Il dibattito economico oltre i confini a cura dell`Osservatorio

Il dibattito economico oltre i confini
a cura dell'Osservatorio Economico e Finanziario
Area Politiche di Sviluppo
Su questo Numero “Cinque”
Sull'economia globale continua a prevalere preoccupazione e pessimismo. Malgrado le politiche
economiche e monetarie non convenzionali, anche quando c'è - come nel caso US - la ripresa economica non
riesce a recuperare posti di lavoro. Il rallentamento e i problemi dei mercati emergenti, in particolare il
rallentamento cinese e la grave recessione brasiliana, il crollo del prezzo del petrolio e delle altre materie
prime, le difficoltà infinite dell'eurozona determinate dagli squilibri interni all'area e dalla politiche di austerità
che deprimono la crescita, la continua debolezza della domanda e la conseguente insufficienza degli
investimenti: tutto quanto messo insieme determina una situazione su cui gli economisti continuano a
interrogarsi.
Ma tra i governi non c'è unità di vedute. Al meeting dei ministri delle finanze e dei governatori centrali dei paesi
del G20 di Shanghai dei giorni scorsi – F.T. del 28 febbraio “La riunione di Shanghai” non si è concluso
praticamente nulla e le posizioni sono rimaste differenziate.
Intanto l'OCSE ha rivisto al ribasso le sue previsioni di crescita – OCSE “Going for growth 2016: executive
summary” e il commercio globale per la prima volta dal 2009, ha avuto una seria battuta d'arresto - FT 26
febbraio “Il commercio mondiale è tornato ai livelli della crisi; scivola la domanda dei mercati
emergenti” a segnalare lo stato precario dell'economia globale - FT 26.2 editoriale: Lo stato precario
dell'economia globale.
Nell'articolo del 20.2 “Senza munizioni? I banchieri centrali stanno esaurendo i loro arsenali. Ma
esistono altre opzioni per stimolare l'economia” l'Economist sostiene che i banchieri centrali stanno
esaurendo le loro munizioni per affrontare i possibili prossimi shock e sotto lente di osservazione finiscono le
banche, considerate da Martin Wolf l'anello debole dell'economia globale FT 17.2 - “Le banche sono un
anello debole nella catena dell'economia”.
I policymakers proseguono sulle misure non convenzionali. In un articolo, il Financial Times 12.2: “Sotto
zero. I policymakers tagliano i tassi in entrambe le direzioni” si fa domande e risposte sulla politica dei
tassi di interesse negativi portata avanti da numerose banche centrali, compresa la Banca del Giappone e la
BCE, ma qualche commentatore continua a sostenere la necessità di misure più estreme; sul FT del 24.2 “Gli
helicopter drops potrebbero non essere lontani”, secondo Martin Wolf potrebbe non essere così
stravagante mettere direttamente nelle tasche dei cittadini più soldi per rianimare la spesa. Al World
Economic Forum tenutosi a Davos nel mese di gennaio, la global agenda si interroga “Come sarà il mondo
nel 2030”, individuando scenari agghiaccianti, mentre Lawrence Summers - FT 8.2 “Nessun pasto gratis
ma molti a prezzi economici”, sostiene che nella ricerca del giusto tradeoff, la politica economica ha diverse
possibilità di scelta. E Nouriel Roubini - SEJ 5.2 “Il nuovo anormale della global economy”, dopo una
rapida disamina, sostiene che l'economia globale ha oggi una nuova e diversa anormalità rispetto al passato,
in cui Main street e Wall street divergono pericolosamente: ma fino a che punto? Stiglitz fa il punto sulla Cina,
SEJ 28.1 “La nuova normalità accidentata della Cina” Joseph Stiglitz e il FT fa una panoramica sui
mercati, “La Grande ansia”.
Le disuguaglianze globali, continuano a costituire una caratteristica costante dell'economia globale e non
accennano a ridursi da nessuna parte del mondo.
“Disuguaglianza: gli aspetti strutturali” Branko Milanovic. Alcuni esempi: i lavoratori britannici intrappolati
nella crescita salariale del 2% a prescindere dall'andamento dell'economia, e in Gran Bretagna le cose
economiche vanno bene; i lavoratori free lancer in un articolo del New York Times NYT 4.2 “Il lavoro freelance trova forza nei numeri. I lavoratori della “gig-economy” si uniscono per fare richieste sulle
società”; la rabbia degli americani FT 9.2 “Sanders, Trump e la grande rabbia americana” Gideon
Rachman; il commento di Robert Reich - SEJ 10.2 “Why we must try”; gli articoli di Martin Wolf sul
Financial Times - 27.1 “I perdenti sono in rivolta contro le elites” e 7.2 “Portare le Elites più vicine alla
gente normale”. Insight pubblica un articolo sulla disuguaglianza di una partecipante al World Economic
Forum di Davos: 22.1 “Affari mondiali - la disuguaglianza ha colpito Davos” Winnie Byanyiman.
L'Economist fa un editoriale sui giovani, i tartassati dei tempi moderni 23.1 “Giovani, dotati e trattenuti. I
giovani del mondo sono una minoranza oppressa. Liberiamoli. Sempre su SEJ Ronald Janssen scrive
un commento sul rapporto prezzi/salari 27.1 “Rompere il circolo vizioso della riduzione dei prezzi e dei
salari .
Sull'Europa e i suoi problemi, sul Financial Times del 29.2, Munchau sostiene che, dopo sessanta anni di
integrazione, l'Europa è entrata nell'epoca della disgregazione
“L'Europa entra nell'era della disgregazione”. Sull'uscita della Gran Bretagna (Brexit), si confrontano
opinioni diverse: Paul De Grauwe - SEJ 24.2 “Perchè l'Unione Europea trarrà beneficio dalla Brexit” è
favorevole; Yanis Varoufakis SEJ 23.2 “Perchè la Gran Bretagna dovrebbe rimanere nell'EU” è contrario.
In termini più generali, due contributi: il primo, più accademico, è di un visiting professor all'Università del
Sussex (John Palmer): “Programma per un'Europa migliore, più sociale e più sostenibil e”e uno
politicamente più pregnante (se davvero costituisse una posizione politica su cui costruire alleanze all'interno
dell'eurozona), del governo italiano: “Una strategia politica europea condivisa per la crescita il lavoro e la
stabilità”. Infine un articolo sulla tassazione delle multinazionali da parte dell'Unione Europea FT 9.1
Disegno di legge “Bruxelles ha nel mirino i profitti della multinazionali. Misure sull'elusione fiscale
potrebbero abbattersi sul denaro fatto in ogni paese”.
Sulla situazione italiana, la stampa internazionale è intervenuta più volte. Tra gli altri, alcuni articoli del
Financial Times e dell'Economist: il petrolio e l'Italia FT 29.2 “Il collasso del petrolio mette i freni
all'industria italiana”; Renzi e la banche FT 18.2 “Renzi deve riorganizzare le banche italiane in
difficoltà. Le perdite non possono essere evitate. La risposta è proteggere i vulnerabili”; il problema di
Renzi FT 16.2 “La fortuna di Renzi si sta esaurendo mentre crescono i problemi in casa e all'esterno ”
James Politi; Critiche alla Banca d'Italia FT 9.2 “Si accendono le critiche sulla Banca d'Italia. Con il crollo
delle azioni bancarie, cresce la critica ai banchieri centrali per non essere riusciti a proteggere il
settore”; La freddezza degli investitori sull'accordo Italia Commissione Europea a proposito di bad bank: FT
28.1 “La freddezza degli investitori sull'accordo sulle sofferenze bancarie dell'Italia”; un editoriale su
Renzi del FT 28.1 (editoriale) “La soluzione a breve termine di Renzi alla sfida del sistema bancario
italiano”; un articolo dell'Economist 23.1 “Renzi e l'EU” - Il primo ministro italiano sta attaccando briga
con la Germania e l'EU.
Sull'evoluzione tecnologica, Davos discute sull'ascesa delle smart machines: FT 21.1 “Davos discute sulla
ascesa delle smart machines”: articolo del Financial Times e, sempre sul Financial Times 26.1 “Gli umani
non hanno nulla da temere dalle macchine intelligenti”Luciano Floridi.
Sul cambiamento climatico, un articolo su SEJ “I giusti incentivi per un futuro low carbon”.
Financial Times 28 febbraio 2016
“La riunione di Shanghai”
I membri del G20 divergono sullo stimolo e i tassi di interesse negativi.
I ministri delle finanze e i banchieri centrali si sono scontrati ieri su questioni che vanno dal bisogno di
uno stimolo globale ai tassi di interesse negativi, e questo rende improbabile il raggiungimento delle
misure "coraggiose" richieste dal FMI questa settimana.
"Il modello della crescita finanziata dal debito ha raggiunto i suoi limiti" ha detto il ministro delle finanze
tedesco Shauble ai margini della due giorni del G20 di Shangahai."Pertanto non siamo d'accordo con un
pacchetto fiscale G20 come sostenuto da qualcuno....Non ci sono scorciatoie che non siano le riforme".
Schauble ha anche espresso il suo scetticismo su un'ulteriore monetary easing nell'eurozona, dicendo che
attualmente la policy è "estremamente accomodante fino al punto che potrebbe diventare persino
controproducente in termini di effetti collaterali negativi sulle banche, le politiche e la crescita".
Michel Sapin, il ministro delle finanze francese, ha detto che una spinta coordinata alla domanda è molto
lontana.
"Non stiamo assolutamente parlando di un pacchetto globale di stimolo fiscale" ha detto. "Non ci siamo affatto.
In Francia non abbiamo ancora i mezzi per farlo. Altri paesi hanno maggiore capacità fiscale per continuare a
sostenere la crescita globale.".
Tali paesi comprendono la Germania e la Cina, il cui governatore della banca centrale ha detto che Pechino
ha ulteriore spazio per stimoli fiscali e monetari.
Altri hanno espresso delusione sull'apparente mancanza di urgenza a Shanghai. "Non penso che questo sia
un meeting in cui ci saranno grandi decisioni" ha detto un dirigente del G20 che ha chiesto di restare anonimo.
"Ciò che sta sostenendo il FMI è che i paesi che si sono già impegnati all'iniziativa del G20 per la crescita
accelerino tali impegni" ha aggiunto il dirigente. "E' è proprio in questo momento che il mondo ha bisogno di
sostegno e i singoli paesi riprenderanno in considerazione la possibilità di fare di più per sostenere la
crescita".
"Non mi aspetto che tutti si tengano per mano e comincino a fare l'onda messicana a favore dell'uso di più
politica fiscale per fare progetti infrastrutturali, ma proprio ora molti paesi hanno la capienza e i tassi sono
bassi" ha detto Angel Gurria, segretario generale dell'OCSE aggiungendo: "Quello che stiamo cercando di fare
è iniettare un senso di urgenza".
Come ulteriore punto controverso, sono emerse politiche dei tassi di interesse divergenti, con Mark Carney,
governatore della Bank of England che ha attaccato i paesi che hanno adottato tassi di interesse negativi
"isolando i clienti retail" e ha detto che tale politica funziona principalmente attraverso la svalutazione
monetaria.
I rilievi di Carney erano chiaramente rivolti a paesi come il Giappone. Quando la Banca del Giappone a
gennaio si è mossa verso tassi negativi, ha continuato a pagare interessi sulla maggior parte delle riserve
bancarie in modo che le banche potessero mantenere tassi positivi per i loro depositanti.
Intanto, la BCE sta considerando se seguire l'esempio nel suo prossimo meeting del 10 marzo.
Carney ha detto che tale strategia spegne "il cash flow e gli altri canali che colpiscono essenzialmente la
domanda interna" in modo che "il loro effetto principale è attraverso il canale del tasso di cambio".
"Da una prospettiva di singolo paese questa potrebbe essere una rotta attraente per spingere l'attività. Ma per
il mondo, nel suo insieme, questa esportazione di eccesso di risparmio e il trasferimento altrove della
debolezza della domanda, alla fin, è un gioco a somma zero" ha aggiunto.
"Inoltre nella misura in cui spinge più risparmi sui mercati globali, i tassi di equilibrio globali a breve si
ridurrebbero ulteriormente, spingendo l'economia globale più vicina a una trappola di liquidità. Con il global
zero bound, non ci sono pasti gratis".
OCSE
“Going for growth 2016: executive summary”
Le prospettive della crescita globale di breve termine restano appannate, con le economie del mercati
emergenti che stanno perdendo spinta, il commercio globale che sta rallentando e la ripresa nelle economie
avanzate trascinata verso il basso da investimenti persistentemente deboli. Queste preoccupazioni di breve
termine sorgono in quadro di incrementi di produttività in diffuso rallentamento, con la tendenza al ribasso che
riporta all'inizio degli anni 2000 – per lo meno nelle economie avanzate - e con pochi segnali di ripresa. Il
rallentamento della crescita osservato tra le economie emergenti negli ultimi due anni solleva anche domande
sulla loro capacità di chiudere ulteriormente il gap di reddito rispetto alle economie avanzate. Resta forte
l'argomento delle riforme strutturali combinate con politiche di sostegno della domanda, per accrescere
significativamente la produttività e la job creation che promuoverà miglioramenti nell'equità.
Going for growth offre una valutazione complessiva per aiutare i governi a riflettere su come le riforme
possano incidere sul benessere dei loro cittadini e a costruire pacchetti di policy che raggiungano meglio i loro
obiettivi. Il Going for growth framework è uno strumento utile per aiutare i paesi del G20 a monitorare i loro
sforzi per realizzare l'impegno assunto nel 2014 di migliorare del 2% il loro PIL complessivo e di adattare di
conseguenza le loro strategia di crescita.
Questo interim report rivede le principali sfide per la crescita che hanno di fronte i paesi OCSE e alcuni
selezionati paesi non-OCSE e fa il punto sui progressi degli ultimi anni relativamente alle riforme adottate per
affrontarle. Questo viene esaminato alla luce della spinta delle specifiche priorità-paese identificate nella
pubblicazione 2015 di Going for growth. Sono prese in esame anche le possibili implicazioni delle riforme per
la crescita sull'inclusività, sul riequilibrio macroeconomico e sulla riduzione della disuguaglianza dei redditi.
Il report rivede anche l'impatto delle riforme realizzate in un contesto di domanda persistentemente debole
così come diversi casi riguardanti la disponibilità o l'efficacia delle politiche macroeconomiche nel sostenere le
riforme. Infine il report fa una valutazione del legame tra reddito generato dal PIL e reddito distribuito alle
famiglie. In particolare esamina come si sono evoluti negli ultimi 20 anni i principali canali di trasmissione della
crescita del PIL alle famiglie nei paesi OCSE.
Policy reforms challenges
Nel progettare strategie di riforma per migliorare significativamente il benessere della maggioranza dei
cittadini, i governi nel mondo devono affrontare la profonda debolezza strutturale che la crisi ha messo a
nudo ma che, in molti casi, ha origini ben preceden ti.
Il rallentamento globale nella crescita della produttività è stato caratterizzato dall'allargamento della
dispersione della crescita della produttività tra le imprese industriali, in particolare tra aziende di frontiera
– essenzialmente multinazionali che hanno mantenuto una forte crescita della produttività - e le altre
imprese che operano ben dentro la frontiera della produttività. Rimuovere le barriere che ancora
soffocano l'imprenditorialità e limitano la capacità delle imprese e fare soprattutto della conoscenza e
della diffusione tecnologica una priorità di riforma.
Ridurre la disoccupazione continua a essere la sfida principale per molti paesi, soprattutto dell'Europa
meridionale e centrale dove la disoccupazione di lungo termine resta ancora particolarmente alta. Altri
paesi hanno avuto ritiri relativamente alti dal mercato del lavoro (ad esempio gli US), bassa
partecipazione delle donne alla forza lavoro (ad esempio Corea a Giappone) o alta incidenza
dell'occupazione informale (la maggior parte delle economie emergenti). Affrontare questi problemi del
mercato del lavoro è una priorità al fine di rendere più inclusiva la crescita.
Il progresso realizzato nel 2015
 Seppure nel 2015 si è fatto qualche progresso su alcuni dei problemi principali, è tuttavia proseguito il
rallentamento nel passo delle riforme osservato già nel 2013-14, anche tenendo conto delle misure
già in programma ma che devono essere compiutamente realizzate.
 Il passo delle riforme ha avuto variazioni tra paesi e aree politiche:
 Continua a essere generalmente più alto nei paesi dell'Europa meridionale (in particolare in Italia e in
Spagna) che nei paesi del nord Europa. Anche fuori dall'Europa, ci sono paesi che hanno preso un
numero relativamente alto di misure collegate a Going for growth (compreso il Giappone, tra le
economie avanzate, la Cina, l'India e il Messico tra le economie emergenti).
 Un numero relativamente maggiore di azioni è stato intrapreso per migliorare la partecipazione alla
forza lavoro delle donne e per migliorare i risultati dell'istruzione, mentre meno azioni sono state
osservate nelle aree della politica dell'innovazione, dell'efficienza della pubblica amministrazione e
della regolamentazione del mercato del lavoro.
 Nei paesi in cui la disuguaglianza di reddito è particolarmente preoccupante, la maggior parte delle
azioni assunte sulle priorità di policy è probabile aiutino a restringere la distribuzione del reddito.
Tuttavia, le azioni recenti per spingere la crescita probabilmente non aiuteranno i paesi con i più
grandi deficit delle partite correnti a restringere i loro squilibri esterni.
Fare le riforme in un quadro di debolezza della domanda
 Nel quadro delle suddette prospettive economiche, c'è un buon argomento per dare priorità a riforme
che oltre a stimolare l'occupazione e la produttività possano sostenere al meglio l'attività nel breve
termine.
 Accanto all'aumento dell'investimento pubblico nelle infrastrutture, c'è la riduzione delle barriere in
ingresso dei settori dei servizi con domanda repressa, riforme del diritto alle prestazioni nella sanità e
nelle pensioni così come la riforma delle politiche abitative e i programmi di assistenza alla ricerca di
lavoro per facilitare la mobilità geografica e del lavoro.
 Per aumentare gli effetti positivi di breve termine delle riforme strutturali è necessario anche
affrontare le restanti disfunzioni del settore finanziario in modo da migliorare il flusso di credito alle
famiglie e alle imprese nel contesto dell'accesso limitato ai mercati finanziari.
 Nell'eurozona, una maggiore sincronizzazione delle riforme aiuterebbe anche a ridurre i costi di
transizione, ampliando le possibilità della politica monetaria di contenere la crescita potenziale dei
tassi di interesse reali a seguito di una inflazione persistentemente bassa.
 I paesi con spazio di bilancio molto limitato devono dare priorità agli alti ritorni di breve termine o alle
misure poco costose e assicurare che altre siano finanziate attraverso mezzi che siano il più
possibile amichevoli con l'occupazione e la crescita.
Crescita del PIL e reddito complessivo delle famiglie
 Tra gli anni '90 e il 2013, il PIL reale ha teso a crescere di più del reddito reale delle famiglie nella
maggior parte dei paesi OCSE.
 Questo gap è in parte dovuto a fattori che hanno poca trazione politica, in particolare il fatto che i
prezzi al consumo (compresa l'IVA) hanno avuto tendenza a crescere relativamente ai prezzi alla
produzione nel periodo in esame, con la sola eccezione dei paesi esportatori di materie prime come la
Norvegia, l'Australia e il Canada.
 La quota di PIL destinata al reddito della famiglie PIL è semplicemente definita come rapporto della
famiglia nominale.
 Il reddito disponibile sul PIL nominale è rimasto stabile nel periodo in esame e in media in tutti i paesi
OCSE. Questa media stabile maschera tuttavia l'eterogeneità sia nel livello che nell'evoluzione tra i
paesi, con una grossa riduzione osservata in Austria e Corea e grossi aumenti nella Repubblica
Slovacca e la Finlandia.
 L'andamento della quota del reddito delle famiglie rispetto al PIL può essere valutato osservando il
profilo del lavoro delle famiglie, del capitale e della quota di reddito secondario (cioè i trasferimenti
dello stato) rispetto al PIL. Molti paesi hanno avuto un concomitante declino della quota di PIL riferita
al lavoro e nella quota del reddito da capitale che va alle famiglie, suggerendo che una quota
crescente dei profitti è stata trattenuta dal settore corporate invece di essere distribuita al settore
famiglie.
 Ma, non sono chiari i legami tra i cambiamenti nella distribuzione del reddito tra i settori economici
famiglie, corporate e governo e l'aumento delle disuguaglianze all'interno del settore famiglie che
hanno avuto molti paesi OCSE.
Financial Times 26 febbraio 2016
“Il commercio mondiale è tornato ai livelli della crisi; scivola la domanda dei mercati emergenti.
Aumentano le preoccupazioni sull'economia globale.
La prima contrazione dal 2009”.
La domanda più debole dei paesi emergenti ha fatto del 2015 l'anno peggiore per il commercio globale da
subito dopo la crisi globale, evidenziando le paure crescenti sulla salute dell'economia globale.
Secondo il World Trade Monitor del Netherlands Bureau of Economic Policy, il valore dei beni che hanno
varcato le frontiere nazionali l'anno scorso si è ridotto del 13.8% in termini di dollari – la prima contrazione dal
2009. Buona parte della caduta è dovuta al rallentamento in Cina e negli altri mercati emergenti.
I dati pubblicati ieri rappresentano la prima istantanea del commercio globale per il 2015. Ma questi dati
arrivano in mezzo a crescenti preoccupazioni per il 2016 che si preannuncia denso di difficoltà, con più pericoli
del previsto per l'economia globale.
Queste preoccupazioni stanno gettando una lunga ombra sul meeting di due giorni dei governatori delle
banche centrali e dei ministri delle finanze del G20 che comincerà domani. Questa settimana il FMI ha
avvertito di essere pronto ad abbassare le sue previsioni di crescita globale per quest'anno, dicendo anche
che le economie leader devono fare di più per spingere la crescita.
Il Baltic Dry index, una misura del commercio dei prodotti, ha toccato minimi storici. Come riportato questa
settimana, la Cina che nel 2014 ha superato gli US come più grande nazione commerciale, nel mese di
gennaio ha avuto contrazioni a due cifre sia dell'export che dell'import. In Brasile, che sta avendo la
recessione peggiore da più di un secolo, l'import dalla Cina è crollato.
Secondo Maersk Line, la più grande compagnia di shipping del mondo, le esportazioni dalla Cina al Brasile,
dalle auto, ai prodotti tessili, trasportati con i containers sono crollate a gennaio del 60% rispetto all'anno prima
mentre il volume totale delle importazioni via containers nella più grande economia dell'America Latina si sono
dimezzate.
“Quello cui stiamo assistendo in questo momento dalla Cina non è un fenomeno che riguarda solo il Brasile,
ma stiamo vedendo lo stesso declino dei volumi dell'export cinese in tutta l'America Latina” ha detto Antonio
Dominguez, manager director di Maersk Line per il Brasile, l'Argentina, il Paraguay e l'Uruguay. “E' in corso
da diversi quadrimestri ma quest'anno sta diventando più evidente”.
Ci sono alcuni segnali che un riequilibrio è in corso in posti come il Brasile. Il collasso delle importazioni
brasiliane dalla Cina è stato accompagnato dall'aumento dell'esportazione dal Brasile all'Asia determinato
dalla svalutazione del 40% del real rispetto al dollaro negli ultimi 12 mesi. “A livello globale, la maggior parte
degli indicatori suggerisce che la crescita del commercio resterà molto debole” ha detto Andrew Kenningham.
Senior global economist per Capitale Economics. “Ma non crediamo che il commercio globale stia per cadere
in un dirupo”.
In larga parte per le oscillazioni e il collasso dei prezzi delle materie prime, il valore sia delle esportazioni che
delle importazioni si è ridotto l'anno scorso, in tutte le regioni.
Financial Times 26 febbraio 2016
Editoriale
“Lo stato precario dell'economia globale
I governi del G20 dovrebbero guardare all'aumento dello stimolo fiscale”
Negli anni in cui è stato elevato a livello di supposto guardiano della stabilità globale, il G20 che raggruppa le
grandi economie, ha cercato di avere qualche impatto degno di nota.
In generale però, sebbene abbia pagato un rispetto formale alla cooperazione globale sulla politica
macroeconomica, nessuno dei suoi membri si è mai particolarmente preoccupato di conoscere le opinioni del
resto del gruppo. Ciascuno, generalmente, se ne è andato per la propria strada sulle politiche monetarie,
fiscali e del tasso di cambio.
Ma all'incontro di venerdì dei ministri delle finanze a Shanghai, la posta in gioco in caso di fallimento del
coordinamento della politica nel mondo, è più alta di altre volte. Con la recente agitazione del mercato
finanziario e la grande incertezza sulle prospettive dell'economia cinese, dall'inizio dell'anno persiste una
sensazione di disagio.
Sebbene l'economia mondiale abbia continuato a espandersi, la necessità di una sforzo generale per
preparare lo stimolo monetario e fiscale è diventato più pressante. E se può sembrare troppo sperare che i
paesi del G20 alla fine si muovano insieme, dovrebbero almeno accertarsi che le loro politiche siano coerenti
con il bene più grande.
Il FMI e l'OCSE hanno entrambi avvertito che la crescita appare essere rallentata alla fine dell'anno scorso e
all'inizio di questo, anche prima della recente agitazione dei mercati azionari di tutto il mondo. L'OCSE dice
che nel 2016 la crescita globale probabilmente sarà la stessa del 2015, che è stata la più bassa degli ultimi 5
anni.
Inoltre, con le economie avanzate che continuano a generare surplus fiscali e quindi a sottrarre domanda, solo
la Cina, tra i grandi paesi, sta avendo un deficit pubblico.
Questo non è il momento di dare per scontata un'espansione globale e di concentrarsi sul consolidamento
fiscale. I policymakers monetari – con la grande e deplorevole eccezione della FED US – hanno cercato di
allentare la policy sia con in quantitative easing che con i tassi di interesse negativi.
I loro sforzi avrebbero un maggiore impatto se finanziassero un'espansione fiscale piuttosto che agire da soli.
Come hanno sottolineato molti osservatori, le economie con una domanda privata anemica e bassi tassi di
interesse a lungo termine, sono nella condizione ideale per intraprendere investimenti pubblici nella speranza
che spingano la crescita di breve termine e la produttività di medio termine.
Il rischio dell'espansione monetaria senza una controparte fiscale è che può portare a una tensione
internazionale, anche se i motivi delle banche centrali coinvolte sono onorevoli. Il QE sia in eurozona che in
Giappone era volto in primo luogo a allentare le condizioni della politica monetaria interna ma anche, almeno
all'inizio, ad abbassare i tassi di cambio. Con il renminbi sotto pressione verso il basso, potrebbe emergere un
altro conflitto sulle presunte svalutazioni competitive.
Tali preoccupazioni sono poi amplificate dal dubbio su quanto controllo abbia veramente sulla politica
monetaria la banca centrale cinese, a confronto di altre agenzie e del partito comunista cinese.
Come minimo, anche se non possono muoversi insieme, i policymakers devono capire gli intenti reciproci.
Una politica monetaria più accomodante - e uno stimolo fiscale anche di più - deve essere un gioco a somma
zero se genera più crescita e più scambi piuttosto che limitarsi a prendere una quota più ampia della
domanda globale attraverso una moneta più debole.
E' improbabile che il G20 esca dal meeting di questa settimana con un piano d'azione unificato. Ma i suoi
membri dovrebbero essere consapevoli che negli ultimi mesi si è considerevolmente avvicinato il momento in
cui saranno costretti ad agire per sostenere una crescita in declino.
Economist 20 febbraio 2016
“Senza munizioni? I banchieri centrali stanno esaurendo i loro arsenali. Ma esistono altre opzioni per
stimolare l'economia”
I mercati azionari del mondo sono su un beard territory. L'oro, un rifugio in tempi di turbolenza, ha avuto la sua
migliore partenza di anno da più di trent'anni. Il costo dell'assicurazione contro i fallimenti bancari è
aumentato. Stanno crescendo ipotesi di recessione in America e c'è l'implicita possibilità che la FED, che ha
aumentato i tassi solo a dicembre, sarà costretta a tornare indietro sotto lo zero. Una paura, sopratutto,
insegue i mercati:che le armi del mondo ricco contro la debolezza economica non funzionino più. Fin dalla crisi
2007-08, il compito di stimolare la domanda è ricaduta sui banchieri centrali. L'apogeo del loro potere c'è
stato nel 2012, quando Mario Draghi, capo della BCE, ha detto che avrebbe fatto "tutto quello che serviva"
per salvare l'euro. I Bond markets si sono ripresi e il senso della crisi è venuto meno.
Ma solo temporaneamente. Malgrado gli sforzi delle banche centrali, le riprese sono ancora deboli e
l'inflazione è bassa. La fiducia nella politica monetaria vacilla. Le banche centrali seminano paura tanto quanto
ispirano confidenza. I tassi di interesse negativi in Europa e Giappone preoccupano gli investitori sui guadagni
delle banche, abbassando i prezzi delle azioni. Il Quantitative Easing ha portato a una crescita del debito dei
paesi emergenti che sta ora minacciando di disfarsi. Per tutto il denaro a buon mercato, la crescita del credito
bancario è stata deludente. Gli accordi salariali riflettono le aspettative di una bassa inflazione senza fine, che
favorisce proprio questo risultato. Gli investitori temono che l'economia mondiale sia spinta in un'altra
recessione e che i policymakers, nel tentativo di tenere a bada la recessione siano rimasti senza munizioni.
Bazooka boo-boo.
La buona notizia è che si può fare di più per scuotere le economie dalla loro bassa crescita, dal loro torpore
low-inflation. Restano tantissime politiche e tutte possono essere abbastanza potenti. La cattiva notizia è che
le banche centrali avranno bisogno dell'aiuto dei governi. Fino ad ora, i banchieri centrali hanno dovuto fare il
lavoro pesante perchè i politici sono stati vergognosamente riluttanti a condividere l'onere. Almeno alcuni di
loro non sono riusciti a realizzare il bisogno di avere la politica monetaria e quella fiscale che lavorassero di
concerto. Davvero, molti governi hanno attivamente lavorato contro lo stimolo monetario abbracciando
l'austerità.
E' arrivato il momento per i politici di unirsi nella lotta accanto ai banchieri centrali. Le idee politiche più
radicali fondono la politica monetaria e quella fiscale. Tale opzione è il finanziamento della spesa pubblica ( o
il taglio delle tasse) direttamente stampando moneta - note come "helicopter drop". A differenza del QE, un
helicopter drop bypassa le banche e i mercati finanziari e spinge denaro fresco direttamente nelle tasche
della gente. Questa vera e propria incoscienza , in teoria, incoraggerebbe le persone a spendere la manna
ricevuta e non a risparmiarla. (Aiuterebbe anche un marcato cambiamento negli obiettivi inflattivi delle banche
centrali).
