizione, perciò essa «deve essere così immediata per la mente e
il suo risultato così chiaro da non richiedere assolutamente alcun
fondamento»275. Dunque la proprietà di essere una dimostrazione in T
non può essere molto astratta. Contraddizione.
Se ne conclude che l’assunzione di Brouwer, che un enunciato
matematico è vero se e solo se si può darne una dimostrazione, è
insostenibile. Crolla così uno dei capisaldi della concezione della
matematica di Brouwer.
In definitiva, dunque, Brouwer mutuò le sue principali idee sulla
matematica da Kant, e il suo unico contributo originale alla filosofia
della matematica – che era di natura tecnica: il progetto di sviluppare
una matematica alternativa alla matematica classica – si risolse in un
fallimento.
4. Conclusioni sulla filosofia della matematica di ieri
L’analisi dei programmi di Frege, Hilbert e Brouwer mostra che
l’affermazione dell’ortodossia prevalente, polemica verso la tradizione
filosofica precedente, che Frege abbia prodotto una rivoluzione in
filosofia che ha cambiato l’aspetto della disciplina, è insostenibile. La
tradizione filosofica precedente avrà avuto i suoi difetti, ma Frege,
Hilbert e Brouwer non crearono un’alternativa ad essa. Al contrario,
presero a prestito da essa le loro principali idee filosofiche, e ciò che vi
aggiunsero, che era di natura tecnica, non filosofica, alla fine si è
rivelato insostenibile.
275
Heyting 1956, p. 6.
57
III
La filosofia della matematica oggi
1. Due reazioni mancate
1.1. Una reazione matematica mancata
Come abbiamo visto, i risultati di Gödel svolgono un ruolo decisivo nel
mostrare l’insostenibilità dei programmi di Frege, Hilbert e Brouwer.
In particolare, il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2]
confuta un’assunzione che non solo sta alla base di tali programmi ma è
condivisa dalla stragrande maggioranza dei matematici, cioè che il
metodo della matematica è il metodo assiomatico.
Ci si sarebbe potuto aspettare che ciò inducesse i matematici ad
abbandonare questa assunzione, ma non è stato così. Presumibilmente
questo è dipeso dal fatto che la stragrande maggioranza dei matematici
ritiene che i teoremi di incompletezza di Gödel sono qualcosa che
riguarda solo i programmi fondazionali di Frege, Hilbert e Brouwer, e
non l’impresa reale del fare matematica. Ma questa opinione è
ingiustificata perché, come si è detto, la stragrande maggioranza dei
matematici assume che il metodo della matematica è il metodo
assiomatico, perciò il primo teorema di incompletezza di Gödel li
riguarda anche loro, e li riguarda in pieno.
1.2. Una reazione filosofica mancata
Ancor più sorprendente è che il primo teorema di incompletezza di
Gödel non abbia indotto molte scuole di filosofia della matematica della
seconda metà del Novecento – neologicismo, platonismo,
implicazionismo,
strutturalismo,
finzionalismo,
internalismo,
costruttivismo – ad abbandonare l’assunzione che il metodo della
matematica è il metodo assiomatico.
Ciò deriva dal fatto che tali scuole sono variazioni su temi di
Frege, Hilbert e Brouwer. In particolare, il neologicismo e il platonismo
sono variazioni su temi di Frege, l’implicazionismo, lo strutturalismo, il
finzionalismo e l’internalismo su temi di Hilbert, il costruttivismo su
temi di Brouwer. Perciò, per tali scuole, abbandonare l’assunzione che
il metodo della matematica è il metodo assiomatico avrebbe significato
recidere un legame essenziale con la tradizione su cui esse poggiano.
58
È vero che per altre scuole di filosofia della matematica della
seconda metà del Novecento che non sono variazioni su temi di Frege,
Hilbert e Brouwer – congetturalismo, empirismo, cognitivismo –
l’assunzione che il metodo della matematica è il metodo assiomatico è
inessenziale. Ma esse offrono un’analisi insufficiente dell’esperienza
matematica, e per questo motivo la loro influenza è stata limitata.
In questo capitolo esamineremo le concezioni filosofiche della
matematica della seconda metà del Novecento e ne mostreremo i limiti.
2. Le concezioni filosofiche della seconda metà del Novecento
2.1. Neologicismo
Il neologicismo sostiene che le verità aritmetiche sono analitiche, non
nel senso di Frege [II.1.2], che secondo il neologicismo è troppo
restrittivo, ma nel senso che tali verità sono deducibili da proposizioni
analitiche primitive, cioè da proposizioni che danno definizioni
contestuali dei concetti che intendono spiegare. Nel caso delle verità
aritmetiche, la proposizione analitica primitiva da cui esse sono
deducibili è il principio di Hume (HP). Questo, pur non essendo una
verità logica perché fa intervenire un concetto matematico come
NxF ( x ) , è una proposizione analitica primitiva perché dà una
definizione contestuale del concetto di numero. La teoria del secondo
ordine il cui unico assioma non logico è (HP) è coerente, e perciò non
va incontro alla difficoltà dell’ideografia di Frege.
Il neologicismo è stato sostenuto soprattutto da Wright e Hale.
Secondo Wright (1942–) e Hale, «il risultato dell’aggiunta del
principio di Hume» (HP) «alla logica del secondo ordine è un sistema
coerente che è sufficiente come fondamento dell’aritmetica, nel senso
che tutte le leggi fondamentali dell’aritmetica sono derivabili in esso
come teoremi»1. Questo «costituisce una giustificazione del logicismo,
in base ad una ragionevole interpretazione di quella tesi»2. Infatti, pur
non essendo analitico nel senso di Frege, (HP) «è analitico in quanto
determina il concetto che esso con ciò serve a spiegare»3. Cioè,
fornisce una definizione contestuale del concetto di numero naturale.
Perciò la deducibilità da (HP) «dovrebbe bastare per dimostrare
l’analiticità dell’aritmetica»4. Questa va intesa non nel senso che
l’aritmetica sia una parte della logica, ma nel senso che essa «trascende
la logica solo in quanto fa uso di un principio», cioè (HP), «il cui lato
1
Hale-Wright 2001, p. 4.
Ivi, pp. 4-5.
3
Ivi, p. 14.
4
Ivi, p. 279.
2
59
destro impiega solo nozioni logiche», perciò tale posizione «merita
ancora di essere descritto come logicismo»5.
Il neologicismo ha un certo numero di difetti che lo rendono
inadeguato.
1. Il neologicismo sostiene che le verità aritmetiche sono analitiche
nel senso che sono deducibili da proposizioni analitiche primitive, e
precisamente da (HP), dunque sono dimostrabili nella teoria del
secondo ordine T il cui unico assioma è (HP). Ma questa affermazione è
confutata dal primo teorema di incompletezza di Gödel. Supponiamo,
infatti, che tutte le verità aritmetiche siano analitiche nel senso che sono
dimostrabili in T. Poiché T ha un unico assioma, banalmente T è RE.
Poiché tutte le verità aritmetiche sono dimostrabili in T, T è
sufficientemente potente in senso esteso [V.7.2]. Inoltre T è coerente.
Perciò per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2, V.7.2]
esiste un enunciato della forma ∀x ( f ( x ) = 0) , dove f è una funzione
ricorsiva primitiva, che è vero ma non è dimostrabile in T. Poiché
∀x ( f ( x ) = 0) esprime una verità aritmetica, esso fornisce un esempio
di verità aritmetica che non è dimostrabile in T. Ma per ipotesi tutte le
verità aritmetiche sono dimostrabili in T. Contraddizione. Se ne
conclude che non tutte le verità aritmetiche sono dimostrabili in T, e
perciò che non tutte le verità aritmetiche sono analitiche.
Contro la conclusione che l’affermazione che le verità aritmetiche
sono analitiche nel senso che sono dimostrabili in T sia confutata dal
primo teorema di incompletezza di Gödel, si potrebbe avanzare
un’obiezione simile a quella di Hale e Wright [II.1.3]. Cioè, si potrebbe
obiettare che l’enunciato della forma ∀x ( f ( x ) = 0) dato dal primo
teorema di incompletezza di Gödel può benissimo essere una verità
logica, e quindi essere logicamente valido, pur non essendo
dimostrabile in T perché, per un corollario del teorema di
incompletezza forte della logica del secondo ordine [V.7.6], gli assiomi
logici e le regole di deduzione logica in un linguaggio del secondo
ordine possono non essere abbastanza potenti per dimostrare tale
enunciato in T, cioè per dedurlo da (HP). Ma questa obiezione è
insostenibile perché, per il neologicismo, una verità aritmetica è
analitica se e solo se è deducibile da proposizioni analitiche primitive.
Per essere analitico, l’enunciato in questione deve quindi essere
deducibile da una proposizione che è analitica in quanto fornisce una
definizione contestuale del concetto di numero. Ma, secondo il
neologicismo, la proposizione che fornisce una definizione contestuale
5
Ivi, p. 280.
60
del concetto di numero è (HP), e, come abbiamo detto, l’enunciato dato
dal primo teorema di incompletezza di Gödel non è deducibile da (HP).
2. Il neologicismo sostiene che (HP) fornisce una definizione
contestuale del concetto di numero. Ma (HP) lascia indeterminato se
NxF ( x ) sia un oggetto concreto come Giulio Cesare [II.1.8]. Perciò
nulla assicura che, poché (HP) introduce un’infinità di numeri, (HP) in
questo modo non introduca un’infinità di oggetti concreti, mentre la
logica non dovrebbe dire nulla su quali e quanti oggetti concreti
esistono.
3. Il neologicismo considera irrilevante che in (HP) occorra un
concetto matematico come NxF ( x ) , che non è eliminabile perché,
come abbiamo visto, (HP) permette di eliminarlo solo da contesti della
forma NxF ( x ) = NxG ( x ) . Ma nei principi logici non dovrebbero
comparire concetti matematici non eliminabili.
4. Il neologicismo considera (HP) come analitico perché fornisce
una definizione contestuale del concetto di numero. Ma allora si
dovrebbe considerare analitico, ad esempio, anche il principio di
inerzia, ‘Ogni corpo persiste nel proprio stato di quiete o di moto
rettilineo uniforme fin quando l’azione di una forza non alteri questo
stato’, perché fornisce una definizione contestuale del concetto di
‘forza’. Ma questo senso dell’analiticità toglie ogni pregnanza filosofica
all’affermazione che le verità aritmetiche sono analitiche, perché in
base ad esso anche le leggi fisiche sarebbero analitiche.
5. Il neologicismo assume che la teoria del secondo ordine T il cui
unico assioma è (HP) è coerente. Lo fa appellandosi al risultato di
Boolos secondo cui l’aritmetica di Peano del secondo ordine PA 2 è
coerente se e solo se T è coerente 6. Ma così esso dà per scontato che
PA 2 sia coerente. Ora, lo stesso Boolos osserva che «(non è nevrotico
pensare che) noi non sappiamo se» PA 2 «è coerente. Sappiamo
davvero che un Russell altamente efficiente del ventitreesimo secolo
non farà a noi quello che Russell ha fatto a Frege?»7. Del resto, T
soddisfa le condizioni del secondo teorema di incompletezza di Gödel
[V.4.4, V.4.9], perciò per tale teorema l’enunciato ConT che esprime
canonicamente la coerenza di T non è dimostrabile in T, quindi a
maggior ragione non è dimostrabile con alcun metodo assolutamente
certo. Dunque non vi è alcuna certezza che T sia coerente.
6. Il neologicismo non riesce ad andare oltre l’aritmetica dei
numeri naturali. È vero che Hale ha cercato di estenderlo all’analisi
6
7
V. Boolos 1998, pp. 190-196.
Ivi, p. 313.
61
matematica, introducendo i numeri reali per astrazione come rapporti
definiti su un dominio completo ordinato di quantità, dove le quantità,
come la lunghezza o la massa, sono ottenute per astrazione da
«opportune relazioni di equivalenza sugli oggetti concreti di cui essi
sono le lunghezze, le masse, ecc.»8. Così facendo Hale si richiama
all’idea di Frege che «l’applicazione dei reali come misure di quantità è
essenziale per la loro stessa natura, e perciò dovrebbe essere incorporata
in una loro definizione adeguata»9. Ma, come osserva Batitsky, questo
modo di introdurre i numeri reali fa assunzioni che sono «del tutto
superflue per spiegare le applicazioni di misure di reali»10. Inoltre
implica che «la natura delle quantità non può essere completamente
compresa in totale indipendenza dai fatti del mondo fisico», perché
assume che le quantità siano «astrazioni di relazioni e operazioni fisiche
su oggetti concreti»11. Infatti, nella formulazione di Hale, la lunghezza e
la massa «hanno esattamente la stessa struttura logica», ma «Hale certo
non vorrebbe dire che queste due quantità sono identiche o anche che
sono intercambiabili in ogni applicazione»12. Ora, la ragione per cui
esse «non sono identiche né intercambiabili (nonostante il fatto che
abbiano strutture logiche identiche) può trovarsi solo nel mondo fisico;
per esempio, se x è un oggetto concreto, le relazioni di equivalenza
fisica ‘lungo come x’ e ‘pesante come x’ non determinano classi di
equivalenza di oggetti concreti identiche tra loro. (Si pensi a due sbarre
della stessa lunghezza, una delle quali è di alluminio mentre l’altra è di
piombo)»13. Perciò il tentativo di Hale è inadeguato.
Che il neologicismo non riesca ad andare oltre l’aritmetica dei
numeri naturali mostra che esso scambia per filosofia di tutta la
matematica una filosofia che potrebbe valere tutt’al più per l’aritmetica
dei numeri naturali, e che, come abbiamo visto, non vale neppure per
quella.
2.2. Platonismo
Il platonismo sostiene che gli oggetti matematici sono gli insiemi. Essi
sono dati dalla cosiddetta ‘gerarchia cumulativa’, che è definita da: (i)
V0 = ∅ ; (ii) Vα +1 = P (Vα ) per ogni ordinale α, dove P (Vα ) è la
8
Hale-Wright 2001, p. 409.
Ivi, p. 403.
10
Batitsky 2002, p. 297.
11
Ivi, p. 301.
12
Ibid.
13
Ibid.
9
62
collezione di tutti i sottoinsiemi di Vα ; (iii) Vλ = ∪ Vα per ogni
α <λ
ordinale limite λ. Tale gerarchia si dice ‘cumulativa’ perché, se α ≤ β ,
allora Vα ⊆ Vβ . Infatti V0 = ∅ , V1 = {∅} , V2 = {∅∪{∅}} , ... .
Gli insiemi formano una realtà non sensibile, che esiste
indipendentemente dagli atti della mente umana ed è solo percepita da
quest’ultima. Nondimeno, noi abbiamo una sorta di percezione anche
degli insiemi attraverso l’intuizione, la quale è sufficientemente chiara
da produrre gli assiomi della teoria degli insiemi e una serie aperta di
loro estensioni. Attraverso l’intuizione gli insiemi vengono conosciuti
con precisione, e le leggi generali relative ad essi possono essere
riconosciute con certezza deducendole dagli assiomi.
L’intuizione, però, non ci dà una conoscenza immediata degli
insiemi ma questa presuppone il concetto di insieme, che svolge un
ruolo strettamente connesso con quello delle categorie dell’intelletto
puro di Kant. Infatti, la funzione di entrambi è la sintesi, cioè la
generazione di unità a partire da molteplicità. Tuttavia, per avere
conoscenza degli insiemi, tale concetto deve essere rappresentato
nell’intuizione. Una rappresentazione del concetto di insieme
nell’intuizione è possibile perché noi possiamo estendere la nostra
conoscenza di tale concetto concentrandoci più attentamente su di esso.
Inoltre, la verità degli assiomi della teoria degli insiemi può essere
colta non solo attraverso l’intuizione ma anche, sebbene solo
probabilisticamente, considerando le conseguenze verificabili degli
assiomi.
Il platonismo è stato sostenuto soprattutto da Gödel, ma ha avuto
anche molti altri sostenitori, da Hermite a Penrose.
Secondo Gödel (1906-1978), gli oggetti matematici formano «una
realtà non sensibile, che esiste indipendentemente dagli atti e dalle
disposizioni della mente umana, e viene soltanto percepita, e
probabilmente percepita molto incompletamente, dalla mente umana»14.
Ma, «nonostante la loro lontananza dall’esperienza sensoriale, noi
abbiamo qualcosa come una percezione anche degli oggetti della teoria
degli insiemi» che ci è data dalla «intuizione matematica», la quale «è
sufficientemente chiara da produrre gli assiomi della teoria degli
insiemi e una serie aperta di loro estensioni»15. Attraverso essa «gli
oggetti matematici sono conosciuti con precisione, e le leggi generali
14
15
Gödel 1986-2002, III, p. 323.
Ivi, II, p. 268.
63
possono essere riconosciute con certezza, cioè, mediante l’inferenza
deduttiva»16.
L’intuizione, però, non ci dà «una conoscenza immediata degli
oggetti considerati», ma «noi formiamo le nostre idee» degli oggetti
matematici «in base a qualcos’altro che è dato immediatamente»17.
Questo qualcos’altro è il concetto di insieme. C’è «uno stretto rapporto
tra il concetto di insieme» e «le categorie dell’intelletto puro nel senso
di Kant», in quanto «la funzione di entrambi è la ‘sintesi’, cioè la
generazione di unità a partire da molteplicità (per esempio, in Kant
l’idea di un oggetto a partire dai suoi vari aspetti)»18.
Ma, per avere conoscenza degli insiemi, il concetto di insieme
deve essere rappresentato nell’intuizione. Ciò è possibile perché noi
possiamo «estendere la nostra conoscenza di questi concetti astratti,
cioè rendere precisi tali concetti e afferrare in modo comprensivo e
sicuro le relazioni fondamentali che sussistono tra essi, cioè gli assiomi
che valgono per essi», semplicemente «coltivando (approfondendo) la
conoscenza dei concetti astratti»19. Il procedimento consisterà «nel
concentrarci più attentamente sui concetti considerati, dirigendo la
nostra attenzione in un certo modo, cioè, sui nostri atti nell’usare questi
concetti, sul nostro potere di effettuare i nostri atti, ecc.»20. Questo
«produrrà in noi un nuovo stato di coscienza, in cui descriviamo in
dettaglio i concetti basilari che noi usiamo nel nostro pensiero, o
afferriamo altri concetti basilari finora sconosciuti a noi»21. Così
otterremo un «afferrare intuitivo di sempre nuovi assiomi che sono
logicamente indipendenti da quelli precedenti»22.
Tuttavia, per ogni assioma della teoria degli insiemi, «una
decisione probabile circa la sua verità è possibile anche in un altro
modo, cioè induttivamente, studiandone il ‘successo’», dove per
successo si intende «la fruttuosità rispetto alle conseguenze, in
particolare alle conseguenze ‘verificabili’»23. Dunque, «oltre
all’intuizione matematica, esiste un altro criterio (sebbene soltanto
probabile) per la verità degli assiomi matematici, cioè la loro fruttuosità
nella matematica e, si può aggiungere, possibilmente anche nella
16
Ivi, III, p. 312, nota 18.
Ivi, II, p. 268.
18
Ivi, II, p. 268, nota 40.
19
Ivi, III, p. 383.
20
Ibid.
21
Ibid.
22
Ivi, III, p. 385.
23
Ivi, II, p. 261.
17
64
fisica»24. Il «caso più semplice di applicazione del criterio in questione
si ha quando qualche assioma della teoria degli insiemi ha conseguenze
della teoria dei numeri verificabili mediante un computo fino ad un
intero qualsiasi dato»25.
Il platonismo ha un certo numero di difetti che lo rendono
inadeguato.
1. Il platonismo sostiene che noi abbiamo una sorta di percezione
degli insiemi che è data dall’intuizione. Ma questo va incontro alla
difficoltà che, come nella percezione sensibile gli oggetti esercitano
un’azione causale su di noi, così nell’intuizione gli oggetti dovrebbero
esercitare un’azione causale su di noi.
Per esempio, Kant afferma che, la sensazione è «l’effetto di un
oggetto sulla capacità rappresentativa, in quanto noi ne veniamo
affetti»26. Nello stesso modo l’intuizione «si riscontra solo quando
l’oggetto è dato; il che a sua volta è possibile, per noi uomini almeno,
solo se l’oggetto agisce, in qualche modo sul nostro animo»27.
Ma, mentre nella sensazione gli oggetti fisici esercitano un’azione
causale su di noi attraverso i nostri organi sensoriali, come potrebbero
gli insiemi esercitare un’azione causale su di noi nell’intuizione?
Wang ci informa che, in conversazioni con lui, Gödel avanzò
l’ipotesi «che sia necessario qualche organo fisico per rendere possibile
trattare impressioni astratte (in quanto contrapposte alle impressioni dei
sensi), dal momento che noi abbiamo una certa debolezza nel trattare le
impressioni astratte, a cui si rimedia vedendole a confronto con le, o in
occasione delle, impressioni dei sensi. Tale organo sensoriale deve
essere strettamente connesso col centro nervoso del linguaggio»28. Ma
dell’esistenza di un organo sensoriale fisico capace di percepire gli
oggetti della teoria degli insiemi non vi è alcuna prova.
2. Il platonismo sostiene che l’intuizione è sufficientemente chiara
da produrre gli assiomi della teoria degli insiemi e una serie aperta di
loro estensioni. Ma, almeno a partire da Kant, l’intuizione è stata
concepita come singolare.
Così Kant afferma che «l’intuizione è una rappresentazione
singolare», e perciò differisce dal concetto, che è «una rappresentazione
generale ovvero una rappresentazione di ciò che è comune a più oggetti,
24
Ivi, II, p. 269.
Ibid.
26
Kant 1900–, III, p. 50 (B 34).
27
Ivi, III, p. 49 (B 33).
28
Wang 1996, p. 233.
25
65
quindi è una rappresentazione in quanto può essere contenuta in diverse
altre»29.
Come può allora l’intuizione, che è una rappresentazione
singolare, farci conoscere gli assiomi della teoria degli insiemi, che
sono generali?
3. Il platonismo sostiene che, attraverso l’intuizione, gli insiemi
sono conosciuti con precisione, e le leggi generali relative ad essi
possono essere riconosciute con certezza deducendole dagli assiomi.
Ma questo è contraddetto dal fatto che la verità di nessun insieme di
assiomi per la teoria degli insiemi può essere riconosciuta con certezza,
e perciò a maggior ragione le leggi generali relative agli insiemi non
possono essere riconosciute con certezza deducendole dagli assiomi.
Infatti, per il secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4, V.4.9],
se la teoria degli insiemi T è RE e coerente, l’enunciato ConT che
esprime canonicamente la coerenza di T non è dimostrabile in T. Ma
allora, o (i) noi non siamo in grado di riconoscere con certezza la
coerenza di T, e quindi neppure la verità degli assiomi di T, per cui T è
ingiustificata; oppure (ii) noi siamo in grado riconoscere con certezza la
verità degli assiomi di T, e quindi la coerenza di T, ma ConT non è
dimostrabile in T, e allora T è inadeguata perché non consente di
dedurre neppure una semplice verità aritmetica come ConT .
4. Il platonismo sostiene che l’intuizione non ci dà una conoscenza
immediata degli insiemi ma tale conoscenza presuppone il concetto di
insieme, che svolge un ruolo strettamente connesso con quello delle
categorie dell’intelletto puro di Kant perché la funzione di entrambi è la
sintesi, cioè la generazione di unità a partire da molteplicità, sebbene
per avere conoscenza degli insiemi tale concetto debba essere
rappresentato nell’intuizione. Ciò a cui il platonismo si riferisce qui è il
fatto che, secondo Kant, solo per mezzo delle categorie «diviene in
generale possibile pensare un qualunque oggetto dell’esperienza»30.
Nello stesso modo, secondo il platonismo, solo per mezzo del concetto
di insieme diviene in generale possibile pensare un qualunque insieme.
E, secondo Kant, «le funzioni del comporre (della sintesi) vengono
prima, ma non hanno ancora alcun oggetto; lo ricevono mediante lo
schematizzare, cioè mediante intuizioni a priori alle quali possono
essere applicate. Questo produce la conoscenza delle cose come
fenomeni»31. Nello stesso modo, secondo il platonismo, la funzione del
29
Kant 1900–, IX, p. 91 e nota.
Ivi, III, p. 105 (B 126).
31
Ivi, XIII, p. 468.
30
66
comporre (della sintesi) oggetti in un insieme, ossia il concetto di
insieme, viene prima, ma non ha ancora alcun oggetto; lo riceve
attraverso lo schematizzare, cioè mediante intuizioni a priori alle quali
tale concetto può essere applicato, e questo produce la conoscenza degli
insiemi.
Ma, nel caso di Kant, schematizzare un concetto matematico, per
esempio quello di triangolo, consiste nel rappresentare «l’oggetto che
corrisponde a questo concetto o per mezzo della semplice
immaginazione, nell’intuizione pura, o, basandomi su questa, anche
sulla carta, nell’intuizione empirica»32. Perciò, che cosa sia una
rappresentazione nell’intuizione del concetto di triangolo è abbastanza
chiaro. Invece, nel caso del platonismo, che cosa potrebbe essere una
rappresentazione nell’intuizione del concetto di insieme dato dalla
gerarchia cumulativa è del tutto oscuro.
5. Il platonismo sostiene che una rappresentazione del concetto di
insieme nell’intuizione è possibile perché noi possiamo estendere la
nostra conoscenza di tale concetto, concentrandoci più attentamente su
di esso. Ma questo è insostenibile. Infatti, supponiamo che noi
riusciamo a riconoscere con certezza la verità degli assiomi della teoria
degli insiemi T, e perciò la loro coerenza [V.1.5], attraverso
un’intuizione ottenuta attraverso la procedura del concentrarsi più
attentamente sul concetto di insieme, diciamo Σ. Allora, supponendo
che T sia RE, per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2,
V.4.9] esiste un enunciato A che è vero rispetto a Σ ma non è
dimostrabile in T. Perciò la teoria T ' = T + ¬A è coerente [V.1.4], e
quindi, per il teorema dell’esistenza di un modello [V.1.5], ha un
modello, diciamo Σ ' . Allora ¬A è vero rispetto a Σ ' , per cui A è falso
rispetto a Σ ' . Pertanto Σ e Σ ' sono entrambi modelli di T, e perciò
sono entrambi concetti di insieme, ma A è vero rispetto a Σ e falso
rispetto a Σ ' . Per il teorema dell’isomorfismo [V.1.6] allora Σ e Σ '
non possono essere isomorfi, dunque Σ e Σ ' sono concetti di insieme
essenzialmente differenti.
Ora se, come ci chiede di fare Gödel, ci concentriamo più
attentamente sul modo in cui abbiamo ottenuto Σ ' , possiamo
rappresentare nell’intuizione il concetto di insieme Σ ' . Abbiamo allora
due intuizioni differenti, una delle quali ci assicura che il genuino
concetto di insieme è Σ, mentre l’altra ci assicura che il genuino
concetto di insieme è Σ ' . Poiché Σ e Σ ' non sono isomorfi, e dunque
sono concetti di insieme essenzialmente differenti, questo fa nascere il
problema: quale di Σ e Σ ' è il genuino concetto di insieme? La
32
Ivi, III, p. 469.
67
procedura del concentrarci più attentamente sul concetto di insieme non
dà una risposta a tale domanda.
6. Il platonismo sostiene che la verità degli assiomi della teoria
degli insiemi può essere colta non solo attraverso l’intuizione ma anche,
sebbene solo probabilisticamente, considerando le conseguenze
verificabili degli assiomi. Ma, come riconosce lo stesso Gödel, il
criterio della fruttuosità rispetto alle conseguenze «non può ancora
essere applicato agli assiomi specificamente insiemistici (quali quelli
relativi a grandi numeri cardinali), perché si sa molto poco sulle loro
conseguenze in altri campi»33. In particolare, per quanto riguarda la
fruttuosità rispetto alle conseguenze verificabili, «in base a quanto si sa
oggi, non è possibile rendere ragionevolmente probabile in questo
modo la verità di alcun assioma della teoria degli insiemi»34.
Inoltre, il fatto che un insieme di assiomi abbia conseguenze
verificabili – la cui verità può quindi essere accertata concretamente,
per esempio mediante un computo fino ad un numero intero qualsiasi
dato – non ne garantisce neppure probabilisticamente la verità, perché
da assiomi falsi si possono dedurre teoremi veri. Potrebbe darsi, perciò,
che le conseguenze degli assiomi trovate finora siano tutte vere ma che
gli assiomi siano falsi.
Come sottolinea Kant, «inferire la verità di una conoscenza dalla
verità delle sue conseguenze sarebbe ammissibile solo se tutte le sue
possibili conseguenze sono vere», ma «questa è una procedura non
fattibile, perché discernere tutte le possibili conseguenze di una
proposizione accettata supera le nostre capacità»35.
Una conferma di ciò è data dal fatto che, per la non aritmeticità
delle conseguenze logiche di PA 2 [V.7.7], l’insieme dei numeri di
Gödel degli enunciati che sono conseguenze logiche degli assiomi non
logici di PA 2 non è ricorsivamente enumerabile. Non esiste dunque
alcuna procedura algoritmica, e perciò a maggior ragione nessuna
procedura fattibile, che permetta di enumerare tutte le conseguenze
degli assiomi di PA 2 . Quindi, come afferma Kant, inferire la verità
degli assiomi matematici dalla verità delle loro conseguenze è una
procedura non fattibile, perché discernere tutte le possibili conseguenze
degli assiomi supera le nostre capacità.