Un altro gruppo di idee cerca di influenzare la definizione delle retribuzioni e dei prezzi usando una politica dei
redditi pubblica per spingere le economie fuori dalle sabbie mobili. L'idea qui è generare aumenti salariali su
tutta la linea, forse usando incentivi fiscali, per indurre una spirale salari-prezzi del tipo di quella da cui, negli
anni9 '70, i policymakers hanno cercato di scappare.
Tutto questo ha dei rischi. Un mondo di helicopter drops è un anatema per molti: il finanziamento monetario,
per esempio, è proibito dai trattati che sostengono l'euro. Le politiche dei redditi sono anche più
problematiche, poichè riducono la flessibilità e sono difficili da risolvere. Ma se il mondo ricco finisce per
essere bloccato nella deflazione, verrà il momento di prendere in considerazione azioni estreme, soprattutto
nelle economie più ottenebrate come il Giappone.
Da altre parti i governi possono utilizzare uno strumento meno rischioso: la politica fiscale. Troppi paesi con
spazio per prendere più prestiti, in particolare la Germania, hanno frenato. Tale frugalità sveva è
profondamente dannosa. Prendere prestiti non è mai stato più economico. I rendimenti su più di $3 trilioni di
titoli governativi in tutto il mondo sono ora negativi. I bond markets e le agenzie di rating guarderanno più
gentilmente all'aumento del debito pubblico se sull'altra parte del bilancio ci sono assets nuovi e produttivi.
Soprattutto, tali assets dovrebbero coinvolgere l'infrastruttura. L'argomento di finanziamenti a lungo termine
per finanziare programmi pluriennali per ricostruire e migliorare le strade e gli edifici pubblici malandati non è
mai stato così potente.
Una spinta fiscale sarebbe ancora più forte se accompagnata da riforme strutturali che funzionino con l'aiuto
dello stimolo. I bilanci delle banche europee devono essere rafforzati e,fino a quando continueranno a
turbinare voci sulle loro condizioni di salute, le banche non presteranno liberamente. Un'opzione è svalutare i
crediti cattivi, ma potrebbe essere meglio rivedere le regole in modo che i governi possano insistere che le
banche aumentino il capitale o abbiano capitale obbligato dai regolatori.
la deregolamentazione è un'altra priorità - e non meno potente solo perché è più conosciuta. I Council of
Economic Advisors dice che la quota della forza lavoro americana coperta dalle leggi statali è salita al 25%
dal 5% degli anni '50. Buona parte di questa bardatura burocratica non serve. Le Zonin laws sono una
barriera per nuove infrastrutture. I codici fiscali restano bizantini e pieni di nicchie che riparano il reddito dei
più ricchi che tendono a risparmiare di più.
E' la politica, stupido
Il problema, allora, non è che il mondo ha esaurito le opzioni politiche. I politici hanno sempre saputo che
possono fare la differenza. , ma sono deboli e troppo litigiosi per agire. L'establishment politico americano è
spaccato; i politici giapponesi sono troppo timidi nel confronto con le lobbies; e l'eurozona sembra
istituzionalmente incapace di unirsi intorno a nuove politiche.
Se i politici non agiscono ora, mentre sono ancora in tempo, una crisi piena nei mercati li costringerà ad agire.
Sebbene questo sarebbe un povero risultato, sarebbe in ogni caso meglio dell'alternativa. la più grossa
preoccupazione è che la caduta dei mercati e le economie stagnanti forniscono potere politico ai populisti
che sono molto cresciuti dopo la crisi del 2007-08. I populisti hanno le loro soluzioni alle difficoltà
economiche, che comprendono tariffe protezionistiche, nazionalizzazioni e tanti altri schemi rovinosi.
Dietro la preoccupazione che le banche centrali non possano più esercitare il controllo c'è una paura ancor più
profonda. E' che i politici liberali e centristi non sono più all'altezza del loro lavoro.carve-outs.
Financial Times 17 febbraio 2016
Martin Wolf: “Le banche sono un anello debole nella catena dell'economia”
Perchè i prezzi dei titoli bancari sono calati così tanto? Parte della risposta è che i mercati azionari sono calati.
Le banche, tuttavia, restano l'anello debole nella catena. fragili per se stesse e in grado di generare fragilità
intorno a loro.
Tra i 4 gennaio e il 15 febbraio 2016, lo Standard & Poor 500 Index è calato del 7.5% mentre l'indice delle
azioni bancarie è calato del 16.1% Nello stesso periodo l'FTSE Eurofirst 300 è calato del 9.5%, mentre l'indice
delle azioni bancarie del 19.5%.
Il calo delle azioni europee è stato un pò più grande di quelle US ma l'under-performance del settore bancario
europeo è stata simile. Relativamente al complessivo mercato US, l'indice delle azioni delle banche US si è
ridotto del 9.1%, mentre quello delle banche europee dell'11% relativamente ai mercati europei - dunque solo
un pò di più.
La brutta performance delle banche europee diventa più evidente se si dà un'occhiata un pò più a lungo. Le
azioni delle banche non sono riuscite a recuperare le enormi perdite sofferte nell'onda della crisi finanziaria
globale 2007-2009. Il 15 febbraio 2015, lo S&P 500 era del 23% superiore a quello del luglio 2007, ma il
settore bancario US era ancora del 51% sotto il punto in cui era allora; l'FTSE Eurofirst era del 21% sotto il
suo livello del 2007, riflettendo la pasticciata ripresa europea, ma il suo settore bancario era sotto del 71%. Nel
caso europeo una contrazione del 40% nel valore delle azioni bancarie le avrebbe riportate al nadir 2009.
Come si spiega quello che sta accadendo? La breve risposta è: chi lo sa? Mr. Market è soggetto a enormi
cambiamenti di umore. Ma una considerazione fondamentale, soprattutto per il mercato US, è che il Robert
Shiller's cyclically adjusted price-earnings ratio è a un livello che supera sostanzialmente solo le bolle del
mercato azionario nei picchi del 1929 e nel 2000. Gli investitori potrebbero semplicemente avere capito che i
downside risks delle azioni superano le possibilità di upside.
Questa convinzione potrebbe essere stata innescata anche da paure comprensibili. Non c'è carenza di tali
preoccupazioni. Si potrebbe entrare in ansia a causa del rallentamento dell'economia americana, in parte
determinata dalla forza del dollaro, dall'indebolimento dei profitti corporate e dalla decisione sbagliata della
FED di alzare i tassi. Un'altra potrebbe essere la paura per il danno di breve termine determinato dal collasso
dei prezzi delle materie prime che stanno imponendo stress economici e fiscali ai paesi esportatori di
materie prime e pressioni finanziarie sulle aziende che producono tali materie prime. Un'altra ancora potrebbe
concernere la necessità dei fondi sovrani di liquidare asset per finanziare governi stressati fiscalmente,
particolarmente gli esportatori di petrolio. Ci si potrebbe preoccupare del grosso rallentamento in Cina e
dell'inefficacia delle politiche del suo governo. Si potrebbero temere i rischi geo-politici, compresa la minaccia
di una guerra tra Russia e la Nato, la disintegrazione dell'EU e la possibilità che il prossimo presidente US sia
un populista dalla linea dura.
Più fondamentalmente, la sindrome da cronica carenza di domanda è in peggioramento, con un rallentamento
cinese che si aggiunge alla malattia. E' possibile sostenere l'improbabilità di una crisi finanziaria, ma senza la
convinzione di prima. Una risposta possibile è che l'euforia sulla Cina è finita. Una risposta migliore, tuttavia,
sarebbe che le economie a alto reddito non si sono ancora riprese dalla crisi finanziaria e dalla successiva
crisi dell'eurozona come dimostrano i tassi di interesse ultra-low.
Questa serie di problemi e in particolare la pressione deflattiva in corso,getta una luce forte sulla piaga delle
banche. Le banche sono attività ad alto leverage sulle economie. Se le economie stanno male, è probabile
che le banche stiano peggio. Inoltre, più stanno male le banche, più stanno male le economie. Le
preoccupazioni sulle banche si sono evidenziate ora non solo nel prezzo delle loro azioni, ma anche,
enormemente, nei prezzi dei cocos (contingent convertible bonds). Questi bonds sono ibridi: nei tempi buoni
sono debito ma sono convertibili in capitale quando il common equity diventa troppo piccolo rispetto ai bilanci
delle banche. Il collasso dei prezzi dei cocos di diverse banche può essere visto sia come prova che esse
funzionano che come possibile inizio di una spirale di morte, in cui il segnale dello stress inaridisce in senso
più generale il finanziamento delle banche fragili.
Perchè le banche dovrebbero essere così fragili dopo tutta la vantata ri-regolazione? Una risposta è che
restano altamente leveraged. Se si ignora il trucco della ponderazione del rischio, il leverage vero di molte
grandi banche resta a più di 20 a 1. Un'altra risposta è che le banche sono esposte a quasi tutto. Povere
condizioni di mercato minano i loro ritorni dal broking e del wealth menagement.
La minaccia della deflazione aumenta la probabilità dei tassi di interesse negativi sulle riserve. L'effetto di tutto
ciò sulle banche è incerto ma anche preoccupante. Altrettanto importante è l'appiattimento della curva dei
rendimenti con il collasso dei ritorni sui bonds a più lungo termine. Una curva dei rendimenti piatta è un male
per la profittabilità delle banche, la cui attività economica è prendere prestiti a breve e fare credito a lungo. Il
crollo dei prezzi delle materie prime solleva anche preoccupazioni sulla solvibilità dei borrowers. Un tema più
grosso sono le nuove regole sulla risoluzione delle banche in difficoltà. Queste minacciano i creditori con
conversioni forzate nel capitale. Per gli azionisti questo significherebbe diluizione. Per i creditori potrebbe
significare perdite inattese.
L'economia del mondo non sta necessariamente andando verso una crisi, è probabile si diriga solo verso un
rallentamento - ma i rischi abbondano. Inoltre tali rischi sono associati alle banche colpite, in particolare quelle
della bank-dependent Europa. Le banche, indebolite, danneggeranno poi l'economia.
I policymakers devono rimanere consapevoli di questi rischi collaterali e fare il possibile per evitare di
aggiungersi ad essi. Una cosa è chiara: le banche sono ancora l'anello debole nella catena economica
globale. Le persone hanno timori sulla salute di questi colossi enormi, altamente leveraged, estremamente
complessi e opachi. E hanno senza dubbio ragione ad averne.
Financial Times 12 febbraio 2016
“Sotto zero. I policymakers tagliano i tassi in entrambe le direzioni”
La decisione della banca centrale svedese di scavare più profondamente in territorio negativo e di tagliare
ieri altri 15 punti base del suo benchmark rate pronti contro termine, fa parte di un trend globale.
Nel febbraio scorso, la Riksbank è stata la prima a portare i tassi sotto zero. Il suo tasso benchmark è ora
meno 0.5%. Da allora altre banche centrali hanno seguito, compresa la Banca del Giappone e la BCE.
Si aspettano tagli ulteriori. Nella sua prossima riunione decisionale di marzo, la BCE sembra pronta ad
abbassare il suo tasso sui depositi dal livello attuale (-0.3%).
Come si impongono i tassi negativi?
In due modi. La Riksbank impone il tasso negativo attraverso le sue principali aste di moneta bancaria al
sistema bancario svedese. Ai prestatori viene richiesto di pagare l'equivalente di una tassa annuale dello 0.5%
sui fondi presi in prestito dalla banca centrale attraverso queste aste dei repo (pronti contro termine) Le aste
hanno luogo una volta a settimana - lo stesso periodo per cui sono prestati i fondi. I prestatori poi o cambiano
questa base monetaria con titoli con scadenze settimanali il cui prezzo riflette il tasso repo, oppure lo tengono
presso la banca centrale overnight, al costo dello 0.6%.
Ma il sistema svedese è unico. La maggior parte delle banche centrali caricano i tassi negativi sui depositi dei
lenders. Il tasso caricato normalmente si applica solo a una parte delle riserve che i lenders parcheggiano
presso la banca centrale. Questa porzione è normalmente denominata riserva "in eccesso" perchè è a un
livello sopra il minimo richiesto dalle banche centrali ai lenders per tenere le riserve presso di sè.
Così le banche centrali distruggono parte della moneta che creano. Cosa ci guadagnano?
I policymakers non lo ammetterebbero, ma una delle regioni per cui a loro piacciono i tassi negativi è che si
sono dimostrati un modo abbastanza efficace di indebolire le monete. Perchè tenere euro se la banca
centrale sta mandando messaggi che vuole punirti per avere messo i risparmi nella sua moneta?
Una moneta più debole aiuta le banche centrali a centrare gli obiettivi inflattivi aumentando il costo dei beni
importati. Con il crollo del prezzo del petrolio e la lentezza della domanda globale che sembrano invocare lo
spettro della deflazione, tutto ciò che alza la pressione sui prezzi è benvenuto.
Ma tassi nominali negativi sono stati tentati anche prima e la policy sembra avere qualche effetto collaterale.
Come la caduta della azioni bancarie?
Esattamente.
Allora quale è il legame tra i tassi negativi e le malconce azioni bancarie?
Fino ad ora le banche hanno assorbito il colpo dei tassi negativi senza trasmettere la maggior parte del costo
dei tagli ai loro clienti ed erodendo in tal modo i margini di interesse.
Questo è in parte l'intento di una politica dei tassi negativi: si suppone che la policy incoraggi le banche a
cercare opportunità di prestiti più rischiosi strizzando i margini. Prestare a ventures più rischiosi dovrebbe
incentivare la crescita in parti deboli dell'economia, almeno così sostiene la teoria.
In pratica, attualmente è difficile profittare di questo cosiddetto "effetto-riequilibrio di portafoglio".
Le banche prendono prestiti a breve e fanno credito a lungo. Ma altre politiche monetarie estreme, come
l'acquisto di titoli governativi sotto quantitative easing, hanno abbassato i tassi di interesse a lungo per l'attività
economica e le famiglie. Questo limita le opportunità per le banche di caricare tassi più alti sui clienti o di
costruire profitti comprando assets più rischiosi. I benefici a breve che ci si può aspettare dai tassi negativi,
come il calo delle sofferenze sui crediti sono sempre più contrastati dall'impatto sulla profittabilità.
Tagli come quelli della banca centrale svedese stanno alimentando il sospetto che le banche centrali stiano
ingaggiando "guerre monetarie" che innescheranno una corsa al ribasso su tassi negativi. Questa, a sua volta,
sta diffondendo forti cadute dei titoli bancari poichè gli investitori si agitano sul fatto che i lenders possano
reggere il colpo.
Se i titoli bancari si stanno deprimendo, gli investitori dove mettono il loro denaro?
Gli investitori stanno vendendo equities e corporate bonds e comprando debito sovrano che ancora offre un
rendimento positivo. Solo questa settimana, abbiamo visto rallies dei prezzi US e UK, che hanno spinto i loro
rendimenti a 10 anni sotto l'1.6% e l'1.3% rispettivamente. Ma la disponibilità di tali titoli si sta riducendo. Parte
dei $6 trilioni di debito governativo venduto dal Giappone e dall'Europa ha già un rendimento sotto zero.
Perchè comprare un bond a rendimento negativo?
Chiamatela la "greater fool" theory of investing. Comprare titoli con rendimento negativo comporta una perdita
se vengono tenuti fino alla scadenza, ma un trader può ancora avere un profitto vendendo a prezzo più alto e
a rendimento più baso. E questo funziona fino a quando c'è qualcuno che pensa che le banche centrali
continueranno a spingere ulteriormente sotto zero.
Financial Times 24 febbraio 2016
Martin Wolf “Gli helicopter drops potrebbero non essere lontani”
L'economia mondiale sta rallentando strutturalmente e ciclicamente. Come può rispondere la policy? Con
improvvisazioni disperate, senza dubbio. I tassi di interesse negativi hanno già passati dall'impensabile alla
realtà. E' probabile che il prossimo passo includa l'espansione fiscale. Davvero questo è quanto l'OCSE, a
lungo entusiasta dell'austerità fiscale, raccomanda nel suo Interim Economic Outlook. Ma è improbabile che
finisca così. Con l'espansione fiscale potrebbe partire il sostegno monetario diretto, inclusa la la policy più
radicale di tutte:l'"helicopter drops" di denaro raccomandato da Milton Friedman.
Più di recente, questa è la policy presagita da Ray Dulio, fondatore di bridgewater, un hedge fund. L'economia
mondiale non solo sta rallentando -sostiene - ma sono anche largamente esaurite la "politica monetaria1" bassi tassi di interesse -e la "politica monetaria 2" - il quantitative easing . Perciò, dice, il mondo avrà bisogno
di una "politica monetaria 3" direttamente finalizzata a incoraggiare la spesa. Che potremmo avere bisogno di
tale politica è anche la raccomandazione di Adair Turner, ex presidente della Financial Services Authority nel
suo libro Tra il debito e il diavolo.
Perché il mondo dovrebbe essere portato a tali espedienti? La risposta in breve è che l'economia globale sta
rallentando in modo duraturo. L'OCSE prevede ora una crescita globale nel 2016 "non superiore a quella del
2015, essa stessa la più lenta degli ultimi 5 anni". Dietro c'è una semplice realtà: l'eccesso globale di risparmio
- la tendenza del risparmio a crescere di più degli investimenti - sta crescendo e così sta peggiorando la
"sindrome da deficienza cronica di domanda".
Questa fase della debolezza della domanda deve essere visto nel suo contesto storico. I tassi di interesse
reali a lungo termine sui valori sicuri stano riducendosi da almeno 20 anni. Sono stati vicini allo zero dalla crisi
finanziaria del 2007-09. Prima di allora,un insostenibile boom del credito in occidente ha compensato la
debolezza della domanda. Dopo di allora, i deficit fiscali, i tassi di interesse a zero e l'espansione dei bilanci
delle banche centrali hanno stabilizzato la domanda in occidente, mentre un'espansione del credito ha
finanziato un massivo investimento in Cina. Politiche monetarie occidentali accomodanti e politiche creditizie
cinesi accomodanti hanno guidato anche il boom post-crisi delle materie prime, sebbene l'eccezionale
crescita della Cina è stato l'unico fattore più importante.
La fine di tali booms del credito è una delle cause principali della attuale debolezza della domanda. Ma la
domanda è debole anche relativamente al rallentamento della crescita dell'offerta. A livello mondiale, la
crescita dell'offerta di lavoro e della produttività del lavoro si è rapidamente ridotta già dalla metà del decennio
scorso. Una crescita più bassa della produzione potenziale, di per se stessa, indebolisce la domanda perchè
abbassa l'investimento, sempre driver cruciale della spesa in un'economia capitalistica.
E' questo scenario - rallentamento della crescita dell'offerta, aumento degli squilibri tra risparmio e
investimenti, fine di insostenibili booms creditizi e, non da ultimo, l'eredità di un enorme eccesso di debito e
sistemi finanziari indeboliti - che spiega le difficoltà attuali. Spiega anche perchè le economie che non
possono generare una domanda adeguata sono costrette verso una crescita export-led (beggar my
neighbour), attraverso l'indebolimento dei tassi di cambio. Giappone ed eurozona fanno parte del gruppo. Lo
stesso vale per le economie emergenti con tassi di cambio collassati. La Cina sta resistendo, ma per quanto?
Un renminbi debole sembra quasi inevitabili, qualsiasi cosa dicano le autorità.
Oggi non esistono soluzioni semplici per gli squilibri dell'economia globale ma solo palliativi. Il gusto
attualmente preferito nella politica monetaria sono i tassi di interesse negativi. Dalio sostiene che "mentre i
tassi negativi renderanno la liquidità un pò meno attraente (ma non molto meno), non porteranno tuttavia i
risparmiatori a comprare quel genere di assets che finanzieranno la spesa". Io concordo. Non posso
immaginare che il risultato sarà che il business correrà a investire. Lo stesso vale per il convenzionale
quantitative easing. L'effetto principale di tali politiche si avrà probabilmente via tassi di cambio. In effetti, gli
altri paesi cercheranno una crescita guidata dall'export rispetto ai consumatori americani super-indebitati. Ciò
è destinato a saltare in aria. L'alternativa è allora la politica fiscale. L'OCSE sostiene, in modo persuasivo, che
un'espansione coordinata dell'investimento pubblico, combinata con appropriate riforme di struttura potrebbero
espandere la produzione e anche abbassare il rapporto del debito pubblico rispetto al PIL. Questo è
particolarmente plausibile oggi, perchè i principali governi possono prendere prestiti a tassi reali di lungo
termine pari a zero o persino negativi. L'ossessione dell'austerità. anche quando i costi dell'indebitamento
sono così bassi, è una pazzia.
Se le autorità fiscali non hanno voglia di comportarsi così sensibilmente - e i segnali sono che non lo faranno gli unici players sono le banche centrali.. Si potrebbe dare loro il potere di spedire denaro - idealmente nella
forma elettronica - a tutti i cittadini adulti. Questo aumenterebbe la domanda? Assolutamente. Con gli attuali
accordi monetari, genererebbe anche una crescita permanente delle riserve delle anche commerciali presso
la banca centrale. Il modo facile per contenere ogni effetto monetario di lungo termine sarebbe aumentare i
requisiti di riserva. Questo potrebbe allora diventare una caratteristica desiderabile dei nostri instabili sistemi
bancari.
Il punto principale è questo. Le forze economiche che hanno portato l'economia mondiale a tassi reali zero e,
sempre di più, a tassi negativi delle banche centrali, se non altro, si stanno rafforzando. Questo sta
dimostrando l'economia mondiale. Questo è quanto sta indicando la politica monetaria. E sempre di più è
quello che stanno dimostrando i prezzi degli assets.
I policymakers devono prepararsi per un "nuovo normale" in cui la policy diventerà meno comoda, più
anticonvenzionale o entrambe le cose. Il mondo può sfuggire dalla cronica debolezza della domanda?
Assolutamente si. Lo farà? Questo richiede maggiore audacia. Quando si è esaurito tutto il possibile, la
risposta deve essere, ciò che resta, anche se è improbabile.
World Economic Forum
Global agenda
Anja Kaspersen* e Isabel de Sola*: “Come sarà il mondo nel 2030?” (SINTESI)
*Anja Kaspersen (Senior director, Capo della International Security, World Economic Forum)
*Isabel de Sola, Practice Lead International Security, World Economic Forum)
Il panorama geopolitico e della sicurezza internazionale è in continuo mutamento, sfidando l'assunto del
continuato progresso sociale, politico ed economico che ha caratterizzato i primi 25 anni dopo la fine della
seconda guerra mondiale. Le trasformazioni avranno profonde ramificazioni per l'ordine della sicurezza
internazionale. Immaginate se avessimo un modo per guardare dentro il futuro per avere una comprensione
migliore di ciò che comporterà questo nuovo ordine?
Come possiamo sapere ciò che il futuro comporterà e cosa dobbiamo fare per evitare di fare i sonnambuli fino
al punto di non ritorno?
Senario Planning, a differenza di monitoring e di best practices, guarda a quello che guida gli eventi piuttosto
che limitarsi ad anticipare i rischi. Valutare cosa è plausibile non è una scienza esatta ma è un esercizio utile
per prepararsi a possibili sfide e a identificare le politiche giuste per migliorare i risultati futuri.
Nel corso dell'ultimo anno,il Forum ha consultato più di 280 membri del nostro network globale per costruire
tre distinti scenari che ci aiutino a comprendere a cosa potrebbe somigliare il futuro panorama della sicurezza.
Lavorando con esperti in sei regioni del mondo e con rappresentanti di tutti i settori, abbiamo sviluppato tre
scenari per la sicurezza internazionale ed esplorato le implicazioni per tutti gli attori sociali. Intravedere il futuri
possibile aiuta a identificare azioni presenti che posano cambiare la nostra traiettoria.
Prima di descrivere gli scenari stessi, è importante sottolineare che nessuno di loro è probabile si realizzi
come descritto; piuttosto, il panorama della sicurezza comprenderà probabilmente molteplici elementi da uno
o più scenari simultaneamente.
Walled cities
In questo scenario, gli stati non riescono a vincere la sfida di fornire i servizi alle loro popolazioni, causando
uno spostamento verso providers privati, di un numero crescente di persone, almeno di chi ha i mezzi per
farlo.
I beni pubblici come l'acqua polita e anche l'aria fresca diventano materie prime commercializzate a caro
prezzo. La ritirata del governo come garante di servizi minimi di base lascia la società sempre più polarizzata
tra le elites e una classe impoverita, con poca mobilità sociale.
Al contrario, aumenta la mobilità demografica, con grossi gruppi costretti a migrare a causa del cambiamento
climatico in cerca di condizioni per vivere. I campi dei rifugiati si espanderanno e diventeranno permanenti,
assistiti dalla partnership del settore privato. Tuttavia i loro giovani saranno sempre più attratti in gangs e
gruppi virtuali ostili al "sistema".
Una classe di contribuenti che si restringe chiede protezione e accetta più governo autoritario come prezzo
per mantenere l'ordine. Si costruiscono muri. Questo avviene nei distretti identificati come socialmente ed
economicamente critici, cioè le grandi città.
Fuori, le gangs si dividono il territorio e governano, grosso modo, come avevano fatto in passato gli stati.
Quanto agli stati veri, le minacce domestiche si sono così intensificate che hanno poco capacità di farsi carico
della azione per la sicurezza collettiva attraverso organizzazioni internazionali o regionali che gradualmente
svaniscono.
La responsabilità per il governo e l'erogazione dei servizi si sposta dai governi nazionali verso le città-stato
che cercano di mantenersi collegate tra di loro e prosperano come un arcipelago di isole sicure in un mare di
disordine.
Strong regions
Nel secondo scenario, si accumulano al sud e all'est grandi fette di ricchezza, spostando il potere verso
egemoni regionali che consolidano sfere di influenza e sfidano gli stati sovrani come principale unità
dell'ordine globale.
Il rispetto reciproco per gli interessi dei nuovi egemoni regionali allevia in realtà le tensioni che erano
cominciate a crescere nei primi decenni del 21esimo secolo in aree contestate come l'Europa orientale, il
Medio oriente e il Pacifico occidentale.
I governi fanno un uso crescente della sorveglianza e di sistemi di high-tech media per controllare i propri
cittadini con narrazioni storiche costruite ad arte e esagerate proiezioni delle minacce esterne, enfatizzando i
temi delle differenze etniche e religiose.
Le nuove istituzioni regionali sono fondate su quel frammento che era un volta il commercio globale e i beni
comuni globali (come internet). E poichè sono arrivate a dominare le relazioni internazionali, le vecchi
istituzioni come l'ONU e quelle di Bretton Woods sono cancellate.
In parallelo, i tentativi per controllare il riscaldamento globale sono venuti meno in favore di misure unilaterali
di adattamento ai cambiamenti. Ci sono perdite di efficienza nel venir meno della globalizzazione ma le elites
autoritarie convincono i loro popoli che si tratta di un prezzo accettabile da pagare per la stabilità.
Le aziende perdono la loro indipendenza perchè il commercio interregionali è limitato e esse tendono sempre
più a cadere sotto il controllo informale delle nuove istituzioni di governo regionale.
War and Peace
Nel terzo scenario, i poteri costituiti continuano a negare le implicazioni degli spostamenti del potere e
l'impatto del cambiamento tecnologico.
Il commercio globale si riduce e le grandi economie ristagnano. I vecchi stati chiave per l'ordine mondiale si
ritirano al loro interno e abbandonano l'azione collettiva come il peacekeeping, il rule-making, e la politica dei
beni comuni globali e le politiche per proteggere l'ambiente.
Una crescente sensazione di assenza di legge incoraggia le potenze emergenti a testare lo status quo,
talvolta con tacito o aperto incoraggiamento da parte delle loro principali potenze alleate.
In missioneInfine, incapaci di risolvere visioni dell'ordine mondiale e di interesse geopolitico in competizione,
una guerra per procura spinge due delle grandi potenze in un grande conflitto convenzionale. Il tabù nucleare
viene rispettato ma anche se trascinano dentro un certo numero di soggetti terzi, alleati, entrambe le parti non
riescono a guadagnare alcun vantaggio, ottenendo solo un reciproco esaurimento. Con l'emergere di una
pace scomoda, le menti delle persone ritornano alla domanda di quale tipo di norme e strutture sono
necessarie per governare le relazioni internazionali.
Desiderosi di restaurare il commercio globale, le istituzioni del settore privato prendono la guida,
concentrandosi su regole modeste per governare l'uso pacifico dei beni comuni globali.
Le posizioni leader in questi nuovi corpi sono assunte non da civil servants ma da leaders con il doppio
cappello dell'industria e della società civile. L'urgenza di ripristinare la salute economica globale rende
prioritarie le relazioni commerciali e di investimento e l'agenda sociale o "dei valori" come i diritti umani
universali, è confinata nel sedile posteriore.
Viene abbandonata la nozione del gruppo di valori universali cui tutti dovrebbero aspirare come paradigma
dell'ordine mondiale. Emerge una considerevole quantità di disuguaglianza ma è largamente accettata come
prezzo per la pace.
At the tipping point?
Tutti e tre gli scenari appaiono distopici perchè sono estrapolazioni di esistenti trends negativi. Ma il mondo
non deve arrivare a queste distopie. Ci sono molte opportunità per cambiare il risultato e dare forma a un
mondo più sicuro, fino a quando avremo una forte leadership e saranno prese le decisioni giuste per
realizzarle al più alto livello. Quest'ultimo punto ci riporta all'obiettivo di questo esercizio: accendere nuova
luce sulle decisioni che serve oggi prendere. Malgrado le grandi incertezze su molti fronti. non ci serve la sfera
di cristallo per capire che il mondo non può permettersi di aspettare che una crisi ci costringa ad agire. Questi
scenari possono aiutarci a identificare i possibili punti di infezione e a definire un nuovo corso per il In
missioneparadigma della futura sicurezza globale.
Financial Times 8 febbraio 2016
Lawrence Summers “Nessun pasto gratis ma molti a prezzi economici”
I tradeoffs sono da lungo tempo al centro dell'economia. L'aforismo "non ci sono cose come pasti gratis" coglie
un concetto economico centrale: non puoi avere qualcosa in cambio di niente. Tra i molti tradeoffs enfatizzati
dagli economisti ci sono armi v burro, pubblico v privato, efficienza v equità, qualità v quantità o costo e
performance di breve e di lungo termine.
Proprio come nelle famiglie con reddito limitato, si devono prendere decisioni su cosa comprare o no, le
società hanno di fronte dei tradeoffs. Gli economisti hanno ragione a insistere sulla necessità di scelta tra
obiettivi in competizione nella costruzione delle politiche.
La tradeoff economics aiuta a spiegare l'ingorgo politico. Se tutto il cambiamento determina vincenti e perdenti
e se le salvaguardie democratiche significano che il potere di veto è distribuito in modo casuale, non è
sorprendente che si realizzino pochi cambiamenti .
Ma sono sempre più convinto che "nessun pasto gratis" semplifichi eccessivamente la materia e renda
l'economia una scienza troppo triste. Sarebbe vera in un mondo in cui sono state sfruttate tutte le opportunità
per migliorare le cose - dove, per usare un altro clichè, non ci fossero per la strada biglietti da $1000. Ma la
recente esperienza suggerisce che migliorando gli incentivi o facendo investimenti strategici, possiamo
raggiungere obiettivi apparentemente tra loro in conflitto più di quanto suggerirebbe la saggezza
convenzionale.
Si prenda la sanità in US. La visione tradizionale dei policymakers era quella di pesare i principali tradeoffs tra
costo, qualità e quantità. La tesi era che misure per tagliare il costo avrebbero ridotto anche la qualità della
cura, poichè gli ospedali e i medici avrebbero negato ai pazienti i trattamenti costosi, perchè affamati di risorse
o a causa dell'assottigliamento della differenza in caso di aumento della richiesta di cure.
Dal 2010, quando l'Affordable Care Act è diventato legge, l'esperienza mostra quanto fosse sbagliata la
visione tradizionale. La copertura si è consistentemente allargata mentre i costi si sono mossi in linea con la
crescita del PIL, risolvendosi in un grosso risparmio per Medicare e le assicurazioni private. Nessuno
comprende del tutto perchè la curva dei costi della sanità siano in flessione ma la maggior parte degli esperti
crede che i nuovi approcci per i rimborsi che premiano i successi e penalizzano i fallimenti abbiano giocato un
ruolo importante.
Allo stesso modo, ci si attendeva che le soluzioni tipo ospizi per cure di fine vita, dove il focus si è spostato
dalla cura al confort del paziente migliorassero l'esperienza del paziente eliminando interventi improduttivi. Ora
ci sono prove che allungano anche l'attesa di vita.
La morale della storia è che non c'è mai un tradeoff tra costo e qualità ma che le innovazioni possono
grandemente migliorare i termini dello scambio tra la riduzione dei costi e il miglioramento della qualità.
Un esempio piuttosto differente riguarda il presunto tradeoff tra equità ed efficienza - specie la preoccupazione
che la redistribuzione colpisca le performances economiche e ostacoli la crescita. E' vero che l'aumento delle
tasse produce almeno qualche incentivo avverso e che provvedere a prestazioni pubbliche basate sul reddito
coinvolge implicitamente le tasse. Ma le questioni sono molto più complesse di un semplice tradeoff.
Le leggi antitrust che attaccano quelli alla ricerca della rendita promuovono sia l'equità che l'efficienza, così
come le misure per accrescere le opportunità scolastiche. Il rafforzamento della regolamentazione riduce
l'incidenza delle crisi finanziarie, in tal modo migliorando la performance economica mentre, nel contempo,
promuove l'equità, aiutando i consumatori. Nelle economie in cui la domanda è debole, una maggiore equità
realizzata attraverso una tassazione più progressiva, significa più spesa e maggiore utilizzo delle risorse.
Questi esempi non negano i tradeoff tra equità ed efficienza. Ma suggeriscono, tuttavia, che non hanno nulla
di ineluttabile. Entrambe possono essere migliorate attraverso una politica idonea.
L'idea che sia possibile realizzare obiettivi apparentemente in conflitto non è limitata alla politica pubblica.
Henry Ford, con il suo famoso $5 working day, ha fatto stare meglio i suoi lavoratori e nel contempo ha
migliorato i suoi profitti. L'esempio di Ford è stato recentemente seguito da Aetna, da Walmart e da altri.
Molte aziende riportano che un aumento dell'impegno verso la responsabilità sociale le rende più profittevoli,
perchè aumenta la loro attrattività nei confronti dei lavoratori e dei consumatori. Altri hanno trovato che gli
investimenti nell'efficienza energetica sono tra i più convenienti che si possano fare. Più generalmente, gli
imprenditori di successo danno un nuovo e prima impensabile beneficio ai consumatori, creando opportunità
per i lavoratori e guadagnano profitti per loro stessi·
I tradeoffs dovrebbero essere visti non come un vincolo ma come una sfida. Ci sono molti pasti a buon
mercato qui fuori per chi vuole trovarli. Anche la scienza economica ha molto da dare e molto da guadagnare
da questa ricerca. Può diventare una scienza allegra.
Social Europe Journal 5 febbraio 2016
Nuriel Roubini “Il nuovo anormale della global economy”
Dall'inizio dell'anno, l'economia mondiale si è confrontata con una severa volatilità dei mercati, marcata da una
forte riduzione dei prezzi dell'equity e degli altri risky asset. Una varietà di fattori è in funzione: le
preoccupazioni sull'atterraggio duro dell'economia cinese; le preoccupazioni che la crescita negli US stia
traballando proprio nel momento in cui la FED ha cominciato ad aumentare i tassi di interesse; paure
dell'escalation del conflitto Iran-Arabia Saudita; e i segni - soprattutto nel crollo dei prezzi del petrolio e della
materie prime - di una forte debolezza della domanda globale.
E c'è di più. La caduta dei prezzi del petrolio - insieme all'illiquidità del mercato, l'aumento del leverage delle
imprese energetiche americane e la fragile sovranità delle economie esportatrici di petrolio - sta affastellando
paure di seri eventi creditizi (fallimenti) e di crisi sistemiche nei mercati del credito. E poi ci sono le paure che
sembrano non finire mai, sull'Europa, con la Brexit che sta diventando più probabile, mentre i partiti populisti di
destra e di sinistra hanno guadagnato terreno in tutto il continente.
Questi rischi sono amplificati da qualche fosca tendenza di medio termine che implica una crescita
pervasivamente mediocre. Davvero, l'economia mondiale nel 2016 continuerà a essere caratterizzata da un
Nuovo Anormale in termini di risultati, politiche economiche, inflazione, e il comportamento dei prezzi degli
asset chiave e dei mercati finanziari.
Allora cosa è, esattamente, ciò che rende anormale l'economia globale oggi?
Primo, la crescita potenziale nei paesi sviluppati ed emergenti si è ridotta a causa del peso del debito
pubblico e privato, del rapido invecchiamento ( che implica maggiori risparmi e minori investimenti) e di una
varietà di incertezze che riportano indietro la spesa per capitale. Per di più, molte innovazioni tecnologiche
non si sono trasferite in più alta crescita della produttività, il passo delle riforme strutturali resta lento e una
protratta stagnazione ciclica ha eroso la base delle competenze e il capitale fisico.
Secondo, la crescita reale è stata anemica e sotto il trend potenziale, a causa del doloroso processo di
deleveraging in corso, prima negli US e poi in Europa e ora nei mercati emergenti ad alto leverage.
Terzo, le politiche economiche - specie le politiche monetarie - sono diventate sempre più non convenzionali.
La distinzione tra politica monetaria e politica fiscale è diventata sempre più sfocata. Dieci anni fa, chi aveva
sentito termini come ZIRP (zero interest rate policy), QE (quantitative easing), CE (credit easing), FG (forward
guidance), NDR (negative interest rate) o UFXI (unsterilized FX intervention)? Nessuno, perchè essi neppure
esistevano.
Ma ora, questi strumenti di politiche monetarie non convenzionali sono la norma nelle economie più avanzate
- e persino in alcune emergenti. E le recenti azioni e segnali dalla BCE e dalla Banca del Giappone rinforzano
l'opinione che arriveranno politiche ancor più anticonvenzionali.
Alcuni hanno asserito che queste politiche monetarie non convenzionali - e l'aumento enorme dei bilanci
delle banche centrali che ne è conseguito - sono state una forma di svalutazione delle monete. Il risultato,
hanno sostenuto, sarebbe la ripresa dell'inflazione (se non addirittura l'iperinflazione), una forte crescita degli
interessi di di lungo termine, un collasso del valore del dollaro, un'impennata del prezzo dell'oro e delle altre
materie prime e la sostituzione delle monete svalutate con cripto-monete come il bitcoin.
Invece,e questa è la quarta aberrazione, l'inflazione è ancora bassa e in riduzione nelle economie avanzate,
malgrado le politiche non convenzionali della banche centrali e la crescita dei loro bilanci. La sfida per le
banche centrali è cercare di migliorare l'inflazione se non di evitare una deflazione vera e propria. Al tempo
stesso, i tassi di interesse a lungo termine hanno continuato a scendere anche negli ultimi anni. Il valore del
dollaro è cresciuto; i prezzi dell'oro e delle materie prime si sono molto ridotti e la bitcoin è stata la moneta con
la peggiore performance nel 2014-2015.
La ragione per cui un'inflazione ultra-bassa resta un problema è che si è rotto il tradizionale legame causale
tra l'offerta di denaro e i prezzi. Una delle cause è che le banche hanno accaparrato l'offerta aggiuntiva di
denaro nella forma di eccesso di riserve, piuttosto che prestarla (in termini economici la velocità della moneta
è collassata). Inoltre restano alti i tassi di disoccupazione e questo dà ai lavoratori poco potere contrattuale. E
buona parte del rallentamento sta in molti mercati di prodotto, con grossi vuoti di produzione e basso potere di
fare i prezzi per le imprese (un eccesso di capacità esacerbato dall'over-investimento cinese).
E ora, dopo la forte riduzione dei prezzi degli immobili in paesi che avevano avuto un boom and burst, sono
collassati i prezzi del petrolio e di altre materie prime. Chiamiamola la quinta anomalia - il risultato del
rallentamento cinese, l'aumento di offerta di energia e di altri metalli industriali ( a seguito del successo
dell'esplorazione e del over-investimento in nuova capacità) e il dollaro forte che indebolisce i prezzi delle
materie prime.
Le recenti turbative del mercato hanno avviato la deflazione della bolla globale degli asset coltivata con il QE,
sebbene l'espansione delle politiche monetarie non convenzionali può alimentarla ancora più a lungo.
L'economia reale nelle economie più avanzate è seriamente malata e ancora, fino a poco tempo fa, i mercati
finanziari sono cresciuti a altezze più elevate, sostenuti dall'easing addizionale delle banche centrali. La
domanda è fino a che punto Wall Street e Main Street possono divergere.
Infatti, la divergenza è un aspetto della anormalità finale. L'altra è che i mercati finanziari non hanno reagito
molto, almeno fino ad ora, aumentando anche i rischi geo-politici, compresi quelli che arrivano dal Medio
oriente, dalla crisi identitaria dell'Europa, dall'aumento delle tensioni in Asia e dai rischi persistenti di una
Russia più aggressiva. Di nuovo, come può essere sostenuto questo stato delle cose - in cui i mercati non
solo ignorano l'economia reale ma non tengono neppure nel debito conto il rischio politico?
Benvenuto Nuovo Anormale per la crescita, l'inflazione, le politiche monetarie e i prezzi degli asset e fai come
se stessi a casa tua. E' probabile che staremo così per un pò.
Social Europe Journal 28 gennaio 2016
Joseph Stiglitz “La nuova normalità accidentata della Cina”
Lo spostamento della Cina da una crescita guidata dall'export a un modello basato sui servizi nazionali e i
consumi consumi delle famiglie è stato molto più accidentato di quanto anticipato da qualcuno, con le giravolte
del mercato azionario e la volatilità del tasso di cambio che accentua le paure sulla stabilità economica del
paese. Ma in base agli standard storici, l'economia della Cina sta andando ancora bene - a una crescita vicina
al 7% annuo , qualcuno potrebbe dire molto bene - ma il successo nella dimensione vista dalla Cina nei
passati 30 anni alimenta grandi attese.
C'è una lezione di base: "I mercati con caratteristiche cinesi" sono volatili e difficili da controllare quanto i
mercati con caratteristiche americane. Invariabilmente i mercati assumono una vita loro; non possono essere
presi in giro facilmente. Nella misura in cui possono essere controllati, questo avviene definendo in modo
trasparente le regole del gioco.
Tutti i mercati hanno bisogno di regole e regolamenti. Buone regole possono stabilizzare i mercati. Regole
mal disegnate, non conta quanto intenzionalmente, possono avere l'effetto opposto.
Per esempio, dal crollo dello stock market US nel 1987, è stata riconosciuta l'importanza di avere interruttori;
ma se disegnate in modo improprio, tali riforme possono accrescere la volatilità. Se ci sono due livelli di
interruttori - una sospensione degli scambi a breve e a lungo termine - e questi sono troppo vicini l'uno all'altro,
una volta innescato il primo, i partecipanti al mercato, realizzando che sarà utilizzato anche il secondo,
potrebbero scappare dal mercato.
Per di più, ciò che avviene nei mercati può essere solo vagamente collegato all'economia reale. Lo dimostra la
recente Grande Recessione. Mentre il mercato azionario US ha avuto una robusta ripresa, l'economia reale è
rimasta depressa. Ancora, la volatilità dello stock market e del tasso di cambio può avere effetti reali.
L'incertezza può portare a consumi e investimenti più bassi (ed è per questo che i governi dovrebbero puntare
a regole che difendano la stabilità).
Ciò che conta di più tuttavia sono le regole che governano l'economia reale. In Cina oggi, come in US 35 anni
fa, c'è un dibattito se siano le misure supply-side o domand-side quelle che hanno la maggiore probabilità di
ripristinare la crescita. L'esperienza US e molti altri casi forniscono alcune risposte.
Per cominciare, le misure supply-side possono essere le migliori in caso di piena occupazione. In assenza di
domanda sufficiente, migliorare l'efficienza supply-side porta solo a un ulteriore sottoutilizzo delle risorse.
Spostare lavoro da usi a bassa produttività a disoccupazione zero-productivity non aumenta la produzione.
Oggi, una insufficiente domanda aggregata globale richiede che i governi intraprendano misure che spingano
la spesa.
Tale spesa può avere molti buoni utilizzi. Le necessita fondamentali della Cina oggi includono la riduzione
della disuguaglianza, il contenimento del degrado ambientale, la creazione di città vivibili, e l'investimento
pubblico nella sanità, nella scuola, nelle infrastrutture e nelle tecnologie. Le autorità hanno anche bisogno di
rafforzare la capacità regolatoria per assicurare la sicurezza del cibo, degli edifici, delle medicine e di molto
altro ancora. I ritorni sociali di tali investimenti eccedono di molto i costi del capitale.
L'errore cinese in passato è stato di basarsi troppo sul finanziamento a debito. Ma la Cina ha anche ampio
spazio per aumentare la base imponibile in modi che aumenterebbero l'efficienza complessiva e/o l'equità.
Tasse ambientali potrebbero portare a una qualità migliore dell'aria e dell'acqua, aumentando nel contempo gli
introiti; tasse sulla congestione potrebbero migliorare la qualità della vita nelle città; la tassazione della
proprietà immobiliare e dei capital-gain incoraggerebbero un maggiore investimento nelle attività produttive,
promuovendo la crescita.. In breve, se disegnate correttamente, equilibrate misure di bilancio - aumentando le
tasse insieme alle spese - potrebbero fornire un grosso stimolo all'economia.
La Cina inoltre non dovrebbe cadere nella trappola di enfatizzare le arretrate misure supply-side. Negli US
sono state sprecate risorse quando sono state costruite case scadenti in mezzo al deserto del Nevada. Ma la
prima priorità non è buttare giù queste case (nel tentativo di consolidar il mercato delle case); è di assicurare
che in futuro le risorse saranno allocate efficientemente.
Davvero, il principio basilare insegnato nelle prime settimane di un corso elementare di economia è lasciare
che il passato sia passato - non piangere sul latte versato. L'acciaio a basso costo (fornito a prezzi sotto i costi
di produzione a lungo termine medi ma sopra il costo marginale) può essere un diverso vantaggio per altre
industrie.
Per esempio, sarebbe stato un errore distruggere l'eccesso di capacità americana nelle fibre ottiche, dalle
quali le industrie americane hanno enormemente guadagnato negli anni '90. La "opzione" valore associato con
i possibili usi futuri dovrebbe sempre essere confrontata con il costo minimo di mantenimento.
La sfida di fronte alla Cina quando si confronta con problemi di eccesso di capacità è che quelli che perdono il
loro lavoro richiederebbero forme di sostegno; le imprese sosterranno che un forte salvataggio
minimizzerebbe le loro perdite. Ma se il governo accompagnasse misure demand-side efficaci con politiche
attive del lavoro, come minimo il problema occupazionale potrebbe essere efficacemente affrontato e
potrebbero essere progettate politiche ottimali - o almeno ragionevoli - per la ristrutturazione economica.
C'è anche un problema macro-deflattivo. L'eccesso di capacità alimenta la pressione al ribasso sui prezzi, con
esternalità negative sulle imprese indebitate che sperimentano un aumento nel loro leverage reale (aggiustato
all'inflazione). Ma un approccio molto migliore del consolidamento supply-side è una aggressiva espansione
demand-side che potrebbe contrastare le pressioni deflattive.
I principi economici e i fattori politici sono dunque ben noti. Ma troppo spesso il dibattito sull'economia della
Cina è stato dominato da proposte naive per riforme supply-side - accompagnate dalle critiche alle misure
demand-side adottate dopo la crisi finanziaria globale del 2008. Queste misure erano tutt'altro che perfette;
dovevano essere formulate al volo nel contesto di una emergenza inattesa. Ma sono state molto meglio di
niente.
Ciò perchè usare risorse in modo non ottimale è sempre meglio che non usarle affatto; in assenza dello
stimolo post-2008, la Cina avrebbe avutouna consistente disoccupazione. Se le autorità si impegnano su
riforme domand-side, avranno una maggiore responsabilità per riforme supply-side più complessive.
Per di più, la magnitudine di alcune delle necessarie riforme supply-side si ridurrà marcatamente,
precisamente perchè le misure demand-side ridurranno l'eccesso di offerta.
Questo non è solo un dibattito accademico tra gli economisti keynesiani occidentali e quelli supply-side,
poichè ora si svolge dall'altra parte del mondo. L'approccio politico adottato dalla Cina influenzerà fortemente
la perfomance economica e le prospettive mondiali.
Financial Times Big Read.
Mercati
Quest'anno, i mercati globali hanno perso più di $4 trilioni di valore, con molte borse che hanno avuto
la peggiore partenza di sempre. Gli investitori, che stanno scontando il rischio della recessione,
vedono anche pochi catalizzatori per la crescita delle azioni.
La Grande ansia
"La Cina è una tragedia shakespiriana. Sai cosa succede alla fine, è una questione di quanti atti
occorrono per arrivarci"
"Se fossimo all'ultimo inning dell'espansione US, allora svendere avrebbe senso. Ma questa non è la
nostra opinione"
Era mattino, all'inizio di settembre, e gli investitori di alto livello presso Carmignac, gestore dell'hedge fund
francese, erano impegnati in una discussione che durava da mesi: fino a che punto era fragile l'economia del
mondo? Ora, smaltendo l'impatto delle decisioni agostane delle autorità cinesi di svalutare solo lievemente io
renminbi, era finalmente tempo di agire.
Patrimoine, il fondo bandiera di Carmignac del valore di $25 miliardi deteneva 10 miliardi di euro in equities ed
è stata presa la decisione di comprare un assicurazione a protezione dell'intero portafoglio. Si sarebbero tirati
fuori dal mercato azionario e atteso di vedere cosa fosse accaduto.
Dopo dopo una svendita pericolosa, i mercati hanno recuperato il loro equilibrio e a dicembre la FED US era
sufficientemente fiduciosa sul risultato da aumentare i tassi di interesse per la prima vola da almeno un
decennio. Ma nelle ultime settimane, la decisione di Carmignac è apparsa come la giusta chiamata: gennaio
è stato un disastro per le borse che sono crollate così tanto e così velocemente all'inizio dell'anno.
"La nostra interpretazione del caso cinese è stata che esso è come il canarino nella miniera di carbone, che
cioè questo è il primo impatto concreto della fine del quantitative easing"" ha detto Didier Saint Georges,
stratega per l'asset menager francese.
Quest'anno, le borse globali hanno già perso più di $4 trilioni di valore. Le paure sul rallentamento economico
e la svalutazione monetaria in Cina sono diventate quasi panico. I mercati dei bonds sono stati sferzati da
forze confliggenti delle vendite di riserve da parte delle banche centrali a sostegno delle loro monete e dalla
corsa all sicurezza da parte degli investitori.
Nelle prime due settimane di gennaio, le borse cinesi di Shanghai e di Shenzhen hanno perso un quinto del
loro valore. Gli incidi benchmark in Giappone, Europa e US si sono ridotti di più del 10% . I prezzi delle
materie prime sono crollati all'indietro con il petrolio venduto a meno di 28 dollari al barile, un prezzo che si è
visto l'ultima volta nel 2004.
Sta crescendo una spirale di pessimismo, con eminenti strateghi e investitori che dicono ai clienti di uscire
dalle borse e rivolgersi alla sicurezza dei titoli pubblici. Accanto alle preoccupazioni sul rallentamento della
crescita cinese, gli investitori temono per l'indebolimento dei profitti corporate US, per la salute dei gruppi
minerari e delle società energetiche che si sono indebitati quando i prezzi delle materie prime erano assai più
alti e per le conseguenze del collasso dei prezzi energetici.
In missione
Così martedì gli investitori US torneranno dopo un lungo week end per rispondere a una domanda: cosa può
ridare fiducia non solo alla Cina ma al resto del mondo?
In gioco c'è la credibilità dei policymakers di tutto il mondo, in particolare della FED, che il mese scorso ha
aumentato i costi del credito overnight per la prima volata in un decennio. Ad accompagnare la turbolenza di
questo mese dei mercati c'è stato un ampio rafforzamento del dollaro US, che ha effettivamente stretto le
condizioni finanziarie e colpito l'industria nazionale costretta a competere con importazioni più convenienti.
In particolare, lo scorso settembre, dopo le turbolenze del mercato innescate dalla svalutazione a sorpresa del
renminbi, la banca centrale US ha rinviato una mossa largamente attesa. I prezzi dei mercati dei bonds
implicano la diminuzione delle aspettative di un ulteriore aumento dei tassi di interesse US quest'anno, mentre
l'economia americana fino ad ora deve ancora vedere un aumento della spesa per consumi a seguito della
forte riduzione del prezzo del petrolio."La FED troverà molto più difficile aumentare i tassi ora, con gli equities
giù dell'8% quest'anno, il petrolio che sta vedendo nuovi minimi e la crescente preoccupazione che l'inflazione,
per arrivare vicino al 2%, avrà bisogno di più tempo" dice Arthur Bas, menaging director a Coex Partners.
La sfida di fronte ai policymakers è che gli investitori continuano a uscire dalle materie prime, dalle azioni e
dai corporate bonds, causando una fuga precipitosa che colpisce la fiducia tra aziende e consumatori. Dopo la
crisi finanziaria, le banche centrali hanno preso misure eccezionali per stimolare le loro economie ma la
crescita è stata deludente.
Si pensava che la FED avesse chiuso la porta sul periodo post-crisi, ma con i tassi di interesse ancora vicini a
zero e scarse prospettive di stimoli fiscali, la paura è che i policymaker abbiano esaurito gli strumenti a loro
disposizione.
Alcuni sostengono che la turbolenza del mercato costringerà le autorità cinesi a mettere insieme un
pacchetto di misure si stimolo prima che inizi il nuovo anno cinese, l'8 febbraio, quando i mercati chiudono per
almeno tre giorni e il business rallenta.
Ma la preoccupazione è che un pacchetto di misure percorribile ha bisogno di più tempo per essere messo
insieme, con la credibilità della Cina già intaccata dalle sue azioni apparentemente frettolose: dagli acquisti
forzati del cosiddetto "team nazionale" dell'estate scorsa all'abbandono degli "interruttori", che hanno imposto
questo mese fermate commerciali nelle borse in immersione.
"Quale annuncio possono fare? Ne hanno già fatti molti" si chiede Xingdong Chen, capo economista per la
Cina a BNP Paribas. "Il taglio dei coefficienti di riserva non sembra funzionare nel modo che avrebbero voluto.
Possono dire che stanno usando un veicolo speculativo in borsa? Questo è già stato criticato lo scorso anno".
I tentativi di gestione del renminbi hanno solo aggiunto preoccupazioni. La Banca del popolo cinese ha
continuato a spendere riserve monetarie straniere per proteggere il renminbi ed è intervenuta nei mercati per
restringere il gap tra il tasso di cambio offshore e quello onshore che controlla. Per ora sperare in una
iniezione di fiducia nel breve termine da Pechino può essere mal posta, e molti vecchi osservatori della Cina
dicono che le autorità di Pechino saranno restie a introdurre qualcosa di radicale prima della riunione dei
governatori delle banche centrali del G20 a metà febbraio. Quest'anno, la Cina ospita la riunione e per
tradizione reprime la volatilità del mercato in occasione di eventi che la mettono sotto i riflettori.
Cercare il punto di arrivo
In assenza di azione, gli investitori del resto del mondo potrebbero essere tentati di prendere un vantaggio dai
mercati azionari cinesi. Ma c'è una completa differenza tra una crisi bancaria come quella che ha minacciato il
sistema finanziario US nel 2008 e un mero rallentamento economico.
George Magnus, associato al China Centre dell'Università di Oxford e senior economic advisor dell'UBS
sostiene che una economia cinese che cresce al 3-4% l'anno, anche se molto più lenta di quella vista negli
ultimi dieci anni, non sarebbe un problema per il resto del mondo.
"Sarebbe molto affascinante equiparare una turbolenza finanziaria con una recessione globale dietro l'angolo,
ma non penso sarebbe corretto".
Ancora, la direzione della Cina non è solo il problema più grande per gli investitori. "Il livello di incertezza
visibile nei mercati può essere ricondotto a due forze: la Cina e il petrolio" dice Craig Botham, economista dei
mercati emergenti da Schroeders. " Ed entrambi sono difficili da considerare per gli investitori, ed è per questo
che nessuno è sicuro di come vada a finire".
A seguito della decisione dei paesi occidentali di togliere le sanzioni contro l'Iran, i prezzi globali del petrolio si
sono ridotti ieri al punto più basso da 12 anni, mettendo ulteriore pressione sulle economie in via di sviluppo
che poggiano sull'export delle materie prime.
"Stiamo vedendo una spesa in conto capitale più bassa nei mercati emergenti e un debole rendimento del
credito negli US ma non vediamo ancora la spinata ai consumi che il basso prezzo del petrolio dovrebbe
determinare"dice Botham che vede nei movimenti del mercato " molta paura sulla debolezza della ripresa del
commercio globale"
L'anno scorso, Standard & Poor's ha contato 112 corporate bonds defaults, il numero più alto dal 2009. Anche
le aziende indebitate e sotto stress sono aumentate negli ultimi 6 mesi con la crescita più grande nella
proporzione delle aziende considerate a rischio di downgrade del loro credit rating da 6 anni.
Anche la borsa US si dice si sia ristretta, un segno di perdita di impulso del mercato dopo anni di rialzo.
L'anno scorso, i grandi guadagni per un piccolo numero di aziende molto grandi e popolari hanno sosteenuto
lo S&P 500 Index, ma quest'anno sono caduti anche i cosiddetti Fangs - Faceboob,Amazon, Netflix, Google.
Infatti le azioni, le obbligazioni societarie e i bonds governativi stanno tutti prezzando del 50% la possibilità di
una recessione quest'anno, secondo Jan Loeys, un senior strategist della JPMorgan, che sostiene che
l'umore tende al pessimismo, del tutto a prescindere dalla realtà dei dati economici.
"Se stiamo davvero nell'ultimo inning dell'espansione US e all'interno di sei mesi di recessione, allora l'attuale
svendita di rischi di mercato ha senso. Ma non ipotizziamo ci sarà tale sviluppo" ha scritto in un report questo
week end.
Una serie dati economici positivi per l'economia US, comprese le cifre dell'occupazione, attesa il 2 febbraio,
potrebbe cominciare a diffondere di nuovo fiducia tra gli investitori. Questo è echeggiato da Jan Hatzius della
Goldman Sachs che evidenzia i deboli legami tra Cina . US e Europa. Egli stima che anche un collasso del
10% dell'import cinese ridurrebbe solo dello 0.1% il PIL del mondo sviluppato.
Anche nello scenario più sfavorevole di Hatziyus, in cui la crescita della Cina rallenta fortemente anche
rispetto al già pessimistico 5% attualmente stimato da Goldman - ben al di sotto delle previsioni ufficiali di
circa il 7% - l'impatto globale è doloroso ma gestibile e del tutto insufficiente a spingere il mondo in una nuova
recessione. Dopo un difficile trading nei primi 10 giorni dell'anno,questo è forse il risultato più favorevole per
investitori in cui i problemi che essi vedono non spariscono ma sono almeno contenuti.
In questo scenario, i prezzi delle materie prime sono il riflesso di un eccessivo investimento da tempi di boom
da parte di industrie che le estraggono e le pompano piuttosto che un crollo della domanda globale. La forza
del dollaro è un segno della ripresa US. Tassi di interesse globali bassi alla fine stimolerà una ripresa costante
dell'attività economica. E i problemi della Cina riflettono la transizione da una rapida industrializzazione a una
società la cui economia è guidata dai servizi e dal consumo interno.
E' possibile che i mercati segnalino un anno molto difficile per gli investitori e per policymakers tramortiti dalla
crisi senza che questo implichi un disastro imminente.
"La Cina è un pò come una tragedia shakespiriana" dice Magnus. " Si sa cosa accade alla fine è solo
questione di quanti atti servano per arrivarci".
Social Europe Journal 17 gennaio 2016
Branko Milanovic* “Disuguaglianza: gli aspetti strutturali”
*Branko Milanovic, visiting prof. al Graduate Center of City University of New York ecc.
Malgrado l'attenzione senza precedenti ricevuta dalla diseguaglianza di reddito e di ricchezza nella campagna
presidenziale US di quest'anno e in diverse elezioni in Europa, non si può che avere l'impressione che, per
molti politici centristi, la disuguaglianza sia solo una mania passeggera. Il loro credo è, penso, che una volta
che le economie tornano a una crescita robusta di almeno il 2-3% annuo e la disoccupazione si riduce al 5%
(O, in Europa a una sola cifra), le persone si dimenticheranno della disuguaglianza e tutto tornerà al punto in
cui era 20 anni fa. nessuno si preoccuperà di nuovo della disuguaglianza. Questa, penso, è un'illusione perchè
non tiene conto dei cambiamenti strutturali nelle società prodotti da un lungo e sostenuto processo di
aumento della disuguaglianza di reddito e ricchezza negli ultimi 40 anni. Quando ci sono profondi cambiamenti
strutturali che ricordano processi simili avvenuti in America Latina durante buona parte del 20esimo secolo, gli
indicatori aggregati come il tasso di crescita dell'economia ( che non è niente altro che il tasso di crescita del
reddito nella media della distribuzione del reddito che è intorno al 65esimo o 70esimo percentile), perdono il
significato che hanno normalmente nelle società economicamente più omogenee.