2.3. Implicazionismo
L’implicazionismo sostiene che la matematica consiste nel trarre
33
Gödel 1986-2002, II, p. 269
Ibid.
35
Kant 1900–, III, p. 514 (B 818).
34
68
conseguenze logiche da assiomi scelti arbitrariamente. Essa consta di
tutte le asserzioni della forma A → B tali che B è una conseguenza
logica di A, dove A è un insieme, o una congiunzione, di assiomi e B è
un’asserzione, la conclusione. Gli assiomi A sono scelti arbitrariamente.
Non si richiede che esistano enti di cui essi sono veri, e neppure che
essi siano coerenti. Che possano risultare incoerenti è un rischio che
dobbiamo correre senza prendere particolari precauzioni. Dopo tutto,
noi dobbiamo continuamente affrontare rischi ben più gravi nella vita e
nella scienza 36.
L’implicazionismo è stato sostenuto nella seconda metà del
Novecento da Putnam, ma si basa su idee di Russell.
Secondo Putnam (1926–), «si può considerare compito essenziale
del matematico puro far derivare conseguenze logiche da insiemi di
assiomi»37. Cioè, è compito del matematico puro «dimostrare che, se
esiste una struttura che soddisfa certi assiomi (per esempio, gli assiomi
della teoria dei gruppi), allora quella struttura soddisfa certe altre
asserzioni (alcuni teoremi della teoria dei gruppi o altri)»38. Non si
richiede di sapere che esista una struttura che soddisfa gli assiomi. Gli
assiomi «potrebbero un giorno rivelarsi incoerenti. E con ciò? Questa è
la situazione; e noi dobbiamo costantemente affrontare rischi ben più
gravi nella vita e nella scienza»39.
L’implicazionismo ha un certo numero di difetti che lo rendono
inadeguato.
1. L’implicazionismo sostiene che la matematica consiste nel trarre
conseguenze logiche da assiomi scelti arbitrariamente. Ma ciò è
contraddetto dal fatto che molte parti della matematica, come la teoria
dei numeri o la teoria delle equazioni differenziali parziali, non
consistono in questo.
2. La nozione di conseguenza logica a cui si riferisce
l’implicazionismo è definita in termini del concetto di insieme, perciò
presuppone la teoria degli insiemi. Ma, secondo l’implicazionismo, la
teoria degli insiemi consta di tutte le asserzioni della forma A → B tali
che B è una conseguenza logica di A. Poiché la nozione di conseguenza
logica è definita in termini del concetto di insieme, questo implica che
la teoria degli insiemi presuppone la nozione di insieme. Ma da che
cosa è data tale nozione? L’implicazionismo non sa dare una risposta.
36
‘Implicazionismo’ è il nome dato originariamente a tale concezione
da Menger 1979, p. 57. Essa è anche denominata ‘se-allorismo’ [ifthenism] da Putnam 1975, p. 20.
37
Putnam 1975, p. 41.
38
Ivi, p. 20.
39
Ivi, p. 34.
69
3. L’implicazionismo non sa spiegare perché, tra gli infiniti
insiemi di assiomi possibili, se ne scelgano alcuni piuttosto di altri. Per
esso, infatti, ogni scelta degli assiomi è arbitraria, perciò esso non è in
grado di offrire alcun criterio per la scelta degli assiomi.
4. L’implicazionismo sostiene che il fatto che gli assiomi
potrebbero rivelarsi incoerenti è un rischio che dobbiamo correre senza
prendere particolari precauzioni. Ma, salvo pochi sconsiderati, i più non
affrontano i rischi della vita e della scienza senza prendere precauzioni.
Secondo l’implicazionismo, un matematico dovrebbe scegliere in modo
arbitrario degli assiomi e trarre conseguenze logiche da essi, solo per
scoprire alla fine della propria vita di averla sprecata impegnandosi in
un’attività insensata, perché gli assiomi erano incoerenti e tutti i teoremi
che egli ha così faticosamente dimostrato sono assurdi. Ma nessun
matematico accetterebbe programmaticamente di sprecare la propria
vita in questo modo.
5. L’implicazionismo trascura che il fatto che gli assiomi
potrebbero risultare incoerenti contraddice la sua assunzione che la
matematica consti di asserzioni della forma A → B tali che B è una
conseguenza logica di A. Infatti, se gli assiomi A fossero incoerenti,
esisterebbero asserzioni C tali che sia C sia ¬C sarebbero una
conseguenza logica di A, perciò sia A → C sia A → ¬C farebbero
parte della matematica, e quindi anche A → ¬A . Ma questo è
impossibile perché ¬A non è una conseguenza logica di A e, per
l’implicazionismo, della matematica fanno parte solo le asserzioni della
forma A → B tali che B è una conseguenza logica di A. Per assicurarsi
che non si presenti una situazione del genere si dovrebbe dimostrare che
gli assiomi A sono coerenti, dunque che l’asserzione Con A che esprime
canonicamente la coerenza di A è una conseguenza logica di un certo
insieme di assiomi D. Ma il problema si riproporrebbe per D, e così via
all’infinito. E il rimando all’infinito non può essere evitato a causa del
secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4, V.4.9].
6. L’implicazionismo non sa spiegare perché, tra le infinite
conseguenze logiche degli assiomi adottati, si scelga di trarne alcune
piuttosto di altre. Per esempio, se A → B appartiene alla matematica,
ad essa apparterrà anche A → (C → B ) per un’asserzione qualsiasi C.
Ma nessun matematico, dopo aver dedotto dagli assiomi della
geometria di Hilbert il teorema di Pitagora PT, ne trarrerrebe come
ulteriore conseguenza logica 0 = 0 → PT . E l’implicazionismo non è
in grado di spiegare perché non dovrebbe farlo, dal momento che non
fornisce alcun criterio su quali conseguenze logiche trarre e quali no.
2.4. Strutturalismo
70
Lo strutturalismo sostiene che la matematica è lo studio deduttivo delle
strutture. Una struttura è ciò che si ottiene da una collezione di oggetti
considerando solo le relazioni tra gli oggetti, quindi ignorando ogni loro
carattere che non incida sul modo in cui essi stanno in relazione con gli
altri oggetti. Uno studio deduttivo delle strutture consiste nel formulare
assiomi per una struttura e nel dedurre conseguenze logiche da essi.
Lo strutturalismo è stato sostenuto negli ultimi decenni del
Novecento soprattutto da Shapiro e, in una forma un po’ differente, da
Resnik, ma si basa su idee di Bourbaki e in parte già di Dedekind.
Secondo Shapiro, «la matematica è lo studio delle strutture»40. Una
struttura può essere definita «come la forma astratta di un sistema, che
evidenzia le interrelazioni tra gli oggetti e ignora ogni loro carattere che
non incida su come essi stanno in relazione con altri oggetti nel
sistema»41. Per esempio, nel caso della «struttura dei numeri naturali»,
l’unica cosa «che importa sui numeri naturali è la relazione in cui
stanno l’uno con l’altro»42. Una struttura si ottiene «attraverso un
processo di astrazione. Si osservano parecchi sistemi con quella
struttura, e si focalizza l’attenzione sulle relazioni tra gli oggetti,
ignorando quei caratteri degli oggetti che non sono rilevanti per tali
relazioni»43. Più precisamente, «la matematica (pura) è lo studio
deduttivo delle strutture in quanto tale»44.
Lo strutturalismo ha un certo numero di difetti che lo rendono
inadeguato.
1. Lo strutturalismo afferma che la matematica è lo studio
deduttivo delle strutture. Ma questo è in contrasto col fatto che il lavoro
in vari campi della matematica, come quelli della teoria dei numeri e
della teoria delle equazioni differenziali parziali, non consiste nel
formulare assiomi per una struttura e dedurre conseguenze logiche da
essi. Per esempio, non è di questo tipo il lavoro riguardante questioni
come la distribuzione dei numeri primi o la trascendenza di π o di e .
2. Lo strutturalismo scambia per reale natura della matematica
quella che è solo una caratteristica del tipo di matematica che è stata
fatta da una certa scuola, la scuola di Göttingen, la quale, attraverso
l’opera di Van der Waerden, Moderne Algebra, influenzò anche
Bourbaki. Per la sua astrattezza e mancanza di contatto con la realtà,
negli ultimi decenni questo tipo di matematica ha attraversato una crisi
40
Shapiro 2000, p. 257.
Ivi, p. 259.
42
Shapiro 2004, p. 32.
43
Shapiro 2000, p. 259.
44
Ibid.
41
71
profonda, tanto che il 28 Aprile 1998 il quotidiano francese Liberation
pubblicò un articolo dal titolo ‘Bourbaki è morto, QED’.
3. Lo strutturalismo ha avuto effetti negativi sullo sviluppo della
matematica, perché ha portato a trascurare intere sue parti e a
considerarla come un’attività autoreferenziale, separata dalla realtà
fisica. Addirittura Dieudonné, uno dei più significativi rappresentanti
del Bourbaki, rivendica che, «tra tutti i sorprendenti progressi» della
matematica recente, «neppure uno, con la possibile eccezione della
teoria della distribuzione, ha avuto nulla a che fare con le applicazioni
fisiche: e persino nella teoria delle equazioni differenziali parziali,
l’accento viene posto oggi molto di più su problemi strutturali ‘interni’
che su questioni aventi un significato fisico diretto»45.
4. Lo strutturalismo è incapace di dare un concetto di struttura
primitivo, non definito in termini di quello di insieme.
Shapiro definisce una struttura come ciò che si ottiene per
astrazione da più sistemi considerando le relazioni tra gli oggetti che
essi hanno in comune, dove un sistema è un insieme di oggetti con certe
relazioni tra loro. Dunque definisce il concetto di struttura in termini di
quello di insieme.
Lo stesso fa Bourbaki, il quale afferma che, esaminando l’insieme
dei numeri reali con l’addizione, l’insieme dei numeri interi con la
moltiplicazione modulo un numero primo, e l’insieme delle traslazioni
nello spazio euclideo tridimensionale con la composizione delle
traslazioni, si vede che in essi a due elementi dell’insieme si fa
corrispondere «un terzo elemento ben determinato», ed esaminando «le
proprietà di questa ‘operazione’ in ciascuno» di essi, «si constata che
esse presentano un notevole parallelismo», e un’analisi «porta a
disimpegnare un piccolo numero di esse», cioè l’associatività,
l’esistenza di un elemento neutro e l’esistenza di un elemento inverso, e
a constatare che tutte le altre proprietà dell’operazione in questione
«sono conseguenze delle tre precedenti»46. Una «struttura di gruppo» è
allora un insieme su cui è definita un’operazione «che soddisfa le tre
proprietà» precedenti; tali tre proprietà «si dicono gli assiomi delle
strutture di gruppo, e derivarne le conseguenza è fare la teoria
assiomatica dei gruppi»47.
Ma se si definisce il concetto di struttura in termini di quello di
insieme, allora il concetto di insieme è primitivo e quello di struttura è
definito. Dunque la matematica non è lo studio delle strutture bensì lo
45
Dieudonné 1964, p. 248.
Bourbaki 1962, pp. 38-39.
47
Ivi, p. 40.
46
72
studio delle relazioni che gli oggetti appartenenti a certi insiemi hanno
in comune.
Per evitare questa difficoltà Shapiro formula una teoria
assiomatica delle strutture che dovrebbe essere indipendente dalla teoria
degli insiemi. Ma essa è del tutto simile alla teoria degli insiemi, e non
chiarisce alcuna questione né risolve alcun problema lasciato aperto da
quest’ultima. Lo stesso Shapiro ammette che «la gerarchia degli insiemi
e il regno delle strutture sono poco più che varianti notazionali l’uno
dell’altra»48. Perciò «tutto ciò che può essere detto di uno dei due
ambiti può essere trasferito all’altro»49. Ma allora il concetto di
struttura non è indipendente da quello di insieme.
5. Lo strutturalismo è incapace di dire sotto quali condizioni una
struttura esiste.
Secondo lo strutturalismo, la matematica è lo studio deduttivo
delle strutture in quanto consiste nel formulare assiomi per una struttura
e nel dedurne le conseguenze logiche. Ma sotto quali condizione gli
assiomi sono non vuoti, cioè esiste una struttura che li soddisfa? Per
Shapiro, la condizione è che gli assiomi siano «un gruppo di enunciati
coerente»50.
Ma Shapiro non può intendere ‘coerente’ nel senso della nozione
sintattica di coerenza (‘Dagli assiomi non sono deducibili
contraddizioni’). Infatti, una deduzione è una successione di stringhe di
simboli, e la struttura delle stringhe di simboli è isomorfa alla struttura
dei numeri naturali, perciò la coerenza nel senso della nozione sintattica
di coerenza è un fatto relativo alla struttura dei numeri naturali. Ma
allora, dire che la struttura dei numeri naturali esiste sotto la condizione
che dagli assiomi dell’aritmetica di Peano del secondo ordine PA 2 non
siano deducibili contraddizioni, equivarrebbe a dire che la struttura dei
numeri naturali esiste sotto la condizione che la struttura dei numeri
naturali esista, il che darebbe luogo ad un circolo.
Né Shapiro può intendere ‘coerente’ nel senso della nozione
semantica di coerenza (‘Gli assiomi hanno un modello’). Infatti, dire
che una struttura che soddisfa gli assiomi esiste sotto la condizione che
gli assiomi siano coerenti nel senso della nozione semantica di
coerenza, equivarrebbe a dire che una struttura che soddisfa gli assiomi
esiste sotto la condizione che una struttura che soddisfa gli assiomi
esista, il che di nuovo darebbe luogo ad un circolo.
48
Shapiro 2004, p. 20.
Shapiro 1997, p. 370.
50
Shapiro 2000, p. 286.
49
73
Shapiro afferma che questo circolo «può non essere vizioso, e
forse possiamo convivere con esso»51. Infatti, nella matematica la teoria
degli insiemi «è la corte di appello finale per le questioni di esistenza. I
dubbi sul fatto se un certo tipo di oggetto matematico esista vengono
risolti mostrando che gli oggetti di questo tipo possono essere trovati o
modellati nella gerarchia degli insiemi», e questa «è così grande che
pressoché qualsiasi struttura può essere modellata o esemplificata in
essa»52. Ciò «è in armonia con lo strutturalismo», secondo cui
«‘modellare’ una struttura significa trovare un sistema che la
esemplifica. Se una struttura è esemplificata da un sistema, allora
sicuramente l’assiomatizzazione è coerente e la struttura è possibile», e
quindi per lo strutturalista «essa esiste»53. Dunque, secondo Shapiro,
una struttura che soddisfa gli assiomi esiste sotto la condizione che essa
possa essere modellata nella gerarchia degli insiemi, e quindi che la sua
esistenza possa essere dimostrata nella teoria degli insiemi.
Ma questo fa nascere il problema: che cosa ci fa pensare che la
teoria degli insiemi sia coerente? Secondo Shapiro, anche se «non
possiamo giustificare la coerenza della teoria degli insiemi
modellandola nella gerarchia degli insiemi» perché il «circolo sarebbe
troppo sfacciato», nondimeno «la coerenza della teoria degli insiemi è
presupposta da molta dell’attività fondazionale della matematica
contemporanea. A ragione o a torto, la matematica presuppone che la
soddisfacibilità (nella gerarchia degli insiemi) sia sufficiente per
l’esistenza», e «gli strutturalisti accettano questo presupposto e ne
fanno uso come chiunque altro, e non sono in una posizione migliore (e
neppure peggiore) per giustificarlo»54.
Ma l’argomento di Shapiro che dobbiamo accettare la coerenza
della teoria degli insiemi in quanto è presupposta da molta dell’attività
fondazionale della matematica contemporanea è simile all’argomento
che noi dobbiamo accettare l’esistenza di Dio perché è presupposta
dall’esistenza del mondo, ed è altrettanto infondato perché comporta un
circolo.
6. Lo strutturalismo è incapace di specificare un’unica struttura
come l’oggetto dell’aritmetica.
Secondo lo strutturalismo, bisogna distinguere tra due tipi di
teorie, quelle come l’aritmetica, la teoria degli insiemi o la geometria
51
Ivi, p. 288.
Ibid.
53
Ibid.
54
Ivi, pp. 288-289.
52
74
euclidea, che hanno per oggetto un’unica struttura, e quelle come la
teoria dei gruppi, che non hanno per oggetto un’unica struttura.
Per esempio, Bourbaki afferma che bisogna distinguere tra le
«teorie univalenti, cioè tali che il sistema globale dei loro assiomi le
determina completamente», come le assiomatizzazioni «dell’aritmetica
di Dedekind e Peano, della geometria euclidea di Hilbert», e le teorie
non univalenti, cioè tali che il sistema globale dei loro assiomi non le
determina completamente, come «la teoria dei gruppi»55.
Specificamente, l’affermazione che l’aritmetica abbia come
oggetto un’unica struttura si basa sul fatto che l’aritmetica di Peano del
secondo ordine PA 2 è categorica perché, per il teorema di categoricità
di PA 2 [V.7.4], tutti i modelli di PA 2 sono isomorfi a N 2 , e quindi
sono isomorfi tra loro. Ma questo non giustifica tale affermazione.
Infatti, innanzitutto PA 2 ha modelli non standard, cioè modelli
deboli non isomorfi a N 2 [V.7.9].
In secondo luogo, PA 2 è categorica solo relativamente ad un dato
modello della teoria degli insiemi. Cioè, non tutti i modelli di PA 2
sono isomorfi, ma solo quelli appartenenti ad uno stesso modello della
teoria degli insiemi. Infatti, per dimostrare che tutti i modelli di PA 2
2
sono isomorfi a N 2 , dato un modello qualsiasi M di PA si definisce
induttivamente una funzione h e si dimostra che h è un isomorfismo di
N 2 su M. Per dimostrarlo si fa uso del fatto che l’assioma di induzione
del secondo ordine di PA 2 è vero in M [V.7.4]. Dunque si assume che
tale assioma sia vero quando il dominio delle relazioni unarie di M è
P ( ` ) , l’insieme di tutti i sottoinsiemi di ` . Ma l’insieme P ( ` ) in un
dato modello della teoria degli insiemi è diverso dall’insieme P ( ` ) in
un altro modello della teoria degli insiemi. Questo implica che non tutti
i modelli di PA
2
sono isomorfi, ma solo quelli appartenenti ad uno
2
stesso modello della teoria degli insiemi, dunque PA è categorica solo
relativamente ad un dato modello della teoria degli insiemi.
In terzo luogo, modelli isomorfi tra loro non sono realmente la
stessa struttura. Secondo Shapiro, «poiché modelli isomorfi sono
equivalenti,
le
proprietà
rilevanti
di
ogni
modello
dell’assiomatizzazione sono le stesse, e perciò, in un certo senso, ogni
modello va altrettanto bene di qualsiasi altro. Possiamo studiare la
struttura studiando una sua esemplificazione»56. Dunque, tutto ciò che
55
56
Bourbaki 1962, p. 45.
Shapiro 2004, p. 32.
75
possiamo sapere sulla struttura dei numeri naturali, possiamo saperlo
considerando una qualsiasi sua esemplificazione.
Ora, la definizione dei numeri naturali di Zermelo, che identifica i
numeri naturali 0,
1, 2,
3, …
con
gli insiemi
∅, {∅}, {{∅}}, {{∅}} ,… , e la definizione di von Neumann, che li
{
}
{
}
identifica con gli insiemi ∅, {∅}, {∅, {∅}}, ∅, {∅}, {∅, {∅}} ,… ,
forniscono due differenti esemplificazioni della struttura dei numeri
naturali. Perciò, in base a quanto afferma Shapiro, tutto ciò che
possiamo sapere sulla struttura dei numeri naturali considerando una di
queste due esemplificazioni possiamo saperlo considerando l’altra.
Ma, come abbiamo visto, Shapiro definisce una struttura come la
forma astratta di un sistema, che evidenzia le interrelazioni tra gli
oggetti e ignora ogni loro carattere che non incida su come essi stanno
in relazione con gli altri. Per esempio, nel caso della struttura dei
numeri naturali, l’unica cosa che importa sui numeri naturali è la
relazione in cui stanno tra loro. Ma allora, nelle esemplificazioni della
struttura dei numeri naturali di Zermelo e von Neumann in cui i numeri
naturali sono identificati con degli insiemi, l’unica cosa che importa sui
numeri naturali è la relazione di appartenenza, perché questa è la
relazione in cui i numeri naturali stanno tra loro in tali esemplificazioni.
Ma la relazione di appartenenza ha proprietà differenti nelle due
esemplificazioni in questione, perché nell’esemplificazione di von
Neumann si ha che 1 ∈ 3 dal momento che {∅}∈ ∅, {∅}, {∅, {∅}} ,
{
}
mentre nell’esemplificazione di Zermelo si ha che 1 ∉ 3 dal momento
che {∅}∉ {{∅}} .
{
}
Questo pone di fronte all’alternativa: o (i) rinunciare ad affermare
2
che ogni modello di PA va altrettanto bene di qualsiasi altro; oppure
(ii) ammettere che le definizioni dei numeri naturali di Zermelo e von
Neumann non possono considerarsi entrambe esemplificazioni della
struttura dei numeri naturali. Ma (i) segnerebbe la fine dello
strutturalismo, perché contraddirebbe il suo assunto fondamentale che
possiamo studiare la struttura dei numeri naturali studiando una
qualsiasi sua esemplificazione. E (ii) farebbe nascere il problema:
Quale tra le definizioni dei numeri naturali di Zermelo e von Neumann
può considerarsi una esemplificazione della struttura dei numeri
naturali? O nessuna delle due? A queste domande lo strutturalismo non
sa dare una risposta.
Se ne conclude che modelli isomorfi tra loro non sono realmente la
stessa struttura.
7. Lo strutturalismo è incapace di specificare un’unica struttura
come l’oggetto della teoria degli insiemi.
76
Infatti, la teoria degli insiemi del secondo ordine di ZermeloFraenkel più assioma di scelta ZFC2 non è categorica. Ciò segue dal
fatto che, come è facile verificare, Vα è un modello di ZFC2 se e solo
se α è un cardinale inaccessibile. Perciò, se κ e κ ' sono cardinali
inaccessibili con κ ≠ κ ' , Vκ e Vκ ' saranno entrambi modelli di ZFC2
pur non essendo isomorfi tra loro.
2.5. Finzionalismo
Il finzionalismo sostiene che gli oggetti matematici sono finzioni nello
stesso senso in cui lo sono i personaggi di un romanzo, e che le
proposizioni matematiche sono vere nello stesso senso in cui lo sono
quelle di un romanzo. Nondimeno la matematica è utile perché permette
di derivare conclusioni sul mondo fisico molto più facilmente di quanto
si potrebbe farlo senza il suo aiuto.
Poiché gli oggetti matematici sono finzioni, sarebbe molto strano
se la matematica, da sola, permettesse di dimostrare fatti sul mondo
fisico. Per essere sicuri che ciò non accada, si deve dimostrare che la
matematica è conservativa rispetto alla scienza fisica, cioè che tutte le
conclusioni sul mondo fisico che possono ottenersi usando la
matematica potrebbero ottenersi, sebbene in modo più prolisso, senza
far uso di essa, e quindi senza fare alcun riferimento ad enti matematici.
Questo può essere effettivamente dimostrato, perché esistono alcune
strategie abbastanza generali che possono essere usate per depurare le
teorie fisiche di ogni riferimento ad enti matematici. L’esempio
paradigmatico è costituito da una versione riscritta dei postulati della
fisica newtoniana in cui le variabili variano su punti spazio-temporali e
su regioni spazio-temporali, che sono oggetti concreti, e quindi non
sono oggetti matematici.
Il finzionalismo è stato sostenuto da Field, ma le sue principali
idee risalgono a Vaihinger.
Secondo Field (1946–), nella matematica «abbiamo una buona
storia sui numeri naturali, un’altra buona storia sugli insiemi, e così
via»57. Una proposizione come «‘2+2=4’ è vera all’incirca nello stesso
senso in cui la proposizione ‘Oliver Twist abitava a Londra’ è vera:
quest’ultima è vera solo nel senso che è vera secondo una certa storia
ben nota, e la prima è vera solo in quanto è vera secondo la matematica
standard»58. Perciò credere che 2+2=4 significa credere che «la
57
58
Field 1989, p. 22.
Ivi, p. 3.
77
matematica standard dice che (o ha come conseguenza che) 2+2=4»59.
Ma sebbene gli oggetti matematici siano solo finzioni e le asserzioni
matematiche siano vere solo di finzioni, la matematica è utile, perché
«noi possiamo usare» la teoria matematica «come mezzo per trarre
conclusioni» sul mondo fisico «molto più facilmente di quanto
potremmo trarle per mezzo di una dimostrazione diretta»60.
Poiché gli oggetti matematici sono finzioni, «sarebbe
estremamente sorprendente se si scoprisse che la matematica standard
implica che nell’universo esistono almeno 106 oggetti non matematici,
o che la Comune di Parigi venne sconfitta»61. Per essere sicuri che ciò
non accada, si deve dimostrare che la matematica è conservativa
rispetto alla scienza fisica, cioè che «le conclusioni a cui arriviamo»
aggiungendo la teoria matematica ai postulati di una teoria fisica non
contenente riferimenti ad enti matematici, «non sono genuinamente
nuovi, sono già derivabili in modo più prolisso» dai postulati della
teoria fisica «senza far ricorso ad enti matematici»62. Se si riuscisse a
dimostrarlo, si sarebbe sicuri che ogni deduzione «che può essere fatta
con l’aiuto della matematica potrebbe essere fatta (di solito in modo più
prolisso) senza di essa»63. Si potrebbe allora asserire che «dopo tutto la
matematica non è realmente indispensabile»64. E si sarebbe «liberi di
usare qualsivoglia matematica per dedurre conseguenze», essendo
dispensabile «la matematica che si usa»65.
Questo può essere effettivamente dimostrato, perché «esistono
alcune strategie abbastanza generali che possono essere usate per
depurare le teorie» fisiche «di ogni riferimento ad enti matematici»66.
L’esempio paradigmatico è costituito da «una versione riscritta della
fisica newtoniana» in cui le variabili variano su oggetti concreti, che
equivale a «formularla senza enti matematici»67.
Il finzionalismo ha un certo numero di difetti che lo rendono
inadeguato.
1. Il finzionalismo considera esempio paradigmatico di
depurazione di una teoria fisica da ogni riferimento ad oggetti
matematici una versione riscritta dei postulati della fisica newtoniana in
59
Ivi, p. 3.
Field 1980, p. 28.
61
Ivi, p. 13.
62
Ivi, pp. 10-11.
63
Ivi, p. X.
64
Field 1989, p. 26.
65
Field 1980, p. 14.
66
Field 1989, p. 18.
67
Ivi, p. 18, nota 11.
60
78
cui le variabili variano su punti spazio-temporali e su regioni spaziotemporali, che sono oggetti concreti e quindi non sono oggetti
matematici. Ma, per effettuare tale riscrittura, esso è costretto ad
attribuire ai punti e alle regioni spazio-temporali proprietà che non
appartengono ad oggetti concreti. Per esempio, è costretto ad assumere
che un punto non può essere mosso, scomposto o distrutto, che non ha
massa né estensione, che la sua esistenza non è contingente, addirittura
che non ha un luogo ma è esso stesso un luogo. Ma così tratta i punti
come oggetti matematici piuttosto che come oggetti concreti. Pertanto,
mentre pretende di eliminare gli oggetti matematici, in realtà il
finzionalismo introduce i punti e le regioni spazio-temporali come
oggetti dotati di proprietà da oggetti matematici piuttosto che come
oggetti concreti.
Questo trova conferma nel fatto che la versione riscritta dei
postulati della fisica newtoniana implica che esiste una corrispondenza
biunivoca tra i punti dello spazio-tempo e le quadruple di numeri reali,
4
. Perciò lo spazio ha la
cioè che lo spazio-tempo è isomorfo a
grandezza dell’insieme-potenza del continuo, ed esistono tanti oggetti
fisici quanti sono gli elementi del continuo. Dunque la versione riscritta
dei postulati della fisica newtoniana semplicemente sostituisce i numeri
reali con i punti dello spazio-tempo, e quindi non depura la fisica
newtoniana di ogni riferimento ad oggetti matematici ma incorpora la
matematica nella teoria dello spazio-tempo.
Secondo il finzionalismo, l’obiezione contro l’uso dei numeri reali
non è dovuta «alla loro cardinalità o alle assunzioni strutturali che
tipicamente vengono fatte su di essi (per esempio, la completezza di
Cauchy)» ma «alla loro astrattezza»68. Perciò «postulare un’infinità non
numerabile di enti fisici» non costituisce una difficoltà, né la costituisce
postulare «che questi enti fisici obbediscano ad assunzioni strutturali
analoghe a quelle che i platonisti postulano per i numeri reali»69. Ma
così il finzionalismo ammette che la sua mossa è solo un trucco. Esso
chiama enti fisici quelli che in realtà sono enti matematici, e perciò non
risolve il problema di evitare enti astratti.