Vedo tre di tali cambiamenti strutturali: la disarticolazione di molte società occidentali, l'influenza politica del
big money (la plutocrazia) e la disuguaglianza di opportunità.
Disarticolazione è stato un termine usato dalla letteratura della dipendencia negli anni 60' e 70' per esprimere
sia la divergenza degli interessi che le differenti posizioni nella divisione internazionale del lavoro tra le varie
classi nel mondo in via di sviluppo. Da un lato, c'era una elite nazionale legata al capitalismo internazionale,
partecipe dell'economia globale, sia sul versante della produzione (come lavoratori professionalizzati e come
capitalisti), che su quello dei consumi (come consumatori internazionali di beni e servizi). E poi c'era una
maggioranza della popolazione che mancava di qualsiasi connessione con l'economia globale e produceva e
consumava localmente.
La situazione nei paesi ricchi, specie gli US, è oggi qualcosa di simile. C'è una elite (sia che sia il notorio top
dell'1%, o il 5% o anche il 15%) che è completamente immersa nell'economia globale e che vive e consuma
globalmente. Poi c'è una classe media il cui reddito ristagna da 30 o 40 anni e che è legato all'economia
globale in modo negativo, cioè vive una vita nella paura permanente della perdita del lavoro o del reddito a
causa della competizione dei paesi più poveri e dei migranti. Sono questi gruppi, piuttosto che quelli al punto
più basso della distribuzione del reddito, ad essere disincantati, e così facilmente vinti dai discorsi protezionisti
di Trump. Non discuto se le loro aspettative possano essere soddisfatte in un'economia globalizzata oppure
no; voglio semplicemente notare una profonda sconnessione tra gli interessi del top e gli interessi della classe
media, una rottura che è stata creata dalla globalizzazione e dall'aumento della disuguaglianza. Quando gli
interessi economici dei due gruppi sono così divergenti, diventa difficile persino parlare di qualcosa che sia un
"interesse economico nazionale"; per di più, la divergenza degli interessi porta ad un certo numero di altre
divergenze nello stile di vita, nella percezione della politica, negli interessi culturali. Questo è il primo gap
strutturale.
Il secondo cambiamento strutturale è semplicemente l'estensione della prima nella politica. A causa di diversi
processi di accomodamento, incluso il più famoso Citizen United versus Federal Electoral Commission, il ruolo
del big money in politica, sempre importante negli US, è ulteriormente aumentato. Ma anche senza le
decisioni della corte che l'hanno agevolato (e queste decisioni potrebbero, a loro volta, essere considerate
endogene al processo di differenziazione del reddito), il vero aumento della disuguaglianza del reddito
avrebbe portato un maggio potere politico ai ricchi. Più concentrazione del potere economico significa
semplicemente che ci sono meno persone che hanno soldi a sufficienza per aiutare i politici e le cause
politiche che piacciono loro o di cui (più probabilmente) beneficiano, e la concentrazione economica perciò
porta naturalmente alla concentrazione del finanziamento politico.
Alla fine, l'influenza in politica riflette semplicemente un potere economico ineguale. Questo poi, a sua volta,
come hanno sostenuto diversi politologi (Benjamin Page, larry Bartels e jason Seawright, "Affluence e
Influence" di Martin Gilden), porta a decisioni politiche che favoriscono economicamente l'elite e alla fine porta
a ulteriore approfondimento delle differenze economiche.
Il terzo cambiamento strutturale portato dalla disuguaglianza di reddito è l'aumento della disuguaglianza nelle
opportunità. Con il consolidamento della disuguaglianza di reddito, questa non finisce solo per essere un
fenomeno per l'oggi, ma si proietta anche sulle prossime generazioni. Le possibilità di successo dei figli delle
famiglie ricche e di quelle povere tende a divergere. In un processo simile a quello osservato in America
Latina, la divergenza non è limitata solo alla ricchezza ereditata, ma si trasferisce anche all'acquisizione di
un'istruzione (in cui l'accresciuta importanza del settore privato tende ad esacerbare ulteriormente le
tendenze) e le connessioni familiari e i networks che sono cruciali per il successo.
Ora, le iniquità strutturali non spariranno, forse si approfondiranno quando l'economia tornerà al suo tasso di
crescita di lungo periodo. Una crescita più alta e una disoccupazione più bassa avrebbero potuto essere state
sufficienti prima che le linee di faglia strutturali diventassero forti, perchè la crescita avrebbe appianato tali
differenze. Ma quando questi sfaldamenti strutturali sono profondi,la crescita, da sola, (come abbiamo già visto
in America Latina) non è sufficiente. Se posso arrischiare un'analogia medica, un normale raffreddore
potrebbe essere curato senza fare essenzialmente niente altro che mettendosi a letto e assumendo più liquidi.
Gradualmente si ritorna allo status quo ante. Ma se il raffreddore continua per un pò e si trasforma in una
malattia più seria, che è quanto ha fatto un lungo periodo di disuguaglianza al corpo politico, servono rimedi
più forti.
Ho recentemente riletto alcuni scritti di Simon Kuznets degli anni '60. Egli sosteneva che ogni distribuzione del
reddito dovrebbe essere giudicata secondo tre criteri:adeguatezza, equità ed efficienza. L'adeguatezza
assicura che anche i più poveri hanno un livello di reddito consonante ai costumi locali e alla possibilità
economica della società. L'equità è l'assenza di discriminazione, sia quella dei redditi attuali, come per
esempio nei wage gaps di genere o razziali, che quella delle posibilità future (quella che ora chiamiamo
disuguaglianza di opportunità) Infine, l'efficienza è la realizzazione di alti livelli di crescita. Quando arriva
all'interazione tra equità e crescita, Kuznets la vede in due modi: in qualche caso, la spinta troppo forte per
l'equità, intesa come egualitarismo pieno, può essere di detrimento al tasso di crescita. Ma in altri casi, la
realizzazione vera di più alti tassi di crescita richiede maggiore equità, sia perchè l'esclusione sociale di una
parte significativa della popolazione non le ha consentito di dare il suo contributo, sia perchè porta a una
frammentazione della società e all'instabilità politica. Credo che Simon Kuznets avrebbe visto la posizione
attuale delle economie occidentali come collocata al secondo punto e avrebbe sostenuto che politiche proequità non sono uno spreco di risorse ma piuttosto un investimento, addirittura un pre-requisito per la crescita
futura.
New York Times 4 febbraio 2016
“Il lavoro free-lance trova forza nei numeri.
I lavoratori della “gig-economy” si uniscono per fare richieste sulle società”
Lo scorso settembre gli autisti di UberBlack, il servizio automobilistico di fascia alta della società, hanno
ricevuto una a mail che li informava che essi avrebbero dovuto prendere passeggeri anche per UberX,
l'opzione low cost.
Il giorno dopo, quando era previsto che la scelta entrasse in vigore, diverse dozzine di autisti sono arrivati in
carovana negli uffici di Uber a downtown Dallas e si sono piantati all'esterno fino a quando i dirigenti di Uber
non li hanno incontrati. Molti avevano preso mutui per comprare auto di lusso e temevano che la modesta
tariffa a chilometro per i passeggeri di Uber avrebbe a mala pena coperto le spese per il gas, l'usura, per non
parlare del pagamento delle rate per l'auto.
Il blocco è andato avanti per altri tre intensi giorni fino a quando Uber non ha permesso loro di non accettare la
decisione. “Pensavano che avremmo rinunciato e saremmo andati via” ha detto Kirubel Kebede, il leader del
gruppo. “Ma noi abbiamo detto “No; questa è il nostro mezzo di sussistenza””.
Nella rapida crescita della cosiddetta “gig economy”, che si basa sul free-lancing, molti lavoratori si sono
sentiti spremuti e talvolta disumanizzati dalla struttura del business che promette indipendenza ma spesso li
lascia alla mercè di aziende sempre più potenti. Alcuni hanno cominciato a mettersi insieme in cerca di una
leva e per assicurarsi il trattamento dalle piattaforme che rendono possibile il lavoro.
“Abbiamo cominciato a capire di non essere dei contractors ma piuttosto come lavoratori dipendenti” ha detto
Berhane Alemayoh, uno degli autisti Uber di Dallas. “Ci dicono che tipo di auto dobbiamo guidare. Ci cacciano
via se i clienti ci accusano di non avere l'auto pulita. Hanno cominciato a tirare la corda. Gradualmente non
possiamo più respirare”.
Forse il tentativo più forte è stata una misura, approvata dal consiglio comunale di Seattle a dicembre, per
dare agli autisti delle compagnie di taxi il diritto di organizzare un sindacato.
Ma se molte campagne da parte di lavoratori alienati hanno evitato questo approccio di organizzazione del
lavoro più tradizionale, hanno tuttavia messo in luce una base per avanzare collettivamente gli interessi dei
lavoratori della gig economy.
“C'è un sentimento di identità da luogo di lavoro e una coscienza di gruppo malgrado la pretesa insistita di
queste piattaforme di essere dolo “marketplaces” o “malls” o “digital labor”, ha detto Mary L.Gray, una
ricercatrice di Microsoft e professoressa nella Media School dell'Università dell'Indiana che studia i lavoratori
della gig economy.
I tentativi vanno ben al di là dei guidatori di Uber e del suo primo competitor Lyft. Un gruppo di corrieri che
trova lavoro sulla piattaforma Postamates sta conducendo una campagna per creare un pulsante “dopo
questa consegna ho finito” perchè temono che rifiutare lavori potrebbe compromettere quanti compiti in futuro
riceveranno. (Un dirigente di Postamates ha detto che rifiutare lavori non ha alcun effetto sul lavoro futuro).
Analogamente, un gruppo di lavoratori sulla Amazon's Mechanical Turk platform. Dove le persone postano e
accettano assegnazioni di lavoro, nel 2014 ha sviluppato guidelines larghe – compreso il salario
raccomandato e la necessità di fornire tempestive risposte alle domande – per gli accademici che usano la
piattaforma per intenti di ricerca. Fino ad ora hanno firmato più di 60 accadermici.
Al contrario, i venditori di merci sui digital marketplaces come eBay e Etsy raramente si considerano come
dipendenti. In mente loro, dicono, essi sono artigiani indipendenti o negozianti.
“Etsy è il luogo dove esiste il negozio, dove io pago un affitto” ha detto Sandie Russo, una venditrice di lungo
corso di accessori lavorati a mano a maglia o modelli di maglieria che una volta ha tenuto un forum online in
cui i venditori affrontavano tra di loro problemi comuni.”E' definitivo che sei un imprenditore e non un
lavoratore”.
A differenza dei venditori sBay o Etsy, gli autisti di Uber non possono definire il prezzo della loro tariffa. Sono
anche vincolati dall'all-important rating system – mantenere una media intorno a 4.6-4 stelle da parte dei clienti
in molte città o rischiare di essere disattivati – a comportarsi in certo modo come non commercializzare altri
business ai passeggeri.
L'esperienza degli autisti UberBack di Dallas è eloquente. Quando Uber nel 2012 è entrata a Dallas, molti
degli autisti erano o autisti indipendenti di auto in affitto o contractor per compagnie di limousine che hanno
comprato o preso in leasing la loro auto.
“Alcuni hanno avuto una propria attività economica, stavano bene” ha detto Alemayoh. “Hanno solo usato
Uber come riserva”
Gli autisti hanno formato una alleanza tattica con la società per aiutarla ad ottenere il permesso dalla città.
Alemayoh ne ha anche cantato le lodi nella testimonianza di fronte al consiglio comunale di Huston dopo che
la società gli aveva chiesto di parlare come parte attiva dei suoi sforzi di espansione. “Ho detto che era bello
per gli autisti avere Uber” ha ricordato. “Ho parlato a loro nome, non mi hanno pagato”.
Ma la relazione ha cominciato a guastarsi nel 2014, quando la società ha decretato che gli autisti con le auto
precedenti al 2008 non potevano più fare parte di UberBack.
“Abbiamo detto: state colpendo così tante famiglie” ha detto Kebede, un leader del gruppo chiamato
Association of Limousine Owners and Operators of Dallas Fort Worth, che si è costituito l'anno scorso. Uber
ha allungato in qualche caso di qualche mese il periodo di grazia, ma non ha mai cambiato politica.
Al momento in cui a settembre Uber ha resa pubblica la sua direttiva, gli autisti avevano da tempo riconosciuto
di essere a completa disposizione della società. A causa della popolarità di Uber, quasi tutte le altre fonti di
business si erano esaurite. E Uber aveva conquistato l'imprimatur del consiglio comunale che aveva anche
esteso ai conducenti.
Così è stata un po' una sorpresa che l'associazione degli autisti, che rappresenta circa 500 dei 2.000-3.000
conducenti di auto che si pensa siano attivi nell'area di Dallas,abbia potuto costringere Uber e non solo a
ridimensionare il cambiamento di UberX, ma anche di riabilitare diversi degli autisti che aveva disattivato per
forte pressione sui loro colleghi durante l'escalation dello showdown.
Alcuni continuano a essere disattivati per ragioni che essi ritengono arbitrarie, mentre Uber sostiene che le
disattivazioni che ha mantenute non sono collegate alla protesta (“Gli autisti hanno il diritto di libertà di
espressione e noi lo rispettiamo” ha detto un rappresentante della società). Ma per tutto il successo che gli
autisti di Uber hanno ottenuto a Dallas, quello cruciale è stato che hanno potuto organizzarsi di persona
anziché dipendere esclusivamente via Internet e social media.
Questo aiuta a capire anche il successo della campagna a Seattle, dove Uber aveva già ritirato un taglio delle
tariffe dopo la pressione degli autisti. (Uber sostiene che non c'è collegamento tra ritiro e protesta) “Gli autisti
sono usciti e si sono parlati” ha detto Dawn Gearhart, portavoce nella zona per il sindacato dei camionisti, che
fornisce servizi di supporto ai conducenti locali.
Dall'inizio dell'anno, gli autisti di città come New York e San Francisco hanno contato su analoghi supporti
locali per organizzare proteste sui ntagli delle tariffe. Centinaia di autisti lunedì scorso sono scesi al quartier
generale di Uber a New York nel distretto di Queens per chiedere che fossero ripristinate le vecchie tariffe.
Nell'area di Tampa in Florida, gli autisti hanno protestato per i tagli che hanno abbassato le tariffe da 95 a 65
cents a miglio dall'inizio di gennaio. Solo la primavera scorsa, la tariffa a di $1.20. I guadagni netti per gli autisti
non possono andare pericolosamente vicini a sub-minimi salariali nel caso di corse brevi di 15, 20 minuti in
città, tenendo conto dei tempi di attesa, del prezzo del gas, dell'ammortamento e del mantenimento.
“Talvolta abbassiamo i prezzi in una città perchè più persone usino Uber” ha detto un rappresentante della
società. “Abbiamo sempre detto che il taglio dei prezzi deve andare bene agli autisti. Se non è così, torniamo
indietro”.
In risposta, gli autisti dell'area di Tampa hanno cominciato una disconnessione settimanale di un'ora o due
durante i periodi di punta per i festaioli del week-end, durante tale disconnessione, scrivono messaggi sui loro
finestrini a proposito di quelle che considerano retribuzioni da fame. IL gruppo è cresciuto rapidamente fino a
un network di 700 autisti che comunicano attraverso un servizio app-based di walkie-talkie chiamato Zello.
L'obiettivo degli autisti di Tampa è di arruolare l'asset politicamente di maggior valore di Uber – legioni di utenti
che dipendono dal sevizio - per farsi aiutare a mandare messaggi a Uber. Nel tempo, sperano di estendere
le3 disconnessioni a diverse ore, forse addirittura a un intero giorno nel week end. “E' un piccolo blipè sul
radar di Uber” ha detto Josh Streeter, uno dei leaders. “Ma poi le persone potrebbero credere di avere il
potere. Che se si uniscono, possono mettere in atto una grossa azione”.
Financial Times 9 febbraio 2016
Gideon Rachman “Sanders, Trump e la grande rabbia americana”
Per chi è preoccupato che Trump sia un nuovo Mussolini in divenire, ho notizie rassicuranti. Sulla base della
sua performance nella campagna di questa settimana a Plymouth, New Hampshire,Trump è un oratore troppo
noioso per essere un convincente dittatore fascista.
Il suo lungo, incoerente discorso - cosparso di lamentele di quanto tempo ci abbia messo per arrivare in
macchina nel luogo dell'iniziativa al nord dello stato - ha lasciato l'uditorio a sbadigliare con qualcuno che se
ne è andato prima per raggiungere le feste del Super Bowl. Anche le cose tradizionalmente idolatrate dalla
folla sulla "costruzione del muro" con il Messico hanno ricevuto solo tiepide ovazioni.
Ma, malgrado i limiti manifestati come oratore e come essere umano, Trump ha avuto successo nella corsa
repubblicana - e quella di Bernie Sanders, uno che si autodefinisce "socialista", dalla parte democratica testimonia quanto l'establishment politico abbia perso in credibilità tra gli elettori.
Molti americani sembrano avere concluso che il sistema politico è così corrotto e disfunzionale che si possa
credere solo a un completo outsider per la carica.
Questo punto mi è apparso chiaro mentre parlavo con un possibile votante per Trump al margine della
manifestazione di Plymouth. Quest'uomo, un avvocato all'apparenza prospero, mi ha detto che se non avesse
votato per Trump, avrebbe votato per Sanders.
La presa di Trump e di Sanders sugli elettori ha certe forti similitudini. Entrambi strigliano tutti i politici
mainstream come impegnati a farsi corrompere da interessi specifici e lobbisti. Trump, in quanto miliardario, fa
virtù del fatto che la sua campagna è autofinanziata - rendendolo immune - egli dice - alle pressioni
esercitate su tutti gli altri repubblicani dai loro donatori.
Sanders ha raccolto la maggior parte del suo denaro per la campagna da piccole donazioni e ha messo in
imbarazzo Clinton evidenziando le centinaia di migliaia di dollari che ha accettato in onorari per conferenze
da Golman Sachs e simili.
La tesi di Sanders che "il modello di business di Wall Street è la frode" sta trovando ascolto. Infatti se
qualcuno ha detto una buona parola su Wall Street in queste elezioni, me lo devo essere perso. Il massimo
che Clinton farà è suggerire timidamente che la "avidità" della grande finanza non è il solo pressante problema
che gli US hanno di fronte.
Nei suoi discorsi, Clitnon mostra costantemente la sua impressionante comprensione dei dettagli e della
politica pubblica. Ma l'argomento della sua campagna che lei sarebbe "pronta dal primo giorno" a fare il
presidente enfatizza la sua condizione di consumato membro dell'establishment politico. Questo sembra
rischioso quando gran parte dell'opinione pubblica US sembra detestare l'elite politica.
Al contrario, sia Trump che Sanders stanno correndo dai margini dei loro partiti. Entrambi hanno detto cose
che sarebbero state considerate un suicidio politico in un anno normale. Trump è probabilmente il candidato
più apertamente razzista dai tempi di George Wallace, il segregazionista del 1972. Sanders si definisce un
"socialista democratico" - in un paese che ha sempre respinto il socialismo.
Ma il fatto che entrambi gli uomini siamo lieti di infrangere tabù retorici ha rafforzato le loro affermazioni di
essere veri outsider. E questo sembra essere ciò che vogliono gli elettori.
Entrambi vanno alle primarie del New Hampshire come forti favoriti. Per saggezza tradizionale si pensa che
inciamperanno poi, nel corso della campagna. Ma. di nuovo,un anno fa l'idea che Trump e Sanders avrebbero
potuto uscire vincitori dal New Hampshire sarebbe stato considerata assurda. Dunque, chi sa?
Tuttavia, ciò che è già chiaro è la classe politica americana sta solo cominciando ad afferrare la profondità
dell'umore anti-establishment che ha fatto presa sull'America. Quasi 8 anni dopo la crisi finanziaria, questo
umore sembra stia crescendo in forza e non indebolendosi. L'annuncio della settimana scorsa del presidente
Obama che il tasso di disoccupazione US è sotto il 5% è stato a mala pena registrato nell'andamento della
campagna.
Invece, tutti i discorsi sono sugli studenti che barcollano sotto il peso di debiti non restituibili; sui genitori che
devono fare due o tre lavori sottopagati per arrivare a fine mese. L'idea che l'economia è manipolata a favore
degli insider è ora in qualche modo abbracciata dalla maggior parte dei candidati in entrambi i partiti.
Ma quasi tutti i candidati che gareggiano nel New Hampshire appaiono populisti poco convincenti. Il solo fatto
che corrono per diventare presidente è la dimostrazione che appartengono all'elite americana. Anche il
senatore Ted Cruz, del Texas, che si considera come il massimo ousider è un ex conferenziere di Princeton,
sposato con una banchiera di Goldman Sachs. Questo genere di dissimulazione serve solo ad aumentare la
crescente critica popolare verso la politica - e a facilitare la crescita degli apparenti iconoclasti.
Se l'America continua ad anelare per leaders anti-establishment dalle frange della politica, le implicazioni
saranno profonde - per gli US e per il mondo. Il sistema, dominato da democratici e repubblicani ha già
respinto gli estremi politici. Ciò significa che, dietro i drammi del giorno per giorno, la nazione ha beneficiato di
una profonda stabilità politica che ha enormemente contribuito alla sua forza economica e al potere globale.
Se l'immunità americana dagli estremismi sta finendo, il mondo intero ne sentirà le conseguenze.
Social Europe Journal 10 febbraio 2016
Robert Reich “Why we must try”
Invece di "Yes, we can", molti democrats US hanno adottato un nuovo slogan per le elezioni di quest'anno:
"We shouldn't even try" (non dovremmo neppure provarci). Non dovremmo provarci a fare un sistema a
pagatore unico, dicono. Saremo fortunati se riusciremo ad evitare che i repubblicani cancellino l'Obamacare.
Non dovremmo provarci a fare un minimum wage di 15 dollari l'ora. Il meglio che possiamo fare è 12 dollari.
Non dovremmo provarci a rimettere in atto il Glass-Steagall Act usato per separare l'investment banking da
quello commerciale o smembrare le banche più grandi. Saremo fortunati se riusciremo a impedire che i
repubblicani cancellino il Dodd-Frank. Non dovremmo provarci a fare l'istruzione superiore pubblica gratuita.
Intanto, i repubblicani stanno cercando di tagliare tutta la spesa federale per la scuola. Non dovremmo
provarci a tassare il carbone o gli scambi speculativi di Wall Street o ad aumentare le tasse sui ricchi. saremo
fortunati se manterremo le tasse attualmente in essere. Soprattutto non dovremmo neppure provarci a buttare
fuori dalla politica il Big Money. Saremo fortunati a trovare ricchi a sufficienza per sostenere i candidati
democratici.
I "shouldn't-even-try" democrats pensano sia folle mirare a un cambiamento fondamentale - pie in the sky,
impraticabile, stupido, naive, donchisciottesco. Non nelle carte. Non una strada possibile. Posso capire il loro
disfattismo. Dopo 8 anni di intransigenza repubblicana e 6 anni di congressional gridlock, molti democrats
disperano anche solo di mantenere quello che hanno. E da quando la sentenza "Citizens United" della Corte
Suprema ha aperto le porte della politica alle grandi corporations, a Wall Street e ai miliardari di destra, molti
democrats hanno concluso che le idee coraggiose sono irraggiungibili. In più alcuni democrats
dell'establishment - lobbisti di Washington, scrittori editorialisti, operativi iniside-the beltway, leaders del partito
e grandi contribuenti - sono sempre più a loro agio come la strada che hanno preso le cose. Piuttosto non
vorrebbero rovesciare la nave in cui stanno in piena sicurezza.
Lo so. Ma qui c'è un problema. Non c'è modo per riformare il sistema senza rovesciare la nave. Non c'è modo
di arrivare a come dovrebbe essere l'America senza puntare in alto. Il cambiamento progressista non è mai
avvenuto senza idee coraggiose sostenute da idealisti coraggiosi. Alcuni ritenevano donchisciottesco mirare
ai diritti civili e ai diritti di voto. Alcuni ritenevano ingenuo pensare che avremmo potuto mettere fine alla
guerra in Vietnam. Alcuni avevano detto che era irrealistico spingere per l'Enviromental Protection Act. Ma di
colta in volta abbiamo appreso che si possono ottenere importanti risultati pubblici -se il pubblico si mobilita a
loro sostegno. E di volta in volta tale mobilitazione è dipesa dalle energie e l'entusiasmo dei giovani combinati
con la determinazione e la tenacia degli altri. SE non puntiamo alto non abbiamo alcuna chance di
raggiungere l'obiettivo nè alcuna speranza di mobilitare l'entusiasmo e la determinazione.
La situazione in cui ci troviamo richiede tale mobilitazione. Ricchezza e reddito sono più concentrati al top di
quanto mai prima nel corso dell'ultimo secolo. E la ricchezza si è traslata in potere politico. Il risultato è
un'economia tutta a favore di quelli al top - che racchiude ulteriormente al top ricchezza e potere, in un ciclo
vizioso che se non viene invertito non potrà che peggiorare. Per esempio, gli americani pagano di più per i
prodotti farmaceutici dei cittadini di ogni altra nazione avanzata. Paghiamo di più anche per il servizio internet.
E molto di più per la sanità. Paghiamo alti prezzi per i biglietti aerei anche se il costo del carburante è
precipitato. E prezzi alti per il cibo anche se i prezzi delle materie prime agricole sono diminuiti. E questo è a
causa delle gigantesche corporations che hanno accumulato enorme potere di mercato. Ma le leggi antitrust
della nazione sono a mala pena applicate.
Intanto le più grosse banche di Wall Street hanno una quota degli assets bancari nazionali maggiore di quella
che avevano nel 2008, quando erano giudicate troppo grandi per fallire. I partners degli edge funds hanno
scappatoie fiscali, le compagnie petrolifere hanno sussidi fiscali e le grandi corporations agricole hanno i loro
vantaggi. le leggi fallimentari proteggono le fortune dei miliardari come Donald Trump ma non le case dei
proprietari in difficoltà economica o i risparmi dei laureati oberati dai prestiti studenteschi. Un minimum wage
basso eleva i profitti di grandi retailers come Wallmart, ma richiede che il resto di noi fornisca ai dipendenti e
alle loro famiglie i buoni alimentari e Medicaid al fine di evitare la povertà - e sussidi indirettamenter Wallmart. I
trattati commerciali proteggono gli assets e la proprietà intellettuale delle grandi corporations ma non i posti di
lavoro e i salari dei lavoratori normali.
Nello stesso tempo, sta scomparendo il potere di controbilanciamento. La sindacalizzazione è crollata da un
terzo di tutto il settore privato, negli anni '50, a meno del 7% odierno. le piccole banche sono state assorbite
nei colossi finanziari globali. I piccoli retailers non hanno alcuna possibilità contro Wallamart e Amazon. E le
retribuzioni dei top corporate executives continua a crescere alle stelle a anche se le retribuzioni reali della
maggior parte delle persone si riducono e la sicurezza del lavoro . Questo sistema non è più sostenibile.
Dobbiamo buttare fuori dalla democrazia il Big Money, mettere fine al crony capitalism e fare in modo che la
nostra economia e la nostra democrazia funzionano per i molti e non per i pochi. Ma un cambiamento di tale
dimensione richiede mobilitazione politica. Non sarà facile. Non è mai stato facile. Come prima, richiederà le
energie e l'impegno di un grande numero di americani. Per questo non dovrei più sentire la "we shouldn't try"
brigade. Hanno perso la fiducia nel resto di noi.
Financial Times 27 gennaio 2016
Martin Wolf “I perdenti sono in rivolta contro le élites”
Anche i perdenti hanno voti. Questo è ciò che significa la democrazia – giustamente. Se si sentono
sufficientemente truffati e umiliati, voteranno per Donald Trump, uno dei candidati repubblicani alla nomination
presidenziale negli US, voteranno per Marine Le Pen del Fronte Nazionale in Francia o per Nigel Farage
dell'Indipendent party UK. Ci sono quelli, particolarmente i nativi della working class, che sono sedotti dal
canto delle sirene dei politici che combinano il nativismo dell'estrema destra, lo statalismo dell'estrema sinistra
e l'autoritarismo di entrambi.
Soprattutto, respingono le élites che dominano a vita economica e culturale dei loro paesi; quelli che si sono
riuniti la settimana scorsa a Davos per il World Economic Forum. Le possibili conseguenze sono spaventose,
Le elites devono produrre risposte intelligenti. Potrebbe già essere troppo tardi per farlo.
I progetti della elite di destra sono da molto tempo aliquote marginali basse, immigrazione libera,
globalizzazione, freni su costosi “programmi di diritti”, mercati del lavoro deregolamentati e massimizzazione
del valore azionario. I progetti dell'elite di sinistra sono (di nuovo) immigrazione libera, multiculturalismo,
secolarismo, diversità, libertà di scelta sull'aborto, uguaglianza razziale e di genere. I libertari abbracciano le
cause delle elites di entrambe le parti; ed è per questo che sono una sottilissima minoranza.
Nel processo, le elites si sono distaccate dalle preoccupazioni e dalle realtà nazionali formando invece una
super-elite globale. Non è difficile vedere perchè le persone normali, in particolare i nativi maschi, sono
alienati. Sono i perdenti, almeno relativamente; non condividono i guadagni in modo uguale. Si sentono usati e
abusati. Dopo la crisi finanziaria e la lenta ripresa nei livelli di vita, vedono le elites come incompetenti e
predatorie. La sorpresa non sono i molti che sono arrabbiati, ma i molti che non lo sono.
Branko Milanovic, ex World Bank, ha dimostrato che solo due parti della distribuzione del reddito globale non
hanno potenzialmente avuto alcun guadagno tra il 1988 e il 2008:i 5 percentili più poveri e quelli tra il 75esimo
e il 90esimo percentile. Questi ultimi comprendono il grosso della popolazione dei paesi ad alto reddito.
Similmente, uno studio dell'Economic Policy Insitute di Washington mostra che, dalla metà degli anni '70, il
compenso dei lavoratori normali è rimasto significativamente indietro la crescita della produttività. Le
spiegazioni sono una complessa mistura di innovazione tecnologica, commercio libero, cambiamenti nella
corporate governance e liberalizzazione finanziaria. Ma il fatto è indiscutibile. Negli US – ma anche, in entità
minore, negli altri paesi ad alto reddito - i frutti della crescita si sono concentrati al top.