Questo vale in generale per tutto il programma del finzionalismo
di depurare le teorie fisiche di ogni riferimento ad enti matematici. La
questione è dove si fissa il confine tra l’astratto e il fisico. Se, come nel
caso della versione riscritta dei postulati della fisica newtoniana, lo si
fissa in modo che il fisico comprenda l’astratto, allora il problema
diventa banalmente solubile, ma la sua soluzione non dimostra affatto
68
69
Field 1980, p. 31.
Ibid.
79
che si può depurare qualsiasi teoria fisica di ogni riferimento ad enti
matematici, perché in tal caso gli enti fisici sono stati introdotti
semplicemente come enti matematici.
2. Il finzionalismo afferma che si può dimostrare che la
matematica è conservativa rispetto alla scienza fisica, ma questo è
insostenibile.
Infatti, il programma del finzionalismo di depurare qualsiasi teoria
fisica di ogni riferimento ad enti matematici è strutturalmente simile al
programma della conservazione di Hilbert [II.2.4]. Se F è la matematica
finitaria e I è la matematica infinitaria, il programma della
conservazione di Hilbert richiede di mostrare che, se un’asserzione A di
F è dimostrabile in F + I , allora A è dimostrabile già in F 70.
Similmente, se N è una teoria fisica priva di ogni riferimento ad enti
matematici e M è la teoria matematica che si aggiunge ad N, il
programma del finzionalismo richiede di mostrare che, se un’asserzione
A di N è dimostrabile in N + M , allora A è dimostrabile già in N.
Inoltre, come nel programma della conservazione l’uso di I permette di
dimostrare A in modo meno prolisso che mediante l’uso di F soltanto,
così nel programma del finzionalismo l’uso di M permette di dimostrare
A in modo meno prolisso che mediante l’uso di N soltanto.
Data la somiglianza strutturale del programma del finzionalismo
col programma della conservazione di Hilbert, c’è da aspettarsi che,
come quest’ultimo non è realizzabile, così anche il programma del
finzionalismo non sia realizzabile. In effetti è così perché, come ha
sottolineato Shapiro, la classe dei punti dello spazio-tempo del
4
», perciò «si possono modellare i
finzionalismo «è isomorfa a
numeri naturali nello spazio tempo, e in effetti, si può fare l’aritmetica
in N. Per dirla in un altro modo, la struttura dei numeri naturali è
esemplificata nell’universo dello spazio-tempo»71. Ma allora si può
mostrare che esiste un enunciato A espresso nel linguaggio di N che è
dimostrabile in N + M ma non in N, perché A «è vero in tutti i modelli
di N ma non è deducibile in N»72. Perciò, se la teoria N è una
descrizione accurata dello spazio-tempo, allora A è vero nello spaziotempo, e quindi è un’asserzione rilevante dal punto di vista del
finzionalismo. L’esistenza di tale enunciato A permette di confutare
«nel modo filosoficamente rilevante» l’argomento del finzionalismo
«della conservatività della matematica rispetto alla fisica»73.
70
In realtà Hilbert assume che F ⊂ I , perciò F + I = I .
Shapiro 1983, p. 526.
72
Ibid.
73
Ivi, p. 528.
71
80
3. Il fatto che, come abbiamo appena visto, la matematica M non è
conservativa rispetto alla fisica N, rende necessario assicurarsi che l’uso
della matematica M nella fisica N non porti a conclusioni false sul
mondo fisico a causa dell’eventuale incoerenza di M, cioè rende
necessario garantire che M sia coerente. Ma, per il secondo teorema di
incompletezza di Gödel [V.4.4, V.4.9], non esiste alcun modo
affidabile di farlo.
2.6. Internalismo
Secondo l’internalismo, la matematica deve essere intesa e valutata nei
propri termini, perciò ci si deve astenere dal criticarla o difenderla da un
punto di vista extra-matematico. Essa non deve rispondere ad alcun
tribunale extra-matematico, e non ha bisogno di alcuna giustificazione
oltre la dimostrazione e il metodo assiomatico. Sono questi metodi,
infatti, che hanno portato ai notevoli successi della matematica, ed essi
poggiano solo su due sostegni, la logica deduttiva e gli assiomi della
teoria degli insiemi.
Ora, la logica deduttiva è un processo inferenziale affidabile, e
perciò non richiede ulteriori giustificazioni. Gli assiomi della teoria
degli insiemi, invece, richiedono una giustificazione. Questa deve
essere data in base a due principi, il principio di massimizzazione (‘Gli
assiomi insiemistici a partire dai quali si dimostrano i teoremi
matematici devono essere quanto più potenti e fruttuosi è possibile’), e
il principio di unificazione (‘Si deve mirare ad un’unica teoria degli
insiemi fondamentale’). Il principio di massimizzazione risponde
all’esigenza dei matematici di essere liberi di indagare qualunque cosa
attiri il loro interesse. Il principio di unificazione risponde all’esigenza
di avere un singolo sistema in cui tutti gli oggetti e le strutture della
matematica possano essere modellati o esemplificati.
L’internalismo è stato sostenuto da Maddy, ma posizioni simili
sono state espresse da vari matematici.
Secondo Maddy, la matematica «deve essere intesa e valutata nei
propri termini», perciò ci si deve astenere dal criticarla o difenderla «da
un punto di vista extra-matematico»74. Infatti «non esiste alcuna base
indipendente per pronunciarsi contro una conclusione dell’intera
comunità»75. Ciò che la comunità matematica fa «non deve essere
soggetto a critiche, e non ha bisogno di appoggio da alcun punto di
vista esterno, presunto superiore»76. La matematica «non deve
74
Maddy 1997, p. 201.
Ivi, p. 198.
76
Ivi, p. 184.
75
81
rispondere ad alcun tribunale extra-matematico, e non ha bisogno di
alcuna giustificazione» oltre i metodi su cui essa si basa, cioè «la
dimostrazione e il metodo assiomatico»77. In particolare, essa è
«indipendente sia dalla filosofia prima sia dalla scienza naturale»78.
Perciò, «se la nostra spiegazione filosofica della matematica entra in
conflitto con la pratica matematica che ha successo, è la filosofia che
deve cedere»79. Lo stesso vale per la scienza naturale, perché anche
quello della «scienza è un punto di vista extra-matematico»80.
Che la matematica non abbia bisogno di alcuna giustificazione
oltre i metodi su cui essa si basa, cioè la dimostrazione e il metodo
assiomatico, dipende dal fatto che «sono quei metodi – i reali metodi
della matematica» – che hanno «portato ai notevoli successi della
matematica moderna»81. Tali metodi poggiano «su due sostegni:
l’inesorabile logica deduttiva, la sostanza della dimostrazione, e gli
assiomi della teoria degli insiemi»82. La deduzione «è un processo
inferenziale affidabile»83. Perciò non richiede ulteriori giustificazioni.
Invece gli assiomi della teoria degli insiemi richiedono una
giustificazione, e questa deve essere data basandosi su due principi, il
principio di massimizzazione e il principio di unificazione.
Il principio di massimizzazione afferma che «gli assiomi
insiemistici a partire dai quali si devono dimostrare i teoremi
matematici devono essere quanto più potenti e fruttuosi è possibile»84.
Ciò risponde all’esigenza che «i matematici debbano essere liberi di
indagare ogni oggetto, struttura e teoria che catturi il loro interesse
matematico»85. Il principio di unificazione afferma che «si deve mirare
ad un’unica teoria degli insiemi fondamentale» perché, se «alla
matematica deve essere consentito di svilupparsi liberamente in questo
modo e la teoria degli insiemi deve svolgere lo sperato ruolo
fondazionale, allora la teoria degli insiemi non deve imporre alcuna
limitazione»86. Ciò risponde all’esigenza «di fornire un singolo sistema
77
Ivi, p. 184.
Ibid.
79
Ivi, p. 161.
80
Ivi, p. 201.
81
Ibid.
82
Ivi, p. 1.
83
Maddy 1984, p. 49.
84
Maddy 1997, p. 211.
85
Ivi, p. 210.
86
Ivi, p. 209.
78
82
in cui tutti gli oggetti e le strutture della matematica possano essere
modellati o esemplificati»87.
L’internalismo ha un certo numero di difetti che lo rendono
inadeguato.
1. L’internalismo sostiene che la matematica deve essere intesa e
valutata nei propri termini, perciò ci si deve astenere dal criticarla o
difenderla da un punto di vista extra-matematico. Non vi è spazio per
una critica degli scopi che la comunità matematica si pone fatta
dall’esterno. L’unico criterio di validità è ciò su cui la comunità
matematica raggiunge il sonsenso. La comunità matematica è dunque
una corporazione autarchica, che si dà norme che ne regolano il
consenso ed è impervia alle critiche dall’esterno.
Ma ciò contrasta col fatto che tra i matematici sorgono spesso
divergenze circa le assunzioni fondamentali della loro disciplina, la
direzione in cui svilupparla, i suoi scopi fondamentali, i criteri per
giudicare l’importanza del lavoro compiuto nelle sue varie aree. Un
esempio limite di ciò è l’esistenza di due matematiche alternative, la
matematica classica e la matematica intuizionista, che non sono
confrontabili tra loro [II.3.9]. In base a quale criterio interno la
comunità matematica potrebbe arrivare a decidere quale di questi due
tipi di matematica è quella genuina? In realtà l’elemento decisivo è
costituito da fattori extra-matematici, come il fatto che la matematica
intuizionista non è in grado di trattare funzioni che sono importanti per
la fisica.
Inoltre, contrasta col fatto che molti problemi matematici hanno
origini extra-matematiche, molte teorie matematiche rispondono ad
esigenze extra-matematiche, e molti criteri di valutazione delle teorie
matematiche riguardano la loro capacità di rispondere alle esigenze
extra-matematiche da cui hanno tratto origine.
L’affermazione che la matematica debba essere intesa e valutata
nei propri termini viene portata alle estreme conseguenze e ridotta
all’assurdo da Maddy quando afferma che, se «i matematici decidessero
di rifiutare la vecchia massima contro l’incoerenza – così che si
potrebbero accettare sia ‘ 2 + 2 = 4 ‘ sia ‘ 2 + 2 = 5 ‘ – in base alla
considerazione che ciò avrebbe un beneficio sociologico per l’autostima
degli scolari», allora, anche se «questa potrebbe sembrare una sfacciata
invasione di considerazioni non matematiche nella matematica»,
tuttavia, «se i matematici insistessero che non è così, che essi
perseguono uno scopo matematico legittimo, che tale scopo sopravanza
i vari scopi tradizionali», non vi sarebbe alcuna «ragione di
87
Ivi, pp. 208-209.
83
protestare»88. Ma così la decisione dei matematici sarebbe determinata
non da uno scopo matematico bensì da uno scopo extra-matematico.
Maddy distingue tra il caso in cui i principi matematici vengano
criticati o difesi dai matematici da un punto di vista extra-matematico,
che Maddy considera perfettamente legittimo, e il caso in cui essi
vengano criticati o difesi dai filosofi o dagli scienziati naturali di nuovo
da un punto di vista extra-matematico, che invece considera illegittimo.
Ma tale distinzione è immotivata.
2. L’internalismo sostiene che la matematica non deve rispondere
ad alcun tribunale extra-matematico e non ha bisogno di alcuna
giustificazione oltre la dimostrazione e il metodo assiomatico. Ma in
virtù di che cosa la matematica può ricevere un tale trattamento
speciale? Nello stesso modo si potrebbe dire che l’astrologia non deve
rispondere ad alcun tribunale extra-astrologico e non ha bisogno di
alcuna giustificazione oltre gli almanacchi e i manuali astrologici.
A questa obiezione Maddy risponde che «vi sono buone ragioni»
per «trattare la matematica diversamente da altre discipline non
scientifiche»89. Infatti, «il dominio della scienza comprende tutta la
realtà spazio-temporale, l’intero ordine causale», e anche l’astrologia
«pone nuovi poteri causali e fa nuove predizioni su eventi spaziotemporali», mentre «la matematica pura non ha nulla da dire su tale
dominio»90. Perciò la matematica pura è essenzialmente diversa dalla
scienza naturale, e quindi va giudicata nei propri termini. L’astrologia
fa «affermazioni scientifiche ordinarie, soggette al consueto esame
scientifico», perciò essa, «con questa interpretazione, è soggetta a
correzioni scientifiche in un modo in cui non lo è la matematica
pura»91.
Ma questa risposta è inaccettabile perché, come Maddy stessa
ammette, si potrebbe dare un’altra interpretazione in base a cui
l’astrologia tratti «di certe vibrazioni sovrannaturali che non
interagiscono causalmente con i fenomeni fisici ordinari»92. Con tale
interpretazione, l’astrologia sarebbe essenzialmente differente dalla
scienza naturale e simile alla matematica.
Per superare questa difficoltà Maddy afferma che la matematica è
essenzialmente differente dall’astrologia in quanto «è sbalorditivamente
utile, apparentemente indispensabile, per la pratica della scienza
88
Ivi, p. 198, nota.
Ivi, p. 204.
90
Ibid.
91
Ibid.
92
Ibid.
89
84
naturale, mentre l’astrologia non lo è»93. Perciò l’internalismo può
«dare una spiegazione accettabile della matematica che non ha alcun
parallelo nel caso dell’astrologia, comunque questa venga
interpretata»94.
Ma così Maddy basa la differenza tra la matematica e l’astrologia
sull’indispensabilità della matematica nella scienza fisica. Questo
contraddice la sua tesi che la matematica è indipendente dalla scienza
naturale, e non vale per tutta la matematica ma solo per le sue parti
realmente applicate o potenzialmente applicabili alla scienza naturale.
A questa obiezione Maddy risponde che, anche se ciò potrebbe
apparentemente portare a «concludere che noi abbiamo ragione di
studiare quella parte della matematica che è realmente o potenzialmente
applicata, e non che abbiamo ragione di studiare tutta la matematica
contemporanea», in realtà non è così perché la matematica è
«un’impresa unificata che noi abbiamo ragione di studiare così com’è, e
lo studio dei reali metodi della matematica, che comprende la
matematica pura, rivela rapidamente che la matematica moderna ha
anche scopi suoi propri, diversi dal suo ruolo nella scienza»95.
Ma questa non è una risposta, perché non fornisce alcuna ragione
per studiare quelle parti della matematica che non sono realmente
applicate né sono potenzialmente applicabili alla scienza naturale. Dire
che la matematica è un’impresa unificata che noi abbiamo ragione di
studiare così com’è, non mostra affatto che la matematica è
essenzialmente differente dall’astrologia.
3. L’internalismo sostiene che la giustificazione degli assiomi deve
essere data in termini del principio di massimizzazione, perché ciò
risponde all’esigenza dei matematici di essere liberi di indagare
qualunque cosa attiri il loro interesse.
In base a tale principio, Maddy afferma che si devono respingere
assiomi che impongono restrizioni sugli insiemi, come l’assioma di
costruibilità V = L che asserisce che la classe V degli insiemi dati dalla
gerarchia cumulativa [III.2.2] coincide con la classe L degli insiemi dati
dalla gerarchia degli insiemi costruibili, definita da: (i) L0 = ∅ ; (ii)
Lα +1 = D ( Lα ) per ogni ordinale α, dove D ( Lα ) è la collezione di tutti
quei sottoinsiemi di Lα che sono definibili mediante una formula del
93
Ivi, p. 204.
Ivi, p. 204-205.
95
Ivi, p. 205, nota 15.
94
85
linguaggio di ZFC i cui quantificatori sono ristretti a Lα ; (iii)
Lλ = ∪ Lα per ogni ordinale limite λ.
α <λ
Secondo Maddy, l’assioma di costruibilità « V = L va respinto
perché è restrittivo»96. Esso è «limitante, minimale, e queste cose sono
antitetiche alla nozione generale di insieme»97. Ma, come la stessa
Maddy riconosce, queste affermazioni sono in conflitto con la teoria
ZFC+‘0# esiste’, dove 0# è un certo insieme non costruibile che codifica
informazione su come L differisce da V. Tale teoria è più potente di
ZFC + V = L perché in essa si può dimostrare che esiste un insieme
non costruibile, mentre in ZFC + V = L non si può dimostrare
l’esistenza di alcun insieme non costruibile. Ma, mentre in
ZFC + V = L si può dimostrare che esistono molti ordinali non
numerabili, «nessun modello transitivo di ZFC+‘0# esiste’ può
contenere un ordinale non numerabile»98. Da questo punto di vista,
allora, l’assioma V = L non appare restrittivo.
Per superare questa difficoltà Maddy propone un criterio formale
per decidere quando una teoria è restrittiva, ma, come lei stessa
ammette, tale criterio formale «classifica come restrittive certe teorie
che non sembrano restrittive e non classifica come restrittive certe
teorie che sembrano restrittive», il che mostra che «il criterio formale
ha bisogno di essere integrato con considerazioni informali di carattere
più ampio»99. Ma questo equivale a riconoscere che il criterio formale è
inadeguato. Comunque, anche se si riuscisse a trovare una criterio
formale adeguato, esso servirebbe solo come criterio negativo per
decidere quali assiomi non aggiungere a ZFC, e non come criterio
positivo per decidere quali assiomi aggiungere a ZFC senza far
intervenire considerazioni extra-matematiche.
4. L’internalismo sostiene che la giustificazione degli assiomi deve
essere data in termini del principio di unificazione, perché ciò risponde
all’esigenza di fornire un singolo sistema in cui tutti gli oggetti e le
strutture della matematica possono essere modellati o esemplificati. In
particolare Maddy afferma che in questo modo «la piena potenza dei
principi insiemistici più basilari può essere messa in opera in problemi
prima insolubili; si possono valutare nuove congetture per la fattibilità
della dimostrazione»100.
96
Ivi, p. 232.
Ivi, p. 84.
98
Ivi, p. 214.
99
Ivi, p. 225.
100
Ivi, p. 28.
97
86
Ma Maddy non fornisce alcuna prova del fatto che problemi della
matematica ordinaria possano essere risolti per mezzo di principi
insiemistici relativi a livelli molto alti della gerarchia cumulativa. Né
fornisce alcuna prova del fatto che la varietà dei metodi di
dimostrazione adoperati nelle varie branche della matematica possa
trovare adeguati omologhi nei metodi di dimostrazione della teoria
degli insiemi. Perciò le sue affermazioni sono mere petizioni di
principio.
2.7. Costruttivismo
Il costruttivismo sostiene che la matematica in senso proprio, o
‘matematica costruttiva’, si occupa della descrizione precisa di
operazioni effettuabili finitamente che si riducono ad operazioni con i
numeri interi. La matematica costruttiva non contiene tutti i teoremi
della matematica classica ma, diversamente dalla matematica
intuizionista, non contiene nuovi oggetti, come le successioni di scelte,
che non hanno senso dal punto di vista della matematica classica. Essa è
una parte propria della matematica classica, e precisamente quella parte
che può essere sviluppata senza far uso del principio del terzo escluso
né delle leggi logiche che dipendono da esso. Perciò la matematica
costruttiva non comporta l’abbandono della matematica classica, anzi in
essa la matematica classica può essere usata come guida.
Certo, molti enunciati della matematica classica sono privi di
validità empirica, perché nella matematica costruttiva non ci interessano
proprietà degli interi positivi che non hanno alcun significato descrittivo
per esseri finiti. Così in essa, per dimostrare che esiste un numero intero
avente certe proprietà, si deve indicare come trovarlo, mentre nella
matematica classica la spiegazione di ‘esiste’ non fa riferimento ai
poteri di esseri finiti bensì a quelli di un Dio. Ma nella matematica
classica vi sono anche enunciati che hanno validità empirica. Si tratta
allora di trovare versioni costruttive degli enunciati privi di validità
empirica, onde ricavarne quell’informazione numerica che la versione
originale non fornisce.
È vero che anche gli enunciati A della matematica classica privi di
validità empirica possono conservare un valore nella matematica
costruttiva, riscrivendoli sotto forma di implicazioni della forma
TE → A , dove TE è il principio del terzo escluso. Ma la matematica
classica è inutile per le applicazioni al mondo fisico, perché le uniche
sue parti applicabili sono quelle che hanno un contenuto costruttivo.
Il costruttivismo è stato sostenuto soprattutto da Bishop, ma ad
esso hanno aderito anche da altri.
Secondo Bishop (1928-1983), la matematica propriamente detta, o
matematica costruttiva, «si occupa della descrizione precisa di
operazioni astratte effettuabili finitamente» che «si riducono ad
87
operazioni con gli interi»101. Essa non contiene tutti i teoremi della
matematica classica ma, diversamente dalla matematica intuizionista,
non contiene nuovi oggetti, come le successioni di scelte libere, che
«rendono la matematica così bizzarra che essa diventa inappetibile per i
matematici»102. Perciò la matematica costruttiva non comporta
l’abbandono della matematica classica, anzi in essa si può «usare la
matematica classica, almeno inizialmente, come guida»103.
Certo, molti enunciati della matematica classica sono «privi di
validità empirica»104. Nella matematica costruttiva «non ci interessano
proprietà degli interi positivi che non hanno alcun significato descrittivo
per l’uomo finito. Quando uno dimostra che esiste un intero positivo»
avente certe proprietà, «egli deve mostrare come trovarlo»105. Invece la
spiegazione di ‘esiste’ data dalla matematica classica richiede «la
considerazione di un essere con poteri non finiti – che lo si chiami Dio
o come altro si voglia – in aggiunta ai poteri posseduti dagli esseri
finiti»106. Ma nella matematica classica «vi sono anche enunciati
matematici di immediata validità empirica, che dicono che certe
operazioni effettuabili produrranno certi risultati osservabili»107. Si
tratta allora di cercare di trovare versioni costruttive degli enunciati che
sono privi di validità empirica, al fine di «scoprire utile e incisiva
informazione numerica»108.
È vero che gli enunciati A della matematica classica privi di
validità empirica possono conservare un valore nella matematica
costruttiva riscrivendoli nella forma TE → A , dove TE è il principio
del terzo escluso. Così «la matematica classica continuerebbe
interamente come prima tranne che ogni teorema sarebbe scritto come
un’implicazione»109. Ma la matematica classica è inutile per le
applicazioni al mondo fisico, perché «l’unica ragione per cui la
matematica è applicabile (in fisica) è il suo contenuto costruttivo
intrinseco»110.
Il costruttivismo ha un certo numero di difetti che lo rendono
inadeguato.
101
Bishop 1970, p. 53.
Bishop 1967, p. 6.
103
Bishop 1970, p. 54.
104
Bishop 1967, p. VIII.
105
Ivi, p. 2.
106
Bishop 1985, p. 9.
107
Bishop 1967, p. VIII.
108
Bishop 1970, p. 54.
109
Bishop 1975, p. 511.
110
Ivi, p. 514.
102
88
1. Il costruttivismo sostiene che nella matematica sono ammesse
solo operazioni effettuabili finitamente, dove tutte tali operazioni si
riducono ad operazioni con gli interi. Ma esso considera i numeri interi
come oggetti astratti indipendenti da noi, perché afferma che i numeri
interi sono un «costrutto matematico irriducibile», dove questa
affermazione va intesa «nello spirito di Kronecker»111. Cioè va intesa
nel senso che i numeri interi sono stati creati da Dio, e quindi non sono
un prodotto della nostra mente. Ora, dire che nella matematica sono
ammesse solo operazioni effettuabili finitamente dove tutte tali
operazioni si riducono ad operazioni con gli interi, è giustificato solo se,
come Brouwer, si assume che i numeri interi siano creazioni della
nostra mente, non se essi, come afferma il costruttivismo sono oggetti
astratti indipendenti da noi. In tal caso, infatti, come potrebbe l’uomo
finito accedere ad essi?
2. Il costruttivismo sostiene che la matematica costruttiva
differisce da quella classica perché in questa la spiegazione di ‘esiste’
non si riferisce ai poteri di un uomo finito bensì a quelli di un Dio. Ma
non è così. Nella matematica classica semplicemente si distingue il
significato di ‘esiste un intero tale che’ dal significato di ‘si può trovare
un intero tale che’. Quando si dice ‘si può trovare un intero tale che’, si
intende dire che è dato un metodo per trovare un intero siffatto, mentre
quando si dice ‘esiste un intero tale che’, non si assume che sia dato un
tale metodo. Perciò la differenza che il costruttivismo stabilisce tra gli
enunciati dotati di validità empirica e quelli che invece ne sono privi è
semplicemente una distinzione tra teoremi all’interno della matematica
classica.
3. Il costruttivismo sostiene che la matematica classica è inutile per
le applicazioni al mondo fisico, perché le uniche sue parti applicabili
sono quelle che hanno un contenuto costruttivo. Ma questa
affermazione è contraddetta dal fatto che vi sono risultati della
matematica classica che trovano applicazione nella fisica e di cui non si
conosce alcuna versione costruttiva. Per esempio, gli operatori
adoperati nella meccanica quantistica non sono costruttivi.
2.8. Congetturalismo
Il congetturalismo sostiene che la conoscenza matematica si sviluppa in
base al cosiddetto ‘metodo delle dimostrazioni e delle confutazioni’,
che consta dei seguenti quattro passi: 1) la congettura primitiva; 2) la
dimostrazione della congettura, che la scompone in sottocongetture o
lemmi; 3) l’emergere di controesempi alla congettura primitiva; 4) il
111
Bishop 1970, p. 53.
89
riesame della dimostrazione per individuare il lemma responsabile dei
controesempi, l’introduzione di tale lemma come condizione nella
congettura primitiva, e la sostituzione della congettura primitiva con la
congettura migliorata così ottenuta.
La conoscenza matematica è conoscenza di una realtà che esiste
indipendentemente da noi, la realtà matematica. Per sottolinearne
l’indipendenza da noi, si può anche dire che essa è opera di Dio e non
umana.
La conoscenza che noi abbiamo della realtà matematica è fallibile,
ma, col metodo delle dimostrazioni e delle confutazioni, la nostra
conoscenza si approssima sempre di più ad essa, e questo trasforma la
matematica da mero gioco in una seria impresa fallibilista di
approssimazione alla verità. Che la nostra conoscenza della realtà
matematica sia sempre fallibile dipende dal fatto che, poiché la realtà
matematica esiste indipendentemente da noi, la conoscenza che
possiamo averne può essere solo congetturale. Noi non sappiamo mai,
facciamo solo congetture, che possiamo criticare e migliorare, ma
l’unico modo che abbiamo di sapere se le abbiamo migliorate è
congetturarlo.
Il congetturalismo è stato sostenuto da Lakatos.
Secondo Lakatos (1922-1974), la conoscenza matematica «non
cresce attraverso un aumento monotòno del numero di teoremi
indubitabilmente stabiliti, ma attraverso l’incessante miglioramento
delle congetture mediante la speculazione e la critica», in base al
metodo «delle dimostrazioni e delle confutazioni»112. Tale metodo «è
un modello euristico molto generale di scoperta matematica»113. Esso
consta di quattro passi, cioè la congettura primitiva, la dimostrazione
della congettura, l’emergere di controesempi alla congettura primitiva e
il riesame della dimostrazione per individuare il lemma responsabile dei
controesempi. Ad essi se ne potrebbero aggiungere anche altri, ma essi
«costituiscono il nucleo essenziale dell’analisi della dimostrazione»114.
La conoscenza matematica è conoscenza di una realtà che esiste
indipendentemente da noi, la realtà matematica, perché, anche se
all’inizio i nominalisti sembrano più «vicini alla verità quando
affermano che l’unica cosa» che oggetti matematici dello stesso tipo
«hanno in comune è il loro nome», tuttavia, «dopo alcuni secoli di
dimostrazioni e confutazioni, con lo svilupparsi della teoria» relativa a
tali oggetti, «l’equilibrio cambia a favore del realista»115. Per
112
Lakatos 1976, p. 5.
Ivi, p. 127.
114
Ivi, p. 128.
115
Ivi, p. 92, nota 1.
113
90
sottolineare che la realtà matematica esiste indipendentemente da noi, si
può anche dire che «il grosso della logica e della matematica è opera di
Dio e non una convenzione umana»116.
La conoscenza che noi abbiamo della realtà matematica è fallibile,
perché si ha fallibilità «non solo nella scienza, ma anche nella
matematica e nella logica»117. Ma, col metodo delle dimostrazioni e
delle confutazioni, la nostra conoscenza della realtà matematica si
approssima sempre di più ad essa, e questo trasforma la matematica «da
mero gioco in un esercizio epistemologicamente razionale; da un
insieme di spensierate mosse scettiche cercate per divertimento
intellettuale, in una – più seria – impresa fallibilista di approssimazione
alla verità»118. Che la nostra conoscenza della realtà matematica sia
sempre fallibile dipende dal fatto che, poiché la realtà matematica esiste
indipendentemente da noi, la conoscenza che possiamo averne «può
essere solo congetturale. Noi non sappiamo mai, facciamo solo
congetture. Possiamo, è vero, trasformare le nostre congetture in
congetture criticabili, e criticarle e migliorarle»119. Perciò la «questione
centrale» è: «Come miglioriamo le nostre congetture?»120. Certo,
«l’infaticabile scettico chiederà ancora: ‘Come sai che migliori le tue
congetture?’»121. L’unica risposta possibile a questa domanda è: «‘Lo
congetturo’»122.
Il congetturalismo ha un certo numero di difetti che lo rendono
inadeguato.
1. Il congetturalismo afferma che la nostra conoscenza matematica
cresce in base al metodo delle dimostrazioni e delle confutazioni, il cui
primo passo è costituito dalla congettura primitiva. Ma esso non dice
nulla su come la si ottiene. Anzi, Lakatos dichiara che la speranza di
trovare regole in base a cui la congettura primitiva possa essere ottenuta
«è stata ora abbandonata: le moderne metodologie o ‘logiche della
scoperta’ consistono solo di un insieme di regole» per «la valutazione di
teorie pronte, articolate»123. L’unico senso in cui si può parlare di una
«logica della scoperta» è come «logica del progresso scientifico», e
Popper «ha gettato le basi di una tale logica della scoperta»124. Ma la
116
Lakatos 1978, II, p. 127.
Ibid.
118
Ivi, I, pp. 113-114.
119
Ivi, II, pp. 9-10.
120
Ivi, II, p. 10.
121
Ibid.
122
Ibid.
123
Ivi, I, p. 103.
124
Lakatos 1976, pp. 143-144, nota 2.
117
91
logica della scoperta intesa come logica del progresso scientifico si
limita ad individuare i passi attraverso cui la matematica cresce, non
dice nulla sull’aspetto più importante dello sviluppo scientifico, cioè su
come, nel primo passo, si scopre la congettura primitiva.
Dunque il congetturalismo non fornisce, né intende fornire, regole
di scoperta. In effetti Lakatos afferma che la sua logica della scoperta
«semplicemente valuta teorie (o programmi di ricerca) pienamente
articolate, ma non presume di dare consigli allo scienziato su come
arrivare a buone teorie, e neppure su quale tra due programmi rivali
impegnarsi»125. Essa non prescrive «al singolo scienziato che cosa
cercare di fare in una situazione caratterizzata da due programmi di
ricerca progressivi rivali: se cercare di sviluppare l’uno o l’altro o
ritirarsi da entrambi e cercare di sostituirli con un grande balzo in avanti
dialettico»126. Essa permette di «giudicare quello che» gli scienziati
«hanno fatto», permette di «dire se hanno progredito oppure no», ma
non può né vuole «dar loro consigli – su di che cosa preoccuparsi
esattamente e in quale direzione cercare di procedere»127. Perciò il
congetturalismo non è in grado di dire nulla su quello che anche dal suo
punto di vista dovrebbe essere il passo più importante dell’attività
matematica, cioè la scoperta della congettura primitiva. Tale passo
rimane, per il congetturalismo, letteralmente inspiegabile.
2. Il congetturalismo sostiene che la nostra conoscenza matematica
cresce in base al metodo delle dimostrazioni e delle confutazioni, il cui
terzo passo è costituito dall’emergere di controesempi, che esso
considera conclusivi. Infatti Lakatos afferma: «Se hai un controesempio
globale», cioè un controesempio alla congettura primitiva, «abbandona
la tua congettura»128. Ma questo è in conflitto col fatto che, secondo il
congetturalismo, noi non sappiamo mai, facciamo solo congetture, che
possiamo, è vero, criticare e migliorare, ma l’unico modo che abbiamo
di sapere se le abbiamo migliorate è congetturarlo. Se noi non sappiamo
mai, neppure i controesempi sono conoscenza, sono solo congetture,
che noi non possiamo mai stabilire in modo conclusivo. Perciò i
controesempi non possono essere conclusivi.
Su quale sia la natura dei controesempi capaci di portare
all’abbandono di una congettura – i cosiddetti ‘falsificatori potenziali’ –
Lakatos sembra avere idee vaghe perché, alla domanda quale sia «la
natura dei falsificatori potenziali delle teorie informali», e
specificamente, se «la matematica alla fine risulterà essere
125
Lakatos 1971, p. 174.
Ivi, p. 178.
127
Ibid.
128
Lakatos 1976, p. 50.
126
92
indirettamente empirica», oppure «la sola fonte di verità da iniettare in
un’asserto-base matematico» è «la costruzione», o «l’intuizione
platonistica», o «la convenzione», risponde che «difficilmente la
risposta sarà una risposta monolitica. Un attento studio di casi storicocritico porterà probabilmente ad una soluzione sofisticata e
composita»129. Ma così Lakatos riconosce di non essere in grado di dare
una risposta soddisfacente ad una questione che è centrale per la sua
concezione, e il rifugiarsi nell’eclettismo è il sintomo di questa sua
incapacità.
3. Il congetturalismo sostiene, da un lato, che, col metodo delle
dimostrazioni e delle confutazioni, la nostra conoscenza della realtà
matematica si approssima sempre più ad essa, e, dall’altro lato, che noi
non sappiamo mai, facciamo solo congetture, che possiamo, è vero,
criticare e migliorare, ma l’unico modo che abbiamo di sapere se le
abbiamo migliorate è congetturarlo. Ma queste due tesi sono in conflitto
tra loro perché, se noi non sappiamo mai, nulla ci autorizza ad
affermare che la nostra conoscenza della realtà matematica si
approssima sempre di più a tale realtà.
Il congetturalismo potrebbe ribattere che la nostra conoscenza
della realtà matematica si approssima sempre di più a tale realtà anche
se noi non possiamo mai saperlo. Ma questo svuoterebbe di senso il
metodo delle dimostrazioni e delle confutazioni, perché il suo scopo è
proprio quello di fornire una criterio per la crescita della conoscenza, e
questo, dal punto di vista del congetturalismo, richiede che si fornisca
un criterio per stabilire se si ha una migliore approssimazione alla realtà
matematica.
2.9. Empirismo
L’empirismo sostiene che la matematica descrive caratteri strutturali del
nostro mondo, che si manifestano nel comportamento degli esseri
umani, o meglio, di agenti ideali che sono un’idealizzazione degli esseri
umani, non soggetti ai limiti biologici di questi ultimi. La relazione tra
la matematica e le operazioni degli agenti reali che esistono nel nostro
mondo è simile a quella tra le leggi dei gas ideali e i gas reali che
esistono nel nostro mondo. Come i gas ideali non esistono nella realtà e
però i gas reali soddisfano approssimativamente le leggi di un gas
ideale, così gli agenti ideali non esistono nella realtà e però le
operazioni degli agenti reali soddisfano approssimativamente le
operazioni di un agente ideale.
129
Lakatos 1978, II, p. 40.
93
Questo vale per tutta la matematica, ivi compresa la teoria degli
insiemi, perché la definizione della gerarchia cumulativa [III.2.2] può
considerarsi una descrizione dell’attività costruttiva iterata di un
soggetto ideale. Ciò implica che, poiché la successione degli stadi della
gerarchia cumulativa è altamente sovranumerabile, se ciascuno degli
stadi corrisponde ad un istante di vita del soggetto ideale, allora
l’attività di tale soggetto viene effettuata in un ‘sovratempo’, analogo al
nostro tempo ma ben più ricco di esso. Certo, questo significa
idealizzare ancora di più rispetto alle nostre operazioni completamente
finite, ma tale idealizzazione non è differente in linea di principio da
quelle consistenti nell’astrarre dalla nostra mortalità o dalla nostra
incapacità di passare in rassegna domini infiniti. Perciò parlare di un
soggetto ideale non significa postulare l’esistenza di un essere
misterioso dotato di poteri sovrumani.
L’empirismo è stato sostenuto soprattutto da Kitcher, anche se
forme differenti di empirismo sono state formulate anche da altri.
Secondo Kitcher (1947–), «la matematica descrive i caratteri
strutturali del nostro mondo, caratteri che si manifestano nel
comportamento di tutti gli abitanti del mondo»130. Per esempio,
l’aritmetica «descrive quei caratteri strutturali del mondo in virtù dei
quali noi siamo in grado di separare e ricombinare oggetti»131. Ma
sarebbe inadeguato dire che i caratteri strutturali del mondo si
manifestano interamente «nelle operazioni che noi realmente
effettuiamo» perché, «dati i nostri limiti biologici, le operazioni nelle
quali noi realmente ci impegniamo», per esempio quella del separare e
ricombinare oggetti, «sono limitate»132. D’altra parte, però, «il fatto che
noi non facciamo certe cose – e che, nell’arco della vita umana, non
possiamo fare certe cose – non va considerato come individuante un
qualche tratto strutturale della realtà»133. Si deve dire, perciò, che
«l’aritmetica deve la sua verità non alle operazioni reali di agenti umani
reali, ma alle operazioni ideali effettuate da agenti ideali», e che essa
può essere considerata come il prodotto «di un soggetto ideale, il cui
status come soggetto ideale risiede nella sua libertà da certe limitazioni
accidentali a cui siamo sottoposti»134.
Parlare di un soggetto ideale non significa postulare l’esistenza di
«un essere misterioso con poteri sovrumani», ma solo che le verità
aritmetiche sono vere in virtù di operazioni «che in realtà non sono
130
Kitcher 1983, p. 105.
Ivi, p. 108.
132
Ivi, p. 109.
133
Ibid.
134
Ibid.
131
94
soddisfatte da nulla ma sono soddisfatte approssimativamente dalle
operazioni che noi effettuiamo»135. Il soggetto ideale non è altro che
«un’idealizzazione di noi stessi»136. La relazione «tra l’aritmetica e le
operazioni reali di agenti umani è parallela a quella tra le leggi dei gas
ideali e i gas reali che esistono nel nostro mondo»137. I gas ideali non
esistono nel nostro mondo, tuttavia «i gas reali soddisfano
approssimativamente la condizione» P ⋅ V = R ⋅ T , ed inoltre, «se le
molecole dei gas avessero una grandezza trascurabile e non esistessero
forze intermolecolari, allora i gas obbedirebbero» a tale «legge»138.
Questo «ci spinge ad astrarre da certi caratteri della situazione reale,
introducendo la nozione di gas ideale per descrivere come si
comporterebbero i gas reali se venissero rimossi i fattori
complicanti»139. Nello stesso modo, gli agenti ideali non esistono nel
nostro mondo, tuttavia le operazioni del separare e ricombinare oggetti
effettuate dagli agenti reali del nostro mondo soddisfano
approssimativamente le condizioni di un agente ideale su tali
operazioni, ed inoltre, se gli agenti reali non fossero soggetti ai limiti
biologici, le loro operazioni soddisferebbero esattamente tali
condizioni. Questo ci spinge a specificare «le capacità dell’agente
ideale astraendo dalle limitazioni accidentali della nostra pratica del
riunire»140.
Quanto detto per l’aritmetica vale per tutta la matematica, ivi
compresa la teoria degli insiemi, perché la descrizione della gerarchia
cumulativa «può considerarsi come un resoconto letterale dell’attività
costruttiva iterata del soggetto matematico ideale»141. Questo richiede
di attribuire «al soggetto ideale la capacità di effettuare un’attività di
riunione iterata per una successione infinita di stadi»142. Ciò implica
che, poiché «la successione degli stadi in cui vengono formati gli
insiemi è altamente sovranumerabile», se «ciascuno degli stadi
corrisponde ad un istante di vita del soggetto costruttivo», allora
«l’attività del soggetto viene effettuata in un mezzo analogo al tempo
ma ben più ricco del tempo. (Chiamiamolo ‘sovratempo’)»143. Certo,
questo significa «idealizzare ancora di più rispetto alle nostre
135
Ivi, p. 110.
Ivi, p. 111.
137
Ivi, p. 110.
138
Ivi, p. 117.
139
Ibid.
140
Ibid.
141
Ivi, p. 133.
142
Ivi, p. 147.
143
Ivi, p. 146.
136
95
operazioni completamente finite», ma tale idealizzazione «non è diversa
in linea di principio dalle idealizzazioni» in base alle quali «noi
astraiamo dalla nostra mortalità o dalla nostra incapacità di passare in
rassegna domini infiniti. L’idea del soggetto ideale come una
idealizzazione di noi stessi non viene meno quando sciogliamo il
soggetto dalle limitazioni del nostro tempo»144.
L’empirismo ha un certo numero di difetti che lo rendono
inadeguato.
1. L’empirismo sostiene che, come i gas ideali non esistono nel
mondo reale e tuttavia i gas reali soddisfano approssimativamente le
leggi di un gas ideale, così gli agenti ideali non esistono nel mondo
reale e tuttavia le operazioni degli agenti reali soddisfano
approssimativamente le condizioni su tali operazioni di un agente
ideale. Ma così trascura che il comportamento di alcuni gas reali, sotto
certi limiti di temperatura e di pressione, si approssima molto alle leggi
di un gas ideale, e anzi il grado di approssimazione può essere
calcolato. Invece l’agente ideale si suppone possa effettuare operazioni,
per esempio operazioni infinite, che vanno ben al di là di ciò che un
qualsiasi agente reale potrebbe mai fare.
2. L’empirismo sostiene che la descrizione della gerarchia
cumulativa può considerarsi una descrizione dell’attività costruttiva
iterata di un soggetto ideale. Ma per farlo è costretto a riconoscere che,
poiché la successione degli stadi della gerarchia cumulativa è altamente
sovranumerabile, se ciascuno degli stadi corrisponde ad un istante della
vita del soggetto ideale, allora l’attività del soggetto ideale deve essere
effettuata in un ‘sovratempo’ analogo al nostro tempo ma ben più ricco
di esso. Ora, mentre i gas reali soddisfano approssimativamente le leggi
di un gas ideale, la struttura del nostro tempo non si approssima in
alcun modo alla struttura di tale sovratempo a causa della
sovranumerabilità di quest’ultimo. Perciò la struttura del sovratempo
non sta alla struttura del nostro tempo così come un gas ideale sta ai gas
reali.
Addirittura, sarebbe difficile immaginare quale agente ideale
potrebbe generare la gerarchia cumulativa perché, come sottolinea
Parsons, la mente di un tale agente ideale dovrebbe differire «non solo
dalle menti finite, ma anche dalla mente divina quale concepita dalla
teologia filosofica, perché o quest’ultima viene pensata come collocata
nel tempo, e quindi come operante secondo un ordine che ha la stessa
struttura di quello in base a cui operano gli esseri finiti, oppure la sua
144
Ivi, p. 147.
96
eternità viene interpretata come la liberazione completa da ogni
successione»145.
3. L’empirismo sostiene che considerare la descrizione della
gerarchia cumulativa come una descrizione dell’attività costruttiva
iterata di un soggetto ideale significa effettuare un’idealizzazione che
non è diversa da quella consistente nell’astrarre dalla nostra mortalità o
dalla nostra incapacità di passare in rassegna domini infiniti, perciò
parlare di un soggetto ideale non significa postulare l’esistenza di un
essere misterioso con poteri sovrumani. Ma così trascura che la mente
di un agente ideale capace di generare la gerarchia cumulativa non
sarebbe semplicemente un’idealizzazione non diversa in linea di
principio dalle idealizzazioni in base alle quali noi astraiamo dalla
nostra mortalità o dalla nostra incapacità di passare in rassegna domini
infiniti. Sarebbe invece qualcosa di radicalmente diverso dalla mente
umana e, per quanto abbiamo detto sopra, anche dalla mente divina.
Perciò parlare di un tale soggetto ideale equivarrebbe proprio a
postulare l’esistenza di un essere misterioso con poteri sovrumani e
persino sovradivini.
4. L’empirismo sostiene che la matematica descrive caratteri
strutturali del nostro mondo, che si manifestano nel comportamento
degli esseri umani, o meglio, di agenti ideali che sono un’idealizzazione
degli esseri umani, non soggetta ai limiti biologici di questi ultimi. Ma
questo è ingiustificato, perché i poteri sovrumani e persino sovradivini
attribuiti agli agenti ideali non permettono di affermare che il loro
comportamento manifesti caratteri strutturali del nostro mondo, dal
momento che nel nostro mondo non sono presenti quei poteri.
5. L’empirismo sostiene che gli agenti ideali non esistono. Ma,
come riconosce lo stesso Kitcher, così gli enunciati matematici
diventano «vuotamente veri»146. Infatti, un enunciato matematico
avrebbe la forma ∀x ( I ( x ) → A( x )) , e il suo antecedente I ( x ) , che
esprime ‘x è un agente ideale’, sarebbe sempre falso perché non
esistono gli agenti ideali, perciò l’enunciato sarebbe vuotamente vero.
Esso sarebbe vuotamente vero anche nel caso in cui A( x ) fosse falso.
Kitcher cerca di sfuggire a questa difficoltà dicendo che un
enunciato matematico si distingue dalla moltitudine di enunciati
completamente privi di interesse e vuotamente veri per «il fatto che le
stipulazioni sull’agente ideale fanno astrazione dalle limitazioni
accidentali degli agenti umani»147. Secondo Kitcher, cioè, quello che
145
Parsons 1977, p. 339.
Kitcher 1983, p. 117, nota 18.
147
Ibid.
146
97
differenzia un enunciato matematico da una moltitudine di enunciati
completamente privi di interesse e vuotamente veri è che in esso
l’agente ideale I ha una speciale relazione con gli agenti reali per il fatto
che si ottiene da essi facendo astrazione dalle limitazioni accidentali
degli agenti umani. Ma questo è ingiustificato, perché l’agente ideale I
non si ottiene dagli agenti umani facendo astrazione dalle loro
limitazioni accidentali, dal momento che si suppone che esso abbia
poteri non solo sovrumani ma addirittura sovradivini.
2.10. Cognitivismo
Il cognitivismo sostiene che la matematica è un prodotto degli esseri
umani, che nasce dagli interessi e dalle attività umane ed è
concettualizzato dagli esseri umani usando i meccanismi cognitivi del
cervello. Perciò la matematica è limitata e strutturata dal cervello
umano e dalle capacità mentali umane. Pertanto solo la scienza
cognitiva – cioè lo studio interdisciplinare di mente, cervello e delle
loro relazioni – e non la filosofia, può dare una risposta alla domanda
quale è la natura della matematica.
Ora, la scienza cognitiva ci dice che noi abbiamo certe capacità
innate, come la capacità di riconoscere istantaneamente piccoli numeri
di oggetti e la capacità di effettuare le forme più semplici di addizione e
sottrazione di piccoli numeri. Tali capacità innate rendono conto, però,
solo di una parte molto piccola ed elementare della matematica. Il
passaggio alla matematica avanzata avviene concettualizzando concetti
astratti in termini concreti attraverso la metafora.
La metafora è un meccanismo cognitivo che ci permette di
ragionare su una specie di cose come se fosse un’altra cosa, perché è
un’applicazione tra due domini di cose differenti che conserva le
inferenze. Dunque è un meccanismo che ci permette di usare la struttura
inferenziale di un dominio concettuale per ragionare su un altro
dominio concettuale. Vi sono due tipi di metafore, le metafore situate e
le metafore di collegamento. Le prime ci permettono di effettuare
proiezioni da esperienze quotidiane (per esempio, porre cose in un
mucchio) a concetti astratti (per esempio, l’addizione). Le seconde
collegano l’aritmetica con altre branche della matematica (per esempio,
concepire i numeri come punti su una retta).
Il cognitivismo è stato sostenuto soprattutto da Lakoff e Núñez.
Secondo Lakoff (1941–) e Núñez, «la matematica è un prodotto
degli esseri umani», che nasce «da interessi e attività umane» e «usa le
risorse molto limitate e vincolate della biologia umana»148. Perciò essa
148
Lakoff-Núñez 2000, p. 351.
98
«è limitata e strutturata dal cervello umano e dalle capacità mentali
umane. L’unica matematica che conosciamo o possiamo conoscere è
una matematica basata su cervello e mente»149. Dunque «è solo
attraverso la scienza cognitiva – lo studio interdisciplinare di mente,
cervello, e le loro relazioni – che possiamo dare una risposta alla
domanda: Qual è la natura dell’unica matematica che gli esseri umani
conoscono o possono conoscere?»150.
Ora, la scienza cognitiva ci dice che noi abbiamo certe capacità
matematiche innate, come la capacità di «riconoscere istantaneamente
piccoli numeri di oggetti», o «la capacità di effettuare le forme più
semplici di addizione e sottrazione di piccoli numeri»151. Tali capacità
innate rendono conto, però, solo di una parte molto piccola ed
elementare della matematica. Il passaggio alla matematica avanzata
avviene concettualizzando «concetti astratti in termini concreti, usando
idee e modi di ragionamento radicati nel sistema sensorio-motorio. Il
meccanismo attraverso cui l’astratto è compreso in termini del concreto
si dice metafora»152.
La metafora è «un meccanismo cognitivo che ci permette di
ragionare su una specie di cose come se fosse un’altra cosa»153. Vi sono
due tipi di metafore, «le metafore situate» e «le metafore di
collegamento»154. Le prime «fondano le idee matematiche
sull’esperienza quotidiana. Per esempio, ci permettono di
concettualizzare le operazioni aritmetiche in termini del formare
collezioni, costruire oggetti, o muoversi attraverso lo spazio»155. Le
seconde «collegano l’aritmetica con altre branche della matematica»,
come «quando concepiamo i numeri come punti su una retta»156.
Mediante esse «noi concettualizziamo un dominio o un’idea
matematica in termini di altri»157.
Il cognitivismo ha un certo numero di difetti che lo rendono
inadeguato.
1. Il cognitivismo afferma che la matematica è un prodotto degli
esseri umani che nasce dagli interessi e dalle attività umane. Ma non ci
dice nulla su qual è il ruolo della matematica nella vita umana.
149
Ivi, p. 1.
Ivi, p. 3
151
Ivi, p. 51.
152
Ivi, p. 5.
153
Ivi, p. 6.
154
Ivi, pp. 52-53.
155
Lakoff-Núñez 1997, p. 84.
156
Lakoff-Núñez 2000, p. 53.
157
Lakoff-Núñez 1997, p. 84.
150
99
2. Il cognitivismo sostiene che la matematica è tale in quanto è
concettualizzata da esseri umani usando i meccanismi cognitivi del
cervello. Ma non ci dice nulla su come la matematica avanzata dipende
dai meccanismi cognitivi del cervello. Parlare genericamente di
metafora non fornisce alcuna informazione al riguardo.
3. Il cognitivismo trascura che i meccanismi cognitivi del cervello
su cui si basa la matematica sono il risultato della selezione naturale, e
che, se questa avesse avuto luogo in un ambiente completamente
differente, presumibilmente tali meccanismi cognitivi sarebbero stati
differenti. Perciò, per comprendere la natura della matematica, non
basta la scienza cognitiva, occorre anche la scienza dell’evoluzione.
4. Il cognitivismo individua nella metafora il meccanismo che sta
alla base del passaggio dalle capacità matematiche innate alla
matematica avanzata. Ma questo è molto restrittivo perché, nella
formazione di ipotesi della matematica avanzata, intervengono molte
altre procedure, dall’induzione all’analogia all’uso della figura
all’ibridazione, che non possono in alcun modo essere ridotte alla
metafora 158.
3. Conclusioni sulla filosofia della matematica di oggi
L’analisi delle concezioni filosofiche della matematica della seconda
metà del Novecento, sia di quelle che sono variazioni su temi di Frege,
Hilbert e Brouwer sia di quelle che non lo sono, mostra che esse sono
inadeguate. Pertanto la sostituzione dei grandi programmi fondazionali
della prima metà del Novecento con i meno ambiziosi programmi della
seconda metà del Novecento non ha portato ad alcun reale progresso
nella comprensione della natura della matematica.
158
V. Cellucci 2003.
100
IV
La filosofia della matematica di domani
1. Caratteri della filosofia della matematica di domani
1.1. Necessità di un nuovo inizio
I difetti della filosofia della matematica di ieri e di oggi suggeriscono
che la filosofia della matematica di domani dovrà essere di tipo
essenzialmente differente. Ciò che si richiede non è semplicemente un
nuovo -ismo, ma un ripensamento della natura stessa della disciplina, in
particolare l’abbandono delle assunzioni dell’ortodossia prevalente.
L’analisi dei difetti della filosofia della matematica di ieri e di oggi
suggerisce che, per evitarli, la filosofia della matematica di domani
dovrebbe partire dal riconoscimento dei seguenti punti.
1.2. Non autonomia della filosofia della matematica
La filosofia della matematica non è una disciplina autonoma, ma può
esistere solo come parte di una filosofia generale.
Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, «i problemi
filosofici della matematica e i suoi fondamenti possono essere
affrontati» o «dall’esterno», considerandone le relazioni con altri campi
della filosofia, «oppure dall’interno»1. Ma il «ritardo nello sviluppo
degli altri domini della filosofia ostacola seriamente qualsiasi tentativo
di affrontare il problema della filosofia della matematica dall’esterno»2.
Perciò l’unico modo appropriato di affrontarli è dall’interno.
Ma questo è insostenibile, perché affrontare i problemi filosofici
della matematica dall’interno non offre criteri per stabilire quali
problemi matematici abbiano rilevanza filosofica. Per stabilirlo si
devono affrontare i problemi filosofici della matematica anche
dall’esterno. Lo stesso Frege attribuisce rilevanza filosofica al problema
di stabilire che cosa sono i numeri naturali, non perché sia un problema
interno alla teoria dei numeri, ma perché vuole dare una fondazione
dell’aritmetica dall’esterno, riducendola alla logica.
1
2
Beth 1959, p. X.
Ivi, p. 614.
101
La necessità di affrontare i problemi filosofici della matematica
non solo dall’interno ma anche dall’esterno deriva dal fatto che la
matematica è un prodotto dell’evoluzione, ha innanzitutto uno scopo
biologico e dipende dalle nostre architetture cognitive. Perciò capire
che cos’è la matematica richiede di esaminare questioni generali
concernenti la natura degli organismi, della conoscenza, della mente,
ecc., dunque questioni esterne alla matematica. Una filosofia della
matematica è possibile solo come parte di una filosofia generale in cui
tali questioni vengano debitamente affrontate.
1.3. Relazione con la matematica
La filosofia della matematica è una disciplina i cui scopi non
differiscono essenzialmente da quelli della matematica, perché mira a
far progredire la conoscenza matematica.
Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, «gli scopi dei
matematici differiscono da quelli dei filosofi»3. Mentre la matematica
fa avanzare la conoscenza, la filosofia «si limita a gettare luce su quello
che già conosciamo»4. Essa «non contribuisce al progresso della
conoscenza: fa semplicemente chiarezza su ciò che già sappiamo»5.
Ma, riducendo il compito della filosofia della matematica a quello
di far chiarezza su ciò che già sappiamo, si rende la filosofia una
disciplina irrilevante. Se vuol essere rilevante, essa deve contribuire al
progresso della conoscenza.
1.4. Limiti della questione del fondamento della matematica
Poiché la filosofia della matematica deve contribuire al progresso della
matematica, la sua principale questione non può essere quella del
fondamento della matematica.
Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, la principale
questione della filosofia della matematica è quella del «fondamento
della matematica», nei «tre sensi di ‘fondamento’: metafisico,
epistemico, e matematico»6. Un fondamento metafisico «fornisce
l’ontologia basilare della matematica»7. Cioè stabilisce quali oggetti
matematici esistono. Un fondamento epistemico «fornisce la
giustificazione basilare di ogni branca fondata della matematica»8. Un
3
Dummett 2001, p. 16.
Ivi, p. 12.
5
Ivi, p. 24.
6
Shapiro 2004, p. 37.
7
Ivi, p. 17.
8
Ivi, p. 21.
4
102
«fondamento matematico è una teoria in cui si possono tradurre tutte le
teorie, definizioni e dimostrazioni matematiche»9.
Ma dire che la principale questione della filosofia della matematica
è quella del fondamento della matematica in questi tre sensi, è
insostenibile.
Infatti, la questione del fondamento metafisico, cioè di quali
oggetti matematici esistono, è irrilevante per la matematica perché, che
gli enti matematici esistano o no, non fa differenza per l’impresa reale
del fare matematica. Come osserva Locke, «tutti i discorsi dei
matematici sulla quadratura del cerchio, sulle sezioni coniche, o su
qualunque altra parte della matematica, non concernono l’esistenza di
alcuna di quelle figure: ma le loro dimostrazioni, che dipendono dalle
loro idee, sono le stesse, che esista o non esista alcun quadrato o
circolo»10.
La questione del fondamento epistemico, cioè della giustificazione
basilare di ogni branca fondata della matematica, è ininfluente per
quest’ultima. Per esempio, Frege cerca una giustificazione basilare
dell’aritmetica perché è preoccupato del fatto che, per la domanda ‘Che
cos’è il numero 1?’, «la maggior parte dei matematici non ha pronta
alcuna risposta soddisfacente»11. Ma tale domanda è irrilevante per la
teoria dei numeri, perché nessuno dei suoi risultati dipende da essa.
Inoltre, dare una giustificazione basilare di ogni branca fondata della
matematica è impossibile per il secondo teorema di incompletezza di
Gödel [V.4.4, V.4.9].
La questione del fondamento matematico, cioè di una teoria in cui
si possono tradurre tutte le teorie, definizioni e dimostrazioni
matematiche, ha una risposta negativa. Infatti, per il teorema di
indefinibilità della verità insiemistica [V.5.4], l’insieme dei numeri di
Gödel degli enunciati veri nella gerarchia cumulativa V non è definibile
in V. E, per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2, V.4.9],
per ogni teoria per tutta la matematica che sia RE e coerente, esiste un
enunciato dell’aritmetica vero ma non dimostrabile in essa. Perciò non
può esistere una teoria in cui si possano tradurre tutte le teorie,
definizioni e dimostrazioni matematiche.