Infine la quota di immigrati tra la popolazione è fortemente aumentata. E' difficile sostenere che questo ha
portato grandi benefici economici, sociali e culturali alla massa della popolazione. Ma ha indiscutibilmente
beneficiato quelli al top, compreso il business.
Malgrado abbia offerto il suo sostegno alle prestazioni del welfare che si potrebbero considerare di grande
valore per la working class, le sinistra rispettabile ha progressivamente perso il suo sostegno. Questo sembra
particolarmente vero negli US dove fattori razziali e culturali sono stati particolarmente importanti. La
“southern strategy” di Richard Nixon,un ex presidente repubblicano degli US, tesa ad attrarre il sostegno dei
bianchi del sud, ha determinato risultati politici. Ma la strategia core della elite del suo partito – sfruttare la
rabbia della middle class (soprattutto i maschi) sul cambiamento razziale, di genere e culturale - sta portando
frutti amari. Il focus sui tagli delle tasse e la deregolamentazione offre poco conforto alla grande maggioranza
della base del partito.
Trump, lamentano gli ideologi repubblicani, non è un vero conservatore. E questo è il punto. E' un populista.
Come gli altri candidati leader, propone insostenibile riduzioni fiscali. In realtà, l'idea che i repubblicani
obiettino ai deficit fiscali appare assurda. Ma, crucialmente, Trump è protezionista nel commercio e ostile
sull'immigrazione. Queste posizioni piacciono ai suoi supporter perchè capiscono di avere un solo asset di
valore: la loro cittadinanza. Non vogliono condividerla con gli innumerevoli outsider. Lo stesso è vero per i
supportersdi Le Pen e di Farage.
I populisti nativi non devono vincere. Conosciamo questa storia: finisce molto male. Nel caso degli US, il
risultato avrebbe un grave risultato globale. L'America è stata fondatrice e resta garante del nostro ordine
liberale globale. Il mondo ha disperatamente bisogno di una leadership US ben informata. Trump non la può
dare. I risultati potrebbero essere catastrofici. Ma, anche se quest'anno tale risultato sarà evitato, le elites
sono avvertite. Quelle di destra si assumono grandi rischi nel coltivare la rabbia popolare come un modo per
assicurarsi una riduzione delle tasse, un aumento dell'immigrazione e una più debole regolamentazione.
Anche le elites di sinistra si assumono dei rischi se li dovessimo vedere sacrificare gli interessi e i valori di una
massa di cittadini in difficoltà al relativismo culturale e al lasso controllo delle frontiere. I paesi occidentali sono
democrazie. Questi stati provvedono il sostegno legale e istituzionale all'ordine economico globale. Se i paesi
occidentali, trascurano le preoccupazioni dei tanti, questi ritireranno il loro consenso ai progetti delle elites.
Negli US, le elites della destra, avendo seminato vento, raccolgono tempesta. Ma questo è accaduto solo
perchè le elites di sinistra hanno perso la devozione di grossi pezzi della classe media.
Non ultimo, democrazia significa governo di tutti i cittadini. Se i diritti di dimora, ancor più della cittadinanza
non sono protetti, il loro pericoloso risentimento crescerà. E, in verità, è già avvenuto in molti luoghi.
Financial Times 3 febbraio 2016
Martin Wolf “Portare le elites più vicine alla gente”
Nell'apertura della gara per la corsa 2016 alla Casa Bianca, Ted Cruz un candidato repubblicano descritto
come un "ciarlatano" ha definito Donald Trump, un "narcisista", mentre Bernie Sanders, che si autoproclama
socialdemocratico, ha più o meno pareggiato con la favorita dell'establishment, Hillary Clinton. Così la
ribellione contro le elites è in pieno svolgimento. La domanda vitale è se (e come) le elites occidentali possono
essere avvicinate alla gente.
Non siamo cinesi. Forse anche i cinesi non sono contenti di consegnare la responsabilità per gli affari pubblici
a una elite che si auto-seleziona. In occidente, tuttavia, l'idea di cittadinanza - che la sfera pubblica è di
proprietà di tutti - non è solo di antica data; è stata anche oggetto nei gli ultimi secoli di una lotta alla fine
vittoriosa. Un attributo essenziale della buona vita è che la gente goda non solo di un range di libertà
personali, ma che abbia voce negli affari pubblici.
Il risultato della libertà economica individuale può essere una grande disuguaglianza, che svuota le realistiche
nozioni di democrazia. La governance delle complesse società moderne richiede conoscenza tecnica - e già
qui corriamo il rischio che l'abisso tra le elite economiche e tecnocratiche da un lato e la massa delle persone
dall'altro, diventi troppo ampio e non più superabile. Al limite, anche la fiducia potrebbe venire meno. A quel
punto, l'elettorato si volterà verso gli outsider per ripulire il sistema. Stiamo assistendo a questo cambiamento
verso la fiducia negli outsider non solo negli US ma anche in molti paesi europei.
Una visione compiacente può essere che i disaffezionati si sfogheranno ma che alla fine il centro terrà. E'
abbastanza possibile. Ma è una strategia rischiosa. Se i disaffezionati crescono di molto, il centro potrebbe
non tenere. E anche se ce la facesse, una società democratica in cui una vasta minoranza è disaffezionata
mentre una maggioranza è piena di sfiducia non sarebbe una società felice. Già un simile gap è emerso tra le
attitudini delle elites nei confronti delle istituzioni consolidate e quelle del pubblico più ampio.
Allora quali sono le cause fondamentali di questa divisione nelle opinioni? Una è il cambiamento culturale.
Un'altra è l'avversione ai cambiamenti nella composizione etnica delle nazioni. Poi c'è l'ansia sulla crescita
della disuguaglianza e dell'insicurezza economica. Forse la causa fondamentale è la crescente sensazione
che l'elite è corrotta, compiacente e incompetente. I demagoghi giocano su questi motivi di ansia e di rabbia.
E' questo che fanno.
Come ha recentemente reso noto l'OCSE, negli ultimi decenni, la disuguaglianza è cresciuta nella maggior
parte dei paesi membri. L'1% al top ha goduto di aumenti particolarmente grossi nella quota del reddito totale
al lordo delle imposte. Questa divergenza tra il successo dell'elite economica e la relativa assenza di
successo del resto è stata particolarmente forte negli US. Perciò, nota l'OCSE: "Tra il 1975 e il 2012 circa il
47% della crescita totale dei redditi US al lordo delle tasse è andata all'1% al top". Con gli US che hanno
sviluppato una distribuzione del reddito del tipo latino-americana, la sua politica è stata sempre più infestata
da populisti stile latino-americano, sia di destra che di sinistra.
Come dovrebbero rispondere i centristi? I politici di successo capiscono che le persone hanno bisogno di
sentire che le loro preoccupazioni sono tenute nel conto e che loro e i loro figli possono godere di una
prospettiva di miglioramento della vita e che continueranno ad avere l'opportunità della sicurezza economica.
Soprattutto hanno bisogno di tornare a credere nella competenza e nella decenza delle elites economiche e
politiche.
Qui di seguito alcuni elementi di ciò che si dovrebbe fare. Primo, tra tutti gli aspetti della globalizzazione,
l'immigrazione di massa. I movimenti attraverso le frontiere devono essere tenuti sotto controllo. La presenza
di 11 milioni di immigranti non registrati negli US non avrebbe mai dovuto essere permessa. Nel caso
dell'Europa, riguadagnare il controllo delle frontiere è la principale priorità per la sopravvivenza dell'unione. La
priorità deve essere ora per i rifugiati. Questo richiede la creazione di una significativa capacità dell'Europa di
promuovere l'ordine al di là delle frontiere dell'area.
Secondo, l'eurozona deve affrontare un ripensamento fondamentale delle sue dottrine macroeconomiche di
austerità. E' spaventoso che la domanda aggregata reale sia sostanzialmente più bassa di prima del 2008.
Terzo, il settore finanziario deve essere frenato. E' sempre più chiaro che la grande espansione dell'attività
finanziaria non ha portato a commisurati miglioramenti della performance economica. Ma ha facilitato un
immenso trasferimento di ricchezza.
Poi, il capitalismo deve essere mantenuto competitivo. Viviamo in una nuova era dorata in cui il business
esercita grande influenza politica. Una risposta è promuovere
spietatamente la competizione. Questo richiederà azione determinata.
Poi la tassazione deve essere più equa. I detentori del capitale, i manager di maggiore successo e alcune
company dominanti godono di una tassazione sui guadagni considerevolmente light. Non va bene che i
business leader continuino a sostenere di attenersi alla legge. Questa non è una definizione adeguata del
comportamento etico. ma è un'opinione particolarmente pericolosa quando gli interessi commerciali giocano
un ruolo così potente nella formazione di quelle leggi.
In più, va rimessa in discussione la dottrina del primato dello shareholder. Gli shareholder godono di grande
privilegio e di responsabilità limitata. Con i rischi limitati, i loro diritti di controllo dovrebbero essere
praticamente frenati a favore di quelli più esposti ai rischi nelle imprese, come i dipendenti di lungo servizio. E
infine il ruolo del denaro nella politica deve, senza dubbio, essere contenuto.
I sistemi politici occidentali sono sottoposti a stresses crescenti. Un grande numero di persone si sente non
rispettato e spogliato. Questo non può più essere ignorato.
Insight 22 gennaio 2016
Winnie Byanyima* “Affari mondiali. La disuguaglianza ha colpito Davos”
*Winnie Byanyima (direttore del Oxfam Intenrnational)
Sessantadue. Questo è il numero dei più ricchi al mondo che possiedono tanto quanto i più poveri 3.6 miliardi,
meno dei 388 del 2010. Questo numero shockante ha fatto il giro al meeting annuale del World Economic
Forum a Davos, quando i leaders politici e del business hanno discusso su come migliorare lo stato
dell'economia globale. La domanda è se l'elite globale presente a Davos agirà per combattere la dannosa, alta
disuguaglianza, peraltro in crescita.
I leaders del mondo sono preoccuati dell'aumento della disuguaglianza ormai da diversi anni; a settembre
scorso hanno concordato un Global Goal per ridurla. Ma la distanza tra i più ricchi e il resto ha continuato a
crescere. L'anno scorso l'Oxfam ha previsto che entro il 2016 la ricchezza dell'1% al top avrebbe superato
quella del resto della popolazione; questo risultato storico è stato raggiunto due mesi prima del previsto.
Più aspettiamo ad agire e più serie saranno le conseguenze. La disuguaglianza economica è una forza
corrosiva che mina la crescita economico, ostacola la lotta contro la povertà e determina inquietudine sociale.
Nel 2012, il report del World Global Forum sul rischio globale ha messo in evidenza che la grossa
disuguaglianza di reddito è la più grande minaccia alla stabilità politica e sociale. Oxfam stima che, senza
grossi sforzi per contrastare la disuguaglianza, l'obiettivo, molto strombazzato, di sradicare la povertà estrema
entro il 2030 sarà impossibile da raggiungere.
Il danno che che la disuguaglianza produce alle vite delle persone è evidente ovunque nel mondo. Per
esempio, i lavoratori dell'abbigliamento della Birmania hanno detto a Oxfam che, anche con lo straordinario,
non sono in grado dIn missionei fare fronte alle spese per la casa, il cibo e le medicine. All'altro capo della
catena retail, i Ceo delle aziende di abbigliamento godono di accorsi retributivi multimilionari.
Come presidente della World bank, Jim Yong Kim ha notato l'anno scorso, la ricchezza no sta sgocciolando in
basso (trickling down); è invece risucchiata da una minoranza potente - e molto piccola. E questo non è un
blip. E' programmato all'interno delle nostre economie. La attuale crisi della disuguaglianza globale è il
risultato di 30 anni di deregolamentazione non controllata, di privatizzazione, di segretezza finanziaria e di
globalizzazione.
Le grandi imprese e i ricchi individui usano il loro potere per influenzare, catturare e mantenere una quota
sempre crescente dei benefici della crescita economica, mentre la fetta della torta disponibile ai più poveri
tende a restringersi sempre più. negli ultimi 5 anni, la ricchezza di queste 623 persone più ricche del pianeta
hanno aumentato della stupefacente cifra di $542 miliardi (44%) mentre i 3.6 miliardi più poveri hanno perso
più di un trilione di dollari (451%) della loro ricchezza.
In tale contesto, il contrasto alla disuguaglianza richiederà cambiamenti fondamentali al modo in cui gestiamo
le nostre economie. Bisogna agire per assicurare che tutti i lavoratori ricevano una retribuzione in grado di
farli vivere; bisogna introdurre sistemi fiscali più progressivi;i governi devono aumentare la spesa nei servizi
pubblici; il policymaking deve essere più trasparente; e le regolazioni finanziarie devono essere rafforzate.
Un passo particolarmente urgente è l'eliminazione dei paradisi fiscali. Permettendo alle corporations e agli
individui super-ricchi di evitare di pagare la loro giusta quota di tasse, i paradisi fiscali stanno negando ai
governi gli introiti che pIn missione otterebbero e dovrebbero essere spesi in scuole, sanità e altri servizi
essenziali. Nel 2014, quasi un terzo di tutta la ricchezza finanziaria africana - un totale di $500 miliardi - è
parcheggiata offshore nei paradisi fiscali, costando ai paesi africani una perdita annua di gettito fiscale
stimata intorno ai 14 miliardi. E' denaro sufficiente a pagare la sanità che potrebbe salvare la vita di 4 milionIn
missione di bambini sul continente e occupare un numero sufficiente di insegnanti per mandare a scuola tutti i
bambini africani.
L'anno scorso, i governi del G20 hanno deciso insieme passi per frenare l'elusione fiscale delle aziende
multinazionali. Ma tali misure ignorano largamente i problemi posti dai paradisi fiscali, e fanno poco per
aiutare i paesi poveri a ottenere le giuste quote di tasse. Con i paradisi fiscali che stanno diventando un modo
sempre più comune di fare attività economica - 109 dei 118 partners del World Economic Forum hanno una
presenza almeno in un paradiso fiscale - è tempo di mettere fine a tale pratica.
Per questo sto pressando i leaders politici, gli amministratori delegati e gli altri partecipanti a Davos
quest'anno, perchè agiscano. Sto chiedendo che i ricchi individui e i business leades si impegnino a riportare
indietro , onshore, il loro denaro e insisterò perchè i politici agiscano insieme per concordare un nuovo e forte
approccio globale per mettere fine all'era dei paradisi fiscali.
Dopo anni di discorsi sulla disuguaglianza di reddito, il meeting annuale del World Economic Forum dovrebbe
essere un momento per agire. I partecipanti devono riconoscere che aiutare i più poveri a fare un passo sulla
scala significa anche impedire che gli estremamente ricchi smettano di continuare a tirare verso l'altro alle loro
spalle. Se gli uomini e le donne di Davos agiscono con forza per affrontare i paradisi fiscali, il 2016 sarà un
punto di svolta in cui avremo iniziato a creare una nuova economia globale che funziona per la maggioranza e
non solo per i 62 al top.
Economist 23 gennaio 2016
“Giovani, dotati e trattenuti.
I giovani del mondo sono una minoranza oppressa. Liberiamoli.”
Nel mondo di "Hunger games" ragazzi sono costretti a combattere a morte per il divertimento dei loro
dominatori coi capelli bianchi. La teen's fiction odierna è implacabilemte dispotica, ma il gap tra fantasia e
realtà è spesso più stretto di quanto si possa immaginare. La generazione più vecchia può non ricorrere al
delitto ma,come descrive il nostro speciale report on millennials, schiaccia in modi significativi la loro
generazione più giovane.
Circa un quarto della popolazione mondiale - 1.8 miliardi più o meno - hanno compiuto i 15 anni ma non
ancora i 30. In molti modi, sono il gruppo più fortunato di adulti giovani che sia mai esistito. Sono più ricchi
della precedente generazione, vivono in un mondo senza vaiolo o MaoZedong. Sono la generazione più
istruita di sempre - gli haitiani oggi trascorrono a scuola un periodo più lungo di quanto facessero gli italiani
negli anni '60. Grazia a tutta questa istruzione aggiuntiva e a una alimentazione migliore, sono anche più
intelligenti dei loro vecchi. Se sono femmine o gay godono di maggiore libertà in più continenti di quanto i loro
predecessori ritenessero possibile. E possono attendersi miglioramenti tecnologici che permetteranno a molti
di loro, ad esempio, di vivere oltre i 100 anni. Allora di cosa esattamente si lamentano?
Questi figli su cui si sputa
Di molte cose. Proprio come, per la prima volta nella storia, i giovani del mondo formano una cultura comune,
così condividono gli stessi torti. In tutto il mondo, i giovani lamentano che è troppo difficile trovare un lavoro o
un luogo in cui vivere e che il percorso all'età adulta è diventato più lungo e complicato.
Molti dei loro guai possono essere dipesi da politiche che favoriscono i più anzioani rispetto ai più giovani. Si
consideri l'occupazione. In molti paesi le leggi sul lavoro richiedono alle imprese di offrire molti benefits e
rendono difficile licenziare i lavoratori. Questo va bene per coloro che hanno un lavoro, che tendono a essere
più vecchi, ma sconsiglia le imprese ad assumere nuovo personale. Chi perde sono i giovani. Nella maggior
parte delle regioni essi hanno una probabilità almeno doppia degli anziani di essere disoccupati. I primi anni di
qualunque carriera sono il periodo peggiore per essere inattivi, perchè rappresentano il momento in cui si
radicano le abitudini lavorative di una vita. Normalmente, coloro che erano disoccupati a vent'anni, a 50 ne
sono ancora segnati dagli effetti negativi, in termini di reddito più basso e anche di infelicità.
Anche i problemi abitativi troppo spesso sono contro i giovani. I proprietari di case dominano gli organismi che
decidono se costruire nuove case. Spesso dicono no per non rovinare la vista e ridurre il valore dei loro
immobili. L'iper-regolazione ha raddoppiato il costo di una casa tipica in Gran Bretagna. I suoi effetti sono
anche peggiori in molte delle grande città del mondo, dove. per la maggior parte, vivono i giovani. Affitti e
prezzi delle case in questi luoghi hanno di gran lunga superato i redditi. I più giovani a Kuala Lumpur sono noti
come la "generazione senza casa". Le probabilità che le giovani donne americane vivano con i loro genitori o
altri parenti sono più alte di quanto mai prima,. dalla seconda guerra mondiale.
I giovani sono spesso nomadi. Con il mondo intero da esplorare e nessun legame che li fermi, si spostano più
spesso dei loro anziani. Questo li rende più produttivi,specie se migrano da un paese povero a uno ricco.
Secondo una stima, il PIL globale si raddoppierebbe se le persone potessero muoversi liberamente. Ciò è
politicamente impossibile - lo stato d'animo dei paesi ricchi si sta rivoltando contro l'immigrazione. Ma è
stupefacente che così tanti governi scoraggino non solo la migrazione cross-border ma anche quella a l loro
interno. Il sistema hokou cinese tratta chi si sposta dalla campagna alla città come cittadini di seconda classe.
L'India rende difficile per coloro che si spostano da uno stato all'altro, ottenere i servizi pubblici. Uno studio
dell'ONU ha trovato che l'80% dei paesi ha politiche per ridurre la migrazione dalla campagna alla città,
sebbene buona parte del progresso umano sia derivato dalle persone che hanno buttato via le loro zappe e
trovato lavori migliori nel big smoke. Tutte queste barriere alla libera circolazione danneggiano specialmente i
giovani perchè sono soprattutto loro che vogliono spostarsi.
I vecchi hanno sempre sostenuto i loro giovani. All'interno delle famiglie lo fanno ancora. Ma molti governi
favoriscono i vecchi: una quota sempre più grande di spesa pubblica va alle pensioni e alla sanità per loro.
Questo è in parte il naturale risultato dell'invecchiamento della società, ma è anche perchè gli anziani
assicurano che le politiche funzioni a loro favore. Secondo un calcolo, il flusso di nuove risorse (pubbliche e
private) va dai giovani ai vecchi almeno in 5 paesi compresa la Germania e l'Ungheria. Questo è senza
precedenti ed è anche ingiusto perchè i vecchi sono molto più ricchi.
I giovani potrebbero fare di più sollevandosi per se stessi. In America è emerso che solo poco più di un quinto
di coloro che sono tra i 18 e i 34 anni abbiano votato nelle ultime elezioni politiche; 3/5 degli over 65 lo ha
fatto. Lo stesso vale per l'Indonesia e va solo un pò meglio in Giappone. Non basta che i giovani firmino
petizioni. Se voglioni che i governi li ascoltino dovrebbero votare.
Tuttavia, i vecchi anche hanno una parte da giocare. I giovani sono una minoranza oppressa - sebbene
inusuale - nel chiarissimo senso che i governi impediscono loro di realizzare la loro potenzialità.
Questo è uno spreco crudele di talenti. Gli under-30 di oggi un giorno domineranno la forza lavoro. Se i loro
skills non sono sviluppati, saranno meno produttivi di quanto potrebbero essere. Paesi come l'India che
contano su un dividendo demografico per la loro grande popolazione di giovani adulti scopriranno che non
riuscirà a materializzarsi. Le ricche società invecchiate scopriranno che, a meno che i giovani oggi non
facciano passi avanti nella scala della carriera, i pensionati di domani ne soffriranno. Per di più, opprimere i
giovani è pericoloso. I paesi con molti giovani uomini disoccupati e ostili tendono a diventare più violente e
instabili, come possono attestare i milioni di rifugiati dal medio oriente e dall'Africa.
Il rimedio è facile da prescrivere - e difficile da mettere in atto. I governi dovrebbero liberare i giovani tagliando
le lungaggini burocratiche che li tengono fuori dal lavoro e impedendo ai proprietari di immobili di bloccare la
costruzione di nuove case. Dovrebbero demolire le restrizioni sulla migrazione interna e consentire maggiore
movimento cross-border. Dovrebbero fare della scuola una priorità.
C'è molto da attendersi dai leaders politici che spesso sembrano essere impari al compito anche di una
modesta riforma. Ma tutti i genitori e i nonni hanno un interesse in gioco. SE decidessero di dare un contributo,
chi sa cosa potrebbero realizzare.
Social Europe Journal 27 gennaio 2016
Ronald Janssen “Rompere il circolo vizioso della riduzione dei prezzi e dei salari”
Il FMI ha recentemente pubblicato il suo ultimo aggiornamento del World Economic Outlook (WEO) puntando
alla persistente debole crescita e un'altra revisione al ribasso delle sue previsioni di crescita per il 2016 e del
2017 di 0.2% all'anno. Malgrado questo, la traiettoria di crescita del FMI vede ancora l'economia del mondo
migliorare leggermente dalla debolezza dell'anno scorso.
Dalla passata esperienza, tuttavia, sappiamo che le esperienze tendono a sottostimare le recessioni
economiche mentre sovrastimano le riprese. Dati i tanti shocks e sviluppi negativi che colpiscono o colpiranno
l'economia, questa volta può non essere differente:
Negli US il mercato del lavoro non è in forma brillante (i numeri della disoccupazione sono bassi ma il tasso di
partecipazione si è ridotto, e non ci sono neppure segni di una accelerazione delle dinamiche). Al tempo
stesso la loro economia è nel sesto anno di espansione economica, un timing normalmente legato al
cambiamento del ciclo di business. La decisione della FED di cominciare ad aumentare i tassi di interesse nel
dicembre scorso punterebbero alla stessa direzione di indebolimento del ciclo economico (o piuttosto un
indebolimento a causa della politica monetaria che lo ha rallentato).
Nell'UK la crescita negli ultimi anni è stata guidata dalla spesa delle famiglie, che a sua volta si era basata
sulla ricomparsa di una certa bolla immobiliare. Ora, tuttavia, la domanda per nuovi mutui da parte delle
famiglie sta decelerando. Se la rinnovata bolla immobiliare si arresta o si inverte, la performance di crescita
dell'UK ne soffrirebbe.
In Giappone, mentre l'Abenomics sta iniettando nell'economia brevi scoppi di domanda e di crescita, non sta
riuscendo a dare il calcio di partenza al processo attraverso cui la crescita comincia ad auto-sostenersi perchè
le retribuzioni sono in ritardo dietro alla produttività. Anche se il governo sembra avere scoperto il valore del
coordinamento della contrattazione collettiva per portare fuori dalla deflazione e per redistribuire ai lavoratori
riserve di liquidità corporate alte ma inattive, troppi lavori in Giappone restano precari, a part time o
sottopagati.
Intanto l'eurozona continua a lottare con le sue contraddizioni: la scelta di policy fatta dai policymakers,
sostituendo lo strumento della svalutazione monetaria non più disponibile, con la svalutazione salariale interna
ha finito per alimentare la disinflazione. Combinando questa tendenza al ribasso della flessibilità salariale con
altri fattori, come un'inflazione già a zero dovuta al crollo dei prezzi del petrolio, le aspettative inflattive tornate
su un tend regressivo, livelli di debito (pubblico e privato) record, peso del debito, grosse quantità di
sofferenze in diverse parti del sistema bancari dell'eurozona e, last but not least, un Fiscal Compact che ha
spinto diversi stati membri (in particolare Spagna, Francia e Italia) nell'austerità fiscale - e allora diventa chiaro
che l'economia mondiale non può contare sull'eurozona per recuperare la crescita. Semmai è l'opposto: con
un surplus di conto corrente che sta avvicinandosi al 3.7% del PIL, l'eurozona sta sottraendo ancora più
domanda e crescita all'economia del mondo rispetto a prima (e più domanda della Cina o del Giappone, che
rispettivamente registrano un surplus di conto corrente del 3% e del 3.3%).
Nella parte emergente del mondo, la CIna è caduta nella stessa trappola dell'esuberanza capitalistica che gli
altri paesi hanno conosciuto così bene, super-indebitandosi e super-investendo .Dal 2008 il debito del settore
corporate (non finanziario) è entrato in un moltiplicatore di velocità, aumentando dal 100% circa a quasi il
150% del PIL.
Prima o poi, tuttavia, l'iperinvestimento determina sovracapacità , determinando una pressione al ribasso dei
prezzi: davvero,i prezzi alla produzione in CIna stanno ora diminuendo a un passo del 5%. In più, il tasso di
cambio della moneta cinese sta anch'essa andando sotto pressione in modo tale che il problema della
deflazione da prezzi alla produzione non si è limitata solo alla Cina ma è stata esportata anche al resto del
mondo.
Le altre grandi economie emergenti (come il Brasile e il Sud Africa) costituiscono il domino successivo. Il loro
export è sotto pressione a causa dell'indebolimento della domanda di importazione delle loro materie prime da
parte della Cina o per la svalutazione competitiva della moneta cinese. E mentre l'agitazione del mercato
finanziario che accompagna tutto ciò spinge ulteriormente indietro il tasso di cambio di questi paesi,
determina anche tassi di interesse più alti (poiché la politica monetaria diventa restrittiva nel tentativo di tenere
il capitale finanziario all'interno del paese al fine di limitare la svalutazione della moneta), che soffocheranno
poi la crescita economica complessiva.
Avanzo due riflessioni
IL FMI stesso, almeno implicitamente, riconosce parte delle preoccupazioni sopra menzionate quando scrive
che i rischi sono "cambiati al ribasso". Li identifica come: "una recessione generalizzata dei mercati emergenti,
il riequilibrio della Cina,i prezzi più bassi delle materie prime, il graduale superamento delle condizioni
monetarie straordinariamente accomodanti negli US".
Se a Davos i leaders dei governi e del business del mondo hanno discusso "il futuro del lavoro" - è anche
importante tuttavia guardare "alla condizione attuale del lavoro". Giudicando da quanto sopra, non si può
ignorare che l'economia del mondo sta andando verso un altro ciclo di indebolimento della crescita e questo,
proprio nel momento in cui i prezzi e le pressioni inflattive sono già a livelli troppo bassi. Se, come è avvenuto
in passato, questa nuova recessione determinerà un'ulteriore decelerazione delle dinamiche inflattive,
un'inflazione troppo bassa diventerà deflazione completa con tutte le sue terribili conseguenze (aumento dei
tassi reali di interesse, aumento dell'onere reale del debito, contrazione della domanda aggregata e, alla fine,
una deflazione ancora più intensa). Il questo caso i policymakers farebbero bene a considerare che sistemi
contrattuali forti e robusti non tendono solo a tenere sotto controllo la crescita delle disuguaglianze, (come
evidenziato da un recente report del FMI) ma che tenendo alto il livello e le dinamiche delle retribuzioni
nominali, possono anche giocare un ruolo chiave nel rompere il circolo vizioso in cui la caduta dei prezzi e
delle retribuzioni si corrono appresso reciprocamente.
Per illustrare quest'ultima cosa, si consideri che le dinamiche dei costi unitari del lavoro sono state
particolarmente compresse e specie nel caso del Giappone e dell'eurozona, sono la via d'uscita, con obiettivi
inflattivi minimi del 2% o tra il 2 e il 3%.
La conclusione è chiara: se i banchieri centrali vogliono strappare l'economia dal ciglio della deflazione e
vogliono rivitalizzare modesti tassi di inflazione, farebbero bene a cominciare a considerare che sistemi di
contrattazione collettiva forti e robusti costituiscono la strada per difendere la stabilità dei prezzi e riancorarli
alle aspettative di inflazione.
Financial Times 29 febbraio 2016
Wolfgang Munchau “L'Europa entra nell'era della disgregazione”
C'è ora la possibilità che entro 10 giorni o giù di lì, il sistema EU per le frontiere e l'immigrazione possa
rompersi. Il 7 marzo i leaders EU terranno un summit a Bruxelles con Ahmed Davutoglu, primo ministro turco.
L'idea è quella di persuadere Ankara a fare quello che la Grecia non è riuscita a fare: proteggere la frontiera
sud-orientale dell'EU e fermare il flusso migratorio. C'è molta diplomazia dietro le quinte tra Germania e
Turchia. Tuttavia, l'umore a Berlino non è dei migliori.
Per proteggere le loro frontiere nazionali, Austria, Ungheria e altri paesi hanno chiuso la rotta dei Balcani
attraverso cui i migranti cercavano la loro strada verso la Germania.
I rifugiati si trovano ora intrappolati in Grecia. Qualcuno può partire per l'Italia via nave. Quando i
sopravvissuti ci arriveranno, mi aspetto che anche Francia, Slovenia e Svizzera chiudano le loro frontiere. A
quel punto, il Consiglio dei capi di stato e di governo non andrebbe più considerato come un organismo
politico funzionante.
Una crisi dei rifugiati che sfugge di controllo potrebbe influenzare il voto nel referendum britannico. A questo
punto l'EU non potrebbe in alcun modo gestire di shock simultanei di tale dimensione. Capitando in un
momento simile, la brexit ha il potenziale di distruggere l'EU.