All’affermazione che la principale questione della filosofia della
matematica sia quella del fondamento della matematica, nei tre sensi di
fondamento, metafisico, epistemico, e matematico, si può contrapporre
che, in primo luogo, gli oggetti matematici sono solo ipotesi introdotte
9
Ivi, p. 37.
Locke 1975, p. 566
11
Frege1961, p. II.
10
103
per risolvere specifici problemi matematici 12. Lo sono nello stesso
senso in cui la forza è un’ipotesi introdotta per risolvere specifici
problemi fisici. Come la forza non è un ente in se stesso ma è solo
un’ipotesi, lo stesso vale per gli oggetti matematici. In secondo luogo,
la giustificazione delle ipotesi è un’attività concorrente con la scoperta
matematica. Il processo della giustificazione fa parte di quello della
scoperta. E, in terzo luogo, la ricerca di una teoria in cui si possano
tradurre tutte le teorie, definizioni e dimostrazioni matematiche è di
natura puramente ideologica, perché, per esempio, sapere che i numeri
naturali hanno dei surrogati nella gerarchia cumulativa [III.2.2] non è di
alcuna utilità per risolvere problemi della teoria dei numeri.
1.5. Centralità della questione della scoperta
La principale questione della filosofia della matematica è: Come si
sviluppa la matematica? E dunque: Come avviene la scoperta
matematica? Questo segue dal fatto che la filosofia della matematica
deve proporsi di far progredire la matematica.
Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, la filosofia della
matematica si occupa solo «del prodotto del pensiero matematico; lo
studio del processo di produzione è affare della psicologia, non della
filosofia»13. Il «matematico nel suo lavoro si basa su intuizioni
sorprendentemente vaghe, e procede con attacchi e partenze annaspanti
e con ripensamenti fin troppo frequenti. In questo quadro gli effettivi
processi storici e individuali della scoperta matematica appaiono casuali
ed illogici»14.
Ma ciò è contraddetto da numerosi casi storici, i quali mostrano
che la matematica è un’attività razionale in ogni suo momento, ivi
compreso quello più importante, la scoperta. Fin dall’antichità molti
hanno riconosciuto che la scoperta è un processo razionale, e che per
essa esiste un metodo, cioè il metodo analitico.
Il metodo analitico è il metodo in base al quale, per risolvere un
problema, si formula, mediante un’inferenza non deduttiva a partire dal
problema, un’ipotesi che è una condizione sufficiente per la sua
soluzione, e si controlla che essa sia plausibile, cioè compatibile con i
dati esistenti. L’ipotesi costituisce a sua volta un problema che deve
essere risolto, e viene risolto nello stesso modo, cioè formulando,
mediante un’inferenza non deduttiva a partire dall’ipotesi, un’altra
ipotesi che è una condizione sufficiente per la soluzione del problema
12
V. Cellucci 2005, cap. 40.
Dummett 1991b, p. 305.
14
Ivi, p. 77.
13
104
costituito dall’ipotesi precedente, e controllando che essa sia plausibile.
E così via.
La scoperta è la principale questione della filosofia della
matematica, perché solo migliorando i metodi di scoperta esistenti, e
inventandone di nuovi, la filosofia della matematica può contribuire al
progresso della conoscenza. Così come vi contribuirono, ad esempio,
Ippocrate di Chio e Platone, inventando il metodo analitico 15. E vi
contribuì ancora Platone, inventando il metodo di dimostrazione per
induzione 16.
La scoperta include la giustificazione, perché non è semplicemente
una parte dell’attività matematica ma la comprende tutta. Infatti, nel
metodo analitico le ipotesi vengono formulate mediante inferenze non
deduttive, tali inferenze permettono di ottenere più ipotesi a partire
dalle stesse premesse, e per sceglierne una si devono valutare le ragioni
a favore e contro ciascuna di esse. Per esempio, le discussioni
sull’assioma di scelta dell’inizio del Novecento costituirono una
valutazione delle ragioni a favore e contro tale assioma. Poiché, per
scegliere tra più ipotesi, si devono valutare le ragioni a favore e contro
ciascuna di esse, questo cancella ogni netta distinzione tra scoperta e
giustificazione.
Tale distinzione, del resto, è impossibile, perché mediante le
inferenze non deduttive si possono ottenere così tante ipotesi che
generarle prima tutte e poi vagliarle non sarebbe fattibile. Perciò la
generazione delle ipotesi e la loro valutazione devono essere processi
concorrenti, e quindi la giustificazione non è separabile dalla scoperta.
2. L’immagine della matematica
2.1. Un requisito per la realizzazione del programma
L’immagine della matematica proposta dalla filosofia della matematica
di domani dovrebbe imperniarsi sui seguenti punti.
2.2. Matematica ed esperienza
La matematica non è indipendente dall’esperienza ma ha bisogno di
continui input da essa.
Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, la conoscenza
matematica non ha «costrizioni da parte dell’esperienza», e perciò entra
nel mondo «toccata solo dalla mano della riflessione»17. Essa viene
«giustificata col puro raziocinio, perché l’osservazione percettiva
15
V. Cellucci 2005, cap. 8.
Platone, Parmenides, 149 a7-c3.
17
George-Velleman 2002, p. 1.
16
105
attraverso una qualsiasi delle nostre cinque modalità sensoriali non è
necessaria e neppure rilevante»18. Infatti «la matematica è il prodotto
più puro del pensiero concettuale»19.
Ma questo è insostenibile. Per esempio, è ingiustificato dire che
l’aritmetica è indipendente dall’esperienza perché i suoi assiomi
«incorporano ciò che intendiamo per ‘numero’»20. Infatti, per il primo
teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2], nessuna teoria che sia RE e
coerente può incorporare ciò che intendiamo per numero, perché
esisterà un enunciato vero ma non dimostrabile in essa.
In realtà la matematica ha bisogno dell’esperienza in ogni suo
stadio. Moltissime teorie matematiche nascono da questioni suggerite
dall’esperienza. Trovare la soluzione di problemi matematici comporta
processi tecnologici e biologici esterni alla mente individuale, e perciò
dipende dall’esperienza 21. E lo stesso vale per la giustificazione della
soluzione di problemi matematici.
Questo chiarisce ulteriormente perché una filosofia della
matematica è possibile solo come parte di una filosofia generale in cui
le questioni dell’esperienza vengano debitamente affrontate.
2.3. Matematica e soluzione di problemi
La matematica non è dimostrazione di teoremi basata sul metodo
assiomatico, ma è soluzione di problemi basata sul metodo analitico.
Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, la matematica è
una «disciplina in cui la logica deduttiva è il solo arbitro della verità.
Per questo motivo le verità matematiche stabilite al tempo di Euclide
sono ritenute valide ancor oggi e sono ancora insegnate»22. Perciò, la
matematica è dimostrazione di teoremi basata sul metodo assiomastico.
Ma questo è insostenibile perché, per il primo teorema di
incompletezza di Gödel [V.4.2, V.4.9], per ogni teoria relativa ad una
data area della matematica, che soddisfi certe condizioni minime,
esisteranno enunciati di quell’area veri ma non dimostrabili in quella
teoria. Perciò la matematica non può essere dimostrazione di teoremi
basata sul metodo assiomatico.
In particolare è insostenibile che le verità matematiche stabilite al
tempo di Euclide siano ritenute valide ancor oggi e siano ancora
insegnate perché sono state dedotte dai postulati di Euclide.
18
Ibid.
Ibid.
20
Dummett 1998, p. 125.
21
V. Cellucci 2007.
22 Franks 1989, p. 68.
19
106
Innanzitutto, molte proposizioni di Euclide non possono essere
dedotte dai postulati di Euclide, perché esistono modelli in cui i
postulati di Euclide sono veri e tali proposizioni sono false. Perciò esse
non sono una conseguenza logica dei postulati di Euclide 23.
In secondo luogo, come sottolinea Hamming, che la matematica
consista nel dedurre teoremi da assiomi «non corrisponde alla semplice
osservazione. Se si scoprisse che il teorema di Pitagora non segue dai
postulati» di Euclide, «noi continueremmo a cercare un modo di
cambiare i postulati fino a che il teorema diventasse vero. I postulati di
Euclide derivarono dal teorema di Pitagora, non avvenne l’inverso»24.
La matematica non consiste «nel formulare alcuni postulati arbitrari e
poi fare deduzioni», al contrario, in essa «si parte da alcune delle cose
che si vogliono e si cerca di trovare i postulati che li supportino»25.
2.4. Matematica ed evoluzione
La matematica è un prodotto dell’evoluzione, perché si basa su capacità
che sono il risultato dell’evoluzione.
Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, «non solo
esistono infiniti numeri primi ma anche, poiché la dimostrazione di
Euclide non fa riferimento a creature viventi, sarebbero esistiti infiniti
numeri primi anche se la vita non si fosse mai evoluta. Perciò gli
oggetti richiesti dalla verità del suo teorema non possono essere
mentali»26.
Ma questo è insostenibile perché, se la vita non si fosse mai
evoluta, non sarebbe mai esistita la matematica come disciplina. E, se la
vita si fosse evoluta in un ambiente totalmente differente, la
matematica, a cominciare da quella incorporata nella nostra struttura
biologica, presumibilmente sarebbe stata differente.
L’evoluzione ha incorporato nella struttura biologica nostra e di
vari altri organismi molta matematica complessa. È grazie ad essa che
tali organismi sopravvivono, e presumibilmente essa sarebbe stata
differente se gli organismi si fossero evoluti in un ambiente totalmente
differente. La natura ha progettato gli organismi per fare matematica –
‘progettato’, si intende, nel senso della selezione naturale. Ed è sulla
base delle capacità matematiche di cui l’evoluzione biologica li ha
dotati che, grazie all’evoluzione culturale, gli esseri umani hanno
sviluppato la matematica come disciplina. L’evoluzione culturale è una
23 V. Cellucci 2007.
24 Hamming 1980, p. 87.
25
Hamming 1998, p. 645.
26
Hart 1996, p. 3.
107
continuazione dell’evoluzione biologica e poggia su di essa, perciò per
comprendere la natura della matematica non si può prescindere dalle
capacità matematiche di cui l’evoluzione ci ha dotati 27.
2.5. Matematica e architetture cognitive
La matematica dipende essenzialmente dalle nostre architetture
cognitive.
Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, per comprendere
la natura della matematica non occorre porsi «domande come ‘Quale
cervello, o attività neurale, o architettura cognitiva rende possibile il
pensiero matematica?’ o ‘Quale tipo di ambiente è necessario per
facilitare lo sviluppo della capacità di tale pensiero?’», perché esse
riguardano «fenomeni che in realtà sono estranei alla natura del
pensiero matematico», mentre ciò che interessa ai filosofi è «la natura
dei pensieri»28.
Ma questo è insostenibile, perché l’unica matematica che noi
possiamo fare è quella che il nostro cervello, la nostra attività neurale,
la nostra architettura cognitiva ci permettono di fare. Perciò che cos’è la
matematica è legato ad esse, e quale tipo di pensiero matematico
possiamo avere dipende da esse.
2.6. Matematica e sviluppo storico
Per comprendere la natura della matematica è importante considerarne
lo sviluppo storico.
Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, non occorre
considerare lo «sviluppo della matematica» perché «l’eziologia delle
idee matematiche, per quanto interessante, non è qualcosa il cui studio
promette di rivelare molto sulla struttura del pensiero: per la maggior
parte, l’origine e lo sviluppo delle idee matematiche sono
semplicemente troppo determinate da influenze estranee»29.
Ma questo è insostenibile, perché la matematica come disciplina è
il risultato dell’evoluzione culturale, e perciò è legata al suo sviluppo
storico.
Una prova dell’importanza di considerare lo sviluppo storico della
matematica è data dallo strutturalismo, che, come abbiamo visto
[III.2.4], scambia per reale natura della matematica i caratteri della
matematica praticata da una certa scuola in un certo momento storico.
27
V. Cellucci 2007.
George-Velleman 2002, p. 2.
29
Ibid.
28
108
Un’altra prova è data dall’opinione diffusa che la matematica sia
cumulativa, cioè che i suoi risultati, una volta ottenuti, non vengano più
rimessi in discussione. Un esame dello sviluppo storico della
matematica mostra invece che tale opinione è infondata. Per esempio, le
definizioni e le dimostrazioni della geometria di Euclide, accettate per
più di due millenni, alla fine dell’Ottocento erano ormai considerate
inadeguate e addirittura non valide.
Non considerare lo sviluppo storico della matematica porta a
vedere la matematica come un sistema statico, basato su relazioni
lineari di dipendenza logica tra assiomi e teoremi determinati a priori.
Un esame dello sviluppo storico mostra invece che la matematica è un
sistema dinamico, che spesso si evolve per vie tortuose non determinate
a priori, e procede attraverso false partenze e arresti, periodi di routine e
svolte improvvise.
2.7. Matematica e verità
La matematica non è un insieme di verità, né tanto meno di verità
assolutamente certe. È solo un insieme di proposizioni plausibili, cioè
compatibili con i dati esistenti.
Secondo i sostenitori dell’ortodossia prevalente, la matematica «è
un corpo di verità, e anzi le verità note della matematica sono le verità
più assolute e incondizionate note nel modo più certo a noi»30. Più
precisamente, la matematica «non è solo un corpo di verità; è anche un
corpo di conoscenze»31.
Ma questo è insostenibile perché, dal punto di vista dell’ortodossia
prevalente – secondo cui la matematica è dimostrazione di teoremi
basata sul metodo assiomatico – per affermare che la matematica è un
insieme di verità, e anzi di verità assolutamente certe, occorrerebbe
dimostrare che il metodo assiomatico non può portare a falsità, e
dimostrarlo con metodi assolutamente certi. Ma questo è impossibile
perché esistono teorie coerenti false [V.4.3]. Dunque non solo non si
può dimostrare che il metodo assiomatico non porta a falsità, ma anzi si
può dimostrare che esso, anche quando una teoria è coerente, può
portare a falsità.
Per di più, non si può dimostrare che il metodo assiomatico non
porta a falsità neppure nel senso debole che non porta a contraddizioni.
Infatti, per il secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4, V.4.9],
la coerenza di una teoria T sufficientemente potente, RE e coerente non
è dimostrabile in T ma solo in un’estensione propria di T. Il problema si
30
31
Hart 1996, p. 2.
Ivi, p. 3.
109
riproporrebbe allora per tale estensione propria, e così via all’infinito.
Dunque non si può dimostrare che il metodo assiomatico non porta a
contraddizioni, perché dimostrarlo comporterebbe un rimando
all’infinito.
Poiché non si può dimostrare che il metodo assiomatico non porta
a falsità, le proposizioni stabilite con tale metodo non possono
considerarsi verità, né tanto meno verità assolutamente certe, ma solo
opinioni riconosciute in base ad una valutazione delle ragioni a favore e
contro di esse. Esse, quindi, hanno uno statuto simile a quello degli
éndoxa di Aristotele 32.
La matematica è un insieme di conoscenze ma non contiene verità.
Questo non significa che essa non abbia un contenuto oggettivo, ma
solo che, come nel caso delle altre scienze, non consta di verità bensì di
affermazioni plausibili, quindi non assolutamente certe. Come
sottolinea Hamming, «i postulati della matematica non erano scolpiti
sulle tavole di pietra che Mosè portò giù dal monte Sinai», non sono il
verbo di alcun Dio, perciò non possiamo esserne sicuri, e quindi «non
possiamo essere sicuri delle dimostrazioni correnti dei nostri
teoremi»33.
Dal punto di vista della certezza, la matematica è soggetta a quella
stessa aleatorietà che è propria di tutti i prodotti umani. Per più di due
millenni si è pensato che la matematica fosse un insieme di verità
assolutamente certe, ma oggi è diventato chiaro che questa è
un’illusione. Al pari di ogni altro insieme di conoscenze umane la
matematica è solo un insieme di proposizioni plausibili. La filosofia
della matematica deve imparare a convivere con questo, e a renderne
ragione.
32
33
V. Cellucci 2007.
Hamming 1980, p. 86.
110
V
I teoremi di incompletezza di Gödel
1. Logica del primo ordine
1.1. Linguaggi del primo ordine
I linguaggi del primo ordine constano di simboli, termini e formule.
I simboli di un linguaggio del primo ordine L comprendono
infinite variabili individuali v0 , v1 , v2 , ... ; un numero qualsiasi di
costanti individuali; per ogni numero intero positivo n un numero
qualsiasi di costanti funzionali n-arie; per ogni numero intero positivo n
un numero qualsiasi di costanti relazionali n-arie, tra le quali comunque
deve essere compresa la costante relazionale binaria = per
l’eguaglianza; i simboli ¬ (‘non’), → (‘se...allora’), ∀ (‘per ogni’); le
parentesi ( e ) e la virgola , .
Chiamiamo simboli non logici di L le costanti individuali, le
costanti funzionali e le costanti relazionali diverse da = . Supponiamo
che i simboli non logici di L formino un insieme finito o numerabile.
I termini di un linguaggio del primo ordine L sono definiti nel
modo seguente: (i) ogni variabile individuale è un termine; (ii) ogni
costante individuale è un termine; (iii) se f è una costante funzionale naria e t1 ,..., tn sono termini, allora f (t1 ,..., tn ) è un termine.
Diciamo che un termine t è chiuso se e solo se nessuna variabile
individuale occorre in t.
Le formule atomiche di un linguaggio del primo ordine L sono
tutte le espressioni della forma R (t1 ,..., tn ) , dove R è una costante
relazionale n-aria e t1 ,..., tn sono termini.
Le formule di un linguaggio del primo ordine L sono definite nel
modo seguente: (i) ogni formula atomica è una formula; (ii) se A è una
formula, allora ¬A è una formula; (iii) se A e B sono formule, allora
( A → B ) è una formula; (iv) se vi è una variabile individuale e A è una
formula, allora ∀vi A è una formula.
Usiamo le lettere x , y , z , ... (eventualmente con indici) per le
variabili individuali v0 , v1 , v2 , ... ; le lettere r , s , t , ... (eventualmente
111
con indici) per i termini; le lettere A, B , C , ... (eventualmente con
indici) per le formule.
Scriviamo (t1 = t2 ) per = (t1 , t2 ) ; (t1 ≠ t2 ) per ¬(t1 = t2 ) ; ( A ∧ B )
per ¬( A → ¬B ) ; ( A ∨ B )
per (¬A → B ) ; ( A ↔ B ) per
(( A → B ) ∧ ( B → A)) ; ∃xA per ¬∀x¬A ; ∀x1... xn per ∀x1...∀xn ;
∃x1... xn per ∃x1...∃xn ; ∃! xA per ∃x ( A ∧ ∀y ( A → x = y )) .
Nello scrivere i termini e le formule omettiamo le parentesi
quando questo non può dar luogo ad ambiguità.
Diciamo che tutte le occorrenze di una variabile individuale vi in
un termine t sono occorrenze libere. Le occorrenze libere di una
variabile individuale vi in una formula sono definite nel modo
seguente: (i) tutte le occorrenze di vi in una formula atomica
R (t1 ,..., tn ) sono occorrenze libere; (ii) le occorrenze libere di vi in
¬A sono le occorrenze libere di vi in A; (iii) le occorrenze libere di vi
in ( A → B ) sono le occorrenze libere di vi in A e le occorrenze libere
di vi in B; (iv) le occorrenze libere di vi in ∀v j A sono le occorrenze
libere di vi in A se j ≠ i ; se invece j = i , allora vi non ha alcuna
occorrenza libera in ∀v j A e in tal caso tutte le occorrenze di vi in
∀v j A si dicono occorrenze vincolate.
Diciamo che vi occorre libera in un’espressione (termine o
formula) σ se e solo se vi ha almeno un’occorrenza libera in A.
Diciamo che vi è una variabile individuale libera di A se e solo se è
una variabile individuale che occorre libera in A.
Diciamo che un’espressione (termine o formula) è chiusa, o è un
enunciato, se e solo se nessuna variabile individuale occorre libera in
essa.
Diciamo che una formula A è una generalizzazione di una formula
B se e solo se, per qualche n ≥ 0 e per delle variabili individuali
x1 ,..., xn , A è ∀x1... xn B . Se x1 ,..., xn comprendono tutte le variabili
individuali libere di B, diciamo che A è la chiusura universale di B.
Dunque la chiusura universale di una formula è un enunciato.
Se x è una variabile individuale e s e t sono termini, indichiamo
con s[ x / t ] il risultato della sostituzione di ogni occorrenza libera di x
in s con t.
Se x è una variabile individuale, t un termine e A una formula,
indichiamo con A[ x / t ] il risultato della sostituzione di ogni occorrenza
libera di x in A con t.
Diciamo che una variabile individuale x è sostituibile con un
termine t in una formula A se e solo se nessuna occorrenza di una
112
variabile individuale in t diventa vincolata in seguito alla sostituzione di
x con t in A, cioè è un’occorrenza vincolata in A[ x / t ] .
In seguito, quando usiamo la notazione A[ x / t ] , assumiamo
tacitamente che x sia sostituibile con t in A.
1.2. Assiomi e regole della logica del primo ordine
Sia L un linguaggio del primo ordine. Introduciamo gli assiomi logici e
le regole di deduzione logiche di L.
Gli assiomi logici di L sono tutte le formule di L di una delle
seguenti forme:
L1. A → ( B → A) ,
L2. ( A → ( B → C )) → (( A → B ) → ( A → C )) ,
L3. (¬B → ¬A) → ( A → B ) ,
L4. ∀x ( A → B ) → (∀xA → ∀xB ) ,
L5. ∀xA → A[ x / t ] ,
L6. A → ∀xA se x non occorre libera in A,
L7. x = x ,
L8. x1 = y1 → (... → ( xn = yn → f ( x1 ,..., xn ) = f ( y1 ,..., yn ))...) ,
L9. x1 = y1 → (... → ( xn = yn → ( P( x1 ,..., xn ) → P ( y1 ,..., yn )))...) ,
L10. Tutte le generalizzazioni di formule di una delle forme L1-L9.
Le regole di deduzione logiche di L consistono di un’unica regola,
il modus ponens MP: Per ogni formula A e B di L, da A e A → B si può
inferire B.
Se Γ è un insieme di formule e A una formula di L, chiamiamo
deduzione di A da Γ una successione finita di formule C1 ,..., Cm tale
che, per ogni i = 1,..., m , o Ci è un assioma logico, oppure Ci ∈ Γ ,
oppure Ci si ottiene da due membri precedenti C j e Ck della
successione per mezzo di MP, cioè Ck è C j → Ck , e Cm è A. Diciamo
che A è deducibile da Γ, e scriviamo Γ A A , se e solo se esiste una
deduzione di A da Γ.
Se A è una formula di L, chiamiamo dimostrazione di A una
deduzione di A da ∅. Diciamo che A è dimostrabile, o che è una legge
logica, e scriviamo A A , se e solo se esiste una dimostrazione di A.
Dunque A A ha lo stesso significato di ∅ A A .
Teorema di deduzione. Siano Γ un insieme di formule e A, B
formule di un linguaggio del primo ordine L. Se Γ, A A B
allora Γ A A → B .
113
La dimostrazione è per induzione sulla generazione delle
deduzioni di A da Γ.
1.3. Modelli per linguaggi del primo ordine
Un modello, o struttura, per un linguaggio del primo ordine L è una
coppia ordinata M = ( D, φ ) , dove D è un insieme non vuoto, detto il
dominio di M, e φ è una funzione unaria, detta la funzione di
interpretazione di M, che associa: (i) ad ogni costante individuale di L
un membro di D; (ii) ad ogni costante funzionale n-aria di L una
funzione n-aria su D; (iii) ad ogni costante relazionale n-aria di L una
relazione n-aria su D.
Se M = ( D, φ ) è un modello per un linguaggio del primo ordine L,
per ogni a ∈ D sia a una nuova costante individuale non in L, detta il
nome di a. Indichiamo con L(M ) il linguaggio del primo ordine che si
ottiene da L aggiungendo un nome a per ogni a ∈ D .
Ad ogni termine chiuso t di L(M ) assegniamo un membro di D,
scritto t M , detto il valore di t in M, nel modo seguente: (i) c M è φ ( c ) ,
M
se c è una costante individuale; (ii) a è a, se a è il nome di a; (iii)
( f (t1 ,..., tn )) M è φ ( f )(t1M ,..., tnM )) , se f è una costante funzionale n-aria
e t1 ,..., tn sono termini.
Ad ogni enunciato A di L(M ) assegniamo un membro
dell’insieme {1,0} , scritto AM , detto il valore di verità di A in M, dove
1 si dice il valore di verità vero e 0 il valore di verità falso, nel modo
seguente: (i) ( r = s ) M = 1 se e solo se r M = s M ; (ii) ( R (t1 ,..., tn )) M = 1
se e solo se φ ( R )(t1M ,..., tnM ) ; (iii) (¬B ) M = 1 se e solo se B M = 0 ;
(iv) ( B → C ) M = 1 se e solo se o B M = 0 oppure C M = 1 ; (v)
(∀xB ) M = 1 se e solo se ( B[ x / a ]) M = 1 per ogni a ∈ D .
Per ogni formula A di un linguaggio del primo ordine L in cui solo
x1 ,..., xn occorrono libere, per M-esempio di A intendiamo un enunciato
di L(M) della forma A[ x1 / a1 ,..., xn / a n ] , dove a1 ,..., an ∈ D .
Diciamo che una formula A di un linguaggio del primo ordine L è
vera in M se e solo se ( A') M = 1 per ogni M-esempio A' di A. In
particolare, un enunciato A di L è vero in M se e solo se AM = 1 .
Diciamo che A è falsa in M se e solo se A non è vera in M.
Se A è vera in M, diciamo che M è un modello di A. Se Γ è un
insieme di formule e ogni formula che è membro di Γ è vera in M,
diciamo che M è un modello di Γ.
114
Se A è una formula e Γ è un insieme di formule di un linguaggio
del primo ordine L, diciamo che A è una conseguenza logica, o
semplicemente una conseguenza, di Γ, scritto Γ B A , se e solo se ogni
modello di Γ è un modello di A.
Se A è una formula di un linguaggio del primo ordine L, diciamo
che A è logicamente valida, o semplicemente valida, scritto B A , se e
solo se ogni modello per L è un modello di A. Dunque B A ha lo stesso
significato di ∅ B A .
Diciamo che un modello M soddisfa un insieme di formule Γ se e
solo se M è un modello di Γ. Diciamo Γ è soddisfacibile se e solo se Γ
ha un modello.
1.4. Coerenza
Diciamo che un insieme di formule Γ di un linguaggio del primo ordine
L è coerente se e solo se non esiste alcuna formula A di L tale e Γ A A
e Γ A ¬A ; incoerente se Γ non è coerente.
Proprietà della coerenza. Siano Γ un insieme di formule e A
una formula di un linguaggio del primo ordine L.
(i) Se Γ G A , allora Γ ∪ {¬A} è coerente.
(ii) Se Γ G ¬A , allora Γ ∪ { A} è coerente.
(i) Supponiamo che Γ G A ma Γ ∪ {¬A} è incoerente. Allora
Γ ∪ {¬A} A B e Γ ∪ {¬A} A ¬B , per qualche formula B. Perciò, per il
teorema di deduzione [V.1.2], Γ A ¬A → B e Γ A ¬A → ¬B . Per la
legge logica (¬A → B ) → ((¬A → ¬B ) → A) ne segue che Γ A A .
Contraddizione. Se ne conclude che Γ ∪ {¬A} è coerente.
(ii) Similmente.
1.5. Correttezza e completezza
Per gli assiomi logici e le regole di deduzione logiche di un linguaggio
del primo ordine L vale il seguente risultato.
Teorema di correttezza. Siano Γ un insieme di formule e A
una formula di un linguaggio del primo ordine L. Se Γ A A ,
allora Γ B A .
La dimostrazione è per per induzione sulla generazione delle
deduzioni di A da Γ.
Esistenza di un modello implica coerenza. Sia Γ un insieme di
formule di un linguaggio del primo ordine L. Se Γ ha un
modello, allora Γ è coerente.
115
Infatti, supponiamo che Γ abbia un modello M ma sia incoerente.
Allora Γ A A e Γ A ¬A per qualche formula A, perciò per teorema di
correttezza Γ B A e Γ B ¬A . Poiché M è un modello di Γ, ne segue
che M è un modello di A e di ¬A , cioè A è vera in M e A non è vera in
M. Contraddizione. Se ne conclude che Γ deve essere coerente.
Esistenza di un modello. Sia Γ un insieme di formule di un
linguaggio del primo ordine L. Se Γ è coerente, allora Γ ha un
modello M.
La dimostrazione di questo risultato è abbastanza lunga e perciò
viene omessa.
Teorema di completezza. Siano Γ un insieme di formule e A
una formula di un linguaggio del primo ordine L. Se Γ B A ,
allora Γ A A .
Infatti, supponiamo che Γ B A ma Γ G A . Allora, per le proprietà
della coerenza [V.1.4], Γ ∪ {¬A} è coerente, quindi per il teorema
dell’esistenza di un modello ha un modello, diciamo M. Allora M è un
modello di Γ e ( ¬A)
M
= 1 , perciò A
M
= 0 . Ma, poiché M è un
modello di Γ e Γ B A , deve essere A
Contraddizione. Se ne conclude che Γ A A .
M
= 1 , perciò A
M
≠ 0.
1.6. Isomorfismo di modelli
Se M = ( D, φ ) e M ' = ( D ', φ ') sono modelli per un linguaggio del
primo ordine L, diciamo che una funzione h è un isomorfismo di M su
M ' se e solo se soddisfa la seguenti condizioni:
(i) h è una funzione da D a D ' ;
(ii) h è biunivoca;
(iii) h è su D ' ;
(iv) h (φ ( c )) = φ '( c ) , se c è una costante individuale di L;
(v) h (φ ( f )( a1 ,..., an )) = φ '( f )( h ( a1 ),..., h ( an )) per ogni a1 ,..., an ∈ D ,
se f è una costante funzionale n-aria di L;
(vi) φ ( R )( a1 ,..., an ) se e solo se φ '( R )( h ( a1 ),..., h ( an )) per ogni
a1 ,..., an ∈ D , se R è una costante relazionale n-aria di L.
Diciamo che due modelli M e M ' per un linguaggio del primo
ordine L sono isomorfi, o che M è isomorfo a M ' , se e solo se esiste un
isomorfismo di M su M ' .
116
Teorema dell’isomorfismo. Siano M e M ' due modelli per un
linguaggio del primo ordine L. Se M e M ' sono isomorfi,
allora, per ogni enunciato A di L, A
A
M'
M
= 1 se e solo se
= 1.
La dimostrazione è per induzione sulla generazione di A.
1.7. Teorie del primo ordine
Una teoria del primo ordine T è caratterizzata da un linguaggio del
primo ordine L, detto il linguaggio di T, dagli assiomi logici e le regole
di deduzione logiche di L, e da un insieme Γ di enunciati di L, detti gli
assiomi non logici di T.
Poiché, per specificare un linguaggio del primo ordine L, occorre
solo specificare i suoi simboli non logici, perché allora gli assiomi
logici e le regole di deduzione logiche di L risultano determinati, per
specificare una teoria del primo ordine T occorre specificare solo i
simboli non logici del linguaggio L di T e gli assiomi non logici di T.
Siano T una teoria del primo ordine, L il linguaggio di T, Γ gli
assiomi non logici di T e A una formula di L. Diciamo che una
deduzione di A da Γ è una dimostrazione di A in T. Diciamo che A è
dimostrabile in T, o che A è un teorema di T, e scriviamo T A A , se e
solo se esiste una dimostrazione di A in T. Chiamiamo modello di T un
modello degli assiomi non logici Γ di T.
Se T e T ' sono teorie del primo ordine i cui linguaggi sono L e L '
rispettivamente, diciamo che T ' è un’estensione di T, e scriviamo
T ⊆ T ' , se e solo se tutti i simboli non logici di L sono simboli non
logici di L ' e tutti i teoremi di T sono teoremi di T ' . Ovviamente,
perché sia T ⊆ T ' , occorre solo che gli assiomi non logici di T siano
dimostrabili in T ' .
Se T è una teoria del primo ordine il cui linguaggio è L e A è un
enunciato, indichiamo con T + A l’estensione di T che si ottiene
aggiungendo a L i simboli non logici che occorrono in A, e
aggiungendo agli assiomi non logici di T l’enunciato A.
2. Aritmetica ricorsiva primitiva
2.1. Funzioni ricorsive primitive
Una funzione sui numeri naturali si dice ricorsiva primitiva se e solo se
può essere definita in un numero finito di passi per mezzo delle
seguenti regole:
PR1. Z ( x ) = 0 ,
PR2. S ( x ) = x + 1 ,
117
PR3. I in ( x1 ,..., xn ) = xi per i = 1,..., n ,
PR4. f ( x1 ,..., xn ) = g ( h1 ( x1 ,..., xn ),..., hm ( x1 ,..., xn )) ,
⎧ f ( x1 ,..., xn , 0) = g ( x1 ,..., xn )
⎩ f ( x1 ,..., xn , y + 1) = h ( x1 ,..., xn , y , f ( x1 ,..., xn , y )).
PR5. ⎨
n
Le funzioni Z , S e I i di PR1-PR3 sono le funzioni iniziali a partire
dalle quali sono generate tutte le altre funzioni ricorsive primitive, e si
dicono rispettivamente la funzione zero, la funzione successore e la
funzione proiezione i-esima. La funzione f di PR4 si dice ottenuta da
g , h1 , ..., hm per composizione. La funzione f di PR5 si dice ottenuta
da g, h per ricorsione primitiva.
Molte delle consuete funzioni sui numeri naturali sono ricorsive
primitive. Per esempio, tale è l’addizione, perché si ottiene da
1
3
g ( x ) = I1 ( x ) = x e h ( x , y , z ) = S ( I 3 ( x , y , z )) = S ( z ) per ricorsione
primitiva:
⎧ x + 0 = x = I11 ( x )
⎨
3
⎩ x + ( y + 1) = ( x + y ) + 1 = S ( x + y ) = S ( I 3 ( x , y , x + y )).
2.2. La teoria PRA
Introduciamo una teoria del primo ordine PRA, detta aritmetica
ricorsiva primitiva, in cui si possono definire tutte le funzioni ricorsive
primitive e dimostrarne le proprietà. (L’acronimo PRA sta per ‘Primive
Recursive Arithmetic’. Qui e in seguito usiamo acronimi corrispondenti
ad espressioni della lingua inglese per conformità all’uso nella
letteratura).
Il linguaggio L PRA di PRA contiene come unici simboli non logici
la costante individuale 0 , una costante funzionale n-aria f per ogni
funzione ricorsiva primitiva n-aria f, e la costante relazionale binaria =
per l’eguaglianza.
Scriviamo 0, 1, 2, ... per i termini 0, S (0), S ( S (0)),... ,
rispettivamente, che vengono detti numerali. Inoltre scriviamo s ≤ t per
∃w( s + w = t ) ; ∀x ≤ tA( x ) per ∀x( x ≤ t → A( x )) ; ∀x1... xn ≤ tA( x ) per
∀x1... xn ( x1 ≤ t ∧ ... xn ≤ t → A( x )) .
Gli assiomi non logici di PRA sono le chiusure universali delle
seguenti formule:
PRA1. Z ( x ) = 0 ,
118
PRA2. 0 ≠ S ( x ) ,
PRA3. S ( x ) = S ( y ) → x = y ,
n
PRA4. I i ( x1 ,..., xn ) = xi per i = 1,..., n ,
PRA5. f ( x1 ,..., xn ) = g ( h 1 ( x1 ,..., xn ),..., h m ( x1 ,..., xn )) ,
se f si ottiene da g , h1 , ..., hm per composizione,
⎧ f ( x1 ,..., xn , 0) = g ( x1 ,..., xn )
PRA6. ⎨
⎩ f ( x1 ,..., xn , S ( y )) = h ( x1 ,..., xn , y , f ( x1 ,..., xn , y )),
PRA7.
se f si ottiene da g, h per ricorsione primitiva,
A(0) ∧ ∀x ( A( x ) → A( S ( x ))) → ∀xA( x ) , se
formula non contenente quantificatori.
A( x )
è una
Si noti che PRA7 è uno schema perché sta per infinite formule,
tante quante sono le formule A( x ) non contenenti quantificatori.
Sia PRA7 ' come PRA7 eccetto che A( x ) può essere una formula
qualsiasi. Ovviamente anche PRA7 ' è uno schema.
Chiamiamo aritmetica di Peano del primo ordine la teoria del
primo ordine PA il cui linguaggio è L PRA e i cui assiomi non logici
sono le chiusure universali di PRA1-PRA6, PRA7 ' .
Chiamiamo modello standard per L PRA il modello N = ( , φ )
per
L PRA dove φ è la funzione tale che φ (0) = 0 , φ ( S ) = S e, per
ogni constante funzionale n-aria f diversa da S , φ ( f ) = f .
Teorema. N è un modello di PRA e di PA.
Infatti, chiaramente gli assiomi non logici di PRA sono veri in N e
tale è anche PRA7 ' .
2.3. Alcune proprietà elementari di PRA
Per riferimento successivo stabiliamo alcune proprietà elementari di
PRA.
Proprietà della relazione d’ordine.
(i) PRA A x ≤ 0 → x = 0 ;
(ii) PRA A x ≤ S ( y ) ↔ x ≤ y ∨ x = S ( y ) ;
(iii) PRA A x ≤ y ∨ y ≤ x .
La dimostrazione di queste proprietà è un semplice sebbene noioso
esercizio.
119
Equivalenza tra coerenza e indimostrabilità di 0 = 1 . PRA è
coerente se e solo se PRA G 0 = 1 .
Infatti, supponiamo che PRA sia coerente e PRA A 0 = 1 . Allora,
poiché PRA A 0 ≠ 1 , PRA è incoerente. Contraddizione. Se ne conclude
che PRA G 0 = 1 . Viceversa, supponiamo che PRA G 0 = 1 e PRA è
incoerente. Allora, per qualche formula A, PRA A A e PRA A ¬A . Da
ciò per la legge logica ¬A → ( A → 0 = 1) segue che PRA A 0 = 1 .
Contraddizione. Se ne conclude che PRA deve essere coerente.
Computabilità dell’eguaglianza in PRA. Per ogni k e p:
(i) se k = p allora PRA A k = p ;
(ii) se k ≠ p allora PRA A k ≠ p .
(i) Immediato da PRA A x = x .
(ii) Supponiamo che k ≠ p . Allora o k > p oppure k < p .
Supponiamo che k > p . Sia q = k − p − 1 . Allora PRA A S ( q) ≠ 0 .
Poiché
PRA A S ( S ( q)) = S (0) → S ( q) = 0 ,
da
ciò
si
ottiene
PRA A S ( S ( q)) ≠ S (0) . Nello stesso modo da ciò si ottiene
PRA A S ( S ( S ( q))) ≠ S ( S (0)) , e così via. Ripetendo il procedimento
esattamente p volte si ottiene PRA A k ≠ p e quindi PRA A p ≠ k .
Similmente nel caso k < p .
Computabilità delle funzioni ricorsive primitive in PRA. Sia
f ( x1 ,..., xn ) una funzione ricorsiva primitiva. Per ogni
k1 ,..., kn :
(i) se f ( k1 ,..., k n ) = p allora PRA A
f ( k 1 ,..., k n ) = p ;
f ( k 1 ,..., k n ) ≠ p .
(ii) se f ( k1 ,..., k n ) ≠ p allora PRA A
(i) Per induzione sulla generazione di f a partire dalle funzioni
iniziali.
(ii) Supponiamo che f ( k1 ,..., k n ) ≠ p e f ( k1 ,..., k n ) = m . Allora
f ( k 1 ,..., k n ) = m . Poiché m ≠ p , per la computabilità
per (i) PRA A
dell’eguaglianza
in
PRA
si
ha
PRA A
f ( k 1 ,..., k n ) ≠ p .
2.4. Teorie sufficientemente potenti
120
che
PRA A
m ≠ p.
Perciò
Diciamo che una teoria del primo ordine T è sufficientemente potente se
e solo se il linguaggio di T è L PRA e PRA ⊆ T .
Ovviamente PRA e PA sono teorie sufficientemente potenti.
3. Codificazione
3.1. Numeri di Gödel
Sia L un linguaggio del primo ordine. Siano c0 , c1 , c2 ,... le sue costanti
n
n
n
individuali, f0 , f1 , f 2 ,...
n
n
le
sue
costanti
funzionali
n
n-arie,
e
2
R0 , R1 , R2 ,... le sue costanti relazionali n-arie, dove R0 è = . Sia T
una teoria del primo ordine il cui linguaggio è L.
Assegniamo ad ogni simbolo σ di L un numero σ
seguente:
σ
(
)
¬
→
∀
vi
σ
1
3
5
7
9
2⋅5
ci
i
2
fi
3
i
2 ⋅5
nel modo
n
n
n
Ri
i
4
2 ⋅3 ⋅5
n
i
2 ⋅3 ⋅5
Per esempio, R0 = 2 ⋅ 3 ⋅ 5 = 144 .
2
2
4
0
Indichiamo con pi lo i+1-esimo numero primo in ordine di
grandezza, cioè p0 = 2, p1 = 3, p2 = 5,... . Assegniamo ad ogni
successione
finita
x +1
p0 0
x0 ,..., xn =
di
⋅ ... ⋅
numeri
x
pn n +1
naturali
(i)
e
vi
n
fi ( t1 ,..., tn ) =
fi
n
sono
ci
, t1 ,..., tn
già
stati
¬B =
n
Ri ( t1 ,..., tn )
(i)
¬ , B
∀vi B =
n
Ri
B→C =
; (iii)
∀ , vi , B
=
nel modo
t
definiti;
(ii)
.
Assegniamo ad ogni formula A di L un numero
seguente:
numero
.
Assegniamo ad ogni termine t di L un numero
seguente:
il
x0 ,..., xn
, t1 ,..., tn
nel modo
A
;
→ , B , C
(ii)
; (iv)
.
Assegniamo ad ogni dimostrazione C1 ,..., Cm in T il numero
C1 , ..., Cm =
C1 ,..., Cm
.
121
Per ogni espressione (termine, formula, dimostrazione) σ di T
chiamiamo σ
il numero di Gödel di σ. Se σ
= k , per semplicità
usiamo σ per indicare sia il numero k sia il termine k . Quale dei
due venga indicato apparirà chiaro dal contesto.
3.2. Insiemi RE
Chiamiamo funzione di verità una funzione binaria f sui numeri naturali
tale che, per ogni k e p, f ( k , p ) = 1 oppure f ( k , p ) = 0 .
Diciamo che un insieme non vuoto X di numeri naturali è
ricorsivamente enumerabile, o brevemente RE, se e solo se esiste una
funzione di verità ricorsiva primitiva f tale che per ogni p, p ∈ X se e
solo se ∃x ( f ( x, p ) = 1) .
3.3. Teorie RE
Sia T una teoria del primo ordine.
Indichiamo con THM T l’insieme dei numeri di Gödel degli
enunciati dimostrabili in T.
Diciamo che T è una teoria RE se e solo se l’insieme THM T è
RE.
Sia prf T la funzione di verità definita da: prfT (k, p) = 1 se k è il
numero di Gödel di una dimostrazione in T dell’enunciato con numero
di Gödel p, e prfT (k, p) = 0 altrimenti.
Proprietà delle teorie RE. T è una teoria RE se e solo se la
funzione prf T è ricorsiva primitiva.
Infatti, per ogni p, p ∈ THM T se e solo se ∃x ( prf T ( x, p ) = 1) .
Perciò THM T è RE se e solo se prf T è ricorsiva primitiva.
È facile vedere che PRA e PA sono teorie RE.
3.4. Alcune utili funzioni ricorsive primitive
Si possono definire facilmente le seguenti funzioni ricorsive primitive:
(1) una funzione ricorsiva primitiva binaria sub tale che, per ogni
formula A( y ) di L PRA contenente come sua unica variabile
individuale libera y, e per ogni funzione ricorsiva primitiva unaria f,
sub( A( y ) , f ) = A( f ( f )) ;
(2) una funzione ricorsiva primitiva unaria num tale, per ogni k,
num( k ) = k ;
122
(3) una funzione ricorsiva primitiva binaria opp tale che, per ogni
enunciato A di L PRA , opp ( A , ¬A ) = 1 e opp ( ¬A , A ) = 1 .
4. Teoremi di incompletezza
4.1. Teorema del punto fisso
Il principale strumento per la dimostrazione dei teoremi di
incompletezza di Gödel e degli altri risultati limitativi è il seguente
risultato, la cui denominazione di ‘teorema del punto fisso’ si basa su
un’analogia con la matematica, nella quale si chiama punto fisso di una
funzione f un x tale che x = f ( x ) .
Teorema del punto fisso. Ad ogni formula A( y ) di L PRA
contenente come sua unica variabile individuale libera y si
può associare un termine chiuso t tale che
PRA A t = A( t ) .
Infatti, sia f ( x ) la funzione sub( A( y ) , x ) . Sia t il termine
chiuso f ( f ) . Ora:
f ( f ) = sub( A( y ) ,
f ) = A( f ( f )) .
Perciò, per la computabilità delle funzioni ricorsive primitive in PRA
[V.2.3], PRA A f ( f ) = A( f ( f )) , cioè PRA A t = A( t ) .
Si noti che il teorema del punto fisso viene formulato di solito
nella forma: Ad ogni formula A( y ) di L PRA contenente come sua
unica variabile individuale libera y si può associare un enunciato B tale
che PRA A B ↔ A( B ) . Rispetto a tale formulazione, quella data
sopra ha il vantaggio che il termine chiuso t esprime direttamente il
numero di Gödel di A(t ) , mentre l’enunciato B esprime soltanto
un’asserzione equivalente ad A( B ) ,
Corollario del teorema del punto fisso. Esiste un termine
chiuso t tale che PRA A t = ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
Infatti, basta applicare il teorema del punto fisso alla formula
∀x ( prf T ( x , y ) = 0) .
Si noti che l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato dal corollario del
teorema del punto fisso è ‘autoreferenziale’, nel senso che descrive una
123
proprietà di se stesso. Infatti, poiché PRA A t = ∀x ( prf T ( x , t ) = 0)
e N è un modello di PRA [V.2.2], l’enunciato t = ∀x ( prfT ( x , t ) = 0)
è vero in N. Perciò ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) esprime in N la propria
indimostrabilità in T.
4.2. Primo teorema di incompletezza di Gödel
Vale il seguente risultato.
Primo teorema di incompletezza di Gödel. Sia T una teoria
sufficientemente potente e RE. Se T è coerente, allora
l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato dal corollario del
teorema del punto
T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
fisso
è
vero
in
N
Infatti, supponiamo che T A ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
qualche
k,
prfT ( k , ∀x ( prfT ( x , t ) = 0) ) ≠ 0 ,
ma
Allora, per
perciò,
per
la
computabilità delle funzioni ricorsive primitive in PRA [V.2.3],
T A prf T ( k , ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ) ≠ 0 . Da ciò, poiché per il corollario
del teorema del punto fisso T A t = ∀x ( prfT ( x , t ) = 0) , segue che:
(1)
T A prf T ( k , t ) ≠ 0 .
D’altra parte, dall’ipotesi
T A ∀x ( prfT ( x , t ) = 0)
si ottiene in
particolare T A prfT ( k , t ) = 0 . Da ciò e da (1) segue che T è
incoerente.
Contraddizione.
T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
Poiché
Se
T G ∀x ( prfT ( x , t ) = 0) ,
prfT ( k , ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ) = 0 ,
ne
per
conclude
ogni
perciò
k
che
si
ha
l’enunciato
∀x ( prf T ( x , ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ) = 0) è vero in N. Ma, poiché N è un
modello di PRA [V.2.2], anche t = ∀x ( prf T ( x , t ) = 0)
è vero in N.
Ne segue che ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è vero in N.
Completamento del primo teorema di incompletezza di Gödel.
Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Se N è un
modello di T, allora l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato dal
124
corollario del teorema del punto fisso è vero in N ma
T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) e T G ¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
Infatti, se N è un modello di T, allora, poiché esistenza di un
modello implica coerenza [V.1.5], si ha che T è coerente. Perciò, per il
primo teorema di incompletezza di Gödel, l’enunciato
∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è vero in N ma T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
Supponiamo che T A ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) . Allora, poiché N è un
modello
di
T,
¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0)
è
vero
in
N,
perciò
∀x ( prf T ( x , t ) = 0) non è vero in N. Contraddizione. Se ne conclude
che T G ¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
La condizione che N debba essere un modello di T è soddisfatta se
T è PRA o PA [V.2.2].
Tale condizione può anche essere sostituita dalla seguente
condizione più debole.
Diciamo che una teoria T il cui linguaggio è L PRA è ω-coerente se
e solo se non esiste alcuna formula A( x ) tale che T A ¬∀xA( x ) e per
ogni numero naturale k, T A A( k ) ; ω-incoerente se non è ω-coerente.
ω-coerenza implica coerenza. Sia T una teoria
sufficientemente potente. Se T è ω-coerente, allora T è
coerente.
Infatti, supponiamo che T sia ω-coerente ma incoerente. Allora,
per una A( x ) qualsiasi, T A ∀xA( x ) e T A ¬∀xA( x ) . Da T A ∀xA( x )
segue che, per ogni numero naturale k, T A A( k ) . Quindi T è ωincoerente. Contraddizione. Se ne conclude che T è coerente.
Versione originaria del primo teorema di incompletezza di
Gödel. Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Se T è
ω-coerente, allora l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato dal
corollario del teorema del punto fisso è vero in N ma
T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) e T G ¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
Infatti, poiché ω-coerenza implica coerenza, T è coerente, perciò
per il primo teorema di incompletezza di Gödel l’enunciato
∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è vero in N ma T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
Supponiamo
che
T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ,
T A ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) .
per
ogni
125
k
si
Poiché
ha
che
prfT ( k , ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ) = 0 , e quindi, per la computabilità delle
funzioni
ricorsive
primitive
in
PRA
[V.2.3],
T A prf T ( k , ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ) = 0 . Ma, per il corollario del
teorema del punto fisso, T A t = ∀x ( prfT ( x , t ) = 0) . Perciò, per
ogni k, T A prfT ( k , t ) = 0 . Da ciò e da T A ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) segue
che T è ω-incoerente. Contraddizione. Se ne conclude che
T G ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) .
4.3. Corollari del primo teorema di incompletezza di Gödel
Chiamiamo modello non standard di una teoria sufficientemente
potente T un modello di T che non è isomorfo ad N .
Esistenza di modelli non standard. Sia T una teoria
sufficientemente potente e RE. Se T è coerente, allora esiste
un modello non standard di T.
Infatti, per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2],
l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato dal corollario del teorema del
punto fisso è vero in N ma T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . Allora, per le
proprietà
della
coerenza
[V.1.4],
la
teoria
T ' = T + ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) è coerente. Dunque, per il teorema
dell’esistenza di un modello [V.1.5], T ' ha un modello, diciamo M.
Allora ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) è vero in M, e perciò ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è
falso in M. Poiché ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è vero in N e falso in M, per il
teorema dell’isomorfismo [V.1.6] M non può essere isomorfo a N,
dunque M è un modello non standard di T.
Esistenza di teorie coerenti false. Sia T una teoria
sufficientemente potente e RE. Allora esiste un’estensione T '
di T tale che T ' è RE, T ' è coerente ma in T si può
dimostrare un enunciato falso in N.
Infatti, sia T ' come nella dimostrazione del teorema dell’esistenza
di modelli non standard. Poiché T è RE, anche T ' è RE. Inoltre, come
abbiamo visto, T ' è coerente. Banalmente T ' A ¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
Ma, per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2],
∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è vero in N. Perciò ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) è falso in
N.
126
Esistenza di teorie coerenti ma ω-incoerenti. Sia T una teoria
sufficientemente potente e RE. Allora esiste un’estensione T '
di T che è RE e coerente ma è ω-incoerente.
Infatti, sia T ' come nella dimostrazione del teorema dell’esistenza
di modelli non standard. Poiché T è RE, anche T ' è RE. Inoltre, come
abbiamo visto, T ' è coerente. Banalmente T ' A ¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
Per il primo teorema
T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
di
incompletezza di
Perciò,
per
Gödel [V.4.2]
ogni
k,
prfT ( k , ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ) = 0 , e quindi, per la computabilità delle
funzioni
ricorsive
primitive
in
PRA
[V.2.3],
T ' A prfT ( k , ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ) = 0 . Ma, per il corollario del
teorema del punto fisso, T ' A t = ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . Perciò, per
ogni k, T ' A prf T ( k , t ) = 0 . Dunque T ' è ω-incoerente.
4.4. Secondo teorema di incompletezza di Gödel
Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Indichiamo con ConT
l’enunciato
¬( ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) ∧ ∃x ( prfT ( x , ¬A ) ≠ 0)) ,
dove A è un enunciato qualsiasi del linguaggio di T.
Allora ConT esprime in N la coerenza di T. Si noti che ConT non
è un singolo enunciato ma è uno schema perché sta per infiniti
enunciati, tanti quanti sono gli enunciati A.
Diciamo che la funzione prf T ( x , y ) è canonica per T se e solo se,
per ogni enunciato A della forma ∀x ( f ( x ) = 0) dove f è una funzione
ricorsiva primitiva, si ha:
(CAN)
PRA A ¬A → ∃x ( prfT ( x , ¬A ) ≠ 0) .
Diciamo che ConT è canonico, o esprime canonicamente la
coerenza di T, se e solo se la funzione prf T ( x , y ) in termini della quale
è formulata ConT è canonica per T.
127
Secondo teorema di incompletezza di Gödel. Sia T una teoria
sufficientemente potente e RE. Se T è coerente e ConT
esprime canonicamente la coerenza di T, allora T G ConT .
Infatti, indichiamo con A l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato dal
corollario del teorema del punto fisso [V.4.1]. Allora in base a
quest’ultimo si ha:
(1)
TAt = A .
Supponiamo che T A ConT per tale A, cioè che:
(2)
T A ¬( ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) ∧ ∃x ( prf T ( x , ¬A ) ≠ 0)) .
Poiché
A
è
∀x ( prf T ( x , t ) = 0) ,
banalmente
si
ha
T A ¬A → ¬∀x ( prfT ( x , t ) = 0) , da cui T A ¬A → ∃x ( prfT ( x , t ) ≠ 0)
e quindi per (1):
(3)
T A ¬A → ∃x ( prfT ( x , A ) ≠ 0) .
D’altra parte, poiché ConT esprime canonicamente la coerenza di T,
per (CAN) si ha:
(4)
T A ¬A → ∃x ( prfT ( x , ¬A ) ≠ 0) .
Da (3) e (4) si ottiene:
(5) T A ¬A → ( ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) ∧ ∃x ( prf T ( x , ¬A ) ≠ 0)) .
Da (2) e (5) segue T A A . Ma, per il primo teorema di incompletezza di
Gödel [V.4.2], T G A . Contraddizione. Se ne conclude che T G ConT .
Si intende che T G ConT significa che in T non è dimostrabile un
caso particolare di ConT , cioè quello in cui A è ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
4.5. Importanza dell’espressione della coerenza
Il requisito che ConT debba esprimere canonicamente la coerenza di T
è essenziale per la validità del secondo teorema di incompletezza di
Gödel [V.4.4]. Infatti, esistono enunciati Con′T che esprimono in N la
coerenza di T ma non canonicamente i quali sono dimostrabili in T.
Questo può essere visto nel modo seguente.
128
Indichiamo con prfT′ ( x , y ) ≠ 0 la formula:
prfT ( x , y ) ≠ 0 ∧ ∀zw ≤ x (opp ( w, y ) ≠ 0 → prfT ( z , w) = 0) .
Indichiamo con ConT′ l’enunciato
¬( ∃x ( prf T′ ( x , A ) ≠ 0) ∧ ∃x ( prfT′ ( x , ¬A ) ≠ 0)) ,
dove A è un enunciato qualsiasi del linguaggio di T. Chiaramente ConT′
è formalmente del tutto simile a ConT ma è definito in termini di
prf T′ ( x , y ) invece che di prf T ( x , y ) .
Facciamo vedere che T A ConT′ . Indichiamo con B ( x2 ) la
formula:
prfT ( x2 , ¬A ) ≠ 0 ∧ ∀zw ≤ x2 (opp ( w, ¬A ) ≠ 0 → prfT ( z , w) = 0)
e con C ( x1 ) la formula:
prfT ( x1 , A ) ≠ 0 ∧ ∀zw ≤ x1 (opp ( w, A ) ≠ 0 → prf T ( z , w) = 0) .
Supponiamo che B ( x2 ) ∧ C ( x1 ) . Allora B ( x2 ) e C ( x1 ) .
Per le
proprietà della relazione d’ordine [V.2.3], PRA A x1 ≤ x2 ∨ x2 ≤ x1 ,
perciò possiamo distinguere due casi.
Caso 1. x1 ≤ x2 . Allora, per B ( x2 ) ,
(1)
∀w ≤ x2 (opp ( w, ¬A ) ≠ 0 → prf T ( x1 , w) = 0) .
Ma, poiché opp ( A , ¬A ) ≠ 0 [V.3.4], per la computabilità delle
funzioni
ricorsive
primitive
in
PRA
[V.2.3],
T A opp ( A , ¬A ) ≠ 0 . Perciò da (1) segue prfT ( x1 , A ) = 0 . Ma
allora ¬C ( x1 ) , e quindi ¬( B ( x2 ) ∧ C ( x1 )) .
Caso 2. x2 ≤ x1 . Allora, per C ( x1 ) ,
(2)
∀w ≤ x1 (opp ( w, A ) ≠ 0 → prf T ( x2 , w) = 0) .
Ma, poiché opp ( ¬A , A ) ≠ 0 [V.3.4], per la computabilità delle
funzioni
ricorsive
primitive
in
PRA
[V.2.3],
129
T A opp ( ¬A , A ) ≠ 0 . Perciò da (2) segue prfT ( x2 , ¬A ) = 0 .