Non penso ci sarà il giorno del giudizio universale, ma non è neppure del tutto da escludere. L'EU sta per
affrontare uno dei momenti più difficili della sua storia. Gli stati membri hanno perso la volontà di trovare
soluzioni comuni per problemi che potrebbero essere risolti a livello EU ma non dai singoli stati membri. La
popolazione dell'EU di più di 500 milioni può facilmente assorbire 1 milione di rifugiati all'anno. Non può farlo,
da solo, uno stato membro, neppure la Germania. La tendenza verso soluzioni nazionali è particolarmente
pronunciata nell'Europa centrale e orientale. La settimana scorsa, l'Austria ha convocato una conferenza dei
Balcani occidentali a sostegno della sua politica di restringimento del numero dei rifugiati. Viktor Orban, primo
ministri ungherese, sta tenendo un referendum per giocare d'anticipo su un accordo di divisione delle quote
dei rifugiati avanzato da Bruxelles e Berlino. Gli ungheresi lo sosterranno sicuramente.
Merkel deve assumersi gran parte della colpa. La sua politica delle porte aperte è stata antieuropea, nel
senso che l' ha imposta unilateralmente al suo paese e al resto dell'Europa. Si è consultata solo con il
cancelliere austriaco Wernen Faymann.
L'EU è a rischio di 4 fratture. Non mi aspetto che si verifichino tutte e 4 ma mi sorprenderebbe se non ce ne
fosse nessuna. La prima è la rottura nord-sud sui rifugiati. Il cosiddetto sistema Shengen di libera circolazione
senza passaporto, di cui fanno parte 26 paesi europei, potrebbe essere sospeso indefinitamente o diventare
una versione miniaturizzata che comprende Germania, Francia e Benelux. L'Italia non ne farebbe parte.
Una seconda linea di faglia nord-sud è l'euro. Qui non è cambiato niente. Restano gli echi della crisi
dell'eurozona e la posizione greca è insostenibile oggi come lo era nell'estate scorsa.
La terza è una divisione est-ovest. Fino a che punto, le società aperte dell'Europa occidentale vorranno
essere legate a un'unione ancor più stretta con quelli come Orban o gli altri nazionalisti dell'Europa centrale e
orientale?
Infine c'è la brexit. Non c'è modo di sapere il risultato del referendum britannico. I sondaggi sono inutili come
lo sono stati nelle ultime elezioni politiche dell'anno scorso.
Cosa più importante, il dibattito deve ancora iniziare sul serio. Nel frattempo si verificheranno eventi;
emergeranno nuovi fatti o bugie. Un voto britannico per l'uscita dall'EU potrebbe innescare un referendum in
Svezia o Danimarca, aggiungendo ulteriore incertezza.
Una crisi dei rifugiati che sfugga dal controllo è alla fine più pericolosa per il futuro dell'EU di un euro che si
frammenta. Quello che rende la crisi dei rifugiati politicamente più densa è che questa volta Francia e
Germania hanno posizioni opposte.
Questo mese, alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, non mi ha sorpreso sentire Manuel Vals, primo
ministro francese, riaffermare la sua opposizione a ulteriori quote di rifugiati ma mi ha sorpreso sentirlo
criticare direttamente la Merkel. Non è stata la Francia che ha invitato i rifugiati, ha detto.
L'impasse politico sui migranti ci dice che le frontiere aperte dell'EU non sono coerenti con la sovranità
nazionale sull'immigrazione. Gli stati membri dovranno scegliere e sceglieranno la sovranità.
Dopo quasi 60 anni di integrazione europea, stiamo entrando in un'era di disgregazione. Non porterà
necessariamente a a una rottura formale dell'EU - questa è del tutto improbabile - ma renderà l'EU meno
efficace.
Certo è che la crisi dei rifugiati aggiunge un'ulteriore strato di complessità al dibattito britannico. Non è chiaro
in quale tipo di EU i britannici chiederanno di rimanere o di lasciare. Il pericolo ci aspetta.
Social Europe Journal 24 febbraio 2016
Paul De Grauwe “Perchè l'Unione Europea trarrà beneficio dalla Brexit”
La discussione sulla Brexit si è concentrata sulla domanda se sia nell'interesse nazionale dell'UK restare o
uscire dall'EU. Oggi sembra che l'opinione pubblica britannica sia divisa sulla domanda, così il risultato del
referendum resta altamente incerto.
la domanda se sia nell'interesse dell'EU che l'UK resti membro dell'unione è stata discussa molto di meno. Il
senso comune a Bruxelles è che la risposta a tale domanda è positiva. L'UK dovrebbe restare membro
dell'EU. Una brexit sarebbe molto dannosa per il futuro dell'Unione Europea. Ma è davvero così?
C'è una ostilità radicata dei media britannici e di larga parte dell'elite politica contro l'Unione Europea. Tale
ostilità ha trovato la sua espressione politica nel brexit movement. I proponenti della brexit non possono
accettare che l'UK abbia prso la sovranità in molte aree in cui ha assunto competenze l'EU. Aborriscono il
fatto che la Gran Bretagna debba accettare decisioni prese a Bruxelles anche se vi si era opposta. Per il
brexit-camp c'è solo un obiettivo finale: riportare piena sovranità a Westmister.
Chi pensa che pensano che il referendum alla fine risolverà il problema, sbagliano. Supponiamo che il brexitcamp sia sconfitto e la GB resti nell'EU. Questo non metterà fine all'ostilità di chi ha perso il referendum. Non
ridurrà l'ambizione di riportare la sovranità al Regno Unito.
Non potendo lasciare l'EU, il brexit-camp cambierà strategia per ottenere l'obiettivo di riportare ilo potere a
Westminster. sarà una strategia del cavallo di Troia. Ciò implicherà lavorare dall'interno per minare l'unione.
Sarà una strategia volta a restringere l'area delle decisioni prese a maggioranza e sostituendola con un
approccio intergovernativo. L'obiettivo dei nemici dell'EU sarà un lento smontaggio dell'unione in modo da
realizzare l'intento di riportare potere a Westminster.
Si potrebbe sostenere che avendo perso il referendum, il brexit-camp perderà influenza. E' assolutamente
incerto. L'accordo realizzato da Cameron con il resto dell'EU non ha riportato a Westminster alcun frammento
di sovranità. Questo sarà visto dal brexit-camp come un enorme fallimento, portandoli a intensificare la loro
strategia di destrutturazione.
Concludo che non è nell'interesse dell'EU continuare a tenere nell'unione un paese che continuerà a essere
ostile alo "acquis comunitario" e seguirà una strategia per indebolirlo ulteriormente.
Pertanto concluda anche che sarà meglio per l'EU che il brexit-camp vinca il referendum. Quando la GB sarà
fuori dall'EU non potrà più indebolire la coesione EU. L'EU diventerà più forte.
La GB si indebolirà e dovrà bussare alla porta dell'EU per cominciare a negoziare un accordo commerciale.
Nel processo avrà perso la merce di scambio. L'EU potrà imporre un accordo commerciale che non sarà
molto diverso da quello che l'UK ha già oggi, come membro dell'EU. Al tempo stesso avrà ridotto il potere di un
paese la cui ambizione è di minare la coesione dell'unione.
Social Europe Journal 23 febbraio 2016
Janis Varoufakis “Perché la Gran Bretagna dovrebbe rimanere nell'EU”
In un'intervista con Start Broown, editore di EUROPP, Varoufakis discute il lancio del suo nuovo movimento
"Democracy in Europe" (DiEM25), il prossimo referendum sulla membership EU dell'UK e del perchè è
necessaria un'ondata di democrazia per evitare che l'EU scivoli verso la disintegrazione.
Hai appena lanciato un nuovo movimento politico DiEM25, che si propone di democratizzare l'Europa. Il vostro
manifesto afferma che "L'EU o si democratizzerà o si disintegrerà" e chiede la convocazione di un'assemblea
costituzionale per decidere su una futura costituzione democratica che sostituirà i trattati europei esistenti
entro un decennio. Perchè l'Europa ha bisogno di DiEM25?
Per una ragione molto semplice. Tra 20 anni, se non facciamo qualcosa come quello che abbiamo promosso,
la prossima generazione ci guarderà negli occhi e ci chiederà: dove eravate, perchè non avete fermato questo
scivolare nell'abisso? Esattamente nello stesso modo negli anni '50, i giovani chiesero ai loro genitori perchè
non avessero fermato quanto stava accadendo negli anni '30: un periodo culminato nella catastrofe della
seconda guerra mondiale.
Siamo ora in una situazione simile. Stiamo assistendo alla disintegrazione dell'unione europea. Shengen è
stato sospeso. L'eurozona è in avanzato stato di decostruzione. I governi dell'Europa orientale stanno
apertamente affermando la loro opposizione al principio di solidarietà. L'elettorato britannico si estraniato da
Bruxelles e potrebbe solo votare se restare dentro o temere cosa potrebbe accadere se uscisse. la sola cosa
che potrebbe arrestare questa inesorabile slittamento vero la catastrofe è un'ondata di democrazia che dia
speranza e stabilizzi l'Europa.
Cosa diresti a chi potrebbe sostenere che l'Europa ha già prima cercato di realizzare una costituzione
democratica ed è finito essenzialmente in un disastro?
Certo il trattato costituzionale è stato un disastro. Un Presidente francese, peraltro sconfitto, si era assunto il
compito di scrivere un capitolo sui diritti del capitale. Non si scrive così una costituzione. Tutte le vere
costituzioni, come quella degli Stati Uniti, concerno i diritti degli uomini e delle donne.
Ciò che ci serve è avere un'assemblea costituzionale in cui i partecipanti sono investiti dai loro rappresentanti
a scriver il documento. Altrimenti finiremmo con un'altra debacle. Ma per arrivare a questo punto, dobbiamo
prima stabilizzare l'Europa. L'Europa oggi non è nella posizione in cui era 10 anni fa. E' in una china verso la
disintegrazione e noi dobbiamo stabilizzarla.
Dobbiamo farlo in modo trasparente e con una razionale riconfigurazione delle politiche nei prossimi 2 o 3 anni
- questo è il tempo che, secondo me, ci resta. E una volta fatto questo, vedremo l'assemblea costituente. Per
questo si batte DiEM25.
Dopo la rinegoziazione di Cameron, l'UK ha definito la data per il suo referendum sull'EU il 23 giugno. Come
dovrebbero vedere questo referendum gli elettori britannici che sono insoddisfatti dell'EU?
Dovrebbero rifiutare con tutto il cuore la caramella che Cameron ha riportato da Bruxelles. Sta chiedendo il
sostegno per rimanere all'interno di un'Europa riformata, ma egli la ha deformata nel processo di creazione
della caramella.
Ma al tempo stesso dovremmo anche respingere la visione euroscettica che la GB dovrebbe lasciare l'EU ma
rimanere all'interno del mercato unico. Ho molto rispetto per i tory euroscettici con una visione integralista
della sovranità dei parlamenti nazionali. Il problema è che essi sostengono anche di volere restare nel mercato
unico. Questa è una posizione incoerente: è impossibile stare nel mercato unico e mantenere la propria
sovranità.
Neppure ritirarsi nel bozzolo sicuro dello stato nazione o piegarsi all'antidemocratica EU in via di
disintegrazione rappresentano buone opzioni per i britannici. Allora, invece di vedere il referendum come un
voto tra le due opzioni e solo queste due opzioni, l'UK ha bisogno di una terza opzione: votare per restare
nell'Unione Europea in modo da combattere con le unghie e con i denti contro le antidemocratiche istituzioni
europee.
Social Europe Journal 10 febbraio 2016
John Palmer* “Programma per una buona, più sociale e sostenibile Europa”
*John Palmer (European editor del Guardian. Visiting pro. Università del Sussex)
Come europeista, il think tank britannico di sinistra Compass ha giustamente insistito che ogni serio progetto
per una "buona Europa" deve prima confrontarsi con le molteplici crisi che ha di fronte l'Unione Europea.
L'insensata austerità, il ritirarsi dei governi EU dagli obiettivi della giustizia sociale e della crescita sostenibile, i
garbugli esteri e della sicurezza con il calderone di distruzione e di spostamento della popolazione in Medio
oriente: queste coseget issue orders alimentano la crescita del populismo di estrema destra e la xenofobia in
ampie zone dell'Europa.
C'è stato uno sbilanciamento da panico a destra di molti partiti mainstream di centro destra e di centro sinistra
in un tentativo senza speranza di invertire il sostegno popolare per anguste risposte nazionaliste alla tragedia
dei rifugiati. Incredibilmente, alcuni partiti della roccaforte nordica della socialdemocrazia approvano il
sequestro del denaro e dei valori, pateticamente scarsi dei rifugiati espellendone altri ai loroget issue orders
paesi di origine verso un destino ignoto.
Se non contrastate, queste tendenze alimenteranno la campagna per la brexit guidata da Ukip/destr Tory. Ma
se collassa l'area Shengen senza frontiere interne, queste tendenze non solo rovesceranno l'integrazione
europea ma potrebbero portare anche alla possibile rottura dell'EU. Tale disastro non fermerebbe solo il
progresso verso un ordine mondiale più sano ma innescherebbe - per citare il socialista irlandese James
Connolly in un altro contesto - un "Carnevale della reazione" in tutta Europa.get issue orders
La scena politica europea non è tuttavia tuta così fosca. Ci sono controtendenze progressiste in risposta alla
dottrina dell'austerità e alle crescenti disuguaglianze. Syriza, il governo greco di sinistra radicale greco è stato
battuto e costretto a indietreggiare dagli arroganti e ignoranti zeloti dell'austerità che guidano la policy
nell'eurozona. Ma ha conservato il potere anche se lasciato a gestire, quasi da solo, l'ondata di marea dei
rifugiati che arrivano nelle isole greche.
In Portogallo il Labour Party centrista ha formato un governo con il sostegno del blocco della sinistra radicale e
del partito comunista su una piattaforma esplicitamente anti-austerity. In Spagna si dice che una coalizione
dello PSOE e di PODEMOS sia vicina a formare un governo sostenuto dai partiti di sinistra catalaniget issue
orders pro-indipendenza. Questi sviluppi stanno alzando il profilo di quelli che si battano per una Europa
Migliore e dovrebbero incoraggiare il Labour guidato da Jeremy Corbin in GB.
Anche in paesi in cui sono ancora in carica deboli, vacillanti e demoralizzati governi di centro sinistra - in
particolare Francia e Italia - c'è una crescente pressione per rompere con l'ortodossia dell'austerity EU.
Questo sta cominciando a riflettersi anche nel dibattito politico all'interno della SPD tedesca, in cui il cosiddetto
"miracolo dell'export" è seriamente minacciato dalla barcollante economia cinese e nelle altre economie
emergenti.
Settori dell'elite politica EU esprimono ansia sui pericoli politici di una crescita che continua a essere lenta o
virtualmente inesistente, sugli osceni livelli di disuguaglianza della ricchezza e dei livelli di povertà socialmente
pericolosi. Le pressioni per il cambiamento si riflettono anche nelle promesse della Commissione Europea ad
agire contro gli imbrogli fiscali del grande business e nell'avvertimento del presidente della BCE che possono
essere presto necessari livelli di stimolo monetario non
convenzionali per invertire la crisi deflattiva.
Anche alcune delle alternative di policy più radicali offerte dalla sinistra sono ora prese più sul serio dagli
esperti informati sulla politica monetaria ed economica. Alcuni commentatori politici, che non possono essere
sospettati di simpatia con la leaderhip del Labour di Corbin, credono che l'embrione di piattaforma politica sua
e di McDonnell possa essere sulla strada giusta.
La domanda è: come possono questi elementi incoraggianti ma incipienti di una strategia EI potenzialmente
alternativa essere trasformati in un progetto coerente, capace di ottenere il sostegno delle masse popolari?
Voglio qui concentrarmi solo su qualche cambiamento di policy di breve termine su cui la sinistra, in tutta l'EU,
dovrebbe mobilitarsi intorno a una battaglia per invertire l'austerità.
Questa è non più che una parte di una tappezzeria molto più ampia e molto più ricca necessaria a mappare
la strada verso la Buona Europa. Ma può suggerire qualche modo per costruire un serio Fronte Unito
composto dai socialisti e dalle altre forze progressiste in tutta Europa.
Contro l'austerità: per una crescita e un lavoro sostenibili
La nuova leadership del Labour ha fatto una primo passo, più che benvenuto, get issue orders invitando alcuni
dei più rispettati economisti del mondo ad incontrarsi e ad aiutare a pensare sulle sfide enormi che ha di
fronte una iniziativa radicale e progressista del Labour-. Questo lavoro richiederà del tempo per
materializzarsi. Ma dovrebbe essere accompagnato da una serie di altri passi concreti. Questi potrebbero
comprendere:
1) Un programma di cambiamenti politici e una riflessione politica con i governi (o governi in attesa) che hanno
la stessa opinione come Syriza, L'alleanza portoghese sinistra/Labour e la possibile coalizione
PSOE/PODEMOS in Spagna così come gli altri partiti di sinistra e di centro sinistra e i movimenti in tutta
Europa.
Sarà anche importante, per esempio, che la leadership Labour si impegni con i governi francese e italiano di
centro sinistra per verificare quanto siano seri nel volere fare qualche radicale cambiamento nella politica
economica dell'EU e dell'eurozona. Lo stesso vale per i casi in cui i partiti di centro sinistra - soprattutto la
SPD - sono ancora al governo con la destra.
2) Per affrontare le grottesche manovre delle multinazionali per evitare una tassazione seria, McDonnell ha
giustamente proposto dovrebbe essere resa pubblica la registrazione,. nazione per nazione, di quanto
veramente pagano in tasse le imprese. Ma un fronte unito di forze progressiste EU potrebbe anche cercare un
accordo sui passi da fare per evitare l'erosione della base imponibile del grande capitale così come una
armonizzazione, la più grande possibile, delle aliquote fiscali progressive.
3) Se, come sembra probabile, la BCE è obbligata a implementare ulteriormente lo stimolo monetario - il
cosiddetto quantitative easing - esso dovrebbe essere diretto in modo abbastanza diverso. La maggior parte
dei QE delle banche centrali internazionali è stata costruita per incoraggiare le banche a prestare di più alle
imprese ma ha avuto risultati minimali. E infatti assistiamo allo sconcertante fenomeno di grandi aziende che
accumulano riserve di liquidità sempre più grandi nei bilanci ma senza un corrispondente, più o meno diretto,
investimento.
Gli ideologhi dell'economia di mercato dicono che questo avviene a perchè gli "spiriti animali" che
presumibilmente ispirano gli imprenditori sono negativi e così lo sono da qualche anno. Il risultato è la
diminuzione della propensione all'assunzione del rischio. Como ha accennato Draghi, può venire il momento
per i governi dell'eurozona di rilassare la politica fiscale e di spingere per investimenti pubblici in infrastrutture.
E a desso si deve andare anche oltre ed esplorare quello che alcuni definiscono il "Peoples' Quantitative
easing" - che mette soldi liquidi nelle mani di chi li spende piuttosto che accumularli negli inattivi bilanci delle
banche.
4) E' essenziale che i governi si assumano la responsabilità di invertire la deriva verso una stagnazione
economica anche più grande o persino verso una deflazione generale, con un'azione comune a livello EU oggi
e - se possibile - a livello mondiale domani.
Tuttavia non può esserci alcuna alternativa all'austerità se non si rivedono le regole del Trattato di Maastricht
che governano la politica fiscale dell'eurozona. Con l'economia del mondo che sta avvicinandosi sempre di più
alla deflazione, si dovrebbe alzare il limite del deficit fiscale del 3%, fino a quando non cambiano le attuali
condizioni. Inoltre, l'investimento pubblico nella struttura economica, energetica e sociale non dovrebbe più
essere contato nei deficit di bilancio nazionali.
5) La Commissione deve portare avanti una strategia per la ripresa pienamente sviluppata - accettando che
questa coinvolgerà inevitabili cambiamenti agli attuali trattati dell'unione monetaria. Significherà una battaglia
con i più riluttanti governi EU ossessionati dall'austerity - in particolare Berlino. Ma questo incoraggerebbe
quelli forze politiche in Germania che respingono l'attuale dogma dell'austerità a raddoppiare lo scontro in
casa.
La Commissione ha già esplicitato un piano assoluta,mente troppo modesto per incoraggiare investimento e
ripresa. Ma, criticamente, non finanzia direttamente sui progetti di investimento pubblico degli stati membri e
poggia precariamente sul finanziamento corrispondente del settore privato. Con il piano, i 21 miliardi di euro di cui 16 dal bilancio EU e 5 dalla Banca Europea per gli Investimenti (EIB)- non saranno spesi veramente per
progetti. Invece, dirigenti EU hanno detto che permetterà all'EIB di andare sul mercato ed emettere bonds per
60 miliardi, denaro che sarà popi investito in 315 miliardi di prestiti per infrastrutture e piccole imprese.
6) Per molti dei paesi EU - soprattutto la Grecia - una ripresa economica sostenibile richiede una radicale
svalutazione del consistente debito internazionale da cui sono gravati per insistenza dell'eurozona e del FMI.
IL FMI accetta ora il fatto che questa sia una politica del tutto controproducente. Un'alleanza europea di partiti
e di governi di sinistra insieme ai sindacati e ai movimenti della società civile dovrebbero istituire un "debt
audit" di dimensione EU per esporre quello che è accaduto.
7) La rottura dell'attuale status quo dovrebbe essere accompagnata da una follow-up strategy per il medio e il
lungo termine che porrebbe risorse significativamente più consistenti a sostegno della crescita sostenibile e
dell'occupazione. Ciò potrebbe essere avviato da una serie di audizioni pubbliche in cui i pariti politici dell'EU
si consultano con le organizzazione della società civile compresi i sindacati e la considerevolmente ricca
coalizione di gruppi di azione, ONG e iniziative regionali e locali che cercano un'Europa diversa e migliore.
Reviving social Europe
Questo a sua volta dovrebbe portare a qualche accordo della sinistra di dimensione EU per un programma
comune molto più ambizioso per le elezioni del Parlamento Europeo del 2019. Certo, la lotta per cambiare le
posizioni del Consiglio Europeo (che raggruppa i governi EU) e della Commissione (che ha il diritto di
"iniziativa" politica a livello EU) deve essere combattuta e vinta ora.
Inevitabilmente, ogni mobilitazione intorno all'obiettivo di una strategia europea alternativa per la ripresa deve
fare i conti con misure nuove per sostenere uno sviluppo sostenibile, con la povertà e vulnerabilità
energetica, programmi di creazione di green jobs e il revival dello storico impegno a un'Europa Sociale.
Soprattutto. deve legarsi direttamente al piano, disperatamente necessario, volto ad assorbire le vittime della
guerra e della repressione in Medio Oriente.
Nell'esplorare la base per tale Fronte Unito per un'Europa Migliore, i parlamentari europei (così come i
parlamentari regionali e nazionali) hanno un ruolo vitale da svolgere. Forse potrebbero sponsorizzare una
inchiesta che potrebbe acquisire la testimonianza sia di esperti economici e i corpi della società civile. Corbin
e McDonnel sembrano impegnati ad andare avanti in tale tipo di direzione.
Inoltre, c'è un'altra questione che la sinistra europea non può ignorare nelle crisi attuale ed è la necessità di un
ulteriore radicale cambiamento in senso democratico a livello EU. Il parlamento europeo oggi ha il diritto di
approvare e/o emendare le leggi EU. Una riforma ovvia è che il Parlamento - così come la Commissione dovrebbero avere il diritto di proporre nuove leggi.
Tale riforma aumenterebbe in modo significativo il valore politico delle elezioni del parlamento europeo e
darebbe impeto ulteriore alla formazione, assolutamente necessaria, di partiti politici europei - legati ai partiti
nazionali e regionali da affiliazione ideologica - ma autonomi nell'organizzarsi a livello europeo. Questa
politicizzazione di partiti organizzati a livello EU aprirebbe anche la strada a un esecutivo più piccolo ma
politicamente efficace allo stesso livello.
Tutto ciò dovrà attendere la prossima revisione della costituzione EU. In pratica ciò avviene ogni pochi anni
quando si deve fare qualche ulteriore, inevitabile passo verso una maggiore integrazione EU. La prossima
potrebbe verificarsi tra 2 o 3 anni per l'approfondimento dell'unione bancaria dell'eurozona. La maggior parte
degli esperti crede anche che sia urgente cominciare ora il processo di una vera Unione economica o "fiscale"
con una molto maggiore capacità di trasferire risorse dalle economie più povere a quelle più ricche e per
sviluppare una seria strategia per un'Europa verde e sociale.
Un'iniziativa tempestiva della nuova leadership del Labour Party non solo sarebbe un investimento vitale nel
futuro. Fornirebbe un background costruttivo alla campagna che dovrà essere avviata immediatamente contro
la destra e l'estrema destra che hanno lanciato una campagna febbrile per portare la Gran Bretagna fuori
dall'EU.
per un'analisi eccellente della crisi economica europea e qualche proposta concreta per una alternativa
progressista, si guardi questo report dell'EuroMemorandum, sostenuto da diverse centinaia di economisti di
tutta Europa.
Ministero dell'Economia e delle Finanze
“Una strategia politica europea condivisa per la crescita, il lavoro, la stabilità
Febbraio 2016”
Il progetto europeo sta soffrendo una crisi senza precedenti: la reazione politica alla recessione
economica e alla grande disoccupazione è spesso percepita come insufficiente dai cittadini europei,
che spesso faticano a percepire il valore aggiunto di essere parte dell'Unione. Gli interessi nazionali
stanno prevalendo sul bene comune. Segni crescenti di disaffezione, alimentati dalla durata e
dall'intensità della crisi, stanno aumentando il consenso alle proposte populiste. L'euroscetticismo è
in crescita in quasi tutti gli stati membri.
Se l'Europa deve essere parte della soluzione - e non il problema - dobbiamo ricostruire la fiducia tra i
nostri cittadini e tra gli stati membri e sviluppare una strategia di dimensione EU per restaurare una
crescita sostenuta e migliorare l'occupazione. Abbiamo fatto un lungo percorso verso una maggiore
integrazione, ma ora l'Europa è a un crocevia: se dovessimo cavarcela in qualche modo con una
ripresa incerta, non riuscirebbe ad esserci alcun progresso nella crescita e nella creazione di lavoro,
l'euro-zona resterebbe esposta agli shocks e la sua stabilità ne sarebbe minata.
Contro questo scenario, crediamo che l'EU sia una grande opportunità. Dobbiamo afferrarla e portare
ai nostri cittadini le soluzioni che attendono. Il governo italiano presenta una agenda politica ad ampio
spettro e di proposte concrete per contribuire al dibattito su come una opportunità possa diventare un
progetto concreto.
1. Una ripresa fragile: sfide e opportunità
La ripresa che si è sviluppata negli ultimi trimestri in Europa è ancora troppo fragile e modesta. Una
domanda esterna più debole e le incertezze della previsione globale puntano a aumentare rischi di ulteriore
calo. Un periodo protratto di inflazione eccezionalmente bassa accompagnata da una crescita lenta sta
colpendo negativamente il potenziale di crescita e indebolendo le aspettative sulle future prospettive
economiche. Indicatori cruciali come l'occupazione, la produzione industriale e l'investimento sono ancora
molto al di sotto dei livelli pre-crisi in diversi stati membri. Gli squilibri si sono ulteriormente allargati, con
conseguenze negative sulla stabilità complessiva e la resilienza dell'eurozona.
Segni di disaffezione al progetto europeo, aumentando il consenso per le prospettive populiste, sono molto
più diffusi di quanto ci sarebbe potuti aspettare anche al momento più acuto della crisi. Essi sono alimentati
dalla durata eccezionale della crisi e anche dalle difficoltà a percepire come valore aggiunto il fare parte
dell'Unione Europea. Al contrario, specie in alcuni paesi, le risposta alla crisi è stata percepita come
esacerbatrice delle divergenze e della segmentazione tra la periferia e la parte core. malgrado lo sforzo
politico messo in atto. Soprattutto, il mix di policy dell'eurozona per contrastare la crisi e supportare una
ripresa sostenuta si è dimostrato inadeguato.
Sono necessari maggiore convergenza, accelerazione e riforme strutturali e una più forte domanda
interna per evitare che le significative e persistenti perdite di produzione possano colpire in modo permanente
la crescita potenziale. Occorre una decisa azione politica coordinata al di là dell'attuale mix di policy e del
positivo contributo fornito dalla BCE. Vanno affrontate le urgenti sfide per ripristinare una crescita sostenuta e
per ancorare le aspettative. Se invece, l'Europa dovesse cercare di cavarsela con una ripresa esitante, il
progresso nella crescita e nella creazione di lavoro non riuscirebbe a materializzarsi e l'eurozona resterebbe
vulnerabile agli shocks.
Per di più, l'Europa ha di fronte nuove formidabili sfide sistemiche rappresentate dall'afflusso dei
migranti e di coloro che cercano asilo. Queste sfide richiedono una coordinata risposta politica per fornire
sollievo immediato e disegnare iniziative comuni per facilitare l'integrazione. Ogni rafforzamento dei controlli
dei confini interni andrebbe a a detrimento della libera circolazione del lavoro e delle merci con conseguenze
negative dall'impatto imprevedibile.
Decisioni politiche rilevanti debbono essere prese ora, sulla base di un approccio integrato in cui la
realizzazione di iniziative di breve termine siano parte di una ambiziosa strategia di più lungo termine.
2. Un complessivo mix di policy.
Un approccio complessivo per un'Europa e un'unione monetaria più sostenibile e resiliente dovrebbe
puntare a migliorare la crescita potenziale migliorando nel contempo la capacità di aggiustamento dei mercati
in tutti gli stati membri anche attraverso una migliore condivisione del rischio. Questo obiettivo di policy può
essere raggiunto pienamente con un mix di misure di policy di breve e più lungo termine. Occorre accelerare
l'azione su diversi fronti: riforme strutturali, investimento, occupazione, settore bancari e mercato interno le
azioni sui diversi fronti sono complementari e si rafforzano reciprocamente.
2.1 Governance per migliorare la capacità di crescita.
La struttura della governance deve fornire i giusti incentivi a politiche fiscali growth-friendly e a uno
sforzo di riforme continuo. Tuttavia, passi ulteriori sono urgentemente necessari di fronte al protrarsi di
livelli di investimento e di occupazione storicamente bassi. I tre pilastri principali pubblicati dal recente Annual
Growth Survey - rilancio degli investimenti, perseguimento di riforme strutturali e promozione della
responsabilità fiscale - dovrebbero essere considerati come reciprocamente rafforzanti.
La comunicazione della Commissione sulla flessibilità del patto per la stabilità e la crescita ha marcato un
passaggio verso il miglioramento del mix di policy. Crea gli incentivi adatti per le riforme e gli investimenti.