Ma allora ¬B ( x2 ) , e quindi ¬( B ( x2 ) ∧ C ( x1 )) .
Per la legge logica ( A → ¬A) → ¬A si conclude allora che
T A ¬( B ( x2 ) ∧ C ( x1 )) ,
T A ¬( ∃xB ( x ) ∧ ∃xC ( x )) ,
donde
T A ¬( ∃x ( prf T′ ( x , A ) ≠ 0) ∧ ∃x ( prf T′ ( x , ¬A ) ≠ 0)) ,
cioè
ossia
T A Con′T .
Si intende che T A ConT′ significa che ConT′ è dimostrabile in T
per un enunciato qualsiasi A del linguaggio di T.
Ovviamente, se T è coerente, per ogni k e p,
prf T ( k , p ) = prf T′ ( k , p ) , perciò per la computabilità delle funzioni
ricorsive primitive in PRA
[V.2.3] T A prf T ( k , p ) = prf T′ ( k , p ) ,
dunque prfT ( x , y ) e prfT′ ( x , y ) hanno la stessa estensione. Esse, però,
hanno intensioni differenti perché le loro definizioni esprimono idee
differenti. Una riprova di ciò è data dal fatto che T G ConT e
T A Con′T .
4.6. Teorema di incompletezza di Rosser
In termini di [V.4.5] si può stabilire un rafforzamento del primo
teorema di incompletezza di Gödel.
Teorema di incompletezza di Rosser. Sia T una teoria
sufficientemente potente e RE. Se T è coerente, allora
l’enunciato ∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) dato dal corollario del
teorema del punto fisso applicato alla formula
∀x ( prf T′ ( x , y ) = 0) di [V.4.5] invece che alla formula
∀x ( prf T ( x , y ) = 0) , è vero in N ma T G ∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0)
e T G ¬∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) .
Infatti, per il teorema del punto fisso [V.4.1], alla formula
∀x ( prf T′ ( x , y ) = 0) si può associare un termine chiuso t tale che:
(1)
T A t = ∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) .
Come abbiamo già osservato in [V.4.5], poiché T è coerente, per ogni k
e p si ha che prf T ( k , p ) = prf T′ ( k , p ) e T A prf T ( k , p ) = prf T′ ( k , p ) .
Perciò la dimostrazione del primo teorema di incompletezza di Gödel
130
[V.4.2]
si
applica
∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0)
immutata
è
vero
in
a
∀x ( prf T′ ( x , y ) = 0) .
N
ma
Dunque
T G ∀x ( prfT′ ( x , t ) = 0) .
Supponiamo ora che T A ¬∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) . Allora, per qualche k,
prfT′ ( k , ¬∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) ) ≠ 0 e quindi, per la computabilità
delle
funzioni
ricorsive
primitive
T A prf T′ ( k , ¬∀x ( prfT′ ( x , t ) = 0) ) ≠ 0 ,
in
da
PRA
cui
[V.2.3],
segue
che
T A ∃x ( prf T′ ( x , ¬∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) ) ≠ 0) . Da ciò e da T A Con′T
[V.4.5] si ottiene
T A ¬∃x ( prf T′ ( x , ∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) ) ≠ 0)
quindi per (1)
T A ¬∃x ( prf T′ ( x , t ) ≠ 0) ,
e
da cui si ottiene
T A ∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) . Ma T G ∀x ( prfT′ ( x , t ) = 0) . Contraddizione.
Se ne conclude che T G ¬∀x ( prf T′ ( x , t ) = 0) .
Poiché esistono teorie coerenti ma ω-incoerenti [V.4.3], il teorema
di incompletezza di Rosser è un genuino rafforzamento del primo
teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2].
4.7. Terzo teorema di incompletezza di Gödel
Sia T è una teoria sufficientemente potente e RE. Diciamo che T è
esternamente coerente se e solo se, per ogni enunciato della forma
∀x ( f ( x ) = 0) , dove f è una funzione ricorsiva primitiva, se
T A ∀x ( f ( x ) = 0) allora ∀x ( f ( x ) = 0) è vero in N.
Indichiamo con ExtConT l’enunciato:
∃x ( prf T ( x , ∀x ( f ( x ) = 0) ) ≠ 0) → ∀x ( f ( x ) = 0) ,
dove f è una funzione ricorsiva primitiva.
Allora ExtConT esprime in N la coerenza esterna di T. Si noti che
ExtConT non è un singolo enunciato ma è uno schema perché sta per
infiniti enunciati, tanti quante sono le funzioni ricorsive primitive f.
Terzo teorema di incompletezza di Gödel. Sia T una teoria
sufficientemente potente e RE. Se T è coerente, allora
T G ExtConT .
Infatti, indichiamo con A l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato dal
corollario del teorema del punto fisso [V.4.1].
131
Supponiamo che T A ExtConT . Allora in particolare si ha
T A ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) → A ,
da
cui
si
ottiene
T A ¬∀x ( prf T ( x , A ) = 0) → A , cioè T A ¬A → A . Da quest’ultima
per
la
legge
logica
( ¬A → A) → A
segue
TA A,
cioè
T A ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) . Ma, per il primo teorema di incompletezza di
Gödel [V.4.2],
T G ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
Contraddizione. Se ne
conclude che T G ExtConT .
Si intende che T G ExtConT significa che in T non è
dimostrabile un caso particolare di ExtConT , cioè quello in cui
∀x ( f ( x ) = 0) è ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) .
4.8. Confronto tra i teoremi di incompletezza di Gödel
Il terzo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.7] è una versione del
primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2]. Esso, infatti, può
essere riformulato nel modo seguente.
Riformulazione del terzo teorema di incompletezza di Gödel.
Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Se T è
coerente, allora per qualche enunciato A tale che A è vero in N
ma T G A , si ha T G ∃x ( prfT ( x , A ) ≠ 0) → A .
Questo è immediato dalla dimostrazione del terzo teorema di
incompletezza di Gödel.
Poiché il terzo teorema di incompletezza di Gödel è una
formulazione del primo teorema di incompletezza di Gödel, la sua
validità non richiede che la funzione prf T ( x, y ) sia canonica per T.
Il secondo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.4] è invece un
risultato più forte del terzo teorema di incompletezza di Gödel. Esso,
infatti, può essere riformulato nel modo seguente.
Riformulazione del secondo teorema di incompletezza di
Gödel. Sia T una teoria sufficientemente potente e RE. Se T è
coerente e la funzione prf T ( x, y ) è canonica per T, allora per
T A ¬A
si
ha
ogni
enunciato
A
tale
che
T G ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) → A .
Infatti, sia A un enunciato tale T A ¬A . Supponiamo che
T A ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) → A . Allora T A ¬∃x ( prfT ( x , A ) ≠ 0) ,
132
da cui segue T A ¬( ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) ∧ ∃x ( prf T ( x , ¬A ) ≠ 0)) ,
cioè T A ConT . Ma, per il secondo teorema di incompletezza di Gödel
[V.4.4], T G ConT . Contraddizione. Se ne conclude che
T G ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) → A .
Dunque, mentre il terzo
teorema di incompletezza di Gödel
stabilisce che T G ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) → A per qualche enunciato A
tale che A è vero in N ma T G A , il secondo teorema di incompletezza
di Gödel stabilisce che T G ∃x ( prf T ( x , A ) ≠ 0) → A per ogni
enunciato A tale che T A ¬A , perciò è un risultato più forte.
4.9. Estensione ad altre teorie
Vi sono svariate teorie del primo ordine T, a cominciare dalla teoria
degli insiemi, che non si potrebbe negare siano sufficientemente potenti
e tuttavia non sono sufficientemente potenti nel senso di [V.2.4].
Introduciamo perciò la seguente nozione più ampia.
Sia L un linguaggio del primo ordine, e sia N ( x ) una formula di L
contenente come sua unica variabile individuale libera x. Per ogni
enunciato C di L chiamiamo relativizzazione di C a N ( x ) il risultato
della sostituzione di ogni parte di C della forma ∀xA con
∀x ( N ( x ) → A) .
Diciamo che una teoria del primo ordine T il cui linguaggio è L è
sufficientemente potente in senso esteso se e solo se: (i) la nozione di
numero naturale è definita in T da una formula N ( x ) di L contenente
come sua unica variabile individuale libera x; (ii) tutti i simboli non
logici di L PRA sono definibili in T da formule di L; (iii) le
relativizzazioni di tutti gli assiomi non logici di PRA a N ( x ) sono
dimostrabili in T.
Per esempio, nel caso della teoria degli insiemi, N ( x ) è la formula
x ∈ω .
Chiaramente, i teoremi di incompletezza di Gödel e corollari
[V.4.2, V.4.3. V.4.4, V.4.6, V.4.7] valgono anche per le teorie che sono
sufficientemente potenti in senso esteso.
5. Altri risultati limitativi
5.1. Teoremi di indefinibilità di Tarski
Diciamo che una formula A( y ) di L PRA contenente come sua unica
variabile individuale libera y definisce un insieme di numeri naturali X
in N se e solo se, per ogni numero naturale k:
133
k ∈ X se e solo se A( k ) è vero in N.
Diciamo che un insieme di numeri naturali X è definibile in N, o è
aritmetico, se e solo se esiste una formula che definisce X in N.
Indichiamo con TRUE( N ) l’insieme dei numeri di Gödel degli
enunciati di L PRA che sono veri in N.
Primo teorema di indefinibilità di Tarski. L’insieme
TRUE( N ) non è aritmetico.
Infatti, supponiamo che lo sia. Allora esiste una formula A( y ) che
definisce TRUE( N ) in N. Per il teorema del punto fisso [V.4.1], ad
A( y ) si può associare un termine chiuso t tale che
PRA A t = ¬A( t ) . Poiché N è un modello di PRA [V.2.2], ne segue
che:
(1)
t = ¬A( t ) è vero in N.
Sia
k = ¬A( t ) . Poiché
A( y )
definisce
TRUE( N )
in N,
k ∈ TRUE( N ) se e solo se A( k ) è vero in N. Perciò ¬A( t ) è vero in N
se e solo se A( ¬A( t ) ) è vero in N. Da ciò per (1) segue che ¬A( t ) è
vero in N se e solo se A( t ) è vero in N, e quindi che A( t ) non è vero in
N se e solo se A( t ) è vero in N. Contraddizione. Se ne conclude che
TRUE( N ) non è aritmetico.
Sia T una teoria il cui linguaggio è L PRA . Diciamo che una
formula A( y ) di L PRA contenente come sua unica variabile
individuale libera y è una definizione di verità per T se e solo se, per
ogni enunciato C, T A A( C ) ↔ C .
Questa nozione di definizione di verità è motivata dal fatto che, in
base alla concezione della verità come corrispondenza, l’enunciato ‘La
neve è bianca’ è vero se e solo se la neve è bianca. La formula A( y )
esprime appunto la proprietà di essere vero.
Secondo teorema di indefinibilità di Tarski. Sia T una teoria
sufficientemente potente. Se T è coerente, allora non esiste
una definizione di verità per T.
Infatti, supponiamo che esista una definizione di verità A( y ) per
T. Per il teorema del punto fisso [V.4.1], ad A( y ) si può associare un
termine chiuso t tale che:
134
(1) PRA A t = ¬A( t ) .
Poiché
A( y )
è
una
definizione
di
verità
per
T,
si
ha
T A A( ¬A( t ) ) ↔ ¬A( t ) , da cui per (1) segue T A A( t ) ↔ ¬A( t ) .
Da ciò per le leggi logiche (¬A → A) → A e ( A → ¬A) → ¬A si
ottiene che T A A( t ) e T A ¬A( t ) . Quindi T è incoerente.
Contraddizione. Se ne conclude che non esiste una definizione di verità
per T.
Si noti che, mentre il primo teorema di indefinibilità di Tarski
asserisce che non esiste una formula avente una certa proprietà
semantica, il secondo teorema di indefinibilità di Tarski asserisce che
non esiste una formula avente una certa proprietà sintattica. Ma l’idea
che sta alla base di entrambi i teoremi è la stessa: la proprietà di essere
un enunciato vero in N non è esprimibile in L PRA .
Diciamo che una teoria T è aritmetica se e solo se l’insieme
THM T è aritmetico.
Teorema di incompletezza debole per teorie aritmetiche. Sia
T una teoria sufficientemente potente e aritmetica. Se N è un
modello di T, allora esiste almeno un enunciato A di T tale
che A è vero in N ma T G A e T G ¬A .
Infatti, poiché N è un modello di T, THM T ⊆ TRUE(N ) . Inoltre,
poiché T è aritmetica, THM T è aritmetico. Ma, per il primo teorema di
indefinibilità di Tarski, TRUE( N ) non è aritmetico. Perciò
THM T ≠ TRUE(N ) . Dunque esiste almeno un enunciato A di T tale
che A è vero in N ma T G A . Supponiamo che T A ¬A . Poiché N è un
modello di T allora ¬A è vero in N, perciò A non è vero in N.
Contraddizione. Se ne conclude che T A ¬A .
Questo mostra che un teorema di incompletezza debole è un
corollario del primo teorema di indefinibilità di Tarski. Tale teorema di
incompletezza è debole sia in quanto dipende dall’assunzione forte che
N sia un modello di T sia in quanto non fornisce alcun esempio di
enunciato vero in N ma non dimostrabile in T.
5.2. Teorema di indecidibilità
Diciamo che un insieme di numeri naturali X è ricorsivo se e solo se
esiste una formula A( y ) di L PRA contenente come sua unica variabile
individuale libera y tale che, per ogni numero naturale k:
(i) se k ∈ X , allora PRA A A( k ) ,
(ii) se k ∉ X , allora PRA A ¬A( k ) .
135
Dunque X è ricorsivo se e solo se, per ogni k, si può decidere in PRA se
k ∈ X oppure k ∉ X .
Teorema di indecidibilità. Sia T una teoria sufficientemente
potente. Se T è coerente, allora l’insieme THM T non è
ricorsivo.
Infatti, supponiamo che THM T sia ricorsivo. Allora esiste una
formula A( y ) tale che, per ogni numero naturale k, se k ∈ THM T
allora PRA A A( k ) , e se k ∉ THM T allora PRA A ¬A( k ) . Per il
teorema del punto fisso [V.4.1], ad A( y ) si può associare un termine
chiuso t tale che:
(1)
PRA A t = ¬A( t ) .
Sia k = ¬A( t ) . Allora o T A ¬A( t )
T A ¬A( t ) ,
allora
k ∈ THM T ,
perciò
oppure T G ¬A( t ) . Se
PRA A A( k ) ,
cioè
PRA A A( ¬A( t ) ) , quindi T A A( ¬A( t ) ) , da cui per (1) segue
che T A A( t ) , dunque T è incoerente. Contraddizione. Se T G ¬A( t ) ,
allora k ∉ THM T , perciò PRA A ¬A( k ) , cioè PRA A ¬A( ¬A( t ) ) ,
quindi T A ¬A( ¬A( t ) ) , da cui per (1) segue che T A ¬A( t ) .
Contraddizione. Se ne conclude che THM T non è ricorsivo.
5.3. Teorema di Church
Ad ogni funzione ricorsiva primitiva binaria f associamo un insieme
finito di enunciati Γ e una formula A( y ) di L PRA contenente come sua
unica variabile individuale libera y nel modo seguente.
Poiché f è una funzione ricorsiva primitiva, esisterà una
successione finita di funzioni ricorsive primitive f0 ,..., f r tale che per
ogni i, 0 ≤ i ≤ r , fi è la funzione zero o la funzione successore o la
funzione proiezione i-esima, oppure si ottiene da funzioni precedenti
della successione per composizione o per ricorsione primitiva, e f r è la
funzione f.
L’insieme Γ consterà di uno o due enunciati per ogni fi con
i > 0 . Se fi è la funzione zero, l’enunciato sarà (1) ∀x ( fi ( x ) = 0) . Se
fi è la funzione successore, l’enunciato sarà (2) ∀x ( fi ( x ) = S ( x )) . Se
136
fi
è
la
funzione
proiezione
i-esima,
l’enunciato
sarà
(3)
∀x1 ... xn ( fi ( x1 ,..., xn ) = xi ) . Se fi si ottiene da f k e f j1 ,..., f jm , dove
k , j1 ,..., jm < i ,
per
composizione,
l’enunciato
sarà
(4)
∀x1 ... xn ( fi ( x1 ,..., xn ) = f k ( f j ( x1 ,..., xn ),..., f j ( x1 ,..., xn ))) . Se fi si
1
ottiene da f j
enunciati
e f k , dove
saranno
(5a)
m
j, k < i , per ricorsione primitiva, gli
∀x ( fi ( x , 0) = f j ( x ))
e
(5b)
∀x∀y ( fi ( x , S ( y )) = f k ( x , y , fi ( x , y ))) . (Per semplicità indichiamo un
unico argomento x invece di n argomenti x1 ,..., xn ).
La formula A( y ) sarà allora ∃x ( f r ( x , y ) = 1) .
Indichiamo con Γ la congiunzione degli enunciati di Γ. Diciamo
che Γ è adeguato per fi se e solo se, per ogni e1 ,..., en , q , se
fi ( e1 ,.., en ) = q allora B Γ → fi ( e1 ,..., e n ) = q .
Lemma di adeguatezza. Γ è adeguato per ogni fi , 0 ≤ i ≤ r .
Infatti, se fi è la funzione zero o la funzione successore o la
funzione proiezione i-esima, Γ è adeguato per fi perché Γ contiene gli
enunciati (1)-(3). Rimane da dimostrare che: (a) Se fi è stata ottenuta
per composizione da funzioni
f k e f j1 ,..., f jm per cui Γ è adeguato,
allora Γ è adeguato per fi ; (b) Se fi è stata ottenuta per ricorsione
primitiva da funzioni f j e f k per cui Γ è adeguato, allora Γ è adeguato
per fi . Per esempio, dimostriamo (b). (Per semplicità consideriamo un
unico argomento e invece di n argomenti e1 ,..., en ).
Supponiamo che fi ( e, p ) = q . Per ogni s ≤ p sia qs = f i ( e, s ) .
Dunque q p = q . Poiché fi è stata ottenuta per ricorsione primitiva da
fj
e
f k , si ha q0 = f i ( e, 0) = f j ( e) , e per ogni s < p si ha
qS ( s ) = f i ( e, S ( s )) = f k ( e, s, fi ( e, s )) = f k ( e, s, qs ) . Poiché Γ è adeguato
per
fj
e
fk
si ha allora che (6a) B Γ → f j ( e) = q0 e (6b)
B Γ → f k ( e, s, q s ) = q S ( s ) .
Da
(6a)
137
e
(5a)
si
ottiene
(7a)
B Γ → f i ( e, 0) = q0 .
Da
(6b)
e
(5b)
si
ottiene
(7b)
B Γ → ( f i ( e, s ) = q s → f i ( e, S ( s )) = q S ( s ) ) . Da (7a) e da (7b) per s = 0
si ottiene B Γ → f i ( e,1) = q1 , dalla quale e da (7b) per s = 1 si ottiene
B Γ → fi ( e, 2) = q 2 , dalla quale e da (7b) per s = 2 si ottiene
B Γ → f i ( e,3) = q3 , e così via fino a B Γ → f i ( e, p ) = q p , cioè
B Γ → fi ( e, p ) = q . Dunque Γ è adeguato per fi .
Lemma equazionale. Per ogni numero naturale p, B Γ → A( p )
se e solo se ∃x ( f ( x , p ) = 1) .
Infatti, supponiamo che B Γ → A( p ) ma non ∃x ( f ( x , p ) = 1) .
Chiaramente N è un modello di Γ mentre, poiché non ∃x ( f ( x , p ) = 1) ,
N non è un modello di A( p ) . Quindi H Γ → A( p ) . Contraddizione.
Se ne conclude che ∃x ( f ( x , p ) = 1) . Dunque, se B Γ → A( p ) allora
∃x ( f ( x , p ) = 1) .
Viceversa, supponiamo che ∃x ( f ( x , p ) = 1) . Sia f ( e, p ) = 1 ,
cioè f r ( e, p ) = 1 . Per il lemma di adeguatezza Γ è adeguato per f r ,
cioè per f. Da f r ( e, p ) = 1 segue allora che B Γ → f r ( e, p ) = 1 , da cui
B Γ → ∃x ( f r ( x , p ) = 1) , cioè B Γ → A( p ) .
Indichiamo con VAL L l’insieme dei numeri di Gödel degli
enunciati di un linguaggio del primo ordine L che sono logicamente
validi.
Teorema di indecidibilità della validità del primo ordine.
L’insieme VAL L non è ricorsivo.
Infatti, associamo alla funzione ricorsiva primitiva binaria prf PRA
un insieme finito di enunciati Γ e una formula A( y ) nel modo indicato
sopra. Allora, per il lemma equazionale, per ogni numero naturale p si
ha (1) B Γ → A( p ) se e solo se ∃x ( prf PRA ( x , p ) = 1) . Supponiamo
che VAL L sia ricorsivo. Allora in particolare sarà ricorsivo l’insieme
dei numeri di Gödel degli enunciati logicamente validi della forma
Γ → A( p ) .
Perciò
per
(1)
138
sarà
ricorsivo
l’insieme
{ p : ∃x( prf
PRA
}
( x , p ) = 1) , cioè THM PRA . Ma, per il teorema di
indecidibilità [V.5.2], poiché PRA è coerente [V.2.2], THM PRA non è
ricorsivo. Contraddizione. Se ne conclude che VAL L non è ricorsivo.
Indichiamo con THM L l’insieme dei numeri di Gödel degli
enunciati di un linguaggio del primo ordine L che sono dimostrabili
mediante gli assiomi e le regole della logica del primo ordine.
Teorema di Church. L’insieme THM L non è ricorsivo.
Per il teorema di indecidibilità della validità del primo ordine
VAL L non è ricorsivo. Ma per il teorema di completezza [V.1.5]
VAL L
⊆ THM L . Perciò THM L non è ricorsivo.
5.4. Estensione ad altre teorie
Chiaramente i risultati limitativi di [V.5.1, V.5.2] valgono per le teorie
che sono sufficientemente potenti in senso esteso [V.4.9].
Vale inoltre il seguente rafforzamento del primo teorema di
indefinibilità di Tarski [V.5.1].
Sia L il linguaggio della teoria degli insiemi. Diciamo che una
formula A( y ) di L contenente come sua unica variabile individuale
libera y definisce un insieme di numeri naturali X nella gerarchia
cumulativa degli insiemi V se e solo se, per ogni numero naturale k:
k ∈ X se e solo se A( k ) è vero in V.
Diciamo che un insieme di numeri naturali X è definibile in V, o è
insiemistico, se e solo se esiste una formula che definisce X in V.
Indichiamo con TRUE(V ) l’insieme dei numeri di Gödel degli
enunciati di L che sono veri in V.
Teorema di indefinibilità della verità insiemistica. TRUE(V )
non è insiemistico.
La dimostrazione è del tutto simile a quella del primo teorema di
indefinibilità di Tarski [V.5.1].
6. Logica del secondo ordine
6.1. Linguaggi del secondo ordine
I linguaggi del secondo ordine sono definiti come i linguaggi del primo
ordine [V.1.1] ma con le seguenti aggiunte.
139
I simboli di un linguaggio del secondo ordine L2 comprendono
quelli di un linguaggio del primo ordine e per ogni numero intero
n
n
n
positivo n infinite variabili relazionali n-arie V0 , V1 , V2 , ... .
I termini di un linguaggio del secondo ordine L2 sono definiti
come i termini di un linguaggio del primo ordine.
Le formule atomiche di un linguaggio del secondo ordine L2
comprendono quelle di un linguaggio del primo ordine e tutte le
espressioni della forma Vi n (t1 ,..., tn ) dove Vi n è una variabile
relazionale n-aria e t1 , ..., tn sono termini.
Le formule di un linguaggio del secondo ordine L2 sono definite
come le formule di un linguaggio del primo ordine, con in più la
seguente clausola: (vi) se Vi n è una variabile relazionale n-aria e A è una
n
formula, allora ∀Vi A è una formula.
n
n
n
X , Y , Z , ...
o semplicemente
Usiamo le lettere
X , Y , Z , ... (eventualmente con indici) per le variabili relazionali nn
n
n
arie V0 , V1 , V2 , ... .
Scriviamo ∃XA per ¬∀X ¬A ; ∀Ψ 1 ...Ψ n A per ∀Ψ 1...∀Ψ n A , e
∃Ψ 1 ...Ψ n A per ∃Ψ 1...∃Ψ n A , dove Ψ 1 ,..., Ψ n sono variabili individuali
o relazionali.
In un linguaggio del secondo ordine L2 non occorre assumere che
tra le costanti relazionali n-arie sia compresa una costante relazionale
binaria = per l’eguaglianza perché si può definire ( t1 = t2 ) come
1
∀X ( X ( t1 ) ↔ X ( t2 )) .
Le occorrenze libere di una variabile relazionale n-aria Vi n in una
formula sono definite come le occorrenze libere di una variabile
individuale vi in una formula, con in più la seguente clausola: (v) le
n
occorrenze libere di Vi n in ∀V j A sono le occorrenze libere di Vi n in A
se j ≠ i ; se invece j = i , allora Vi n non ha alcuna occorrenza libera in
n
n
∀V j A e in tal caso tutte le occorrenze di Vi n in ∀V j A si dicono
occorrenze vincolate.
Diciamo che una formula è chiusa, o è un enunciato, se e solo se
nessuna variabile individuale e nessuna variabile relazionale n-aria
occorre libera in essa.
140
Diciamo che una formula A è una generalizzazione di una formula
B se e solo se, per qualche n ≥ 0 e per delle variabili individuali o
relazionali Ψ 1 ,..., Ψ n , la formula A è ∀Ψ 1 ...Ψ n B . Se Ψ 1 ,..., Ψ n
comprendono tutte le variabili individuali libere di B, diciamo che A è
la chiusura universale di B. Dunque la chiusura universale di una
formula è un enunciato.
Se X è una variabile relazionale n-aria, Θ è una variabile
relazionale n-aria o una costante relazionale n-aria e A è una formula,
indichiamo con A[ X / Θ] il risultato della sostituzione di ogni
occorrenza libera di X in A con Θ.
Diciamo che una variabile relazionale n-aria X è sostituibile con
una variabile relazionale n-aria o una costante relazionale n-aria Θ in
una formula A se e solo se o Θ è una costante relazionale n-aria oppure
Θ è una variabile relazionale n-aria e non diventa vincolata in seguito
alla sostituzione di X con Θ in A, cioè non è un’occorrenza vincolata in
A[ X / Θ] .
In seguito, quando usiamo la notazione A[ X / Θ] , assumiamo
tacitamente che X sia sostituibile con Θ in A.
6.2. Assiomi e regole della logica del secondo ordine
Sia L2 un linguaggio del secondo ordine. Introduciamo gli assiomi
logici e le regole di deduzione logiche di L2 .
Gli assiomi logici di L2 sono tutte le formule di L2 di una delle
forme L1-L9 di [V.1.2] o di una delle seguenti forme:
L11. ∀X ( A → B ) → (∀XA → ∀XB ) ,
n
L12. ∀X A → A[ X / Θ] ,
L13. A → ∀XA se X non occorre libera in A,
L14. x1 = y1 → (... → ( xn = yn → ( X ( x1 ,..., xn ) → X ( y1 ,..., yn )))...) ,
L15. ∃X ∀x1...∀xn ( X ( x1 ,..., xn ) ↔ A) se X non occorre libera in A,
L16. Tutte le generalizzazioni di una formula di una delle forme L1-L9,
L11-L15.
Le regole di deduzioni logiche di L2 consistono di un’unica
regola, il modus ponens MP: Per ogni formula A e B di L2 , da A e
A → B si può inferire B.
Le nozioni di deduzione, deducibilità, dimostrazione,
dimostrabilità, legge logica sono definite come le nozioni
corrispondenti della logica del primo ordine [V.1.2].
141
1
Se si definisce ( t1 = t2 ) come ∀X ( X ( t1 ) ↔ X ( t2 )) si possono
eliminare gli assiomi logici L7-L9, L14 perché con tale definizione essi
diventano dimostrabili.
6.3. Modelli per linguaggi del secondo ordine
Un modello, o struttura, per un linguaggio del secondo ordine L2 è
una tripla ordinata M = ( D, (D n )n =1,2,... , φ ) , dove D è un insieme non
vuoto, detto il dominio degli individui di M, D n , n = 1, 2,... , è l’insieme
di tutte le relazioni n-arie su D, detto il dominio delle relazioni n-arie di
M, e φ è una funzione unaria, detta la funzione di interpretazione di M,
che associa (i) ad ogni costante individuale di L2 un membro di D, (ii)
ad ogni costante funzionale n-aria di L2 una funzione n-aria su D; (iii)
ad ogni costante relazionale n-aria di L2 un membro di D n .
Se M = ( D, (D n )n =1,2,... , φ ) è un modello per un linguaggio del
secondo ordine L2 , per ogni a ∈ D sia a una nuova costante
individuale non in L2 , detta il nome di a e, per ogni R ∈ D n ,
n = 1, 2,... , sia R una nuova costante relazionale n-aria non in L2 ,
detta il nome di R. Indichiamo con L2 ( M ) il linguaggio del secondo
ordine che si ottiene da L2 aggiungendo un nome a per ogni a ∈ D e
un nome R per ogni R ∈ D n , n = 1, 2,... .