Rafforza il coordinamento tra le politiche strutturali e fiscali innescando un circolo virtuoso: azione strutturale e
investimento migliorano la crescita di medio termine sostenendo in tal modo il consolidamento delle finanze
pubbliche.
2.2 Politica fiscale
In presenza del protrarsi di una crescita modesta e di un'inflazione eccezionalmente bassa anche le misure
straordinaria messe in atto dalla BCE si stanno dimostrando insufficienti. Lo spazio fiscale dovrebbe essere
usato pienamente per sostenere la crescita. Al tempo stesso, restaurare un passo di crescita sostenibile e
la creazione di lavoro è anche il modo più efficace per mettere il debito su un sentiero sostenibile.
E' necessaria maggiore simmetria nell'aggiustamento economico. Gli attuali surpluses di partite corrente
molto ampi hanno un impatto negativo sul complessivo funzionamento dell'Eurozona esattamente come i
deficits. Per quanto riflettono risparmio eccessivo, dovrebbero essere affrontati da politiche che stimolino
l'investimento, sia privato che pubblico. Un approccio più cooperativo per sostenere la domanda porterebbe a
un equilibrio win-win completando le riforme di struttura. Le procedure per gli squilibri macroeconomici
dovrebbero essere applicate più efficacemente a tale scopo.
Il nuovo European Fiscal Board dovrebbe avere una visione pan-europea nelle sue analisi e dovrebbe
formulare raccomandazioni di politica fiscale per l'eurozona nel suo insieme. Questa è la chiave per
sviluppare un posizione politica aggregata e una strategia di crescita di dimensione EU, che vada oltre la
mera somma delle performances nazionali.
Le regole fiscali dovrebbero dimostrare di essere adeguate ad affrontare una sfidante ambiente
economico. Una struttura disegnata per condizioni normali di crescita e inflazione si è dimostrata incapace di
contrastare efficacemente l'impatto di una crescita nominale molto bassa sulla crescita potenziale e le
dinamiche del debito. Tali difetti hanno implicazioni per la misurazione degli indicatori fiscali su cui si basano
le raccomandazioni politiche e dovrebbero essere affrontati.
Gli sviluppi sui prezzi dovrebbero essere inseriti più efficacemente nelle regole fiscali.
2.3 Mantenere lo slancio riformatore
Più coordinamento e benchmarking stimoleranno le riforme in tutti i paesi, faciliteranno il sostegno
politico interno alle riforme e ne miglioreranno l'implementazione. La politica monetaria accomodante
crea una finestra di opportunità per spingere lo sforzo della riforma e migliorare la crescita potenziale. Uno
sforzo più coordinato tra i paesi e gli strumenti di policy genera effetti positivi che testimoniano il valore
aggiunto di essere parte di un'area economicamente integrata. Per di più, la convergenza e l'aggiustamento
strutturale coordinato porterebbe maggiore simmetria nell'aggiustamento macroeconomico.
Tutti i paesi devono spingere lo sforzo riformatore. Le riforme strutturali sosterrebbero il riequilibrio sia
nei paesi in surplus che in quelli in deficit aprendo opportunità di profitto che stimolano
l'investimento. Questo faciliterebbe anche la realizzazione di una posizione fiscale più bilanciata per
l'Eurozona nel suo insieme e ridurrebbe il sovraccarico della politica monetaria.
Inoltre, dovrebbe essere stabilito un legame molto più stretto tra l'analisi e le raccomandazioni politiche a
livello aggregato e le loro implicazioni per i singoli paesi, tenendo conto degli effetti di spillover delle
politiche economiche nazionali sugli altri paesi.
2.4 Migliorare gli investimenti
L'investimento sostiene la domanda nel breve periodo e rafforza l'offerta e il potenziale risultato nel
medio periodo. nel quadro di una ripresa fragile e lenta, l'investimento è la top priority per rimettere l'EU su
un sentiero di crescita sostenibile. Nel passato recente, la caduta degli investimenti nei paesi europei è stata
drammatica e diffusa; il suo contrario è ancora molto lento.
Per aiutare a invertire il trend, la Commissione ha lanciato lo Juncker Plan e ha creato l' ESI (Fondo europeo
per gli investimenti strategici). Il Piano è un'opportunità importante per spingere l'investimento privato con il
sostegno pubblico. Si aspetta che il Piano attivi progetti che altrimenti non si sarebbero materializzati, a causa
del rischio eccessivo, dei fallimenti del mercato o dei vincoli finanziari o di bilancio.
Il ruolo potenzialmente catalizzatore del Piano deve essere sfruttato fino in fondo, in sinergia con le risorse
del bilancio EU e le risorse nazionali, comprese banche promozionali nazionali, per iniziative di
investimento genuinamente europeo volte a finanziare beni comuni europei, come i net-works trans-europei
o l'unione energetica. Iniziative ad alta intensità di conoscenza, concentrate sul capitale umano, l'innovazione
e l'alta istruzione sono investimenti con i più alti potenziali di crescita e dovrebbero essere adeguatamente
sostenuti. Un forte sforzo nelle riforma strutturale sfrutterebbe la spinta al profitto e le opportunità di
investimento.
I paesi dovrebbero usare pienamente lo spazio fiscale, laddove disponibile, per espandere l'investimento. La
struttura di governance dovrebbe fornire ulteriori incentivi agli investimenti nei beni pubblici europei anche a
livello nazionale. Dovrebbero essere esplorate ulteriori iniziative europee comuni: progetti per migliorare la
crescita potenziale EU potrebbero essere finanziati da emissioni congiunte di debito.
Infine, condividiamo l'idea di una Financing and Invetment Union, in cui il completamento della unione
bancaria, l'unione del mercato dei capitali e il piano Juncker contribuiscano alla più efficace canalizzazione
del risparmio nell'investimento.
2.5 Completare l'Unione Bancaria
Una priorità chiave è il completamento dell'Unione bancaria e la conservazione della fiducia sul settore
bancario. Al centro della agenda di policy c'è stato lo sforzo per aumentare la resilienza del nostro settore
bancario limitando nel contempo l'impatto dei fallimenti bancari e si sono ottenuti risultati significativi. Tuttavia
molto deve essere realizzato per contenere i rischi, in particolare rafforzando le salvaguardie prudenziali
delle banche con aumentati requisiti di liquidità e di capitale; rafforzando la vigilanza attraverso profondi stress
tests di dimensione EU e creando un meccanismo di supervisione unico. Per di più, implementando le leggi
nazionali a seguito della Direttiva sul salvataggio e la risoluzione bancaria (BRRD)e con la costruzione del
meccanismo di Risoluzione unica, il rischio di coinvolgimento del settore pubblico è stato significativamente
limitato.
Le innovazioni messe in atto dalla applicazione della BRRD sono sostanziali e le aspettative di aggiustamento
e il comportamento degli stakeholders per incorporare la nuova struttura richiederanno tempo per essere
completate. La applicazione deve essere gestita con proprietà per evitare l'instabilità politica, anche attraverso
una migliore informazione, comunicazione, trasparenza e valutazione del rischio.
Tuttavia, l'Unione bancaria è ancora incompleta e deve essere dotata di strumenti efficaci per
affrontare le crisi sistemiche. Una struttura per il risk sharing è necessaria per costruire credibili prospettive
di stabilità finanziaria. Uno Schema europeo di assicurazione dei depositi (EDIS) migliorerebbe in modo
significativo il funzionamento dell'Unione bancaria, assicurerebbe più efficienza e stabilità finanziaria. Cosa più
importante, migliorerebbe la fiducia, che è l'ingrediente chiave per il successo dei sistemi bancari e,a sua
volta, contribuirebbe a ridurre i rischi. Inoltre occorre costruire presto un'efficace protezione comune al
Fondo unico per le risoluzioni (SRF), per migliorare la capacità finanziaria dell'SRF e della complessiva
credibilità del Meccanismo unico di risoluzione. La condivisione del rischio è parte integrante dell'Unione
bancaria che abbia successo nel limitare la frammentazione del mercato e nel creare realmente parità di
condizioni per le imprese in tutta EU.
Parallelamente, ulteriori misure sono necessarie per ridurre - in un orizzonte di tempo congruo - gli alti livelli
del debito privato, per contrastare i crediti non performanti e migliorare la complessiva efficacia del regime di
insolvenza. Accoppiando la condivisione del rischio con una ulteriore riduzione del rischio, si
migliorerebbe molto la stabilità finanziaria, si sosterrebbe la ripresa dell'attività del credito e si
migliorerebbero le prospettive di crescita.
Una Unione dei mercati di capitale pienamente sviluppata, rafforzerà ulteriormente il sistema e faciliterà la
diversificazione delle fonti di finanziamento, specie per le PMI e il rafforzamento del mercato unico. Inoltre
contribuirà a un migliore aggiustamento agli shocks in tutta l'eurozona, rendendo l'Unione economica e
monetaria più robusta e resiliente.
2.6 Rafforzare il mercato unico
L'ulteriore rafforzamento del mercato interno è un'opportunità che deve essere sfruttata appieno: c'è
ampio spazio per benefici aggiuntivi, attraverso una integrazione più profonda e una più forte competitività. Il
mercato interno è la grande realizzazione comune dell'Europa a 28. Il mercato unico è al cuore della
strategia di crescita europea da più di 20 anni. Tuttavia, gli interessi nazionali, le barriere istituzionali e le
strettoie sia a livello nazionale che EU, hanno impedito di ottenere tutti i benefici in termini di competitività e di
crescita.
Gli sforzi in corso per rivitalizzare il mercato unico, volti a rimuovere gli ostacoli del mercato unico dei capitali e
a creare l'Unione dei mercati dei capitali, superando la segmentazione del mercato energetico e promuovendo
l'economia digitale e l'innovazione vanno nella direzione giusta. Con riferimento alla energia, l'integrazione dei
mercati nazionali avrebbe un impatto significativo sulla competitività dell'economia europea. Passi ulteriori, a
livello nazionale, sarebbero di complemento al progresso verso il mercato unico, creando le condizioni per
facilitare le opportunità di investimento. Aree in cui le riforme darebbero considerevoli benefici sono anche: la
riforma della pubblica amministrazione,compreso l'accesso all'approvvigionamento pubblico e la
riforma della giustizia civile. Infine i progressi in direzione di una ingiusta competizione fiscale e il
raggiungimento di maggiore trasparenza nell'area delle tasse può offrire un grosso beneficio all'attività di
business cross border e migliorare il benessere del consumatore.
Infine dobbiamo tenere a mente che la fonte di crescita più promettente in un'economia che sta invecchiando
come quella della EU è la produttività guidata dall'innovazione. A tale proposito, l'obiettivo di una strategia di
crescita condivisa dovrebbe andare verso una una piena Unione per l'innovazione, cioè l'EU dovrebbe
adottare un set integrato di iniziative per stimolare la creazione di conoscenza tramite l'investimento nella
scuola e nella ricerca che sono i drivers principali dell'innovazione stessa.
Sarà importante la cooperazione tra i paesi dell'eurozona e i paesi non dell'eurozona. L'ulteriore
integrazione nell'EMU e nella Unione Europea sono, e dovrebbero essere viste, come di reciproco sostegno e
beneficio. La convergenza all'interno dell'eurozona non dovrebbe arrivare a spese della divergenza con gli
stati membri non-euro.
2.7 Uno strumento comune per gli aggiustamenti nel mercato del lavoro
E' necessario un approccio innovativo per promuovere e facilitare gli aggiustamenti nei mercati del
lavoro europei. In particolare nell'eurozona, data l'assenza del tasso di cambio,la maggior parte dello sforzo
dell'aggiustamento è sostenuto dall'occupazione.
Un meccanismo di stabilizzazione macroeconomico è necessario perchè i paesi con stretti vincoli fiscali,
potrebbero non essere in grado di smussare il ciclo e di gestire la crescita della disoccupazione in caso di
shocks asimmetrici. Per di più la politica monetaria può dimostrarsi insufficiente se lo shock è country-specific.
Un meccanismo comune per mitigare la disoccupazione ciclica e le sue conseguenze
rappresenterebbe per l'eurozona un'opportunità fattibile di fare un passo avanti verso la sostenibilità
e per rafforzare la dimensione sociale. Inoltre, ne deriverebbero benefici di lungo termine perchè gli alti
livelli di disoccupazione per periodi prolungati comportano un deterioramento del capitale umano, produttività
più bassa e un impatto negativo sulla crescita potenziale.
Un fondo per stabilizzare il mercato del lavoro darebbe risorse ai paesi attraversati da periodi di
grande crescita della disoccupazione ciclica. Una volta costituito, sarebbe innescato automaticamente
evitando processi decisionali lunghi e complessi.
Uno schema di assicurazione sulla disoccupazione potrebbe aiutare a consolidare la crescita di medio
termine, facilitando l'aggiustamento necessario in presenza di shocks avversi e limitando gli impatti
negativi sugli altri paesi. Amplificherebbe l'efficacia dell'impatto e le ricadute positive delle riforme nazionali.
I paesi che non siano diretti beneficiari guadagneranno da un ambiente macroeconomico più stabile e
prospero. Sarebbe un segno ulteriore dell'irreversibilità dell'euro, con un impatto positivo sulla fiducia.
Può essere costruita un'appropriata struttura dell'incentivo per limitare l'azzardo morale e,
aumentando il risk sharing, per evitare trasferimenti permanenti unidirezionali da alcuni paesi verso
altri. Per esempio, il meccanismo potrebbe essere messo in funzione da una fase ciclica negativa
sufficientemente lunga in un paese che porta a una crescita della disoccupazione. L'attivazione delle risorse
condivise sarebbe fuori dal controllo dei governi nazionali. Poichè il meccanismo non serve alla
disoccupazione strutturale, i paesi beneficiari hanno ancora la responsabilità di introdurre riforme strutturali
nel mercato del lavoro. Lungi dall'essere una scorciatoia per paesi che non accelerano le riforme, il risksharing sarebbe una forza guida dietro le riforme e verso la realizzazione di misure coerenti nei diversi stati
membri.
Potrebbe essere finanziato sia destinando parte delle risorse nazionali destinate ai trattamenti per la
disoccupazione sia con una nuova capacità fiscale comune. Si potrebbe realizzare questo strumento senza
cambiare i trattati, costruendo nel contempo una reciproca fiducia e il sostegno al cambiamento di tali trattati,
quando necessario.
2.8 fronteggiare le pressioni ai confini dell'Europa
L'unione europea ha di fronte una sfida senza precedenti rappresentata dall'afflusso dei migranti e di
chi cerca asilo. La crisi dei rifugiati è chiaramente una questione sistemica, che mette alla prova l'Europa.
Una risposta europea comune è largamente percepita come necessaria dall'opinione pubblica. Anche il
principio di sussidiarietà punta alla necessità di una dimensione europea per fare i conti con la
complessità dei problemi in gioco. E' necessaria una risposta comune e condivisa. L'accordo di Shengen è
uno delle più grandi realizzazioni dell'integrazione europea e deve essere preservato e rafforzato.
Occorre una politica di lungo termine per i rifugiati, perchè si prevede che il fenomeno sia duraturo.
Condividere la responsabilità della gestione delle frontiere esterne tra l'EU e i pertinenti stati membri
rappresenterebbe una risposta potente. Le risorse finanziarie e umane della EU dovrebbero affiancare le
politiche nazionali per le operazioni di salvataggio, l'amministrazione di punti di accesso e la prima
integrazione dei rifugiati che arrivano alle frontiere europee. Queste sono beni comuni europei che richiedono
il coinvolgimento del livello EU. Abbiamo bisogno di una soluzione che vada bene a tutti per equilibrare i costi
di breve termine del finanziamento della nuova politica che darà benefici di lungo termine attraverso un
processo di transizione ed integrazione più ordinato. La dimensione della nuova politica dei gestione
condivisa delle frontiere esterne dell'EU richiede differenti fonti di finanziamento e giustificherebbe il
ricorso a un meccanismo di finanziamento mutualizzato che potrebbe comprendere l'emissione di
bonds comuni.
3. Da una visione di breve a una di lungo termine
Per rendere davvero irreversibile l'unione monetaria dobbiamo gestire la nostra casa comune europea
adottando una visione comune sistemica.
Un'unione monetaria più forte ha bisogno di forti istituzioni comuni. In aggiunta all'unione bancaria si dovrebbe
prendere in considerazione quanto segue.
L'istituzione dello ESM (European Stability maechanism) è stata un grande avanzamento per la gestione
delle crisi sovrane, attraverso l'uso di risorse messe in comune. Dovremmo concentrarci su come sfruttare
pienamente i benefici delle risorse messe in comune preservando la loro funzione di firewall di ultima
istanza. Un obiettivo ambizioso sarebbe la trasformazione dell'ESM in un Fondo Monetario Europea. Nel più
breve termine, l'ESM diventerebbe la protezione per il Fondo di risoluzione unico al fine di salvaguardare
efficacemente la stabilità finanziaria dell'unione.
La realizzazione di un benefit comune per la disoccupazione sarebbe il primo passo nello sviluppo di una
funzione di stabilizzazione per fronteggiare gli shocks asimmetrici e aiutare a costruire la fiducia necessaria
per future iniziative più ambiziose.
A livello di Unione Europea, una iniziativa finanziaria volta a finanziare la gestione comune delle
frontiere esterne rappresenterebbe un rilevante esempio di responsabilità condivisa e la previsione di beni
pubblici europei.
Nel lungo termine, l'Unione monetaria dovrebbe essere munita di capacità fiscale rapportata ai compiti di
promuovere gli investimenti e appianare il ciclo. Un'area fortemente integrata, come l'EMU, si caratterizza
con beni pubblici che possono essere forniti meglio a livello sistemico. Questo vale per gli investimenti su
larga scala, la funzione di stabilizzazione e il finanziamento delle politiche negli stati membri con positivi
spillovers.
Queste funzioni potrebbero essere gestite da un Ministro delle finanze dell'eurozona. Il valore aggiunto del
ministro delle finanze dell'eurozona sarebbe quello di avere una politica fiscale comune e di assicurare che sia
perseguita a livello aggregato una linea fiscale coerente e internamente equilibrata. A questo fine sarebbe
necessario un bilancio dell'eurozona con risorse adeguate. Certo, tale ministro dovrebbe essere politicamente
dotato per giocare questo ruolo. Se questa figura potrebbe essere contenuta all'interno della Commissione
Europa - lungo le linee dell'Alto rappresentante - sarebbe importante che avesse anche un forte legame con il
Parlamento europeo.
4. Conclusioni
La lezione della crisi è che la stabilità e il progresso dell'unione economica e monetaria richiede reciproca
fiducia tra i cittadini e le istituzioni europee e tra gli stati membri. Richiede anche un approccio sistemico più
forte, il che implica più attenzione alle esternalità positive del processo di integrazione. La mutua fiducia si può
accumulare mostrando agli altri che ogni paese rispetta le regole. Le regole devono essere disegnate per
premiare la disciplina e scoraggiare il comportamento non cooperativo (cioè evitare l'azzardo morale). Al
tempo stesso, le regole devono garantire meccanismi di condivisione del rischio che aumentino la ricompensa
per il comportamento cooperativo. I meccanismi di condivisione del rischio sono una componente importante
delle unioni monetarie ed economiche ben funzionanti. In altre parole, le regole devono consentire la
mutualizzazione. I due elementi, attenuazione del rischio e condivisione del rischio si danno forza
reciprocamente. Prevenire l'azzardo morale rafforza la fiducia e sostiene la mutualizzazione. Condivisione
del rischio e mutualizzazione offrono un incentivo potente a rispettare le regole e a evitare
comportamenti opportunistici.
Ricostruire la fiducia tra gli stati membri e disinnescare pregiudizi nazionali sono i principi che dovrebbero
guidare le azioni dei governi europei. Questi sforzi devono riguardare tutti e 28 gli stati membri. Molti dei passi
sopra detti, approfondendo considerevolmente il mercato unico, sviluppando una ben funzionante capital
markets Union, l'Investment Plan, così come le possibili iniziative per la gestione della crisi dei rifugiati - sono
materie EU e saranno discusse nella formazione a 28. Il grado di cooperazione tra gli interni e gli esterni su
questi temi topici sarà importante per fare avanzamenti reali.
Il dibattito sul futuro dell'unione monetaria è una grande opportunità per rafforzare la resilienza dell'economia
europea e del progetto europeo in generale. Come andare avanti in questa nuova sfida dovrebbe essere
guidati da pochi principi importanti:
- il legame tra i temi di breve e il lungo termine andrebbe rafforzato e basato su una visione comune. Non
dovrebbero esserci scuse per concentrarsi solo sul breve;
- la distinzione tra misure che richiedono cambiamenti nei trattati e quelle che non li richiedono non
dovrebbero costituire ostacolo a obiettivi di policy più ambiziosi. Molto può essere fatto con i trattati attuali
e pertanto questo costruisce il sostegno ai cambiamenti dei trattati stessi, quando necessario.
- L'unione economica è un progetto multidimensionale. Il rafforzamento dell'integrazione monetaria e
finanziaria dovrebbe andare di pari passo con le misure che spingono la crescita e il lavoro. Questo
mostrerebbe ai cittadini europei che l'Europa può essere parte della soluzione e non parte del problema.
- Rafforzare l'EMU dovrebbe essere un'opportunità per rafforzare la relazione tra paesi EMU e paesi non
EMU, con reciproco beneficio.
Financial Times 9 gennaio 2016
Disegno di legge
“Bruxelles ha nel mirino i profitti della multinazionali
Misure sull'elusione fiscale potrebbero abbattersi sul denaro fatto in ogni paese”.
Secondo i piani predisposti da Bruxelles per contrastare l'elusione fiscale, le aziende multinazionali sarebbero
costrette e pubblicare la ripartizione dei profitti fatti e le tasse pagate in ciascun paese. Secondo dirigenti
dell'EU, la commissione sta preparando un disegno di legge per estendere agli altri settori una versione delle
regole già in vigore per le banche e le industrie estrattive.
Le misure rispondono alla crescente ostilità pubblica e della politica in Europa contro l'elusione fiscale
corporate. George Osborne, cancelliere dello scacchiere britannico, che è stato criticato per avere fatto il
mese scorso, un accordo per 130 milioni di sterline di tasse con Google, ha gettato il suo peso a favore di un
più pubblico reporting paese per paese.
Anche Pierre Moscovici, il commissario per la politica fiscale dell'EU, ha parlato a favore di maggiore
informazione al pubblico come un modo per fare pressione sulle imprese perchè paghino le tasse laddove si
generano i loro profitti. Il mese scorso ha detto che i prossimi passi della commissione sono centrati su un
impact study sul possibile effetto a catena sulla competitività delle imprese. Secondo dirigenti dell'EU, le
scoperte dello studio hanno rafforzato l'esigenza di andare avanti con il country specific plan.
Ogni spinta di ampio raggio per maggiore trasparenza pubblica provocherebbe un contraccolpo dal business.
Questo porterebbe l'EU ad andare oltre gli accordi raggiunti dal gruppo dell'OCSE per prevenire "l'erosione
della base e lo spostamento dei profitti" - la pratica dello sfruttamento delle divergenze nelle regole fiscali per
spostare artificialmente i profitti nelle locations low tax.
Mentre l'OCSE ha proposto un regime di trasparenza paese per paese, questo concerneva tuttavia la
informazione alle autorità fiscali e non al pubblico. Questo approccio era incorporato in una serie di piani antielusione fiscale rese pubbliche da Moscovici il mese scorso.
I gruppi della lobby corporate hanno messo in guardia l'a commissione perchè non andasse troppo ltre con
quanto era già stato concordato. James Watson, economista capo a Business Europe, un gruppo lobbista di
Bruxelles, ha messo a sua volta in guardia contro l'imposizione di ulteriori misure oltre gli standards OCVSE
che metterebbero le aziende in "svantaggio competitivo". Dirigenti EU hanno detto ieri che la commissione
non ha ancora completato le proposte che richiederanno l'approvazione a maggioranza qualificata delle
nazioni EU per entrare in vigore.
I sostenitori della giustizia fiscale insistono che anche le regole EU più stringenti per le banche e le industrie
estrattive permettono alle imprese di eludere le tasse.Tove Maria Ryding, coordinatore per la giustizia fiscale
per l'European Network on Debt and Development ha detto al FT che "l'esistenza di regole sulla trasparenza
non basta a risolvere il problema". Le regole per le banche non sono riuscite a stabilire una distinzione chiara
tra tasse pagate e tasse dovute, creando una scappatoia perchè "alcune aziende pospongono indefinitamente
il pagamento delle tasse".
Per l'industria mineraria, forestale e le altre industrie estrattive, l'attivista sostiene che le regole sono minate
dal fatto che le imprese devono riportare solo sui paesi dove ha luogo l'estrazione. Ha detto: "Abbiamo
bisogno di uno strumento che copra tutti i tipi delle grandi multinazionali e assicuri il pubblico possa vedere se
le multinazionali stanno pagano per davvero le tasse nei paesi in cui fanno affari".
Financial Times 9 febbraio 2016
“Si accendono le critiche sulla Banca d'Italia.
Con il crollo delle azioni bancarie, cresce la critica ai banchieri centrali per non essere riusciti a
proteggere il settore”
Da molto tempo la Banca d'Italia è considerata un bastione di competenza e stabilità nella terza economia
dell'eurozona - un contrappeso alla direzione economica, troppo spesso poco seria dei governi che si sono
succeduti a Roma.
Ma la forte svendita delle azioni finanziarie italiane dall'inizio dell'anno - quando gli investitori preoccupati
delle nuove dure regole UE sul "bail in" e dalla grossa quantità di crediti non performanti (NPL) nei bilanci delle
banche - ha acceso la critica sulla banche centrale accusata di non essere riuscita a proteggere il sistema
bancario.
"La Banca d'Italia è la prima da criticare perchè sono responsabili del monitoraggio delle banche che sono nei
guai o si avvicinano all'esserlo" dice Riccardo Puglisi, un economista, adviser di Italia Unica,un gruppo politico
di centro destra. "Penso che hanno capito e sottovalutato il problema dei NPL anche se era ben noto".
La pressione sulla banca centrale è cresciuta a Novembre, dopo che il salvataggio di 4 piccole banche
regionali del centro Italia ha prodotto grosse perdite a migliaia di investitori retail a seguito dei nuovi requisiti
EU su come gestire i fallimenti bancari. Tale pressione si è intensificata nelle ultime settimane quando le
azioni bancarie hanno continuata a scendere, sollevando ulteriori domande sulla salute delle istituzioni
finanziarie del paese.
Ignazio Visco, che è entrato in carica come governatore nel 2011, quando Mario Draghi ha lasciato per
diventare il presidente della BCE, ha dovuto fronteggiare l'ostilità della protesta fuori dal quartier generale, a
Roma, della banca d'Italia e subire la richiesta di dimissione da parte dei parlamentari dell'opposizione.
Il governo guidato da Matteo Renzi ha ehe impedire che gli estremamente ricchi smettano di continuare a
tirare verso l'altro spresso pubblicamente "piena fiducia" al Visco e nella banca centrale , ma ha anche fatto
alcuni passi - ha imposto un'inchiesta parlamentare sulle banche salvate e scelto un proprio dirigente per
seguire le richieste di rimborso degli investitori - cosa che suggerisce che, privatamente, il governo è
insoddisfatto o che intende usare la Banca d'Italia come l'obiettivo su cui spostare le critiche sugli errori del
governo stesso nella gestione delle crisi bancarie.
"Se torni al 2010, io mantra in Italia era che le nostre banche stavano bene - e quello continua ad essere il
mantra" dice un altro dirigente bancario italiano. "In Italia c'è sempre un problema di non .... riconoscere la
realtà. C'è questa dissonanza"
I dirigenti della banca centrale difendono la loro perfomance, dichiarando che per decenni la Banca d'Italia ha
evitato crisi bancarie del tipo di quelle che si sono verificate negli altri paesi."I NPL sono la conseguenza della
recessione più lunga e profonda nella storia della repubblica" ha detto al FT un alto dirigente della banca. "La
banca d'Italia non ha trascurato la loro crescita. Abbiamo costantemente seguito il loro andamento e costretto
le banche a rafforzare di molto l'approvvigionamento e il capitale nel 2013 e nel 2014",.
Le accuse rivolte alla banca sono spesso confliggenti. Una è che i dirigenti avrebbero dovuto persuadere il
governo italiano a salvare le banche con i fondi dei contribuenti come hanno fatto gli altri paesi durante la crisi
finanziaria. UN'altra è che avrebbero dovuto essere più aggressivi nel costringere le banche ad aumentare il
capitale come ammortizzatore contro le sofferenze. Una terza è che sono stati troppo deboli nei confronti delle
banche con una cattiva governance e invece avrebbero dovuto imporre più consolidamento.
Ma gli analisti affermano che non c'erano opzioni facili. "La banca d'Italia ha dovuto agire con un equilibrio
difficile: essere credibile: essere un controllore credibile senza causare ulteriore irrigidimento delle condizioni
del credito, con i governi che si sono succeduti che, chiaramente, davano la priorità a quest'ultimo." ha detto
Federico Santi, un analista dell'Eurasia Group.
Una accusa ulteriore contro la banca è che non ha fatto valere a sufficienza la sua volontà nei colloqui con la
BCE e l'EU sugli stress test bancarie sulle regole di bail in, che i dirigenti italiani hanno sottoscritte impedire
che gli estremamente ricchi smettano di continuare a tirare verso l'altro to nel 2013 e ora stanno criticando
come causa di qualcuno dei loro problemi.
Il mese scorso, Visco ha chiesto una revisione delle regole del bail in. Questo ha fatto sollevare sopraccigli a
Bruxelles e Francoforte, dove i dirigenti credevano che le regole fossero già definite. Temono che la Banca
d'Italia stia assumendo un nuovo tono inusualmente conflittuale verso le istituzioni EU. Dirigenti della banca
centrale insistono che avevano già fatto le obiezioni.
UN test ora per la Banca d'Italia sarà se potrà convincere alcune delle più disastrate banche italiane a unirsi e
a dare i loro crediti non performanti a compratori privati attraverso uno schema governativo recentemente
approvato dall'EU.
Financial Times 29 febbraio 2016
“Il collasso del petrolio mette i freni all'industria italiana.
Le turbative economiche globali smorzano la crescita ma i dati sul commercio danno cauta speranza”
Quando gli viene richiesto di spiegare il rallentamento che sta colpendo la ripresa economica italiana,
Gianluigi Angelantoni, chief executive di Angelantoni Industrie, una media azienda industriale tra gli alberi di
olivo delle colline umbre, immediatamente punta all'Arabia Saudita.
Il suo gruppo che ha 80 milioni di introiti annui da prodotti manifatturieri che vanno dalle attrezzature per i
crash test per le auto ai tubi per gli impianti energetici solari, ha visto una caduta delle vendite ai paesi del
Golfo, in cui i governi stanno fortemente riducendo la spesa a seguito del collasso del prezzo del greggio.