Ad ogni termine chiuso t di L2 ( M ) assegniamo un membro di D,
M
scritto t , detto il valore di t in M, come nel caso dei termini chiusi di
un linguaggio del primo ordine [V.1.3].
Ad ogni enunciato A di L2 ( M ) assegniamo un membro
dell’insieme {1, 0} , scritto AM , detto il valore di verità di A in M, dove
1 si dice il valore di verità vero e 0 il valore di verità falso, come nel
caso degli enunciati di un linguaggio del primo ordine [V.1.3], con in
più
la
seguente
( B[ X / R ])
M
clausola:
(∀XB )
(vi)
M
=1
se
e
solo
se
= 1 per ogni R ∈ Dn .
Per ogni formula A di un linguaggio del secondo ordine L2 in cui
solo x1 ,..., xn , X 1 , ..., X m occorrono libere, per M-esempio di A
intendiamo
un
enunciato
di
A[ x1 / a 1 ,..., xn / a n , X 1 / R 1 , ..., X m / R m ]
L2 ( M )
dove
Ri ∈ D j , per i = 1,..., m e per qualche j = 1, 2,... .
142
della
forma
a1 ,..., an ∈ D
e
Diciamo che una formula A di un linguaggio del secondo ordine
L è vera in M se e solo se ( A') M = 1 per ogni M-esempio A ' di A. In
2
particolare, un enunciato A di L2 è vero in M se e solo se AM = 1 .
Diciamo che A è falsa in M se e solo se A non è vera in M.
Le nozioni di modello di una formula o di un insieme di formule di
un linguaggio del secondo ordine L2 , di conseguenza logica o
conseguenza, di formula logicamente valida o valida, e di
soddisfacibilità sono definite come le nozioni corrispondenti per un
linguaggio del primo ordine [V.1.3].
6.4. Isomorfismo di modelli
Se M = ( D, (D n )n =1,2,... , φ ) e M ' = ( D ',(D ' n ) n =1,2,... , φ ') sono modelli
per un linguaggio del secondo ordine L2 , la nozione di isomorfismo di
M su M ' è definita come la nozione corrispondente per un linguaggio
del primo ordine [V.1.6].
Teorema dell’isomorfismo. Siano M e M ' due modelli per un
linguaggio del secondo ordine L2 . Se M e M ' sono isomorfi
allora, per ogni enunciato A di L2 , AM = 1
A
M'
se e solo se
= 1.
La dimostrazione è come quella del risultato corrispondente per un
linguaggio del primo ordine [V.1.6].
6.5. Teorie del secondo ordine
Le nozioni di teoria del secondo ordine, linguaggio di una teoria del
secondo ordine, assiomi non logici di una teoria del secondo ordine,
dimostrazione in una teoria del secondo ordine, formula dimostrabile in
o teorema di una teoria del secondo ordine, modello di una teoria del
secondo ordine, ed estensione di una teoria del secondo ordine sono
definite come le nozioni corrispondenti per le teorie del primo ordine
[V.1.7].
7. Aritmetica di Peano del secondo ordine
7.1. La teoria PA 2
Introduciamo una teoria PA 2 , detta aritmetica di Peano del secondo
ordine.
Il linguaggio L 2 di PA 2 contiene come unici simboli non
PA
logici la costante individuale 0 e la costante funzionale unaria S .
143
Scriviamo
0, 1, 2, ...
per
i
termini
0, S (0), S ( S (0)),... ,
1
rispettivamente. Definiamo ( t1 = t2 ) come ∀X ( X ( t1 ) ↔ X ( t2 )) .
Gli assiomi non logici di PA 2 sono le chiusure universali delle
seguenti formule:
2
PA 1 . 0 ≠ S ( x ) ,
2
PA 2 . S ( x ) = S ( y ) → x = y ,
2
PA 3 . X (0) ∧ ∀x ( X ( x ) → X ( S ( x )) → ∀xX ( x ) .
2
Chiamiamo PA 3 l’assioma di induzione del secondo ordine. Si
2
noti che, a differenza di PRA7 ' che è uno schema, PA 3 è una singola
formula.
L 2
il modello
Chiamiamo modello standard per
PA
2
N = ( ,(D n ) n =1,2,... , φ ) per
L
PA 2
dove φ è la funzione tale che
φ (0) = 0 e φ ( S ) = S .
2
Teorema. N è un modello di PA 2 .
Infatti, chiaramente gli assiomi non logici di PA 2 sono veri in
2
N .
7.2. Teoremi di incompletezza di Gödel per PA 2
Sebbene PA 2 non sia una teoria sufficientemente potente [V.2.4], è
facile vedere che essa è sufficientemente potente in senso esteso
[V.4.9]. Per esempio l’addizione x + y = z è definita in PA 2 da
∀X ( X (0, x ) ∧ ∀u∀v ( X (u, v ) → X ( S (u ), S ( v ))) → X ( y , z )) .
Allora i teoremi di incompletezza di Gödel e corollari [V.4.2,
V.4.3. V.4.4, V.4.6, V.4.7] valgono anche per PA 2 .
7.3. Altri risultati limitativi per PA 2
Anche gli altri risultati limitativi di [V.5.1, V.5.2] valgono per PA 2 .
Vale inoltre il seguente risultato.
Indichiamo con THM 2 l’insieme dei numeri di Gödel degli
L
enunciati di un linguaggio del secondo ordine L2 che sono dimostrabili
mediante gli assiomi e le regole della logica del secondo ordine.
144
Teorema di indecidibilità della logica del secondo ordine.
L’insieme THM 2 non è ricorsivo.
L
2
Infatti, sia PA la congiunzione degli assiomi non logici di PA 2 .
Per ogni enunciato C di L
2
PA 2
2
A PA → C . Perciò THM
PA2
si ha che PA A C se e solo se
è ricorsivo se e solo se THM L
PA2
è
ricorsivo. Ma, per il teorema di indecibilità per PA 2 [V.5.3, V.7.3],
THM 2 non è ricorsivo. Perciò THM L
non è ricorsivo.
PA
PA2
7.4. Categoricità di PA 2
Diciamo che una teoria del secondo ordine T è categorica se e solo se
due modelli qualsiasi di T sono isomorfi.
Categoricità di PA 2 . Tutti i modelli di PA 2 sono isomorfi a
N 2 , perciò PA 2 è categorica.
Infatti, sia M = ( D, (D n )n =1,2,... , φ ') un modello qualsiasi di PA 2 ,
e siano φ '(0) = o e φ '( S ) = s . Poiché M è un modello di PA 2 , gli
assiomi non logici di PA 2 sono veri in M, perciò per ogni a , b ∈ D e
per ogni E ⊆ D si ha:
(1) o ≠ s ( a ) ,
(2) se s ( a ) = s ( b) , allora a = b ,
(3) se o ∈ E , e se c ∈ E allora s ( c) ∈ E per ogni c ∈ D , allora E = D .
{
Sia h la funzione definita induttivamente nel modo seguente:
h (0) = o
h ( m + 1) = s ( h ( m )).
Mostriamo che h è un isomorfismo di N 2 su M, cioè soddisfa le
condizioni [V.1.6 (i)-(v)]. (Non occorre considerare la condizione
[V.1.6 (vi)] poiché L 2 non contiene costanti relazionali).
PA
(i) h è una funzione da
a D. Questo segue immediatamente dal
fatto che o ∈ D e s è una funzione da D a D.
(ii) h è biunivoca. Dobbiamo dimostrare che, per ogni m, n , se
h ( m ) = h ( n ) allora m = n . Infatti, supponiamo che h ( m ) = h ( n ) ma
m ≠ n . Allora o m > n oppure m < n . Se m > n , allora applicando
145
ripetutamente (2) da h ( m ) = h ( n ) segue che h (0) = h ( m − n ) , cioè
o = s( h( m − n − 1)) . Ma per (1) o ≠ s( h( m − n − 1)) . Contraddizione.
Perciò non m > n . Similmente nel caso m < n . Se ne conclude che
m=n.
(iii) h è su D. Se E è il codominio di h, dobbiamo mostrare che
E = D . Infatti o ∈ E , e se c ∈ E , allora c = h ( m ) per qualche m, per
cui h ( m + 1) = s ( c ) e quindi s ( c ) ∈ E . Da ciò per (3) segue che
E = D.
(iv) h (φ (0)) = φ '(0) . Infatti h (φ (0)) = h (0) = o = φ '(0) .
(v)
h (φ ( S )( m )) = φ '( S )( h ( m )) ,
per
ogni
m.
Infatti
h (φ ( S )( m )) = h ( m + 1) = s ( h ( m )) = φ '( S )( h ( m )) .
Dunque h è un isomorfismo di N 2 su M, e quindi M è isomorfo a
N 2 . Poiché M è un modello qualsiasi di PA 2 , se ne conclude che tutti
i modelli di PA 2 sono isomorfi a N 2 e quindi sono isomorfi tra loro,
dunque PA 2 è categorica.
7.5. Relazione tra enumerabilità ricorsiva e aritmeticità
Tra enumerabilità ricorsiva e aritmeticità sussiste la seguente relazione.
Enumerabilità ricorsiva implica aritmeticità. Sia X un
insieme di numeri naturali. Se X è RE allora X è aritmetico.
Infatti, supponiamo che X sia RE. Allora esiste una funzione di
verità ricorsiva primitiva f tale che per ogni p, p ∈ X se e solo se
∃x ( f ( x, p ) = 1) . Perciò, per ogni p, p ∈ X se e solo se l’enunciato
∃x ( f ( x, p ) = 1) è vero in N. Ma allora la formula ∃x ( f ( x, y ) = 1)
definisce X in N, e dunque X è aritmetico.
7.6. Incompletezza forte della logica del secondo ordine
Indichiamo con VAL
L2
l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati
di un linguaggio del secondo ordine L2 che sono logicamente validi.
Teorema di incompletezza forte della logica del secondo
ordine. L’insieme VAL 2 non è aritmetico, perciò a maggior
L
ragione non è RE.
2
Infatti, sia PA la congiunzione degli assiomi non logici di PA 2 .
Sia C un enunciato qualsiasi di L 2 del primo ordine. Allora C è vero
PA
in N se e solo se C è vero in N 2 . Perciò, per il teorema
146
dell’isomorfismo [V.6.4], C è vero in N se e solo C se è vero in tutti i
modelli isomorfi a N 2 . Dunque, per la categoricità di PA 2 [V.7.4], C
è vero in N se e solo se C è vero in tutti i modelli di PA 2 . Quindi:
2
C è vero in N se e solo se PA → C è logicamente valido.
(1)
Supponiamo che VAL
sia aritmetico, per un linguaggio
L2
2
qualsiasi del secondo ordine L . Allora in particolare VAL L
è
PA2
aritmetico. Perciò l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati di
L
2
PA 2
della forma PA → C che sono logicamente validi, dove C è un
enunciato del primo ordine, è aritmetico. Dunque per (1) anche
l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati C del primo ordine di
L 2 che sono veri in N è aritmetico. Ma, per il primo teorema di
PA
indefinibilità di Tarski [V.5.1], tale insieme non è aritmetico.
Contraddizione. Se ne conclude che VAL 2 non è aritmetico. Poiché
L
enumerabilità ricorsiva implica aritmeticità [V.7.5], VAL
L2
non è
neppure RE.
Corollario del teorema di incompletezza forte della logica del
secondo ordine. Non esiste alcun insieme di assiomi logici e
regole di deduzione logiche della logica del secondo ordine in
un linguaggio del secondo ordine L2 che sia aritmetico e tale
che tutti gli enunciati logicamente validi di L2 siano
dimostrabili per mezzo di quegli assiomi logici e regole di
deduzione logiche. A maggior ragione ciò vale con ‘RE’ al
posto di ‘aritmetico’.
Infatti, supponiamo che un tale insieme di assiomi logici e regole
di deduzione logiche esista. Allora tutti gli enunciati logicamente validi
di L2 sono dimostrabili nella teoria del secondo ordine T il cui
linguaggio è L2 , il cui insieme di assiomi non logici è vuoto e che è
aritmetica. Poiché T è aritmetica, THM T è aritmetico. Ma, per il
teorema di incompletezza forte della logica del secondo ordine, VAL 2
L
non è aritmetico. Perciò, poiché tutti gli enunciati logicamente validi di
L2 sono dimostrabili in T, THM T non è aritmetico. Contraddizione.
Se ne conclude che un tale insieme di assiomi logici e regole di
deduzione logiche non esiste. Poiché enumerabilità ricorsiva implica
aritmeticità [V.7.5], ciò vale anche con ‘RE’ al posto di ‘aritmetico’.
147
7.7. Non aritmeticità delle conseguenze logiche di PA 2
Indichiamo con CN(PA 2 ) l’insieme dei numeri di Gödel degli
enunciati che sono conseguenze logiche di PA 2 .
Non aritmeticità delle conseguenze logiche di PA 2 .
L’insieme CN(PA 2 ) non è aritmetico, perciò a maggior
ragione non è RE.
2
Infatti, sia PA la congiunzione degli assiomi non logici di PA 2 .
Supponiamo che CN(PA 2 ) sia aritmetico. Allora anche l’insieme dei
numeri di Gödel degli enunciati di L
2
PA 2
della forma PA → C , dove C
è un enunciato del primo ordine, che sono logicamente validi è
aritmetico. Ma, come abbiamo visto nella dimostrazione del teorema di
incompletezza forte della logica del secondo ordine [V.7.6],
2
C è vero in N se e solo se PA → C è logicamente valido.
Perciò, anche l’insieme dei numeri di Gödel degli enunciati C del primo
ordine di L 2 veri in N è aritmetico. Ma, per il primo teorema di
PA
indefinibilità do Tarski [V.5.1], tale insieme non è aritmetico.
Contraddizione. Se ne conclude che CN(PA 2 ) non è aritmetico. Poiché
enumerabilità ricorsiva implica aritmeticità [V.7.5], a maggior ragione
CN(PA 2 ) non è RE.
7.8. Modelli deboli per i linguaggi del secondo ordine
Per il corollario del teorema di incompletezza forte della logica del
secondo ordine [V.7.6], per nessun insieme aritmetico di assiomi logici
e regole di deduzione logiche della logica del secondo ordine può valere
un risultato corrispondente al teorema di completezza per la logica del
primo ordine [V.1.5]. Tuttavia un risultato corrispondente a tale
teorema vale se si sostituisce la nozione di modello per un linguaggio
del secondo ordine L2 con una nozione di modello debole.
Un modello, o struttura, debole per un linguaggio del secondo
ordine L2 è definito come un modello [V.6.3], tranne che ogni D n ,
n = 1, 2,... , è semplicemente un insieme di relazioni n-arie su D, non
necessariamente l’insieme di tutte le relazioni n-arie su D.
Le nozioni di modello debole di una formula o un insieme di
formule di un linguaggio del secondo ordine L2 , e di conseguenza
148
logica debole, o conseguenza debole, sono definite come le nozioni
corrispondenti di [V.6.3].
Esistenza di un modello debole. Sia Γ un insieme di formule
di un linguaggio del secondo ordine L2 . Se Γ è coerente,
allora Γ ha un modello debole.
La dimostrazione è simile a quella teorema dell’esistenza di un
modello per la logica del primo ordine [V.1.5].
Dal teorema dell’esistenza di un modello debole si ottiene un
teorema di completezza debole per la logica del secondo ordine come
indicato in [V.1.5].
7.9. Modelli non standard di PA 2
Chiamiamo modello non standard di PA 2 un modello debole di PA 2
che non è isomorfo a N 2 .
Esistenza di un modello non standard di PA 2 . Esiste un
modello non standard di PA 2 .
Infatti, per il primo teorema di incompletezza di Gödel [V.4.2,
V.7.2], se PA 2 è coerente, allora l’enunciato ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) dato
dal corollario del teorema del punto fisso è vero in N, e quindi anche in
2
N ,
2
PA G ∀x ( prfT ( x , t ) = 0) .
ma
Perciò
la
teoria
2
T ' = PA + ¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è coerente [V.1.4], e quindi, per il
teorema dell’esistenza di un modello debole [V.7.8], ha un modello
debole, diciamo M. Allora ¬∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è vero in M, e perciò
∀x ( prf T ( x , t ) = 0) non è vero in M. Poiché ∀x ( prf T ( x , t ) = 0) è vero
in N, per il teorema dell’isomorfismo [V.6.4] ne segue che M non è
2
isomorfo a N , e quindi M è un modello non standard di PA 2 .
149
Cos’altro leggere
La letteratura sulla filosofia della matematica, in articoli o libri, è molto
vasta. Quella che segue è una scelta ristretta di libri.
Manuali di filosofia della matematica
I manuali correnti di filosofia della matematica trattano solo alcuni
aspetti dell’argomento. Limitati alle scuole di filosofia della matematica
della prima metà del Novecento sono George-Velleman 2002,
Giaquinto 2002, Potter 2000. Una copertura più ampia si trova in
Shapiro 2000 e soprattutto in Shapiro 2005, dove però la filosofia della
matematica della seconda metà del Novecento è limitata alle scuole che
sono variazioni su temi di Frege, Hilbert e Brouwer.
Oltre ai manuali vi sono le antologie. Tra le più recenti Ewald
1996, Hart 1996, Hersh 2006, Jacquette 2002, Tymoczko 1998.
Presupposti logici
Sebbene il cap. V sia autosufficiente, la sua lettura sarà molto facilitata
se si conoscono i primi elementi della logica matematica.
Un’introduzione alla logica matematica basata su una formulazione
della logica del primo ordine abbastanza simile a quella del cap. V è
Margaris 1990. Un’introduzione alla logica matematica di esemplare
chiarezza, ma basata su una formulazione della logica del primo ordine
leggermente differente, è Robbin 2006.
Filosofia e matematica
Vari modi di intendere i rapporti tra filosofia e matematica sono
presentati nelle introduzioni a George-Velleman 2002, Hersh 2006,
Jacquette 2002, Tymoczko 1998, nella prima parte di Hersh 1997 e
nella prima parte di Shapiro 2000.
La filosofia della matematica di ieri
Per Frege, v. Frege 1961, 1962, 1964, 1969, 1976, 1990, Dummett
1991b, Kenny 1995, Wright 1983. Per Hilbert, v. Hilbert 1970f, 1985,
Hilbert-Bernays 1968-70. Per Brouwer, v. Brouwer 1975, 1981, 1992,
van Atten 2004, van Stigt 1990.
La filosofia della matematica di oggi
150
Per il neologicismo, v. Wright 1983, Hale-Wright 2001. Per il
platonismo, v. Gödel 1986-2002. Per l’implicazionismo, v. Putnam
1975. Per lo strutturalismo, v. Resnik 1997, Shapiro 1997. Per il
finzionalismo, v. Field 1980, 1989. Per l’internalismo, v. Maddy 1997.
Per il costruttivismo, v. Bishop 1967, 1986. Per il congetturalismo, v.
Lakatos 1976, 1978. Per l’empirismo, v. Kitcher 1983. Per il
cognitivismo, v. Lakoff e Núñez 2000.
La filosofia della matematica di domani
Per un approfondimento dei temi trattati nel cap. IV, v. Cellucci 2003,
2007.
I teoremi di incompletezza di Gödel
La presentazione dei risultati limitativi del cap. V è nello spirito di
Jeroslow 1973 ma non fa uso del suo enunciato autoreferenziale. Per
altre presentazioni, v. Murawski 1999, Smullyan 1992, Tourlakis 2003.
Sui risultati di incompletezza di Gödel per la teoria degli insiemi, v.
anche Hinman 2005.
151
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Hale’s ‘Reals by Abstraction’, «Philosophia Mathematica», vol. 10,
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Philosophy and the Foundations of Mathematics, a cura di Arend
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Cambridge. [Trad. it. in Luitzen Egbertus Jan Brouwer, Lezioni
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Brouwer, Luitzen Egbertus Jan (1992), Intuitionismus, a cura di Dirk
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L’autore
Carlo Cellucci (Santa Maria Capua Vetere, 1940), dopo aver insegnato
nelle Università del Sussex (UK), di Siena e della Calabria, insegna
Logica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma La
Sapienza. Ha pubblicato Teoria della dimostrazione (Boringhieri,
Torino 1978), Le ragioni della logica (Laterza, Bari-Roma 1998,
20054), Filosofia e matematica (Laterza, Roma-Bari 2002, 20032),
Filosofia e conoscenza (Laterza, Roma-Bari 2007). Ha curato La
filosofia della matematica (Laterza, Roma-Bari 1967), Il paradiso di
Cantor. Il dibattito sui fondamenti della teoria degli insiemi
(Bibliopolis, Napoli 1979).
159
Indice dei nomi
Aristotele,
Batitsky, Vadim
Berkeley, George,
Bernays, Paul,
Beth, Evert Willem,
Bishop, Errett,
Bolzano, Bernard,
Boolos, George S.,
Bourbaki, Nicolas,
Brouwer, Luitzen Egbertus
Jan,
Cantor, Georg,
Cauchy, Augustin-Louis,
Cellucci, Carlo,
Church, Alonzo,
Dedekind, Julius Wilhelm
Richard,
Descartes, René
Detlefsen, Michael,
Dieudonné, Jean,
du Bois-Reymond, Emil,
Dummett, Michael,
Euclide,
Ewald, William,
Field, Hartry,
Fraenkel, Abraham Adolf,
Franks, John,
Frege, Gottlob,
George, Alexander,
Giaquinto, Marcus,
Gödel, Kurt,
Goldbach, Christian,
Gowers, William Timothy,
Hale, Bob,
Hamming, Richard Wesley,
Hart, W.D.,
Hermite, Charles,
Hersh, Reuben,
Heyting, Arend,
Hilbert, David,
Hinman, Peter G.,
Hobbes, Thomas,
Hume, David,
Ippocrate di Chio,
Jacquette, Dale,
Jeroslow, Robert G.,
Kant, Immanuel,
Kenny, Anthony,
Kitcher, Philip,
Kronecker, Leopold,
Lakatos, Imre,
Lakoff, George,
Leibniz, Gottfried Wilhelm,
Locke, John,
Maddy, Penelope,
Margaris, Angelo,
Menger, Karl,
Mill, John Stuart,
Murawski, Roman,
Newton, Isaac,
Núñez, Rafael E.,
Parsons, Charles,
Pascal, Blaise,
Peano, Giuseppe,
Penrose, Roger,
Pitagora,
Platone,
Poincaré, Henri,
Popper, Karl, Raimund,
Potter, Michael,
Proclo,
Putnam, Hilary,
160
Ramsey, Frank Plumpton,
Resnik, Michael D.,
Robbin, Joel W.,
Rosser, John Barkley,
Russell, Bertrand,
Shapiro, Stewart,
Smullyan, Raymond M.,
Tarski, Alfred,
Tourlakis, George,
Tymoczko, Thomas,
Vaihinger, Hans,
van Atten, Mark,
Van der Waerden, Bartel
Leendert,
van Stigt, Walter P.,
Velleman, Daniel J.,
von Neumann, John,
Wang, Hao,
Weierstrass, Karl Wilhelm,
Whitehead, Alfred North,
Wittgenstein, Ludwig,
Wright, Crispin,
Zermelo, Ernst,
161
Indice del volume
Premessa
I.
Filosofia e matematica
1. L’ortodossia prevalente
1.1. Matematica contro filosofia della matematica - 1.2.
Filosofia della matematica contro tradizione filosofica
2. Limiti dell’ortodossia prevalente
2.1. Limiti dell’autonomia della filosofia della matematica 2.2. Limiti della polemica contro la tradizione filosofica
II.
La filosofia della matematica di ieri
1. Frege
1.1. Le motivazioni di Frege - 1.2. Il programma di Frege 1.3. La concezione della logica di Frege - 1.4. Il debito di
Frege verso Kant e Leibniz - 1.5. Deviazioni da Leibniz - 1.6.
Gli argomenti di Frege contro Kant - 1.7. Il principio di Hume
- 1.8. Il problema di Cesare - 1.9. La difficoltà di definire
l’estensione di un concetto - 1.10. L’acme del programma di
Frege - 1.11. Ancora il problema di Cesare - 1.12. Il
paradosso di Russell - 1.13. Il crollo del programma di Frege 1.14. La reazione finale di Frege
2. Hilbert
2.1. Le motivazioni di Hilbert - 2.2. Matematica finitaria
matematica e infinitaria - 2.3. L’intento di Hilbert - 2.4. Il
programma della conservazione - 2.5. Il programma della
coerenza - 2.6. Sufficienza del programma della coerenza 2.7. Il debito di Hilbert verso Kant - 2.8. Le deviazioni da
Kant - 2.9. Aspettative sulla realizzabilità dei programmi 2.10. Il crollo del programma della coerenza - 2.11.
162
L’obiezione di Detlefsen - 2.12. Il crollo del programma della
conservazione - 2.13. Inadeguatezza della coerenza - 2.14. Le
ragioni di Kant - 2.15. La reazione finale di Hilbert
3. Brouwer
3.1. Le motivazioni di Brouwer - 3.2. Il programma di
Brouwer - 3.3. Il rifiuto del principio del terzo escluso - 3.4.
La nozione intuizionista di dimostrazione - 3.5. I due atti
dell’intuizionismo - 3.6. Il debito di Brouwer verso Kant - 3.7.
Le deviazioni da Kant - 3.8. Il continuo intuizionista - 3.9. Il
teorema di continuità - 3.10. I limiti del programma di
Brouwer - 3.11. L’estetismo di Brouwer - 3.12. Il crollo del
programma di Brouwer
4. Conclusioni sulla filosofia della matematica di ieri
III.
La filosofia della matematica di oggi
1. Due reazioni mancate
1.1. Una reazione matematica mancata - 1.2. Una reazione
filosofica mancata
2. Le concezioni filosofiche della seconda metà del
Novecento
2.1. Neologicismo - 2.2. Platonismo - 2.3. Implicazionismo 2.4. Strutturalismo - 2.5. Finzionalismo - 2.6. Internalismo 2.7. Costruttivismo - 2.8. Congetturalismo - 2.9. Empirismo 2.10. Cognitivismo
3. Conclusioni sulla filosofia della matematica di oggi
IV.
La filosofia della matematica di domani
1. Caratteri della filosofia della matematica di domani
1.1. Necessità di un nuovo inizio - 1.2. Non autonomia della
filosofia della matematica - 1.3. Relazione con la matematica
- 1.4. Limiti della questione del fondamento della matematica
- 1.5. Centralità della questione della scoperta
2. L’immagine della matematica
2.1. Un requisito per la realizzazione del programma - 2.2.
Matematica ed esperienza - 2.3. Matematica e soluzione di
problemi - 2.4. Matematica ed evoluzione - 2.5. Matematica e
163
architetture cognitive - 2.6. Matematica e sviluppo storico 2.7. Matematica e verità
V.
I teoremi di incompletezza di Gödel
1. Logica del primo ordine
1.1. Linguaggi del primo ordine - 1.2. Assiomi e regole della
logica del primo ordine - 1.3. Modelli per linguaggi del primo
ordine - 1.4. Coerenza - 1.5. Correttezza e completezza - 1.6.
Isomorfismo di modelli - 1.7. Teorie del primo ordine
2. Aritmetica ricorsiva primitiva
2.1. Funzioni ricorsive primitive - 2.2. La teoria PRA - 2.3.
Alcune proprietà elementari di PRA - 2.4. Teorie
sufficientemente potenti
3. Codificazione
3.1. Numeri di Gödel - 3.2. Insiemi RE - 3.3. Teorie RE 3.4. Alcune utili funzioni ricorsive primitive
4. Teoremi di incompletezza
4.1. Teorema del punto fisso - 4.2. Primo teorema di
incompletezza di Gödel - 4.3. Corollari del primo teorema di
incompletezza di Gödel - 4.4. Secondo teorema di
incompletezza di Gödel - 4.5. Importanza dell’espressione
della coerenza - 4.6. Teorema di incompletezza di Rosser 4.7. Terzo teorema di incompletezza di Gödel - 4.8. Confronto
tra i teoremi di incompletezza di Gödel - 4.9. Estensione ad
altre teorie
5. Altri risultati limitativi
5.1. Teoremi di indefinibilità di Tarski - 5.2. Teorema di
indecidibilità - 5.3. Teorema di Church - 5.4. Estensione ad
altre teorie
6. Logica del secondo ordine
6.1. Linguaggi del secondo ordine - 6.2. Assiomi e regole
della logica del secondo ordine - 6.3. Modelli per linguaggi
del secondo ordine - 6.4. Isomorfismo di modelli - 6.5. Teorie
del secondo ordine
7. Aritmetica di Peano del secondo ordine
7.1. La teoria PA 2 - 7.2. Teoremi di incompletezza di Gödel
164
per PA 2 - 7.3. Altri risultati limitativi per PA 2 - 7.4.
Categoricità di PA 2 - 7.5. Relazione tra enumerabilità
ricorsiva e aritmeticità - 7.6. Incompletezza forte della logica
del secondo ordine - 7.7. Non aritmeticità delle conseguenze
logiche di PA 2 - 7.8. Modelli deboli per i linguaggi del
secondo ordine - 7.9. Modelli non standard di PA 2
Cos’altro leggere
Bibliografia
L’autore
165