Il risultato, ha sostenuto, è che l'Arabia Saudita, insieme alla Russia, altra nazione produttrice di petrolio in
difficoltà, ha tagliato gli acquisti dalla divisione bio-medica del suo gruppo che produce strumenti per la
sterilizzazione e frigo speciali per la conservazione del sangue, dei sieri, delle cellule staminali e degli organi.
"Stiamo crescendo, ma probabilmente saremmo potuti crescere di più se non ci fosse questo rallentamento"
ha aggiunto.
Le preoccupazioni di Angelantoni sono emblematiche delle paure sulla traiettoria dell'economia del paese
avvertita da molti dei suoi colleghi italiani.
Nel 2015, l'Italia - la terza economia dell'eurozona e la seconda manifatturiera - era finalmente emersa un pò
ammaccata da una recessione triple-dip, quando ha registrato una crescita dello 0.7%.
Ma le speranze di una forte accelerazione nel passo della ripresa nel 2016 si sono già smorzate grazie, in
primo luogo, a fattori internazionali come la debolezza dei mercati emergenti e la turbolenza che ha colpito i
mercati finanziari dall'inizio dell'anno. Questo ha determinato una forte caduta dei prezzi delle azioni italiane,
in particolare di quelle delle banche del paese.
L'OCSE ha recentemente ridotto le sue previsioni di crescita 2016 per l'Italia all'1% dall'1.4% precedente.
"L'anno scorso c'era obiettivamente qualche diffuso ottimismo" ha detto Antonio Alunni, vice presidente della
Confindustria Umbra, e chief executive di Fucine Umbre,una fabbrica di componenti aerospaziali di Terni, la
seconda città della regione. Oggi i dati stanno cambiando e questo sta portando a grande prudenza. In
qualche caso, le aziende stanno trattenendo i loro investimenti".
La macchina industriale italiana sembra aver pigiato sui freni, con la produzione industriale in riduzione dello
0.7% a dicembre, rispetto al mese precedente, contrariamente ad aspettative di una piccola crescita. Negli
ultimi tre mesi dell'anno, la produzione industriale italiana si è ridotta dello 0.1% rispetto al trimestre
precedente. Intanto l'indice della PMI manifatturiere del paese si è ridotto a gennaio da 55.6 del mese
precedente a 53.2, il punto più basso da settembre.
I dati del commercio internazionale dell'Italia sono stati più incoraggianti, dando speranza che il rallentamento
sarà momentaneo e che nella seconda metà dell'anno la situazione potrebbe riprende slancio. Mentre le
esportazioni si sono ridotte del 2.2% in dicembre rispetto al mese precedente, negli ultimi 3 mesi del 2015 c'è
stata un crescita dell'1.2% rispetto al trimestre precedente.
Siamo in uno stato d'animo "wait-and-see"" dice Loredana Federico, senior economist di Unicredit che ha
appena abbassato le sue previsioni per la crescita italiana di quest'anno dall'1.4% all'1.2%. "Se continua la
debolezza delle domanda internazionale, sarebbe un elemento di preoccupazione. E dobbiamo sapere
quanto della turbolenza del mercato - con tutte le sue incertezze - sta colpendo l'economia".
Una preoccupazione tra gli economisti è che i consumatori italiani che avevano timidamente ricominciato a
spendere dopo anni di contenimento, potrebbero decidere di chiudere di nuovo i rubinetti. Sebbene non
sembra che fino ad ora sia accaduto, una riduzione della fiducia dei consumatori a febbraio, riportata questa
settimana, ha fatto sollevare qualche sopracciglio.
Un nuovo scivolone economico in Italia avrebbe una ricaduta significativa per tutta l'eurozona, ma
solleverebbe anche crescenti rischi di instabilità politica in Italia, dove Matteo Renzi, primo ministro di centro
sinistra, sta cominciando a essere sfidato da partiti populisti come il Movimento 5 stelle e la Lega Nord che
stanno cercando di capitalizzare dalla fiacca ripresa.
Farebbe rivivere anche preoccupazioni sulle finanze pubbliche italiane. Mentre Roma si è impegnata nel 2016
a ridurre l'alto rapporto debito/PIL per la prima volta in otto anni, l'obiettivo potrebbe essere messo in pericolo
se l'economia crescesse meno delle previsioni.
Ma, tornando all'Umbria, Angeloni e Alunni non sono eccessivamente pessimisti. Fucine Umbre è cresciuta
costantemente e ha aumentato l'organico negli ultimi anni e si aspetta di continuare anche quest'anno.
Angelantoni dice che gli altri businesses della sua compagnia stanno andando bene, in particolare la divisione
sull'energia rinnovabile che si è di recente assicurata grossi contratti in Cina malgrado il rallentamento anche
lì. Snocciola anche una lista di aziende globali di successo nelle città vicine che sono sopravvissute alla
recessione italiana.
"Molte volte qui le persone si lamentano, ma è solo questione di crescita più rallentata" dice "Siamo ben lungi
da una nuova recessione".
Financial Times 18 febbraio 2016
“Renzi deve riorganizzare le banche italiane in difficoltà.
Le perdite non possono essere evitate. La risposta è proteggere i vulnerabili”
Dopo due anni di governo, Renzi fronteggia sfide su tutti i fronti. Il suo governo è alle prese con una crescita
economica a rilento e con la crisi europea dei migranti, mentre sono in corso costantemente battaglie con
Bruxelles sulle finanze pubbliche. Tuttavia, la questione che può far deragliare il premier di centro sinistra è
l'incertezza che sta inghiottendo le banche italiane.
Non è un tema nuovo. Negli anni dalla crisi finanziaria, i successivi governi hanno procrastinato sulla crescita
delle sofferenze nell'inefficiente settore finanziario del paese. le riforme sono state promesse ma poco di
significativo è stato realizzato.
La dimensione della sfida ha assunto dimensioni proibitive. I 350 miliardi di euro di crediti non performanti nei
bilanci delle banche rappresentano circa un quinto di tutti i prestiti e una proporzione simile del PIL del paese.
Le sofferenze sono di gran lunga le più alte in tutti i paesi del G7.
Minacciano la stabilità di alcune delle istituzioni finanziarie italiane più importanti. La dimensione del problema
può essere indovinata comparando gli assets in difficoltà di una banca con il capitale totale disponibile per
coprirli, comprese le previsioni sulle perdite - il Texas ratio. Sulla base dei dati 2014 compilati dal The Banker,
le 10 banche italiane più grandi erano in media sopra al 100%, con il Monte dei Paschi di Siena a un
sorprendente 164%
Il grande stock di cattivi crediti italiano non solo sta facendo crescere le preoccupazioni tra gli investitori, che,
dall'inizio dell'anno, hanno venduto pesantemente titoli bancari, ma frena l'erogazione di nuovi prestiti e
perciò diminuisce le possibilità di una ripresa dell'economia. La cosa più preoccupante, tuttavia, è che frena la
possibilità di una ristrutturazione del settore - cosa assolutamente urgente nel caso delle frammentate banche
regionali italiane.
Renzi capisce la necessità di agire. Ha fatto una legge volta a promuovere le fusioni tra le 10 grandi banche
popolari. Ha anche compreso la necessità di spingere le istituzioni più deboli a fare accordi accettabili con
quelle con i bilanci più forti.
Dove Renzi non è stato all'altezza è nel realizzare un blueprint che ripulisse i libri dei crediti pur rimanendo
all'interno delle regole EU. All'inizio ha sprecato energie cercando di persuadere la commissione di
permettergli di creare una bad bank finanziata dai soldi dei contribuenti per assorbire le perdite - una misura
che costituirebbe illegittima aiuto di stato. Più di recente ha fatto un accordo con Bruxelles che consente a
Roma di emettere garanzie che aiutino le banche a vendere i crediti a parti terze come gli hedge funds. Data
la proibizione dell'EU sui sussidi, è difficile vedere cosa possa fare di buono questa proposta cotta a metà.
La fondamentale difficoltà di Renzi è che ogni efficace soluzione richiede una azione politicamente dolorosa
che non ha voglia di intraprendere. Per risolvere i problemi di banche troppo stressate, ha bisogno del bail in
dei bondhoders, nei cui ranghi possono esserci molti investitori retail. precisamente questo è accaduto
l'autunno scorso, quando il governo ha deciso di salvare quattro banche regionali fallite.
L'avversione del premier per intraprendere di nuovo questa strada è comprensibile ma non può permettere
che i piccoli investitori ritardino il rafforzamento del sistema. Invece egli dovrebbe andare avanti , qualunque
siano le risoluzioni necessarie, facendo nel contempo passi per proteggere i vulnerabili. Questo si potrebbe
ottenere esentando i detentori retail di bonds sotto un certo valore monetario dagli accordi di bail in. Nulla di
tutto ciò è facile per il primo ministro. Se c'è una buona notizia è che ha ancora sufficiente capitale politico per
assumere decisioni difficili, le prossime elezioni politiche ci saranno solo tra due anni. Deve mettere la sua
faccia contro le tentazioni dell'inerzia. Il problema dei cattivi crediti dell'Italia è troppo grande per essere
ignorato.
Financial Times 16 febbraio 2016
James Politi “La fortuna di Renzi si sta esaurendo mentre crescono i problemi in casa e all'esterno”
Per celebrare i sui primi due anni in carica, Matteo Renzi ha scelto uno slideshow per cercare di vendere i suoi
risultati di governo. La presentazione autocongratulatoria sembra suggerire che gli italiani abbiano dozzine di
ragioni per giore:la disoccupazione è calata, il risultato economico è cresciuto, le tasse si sono ridotte, gli
investimenti esteri sono cresciuti.
Ma lo slideshow di Renzi scherma con cura la più dura realtà: recentemente la fortuna sembra essersi rivoltata
contro di lui. Il 41enne che è salito al potere su un'onda di ottimismo e di buona volontà come il più forte leader
italiano dopo Berlusconi, ora deve fare i conti con problemi in patria e fuori, problemi che minacciano di
travolgere il suo governo.
Venerdì, le nuove cifre dell'agenzia ufficiale di statistica hanno mostrato che l'economia è cresciuta solo dello
0.1% nel quarto trimestre del 2015. I dati hanno fatto sorgere la preoccupante possibilità che,
prevedibilmente, la ripresa fragile e lenta dell'Italia non è nelle condizioni di accelerare come atteso dalla
maggior parte degli economisti ma potrebbe rallentare di nuovo. Intanto le banche italiane sono state quelle
più duramente colpite nella recente sommossa dei mercati finanziari globali, diffondendo preoccupazioni che
l'intero paese sarebbe vulnerabile nel caso di nuova crisi finanziaria.
Non è tutto: l'Italia si sta confrontando con un grave dilemma strategico su come rispondere alla crescente
minaccia dell'ISIS, solo a 200 miglia a sud della isola siciliana di Lampedusa. Le sue relazioni con l'Egitto,
commerciali e strategiche, per coltivare le quali Renzi ha lavorato duramente, sono state danneggiate dal
misterioso assassinio di una ricercatore italiano che stata studiando le organizzazioni sindacali al Cairo.
Renzi è conosciuto per essere un operatore politico agile ed efficiente ma questi venti contrari, in un anno
fondamentale per il governo italiano, rendono lo scenario molto più scuro di quanto quasi tutti avessero
previsto.
Se i dati economici continuano a essere deludenti, potrebbero minacciare la performance del partito
democratico alle elezioni amministrative di giugno, in cui vanno alle urne le più grandi città italiane. Questo
potrebbe anche compromettere le possibilità che Renzi vinca il referendum, previsto per l'autunno, per ridurre
il blocco parlamentare tagliando i poteri del senato. Egli ha scommesso il suo futuro su tale risultato,
impegnandosi a dimettersi in caso di sconfitta.
Renzi non ammetterebbe maidi essere sotto assedio, ma i suoi istinti di autoconservazione sono già in
movimento. Negli ultimi mesi ha assunto un tono molto più duro nelle sue relazioni con Bruxelles e Berlino,
attaccando Juncker e Merkel con l'accusa di spingere l'Europa nelle braccia dei populisti. Il suo ultimo sfogo è
stato in un'intervista a Bloomber della settimana scorsa, in cui ha usato il clichè:"l'Europa è come l'orchestra
che suona sul Titanic".
Internamente ci sono segni che lo contro con l'EU lavori per Renzi. Negli ultimi mesi il suo partito democratico
è leggermente risalito al 33%, mentre il populista 5 stelle è calato intorno al 25%, secondo un sondaggio
prodotto da termometro Politico, un weebsite politico. Questo significa che continuerà - o addirittura
accentuerà - nei prossimi colloqui sul bilancio con la Commissione Europea.
Renzi porrà la questione che Roma ha bisogno più che mai di maggiore flessibilità di bilancio per favorite la
ripresa e assicurare che non scivoli di nuovo in recessione. Ma i dirigenti EU che sono sempre più stanchi
delle suppliche italiane possono rifiutare margini maggiori alla manovra fiscale, dato che la debolezza
dell'economia ha reso anche più difficile per l'Italia, realizzare i propri obiettivi fiscali.
Quando, il 27 febbraio 2014, Renzi è entrato in carica, aveva l'aura del giovane leader carismatico con piani
per rifare l'Italia. Il suo risultato più grande ad oggi è probabilmente di avere realizzato stabilità politica e
credibilità internazionale per un paese abituato a governi deboli. Ma in risposta alle crescenti avversità, egli
rassomiglia ora a un politico molto più convenzionale e difensivo - a rischio sia di una sconfitta politica interna
e un maggiore isolamento internazionale.
Financial Times 9 febbraio 2016
“Si accendono le critiche sulla Banca d'Italia.
Con il crollo delle azioni bancarie, cresce la critica ai banchieri centrali per non essere riusciti a
proteggere il settore”
Da molto tempo la Banca d'Italia è considerata un bastione di competenza e stabilità nella terza economia
dell'eurozona - un contrappeso alla direzione economica, troppo spesso poco seria dei governi che si sono
succeduti a Roma.
Ma la forte svendita delle azioni finanziarie italiane dall'inizio dell'anno - quando gli investitori preoccupati
delle nuove dure regole UE sul "bail in" e dalla grossa quantità di crediti non performanti (NPL) nei bilanci delle
banche - ha acceso la critica sulla banche centrale accusata di non essere riuscita a proteggere il sistema
bancario.
"La Banca d'Italia è la prima da criticare perchè sono responsabili del monitoraggio delle banche che sono nei
guai o si avvicinano all'esserlo" dice Riccardo Puglisi, un economista, adviser di Italia Unica,un gruppo politico
di centro destra. "Penso che hanno capito e sottovalutato il problema dei NPL anche se era ben noto".
La pressione sulla banca centrale è cresciuta a Novembre, dopo che il salvataggio di 4 piccole banche
regionali del centro Italia ha prodotto grosse perdite a migliaia di investitori retail a seguito dei nuovi requisiti
EU su come gestire i fallimenti bancari. Tale pressione si è intensificata nelle ultime settimane quando le
azioni bancarie hanno continuata a scendere, sollevando ulteriori domande sulla salute delle istituzioni
finanziarie del paese.
Ignazio Visco, che è entrato in carica come governatore nel 2011, quando Mario Draghi ha lasciato per
diventare il presidente della BCE, ha dovuto fronteggiare l'ostilità della protesta fuori dal quartier generale, a
Roma, della banca d'Italia e subire la richiesta di dimissione da parte dei parlamentari dell'opposizione.
Il governo guidato da Matteo Renzi ha espresso pubblicamente "piena fiducia" a Visco e alla banca centrale,
ma ha anche fatto alcuni passi - ha imposto un'inchiesta parlamentare sulle banche salvate e scelto un
proprio dirigente per seguire le richieste di rimborso degli investitori - cosa da cui si evince che, privatamente,
il governo è insoddisfatto o che intende usare la Banca d'Italia come l'obiettivo su cui spostare le critiche sugli
errori del governo stesso nella gestione delle crisi bancarie.
"Se torni al 2010, io mantra in Italia era che le nostre banche stavano bene - e quello continua ad essere il
mantra" dice un altro dirigente bancario italiano. "In Italia c'è sempre un problema di non .... riconoscere la
realtà. C'è questa dissonanza"
I dirigenti della banca centrale difendono la loro perfomance, dichiarando che per decenni la Banca d'Italia ha
evitato crisi bancarie del tipo di quelle che si sono verificate negli altri paesi."I NPL sono la conseguenza della
recessione più lunga e profonda nella storia della repubblica" ha detto al FT un alto dirigente della banca. "La
banca d'Italia non ha trascurato la loro crescita. Abbiamo costantemente seguito il loro andamento e costretto
le banche a rafforzare di molto l'approvvigionamento e il capitale nel 2013 e nel 2014",.
Le accuse rivolte alla banca sono spesso confliggenti. Una è che i dirigenti avrebbero dovuto persuadere il
governo italiano a salvare le banche con i fondi dei contribuenti come hanno fatto gli altri paesi durante la crisi
finanziaria. UN'altra è che avrebbero dovuto essere più aggressivi nel costringere le banche ad aumentare il
capitale come ammortizzatore contro le sofferenze. Una terza è che sono stati troppo deboli nei confronti delle
banche con una cattiva governance e invece avrebbero dovuto imporre più consolidamento.
Ma gli analisti affermano che non c'erano opzioni facili. "La banca d'Italia ha dovuto agire con un equilibrio
difficile: essere credibile: essere un controllore credibile senza causare ulteriore irrigidimento delle condizioni
del credito, con i governi che si sono succeduti che, chiaramente, davano la priorità a quest'ultimo." ha detto
Federico Santi, un analista dell'Eurasia Group.
Una accusa ulteriore contro la banca è che non ha fatto valere a sufficienza la sua volontà nei colloqui con la
BCE e l'EU sugli stress test bancari e sulle regole di bail in, che i dirigenti italiani hanno sottoscritto.
Il mese scorso, Visco ha chiesto una revisione delle regole del bail in. Questo ha fatto sollevare sopraccigli a
Bruxelles e Francoforte, dove i dirigenti credevano che le regole fossero già definite. Temono che la Banca
d'Italia stia assumendo un nuovo tono inusualmente conflittuale verso le istituzioni EU. Dirigenti della banca
centrale insistono che avevano già fatto le obiezioni.
UN test ora per la Banca d'Italia sarà se potrà convincere alcune delle più disastrate banche italiane a unirsi e
a dare i loro crediti non performanti a compratori privati attraverso uno schema governativo recentemente
approvato dall'EU.
Financial Times 28 gennaio 2016
“La freddezza degli investitori sull'accordo sulle sofferenze bancarie dell'Italia
Roma spera di togliere il freno all'economia tra preoccupazioni che l'impatto sarà limitato”
Ci sono voluti mesi di negoziati e una forte riduzione delle azioni finanziarie perchè Italia e EU raggiungessero
questa settimana un accordo che prevede un nuovo schema di garanzia governativa per alleggerire le banche
del paese dal grosso onere di non performing loans.
Ma gli investitori ieri hanno accolto freddamente l'accordo, tra preoccupazioni che l'impatto del programma
sarebbe stato troppo limitato per fare la differenza, dopo che i suoi termini sono stati considerevolmente
ristretti nel corso dei colloqui con Bruxelles.
La speranza, a Roma e tra i dirigenti dell'EU, è tuttavia che il nuovo programma determinerà una grande
vendita di crediti italiani in sofferenza ad asset managers privati limitando le perdite dei possibili venditori e
rimuovendo una dei freni più grandi all'economia del paese.
"E' un utile strumento nella strategia strutturale del governo sulle banche" ha detto Pier Carlo Padoan, ministro
delle finanze italiano."Aiuterà a smaltire i crediti non performanti in modo rapido ed efficiente" Ma - anche i
dirigenti italiani concedono che non si tratta di una panacea per il loro sistema finanziario che non ha avuto
grandi iniezioni di fondi pubblici durante l'ultima recessione ed è rimasto appesantito da debiti cattivi.
Gli investitori nel settore finanziario italiano sono apparsi non impressionati, con le azioni delle tre banche più
grandi del paese che alla fine della giornata erano calate.
Idealmente, l'Italia avrebbe voluto creare uno schema molto più radicale di acquisto diretto dei crediti in
sofferenza che sono nei bilanci delle banche - forse analogo al salvataggio bancario spagnolo del 2012,
dicono gli analisti. Ma da allora, le regole dell'EU sugli aiuti di stati sono state molto rafforzate, e questo ha
significato che Roma ha dovuto accontentarsi di garanzie governative applicate alle tranches prioritarie di
pacchetti di crediti in sofferenza, prezzati a "market rate".
Davide Serra, capo del fondo Algebris, che investe in debito bancario e in equity ha detto che le garanzie
governative potrebbero aggiungere dal 10 al 15% al valore dei bad loans italiani. "Questo riempirà la
differenza tra le aspettative di mercato e la cattiva copertura" ha detto "Non ci sono più scuse per le banche
se non vendono tutta questa roba".
Tuttavia qualche analista resta scettico sull'accordo. "Se le garanzie dovrebbero di certo sostenere il
marketing, non è del tutto chiaro come esattamente aiuterebbe le banche italiane una valutazione a prezzi di
mercato" ha detto Tilo Hopker un analista creditizio senior di Unicredit.
Al di là della questione se gli investitori in assets in difficoltà - come Cerberus o Apollo - troveranno interessanti
le condizioni del nuovo schema, esso è visto comunque come parte della soluzione dei problemi bancari
dell'Italia. Nel corso degli anni, le istituzioni finanziarie italiane, soprattutto quelle di dimensione piccola e
media, sono state intralciate da pessime strutture di governance, da un alto grado di frammentazione e dalla
lentezza del sistema giudiziario italiano che ha impedito la soluzione di controversie di fallimento.
"La mia impressione è che i problemi della banche italiane siano più profondi" dice Nicolas Veron, a senior
fellow del think tank Bruegel. "Anche se c'è il timbro del governo (sui crediti) ci sarà un rischio. Non penso che
una garanzia governativa possa realmente sostituire un meccanismo per liquidare i debiti quando le
compagnie falliscono".
Serra di Algebris ha aggiunto: "Il più grosso ostacolo alla valutazione dei non performant loans in Italia è la
lentezza dei processi giudiziari. Ci vogliono tre anni o più per recuperare l'asset, e per questo vale il 30% in
meno degli altri paesi."
IL governo Renzi ha accelerato le sue riforme del sistema della giustizia civile - e cercato di modernizzare la
governance delle sue piccole banche regionali, per trasformarle in public companies e puntare al
consolidamento del settore. Dirigenti italiani hanno segnalato che sono in corso ulteriori riforme bancarie ma
l'impatto può essere avvertito lentamente.
Intanto, l'Italia deve difendersi dalle preoccupazioni che questo schema di garanzie possa avere un impatto
negativo sulle sue finanze pubbliche. Dirigenti italiani hanno detto che questo genererà nuovi introiti, poichè le
tasse che il governo incameras sulle garanzie fornite supereranno le uscite.
Ma dirigenti dell'EU sono stati molto più cauti. "Sulle implicazioni fiscali, è attualmente troppo presto per trarre
conclusioni certe perchè abbiamo per ora solo un accordo sui principi e ora tutto deve essere dettagliato" ha
detto Valdis Dombrovskis, vice presidente della Commissione europea.
Financial Times 28 gennaio 2016 (Editoriale)
“La soluzione a breve termine di Renzi alla sfida del sistema bancario italiano
Garanzie per la vendita dei crediti in sofferenza mostrano i limiti delle bail-in rules dell'EU”
Il sistema finanziario italiano produce troppi banchieri e credito insufficiente, sostiene da tempo Matteo Renzi.
L'accordo che il primo ministro italiano ha raggiunto con la Commissione Europea sulle garanzie governative
per assistere le banche nella vendita dei loro portafogli di crediti in sofferenza, lungi dall'essere perfetta,
potrebbe alla fine aiutare ad affrontare entrambi i problemi. Tuttavia. anche se aiuta a calmare i mercati e
disinnesca una situazione politica calda, non potrà sostituire riforme più ampie per un settore frammentato e
inefficiente.
L'accordo con Bruxelles è una risposta ritardata a un problema urgente. Il peso di 350 miliardi di euro di crediti
non performanti sui bilanci delle banche le ha lasciate in balia di una forte svendita durante le recenti
turbolenze sui mercati globali. Ha impedito loro di fare nuovi prestiti, trattenendo la ripresa economica ed è
stata fonte di incertezza che ha ostacolato il consolidamento, assolutamente necessario, di banche deboli.
E' anche una situazione pericolosa per lo stesso Renzi che è alle prese con una protesta pubblica dopo il
salvataggio, a novembre, di 4 piccole banche che ha colpito migliaia di investitori retail.
L'asserzione che lo schema non rappresenterà un sussidio o un drenaggio sulle finanze pubbliche italiane è
difficile da credere. Non dovrebbe esserci alcuna necessità di un intervento del governo se le garanzie per i
non performant loans devono essere prezzate a tassi di mercato, come sostiene la commissione.
Renzi avrebbe voluto andare oltre e usare fondi pubblici per comprare i bad loans, ma questo accordo mostra
anch'esso quanto sarà difficile per la Commissione imporre le sue nuove bail-in rules sui riluttanti governi
europei.
Rimane assolutamente poco chiaro se lo schema funzionerà. Saranno usabili come garanzia solo le parti
meno rischiose dei non performant loans, che le banche possono volere non vendere. Il prezzo dipenderà da
come le agenzie di rating valuteranno, caso per caso, ciascun pacchetto di prestiti, lasciando molto campo
libero alle oscillazioni nei mercati.
La sfida più grande per Renzi tuttavia sarà spingere per una revisione più fondamentale del settore bancari
italiano.
Una tradizione di cautela nei prestiti ha permesso alle banche italiane di superare la crisi finanziaria meglio
di molte altre banche in tutta Europa. Questo significa che Roma è in ritardo nell'affrontare problemi con cui
gli altri paesi si sono già misurati. Renzi ha anche ereditato un problema che i precedenti leader italiani hanno
cercato di schivare perchè eccessivamente delicato: costringere al consolidamento delle centinaia di piccole e
medie banche popolari o cooperative.
Queste sono radicate nelle comunità locali, talvolta al servizio di città con solo qualche migliaio di residenti e
difese fieramente dai politici regionali che temevano tagli occupazionali e chiusure di filiali.
Il governo ha definito le premesse per il consolidamento delle popolari più di un anno fa, approvando una
legge per costringere le 10 più grandi - con assets per un valore di 500 miliardi di euro di patrimonio netto
tangibile - a trasformarsi in società per azioni entro la fine del 2016. Questo metterebbe fine a una struttura di
governance basta su una testa, un voto, rendendo difficile per i gruppi di interesse locali di bloccare le fusioni.
Due delle più grandi mutue sono in un avanzato stato di colloqui per unirsi e un accordo riuscito potrebbe
determinare un'ondata di altre fusioni. Tuttavia la legge rischia ancora azioni legali da parte degli azionisti e
molti senior executives si oppongono al cambiamento.
Renzi non può consentirsi che questa situazioni continui. Il mese scorso ha messo in evidenza i rischi di una
seria distruzione del mercato - è la prima volta che il primo ministro affronta tali pressioni. Egli ha dato una
risposta di breve termine alla più immediata minaccia alla stabilità finanziaria dell'Italia. Ora deve portare a
termine il lavoro.
Economist 23 gennaio 2016
“Renzi e l'EU.
Il primo ministro italiano sta attaccando briga con la Germania e l'EU”
L'Italia è stata vista in passato come un paese che non dava problemi. Ma questo è il passato. recentemente
la coalizione di centro-destra del primo ministro Matteo Renzi ha provocato una successione di dispute
acrimoniose con la Commissione europea e la Germania. Questa settimana, l'ultimo segno della
determinazione di Renzi di essere il bad boy di Bruxelles, è stato il licenziamento di Stefano Sannino, ex
dirigente della Commissione che era visto come trppo accondiscendente. Lo ha sostituito un vice ministro
Carlo Calenda, del partito democratico di Renzi.
Il conflitto è scoppiato apertamente il 15 gennaio, quando Jean Claude Juncker, presidente della
commissione, ha accusato Renzi di attaccare la sua istituzione in ogni occasione. Renzi ha replicato che i
giorni in cui l'Italia permetteva di essere "remte-controlled" da Bruxelles erano finiti. Quattro giorni dopo,
Manfred Weber, il capogruppo del centro destra al Parlamento Europeo, ha detto che il primo ministro italiano
stava danneggiando la credibilità dell'EU.
Weber si riferiva alla più acuta delle discussioni in corso: l'Italia sta bloccando i fondi per gli aiuti ai rifugiati che
l'EU ha promesso alla Turchia come parte di un accordo per dare un giro di vite al contrabbando dei migranti
in Europa. I tedeschi sono particolarmente amari perchè l'Italia è stata accusata di non registrare i migranti che
arrivano sul suo suolo e invece di spedirli in fretto negli altri stati EU. MInistri a Roma dicono che dubitano che
pagare i turchi per rimandare indietro i rifugiati siriani possa funzionare. ma Weber ha dichiarato che il vero
motivo italiano è assicurarsi concessioni su altri temi.
Si sono impantanati anche i colloqui con la Commissione sulla vendita dello scoraggiante inventario delle
sofferenze delle banche italiane. L'urgenza del tema è stata sottolineata da un crollo della azioni del Monte dei
Paschi di Siena, la terza banca italiana. Roma vuole garantire un prezzo minimo per i prestiti. Ma la
commissione deve ancora stabilire se costituisca aiuto di stato. Anche qui, un ingrediente extra fa inasprire il
mix: molti dirigenti italiani credono che la commissione applichi alla Germania le regole EU in modo meno
stringente.
I cattivi crediti riflettono più di un decennio di stagnazione e una ripresa dalla crisi dell'euro, in Italia più lenta
di quanto previsto. A dicembre, il parlamento ha approvata a Roma un bilancio espansivo volto a accelerare la
ripresa. Ma rallenterebbe però la riduzione del deficit di bilancio e la restituzione del debito pubblico, che
nell'eurozona è secondo solo a quello della Grecia, in rapporto al PIL. I ministri di Renzi sostengono che
spetta loro flessibilità come premio per le riforme strutturali, in particolare quella del mercato del lavoro. Ma
Bruxelles può ancora chiedere correzioni. Il punto centrale del budget, un taglio di 3.6 miliardi di euro di tasse
sulle prima casa appare più volto a corteggiare i votanti della classe media che a migliorare il PIL.
L'opinione di Berlino è che la belligeranza di Renzi è diretta a lustrare la sua immagine in casa. Il personal
rating del primo ministro italiano si è molto ridotto dalla metà del 2015 e a giugno deve affrontare le elezioni
comunali in importanti città. Dopo una serie di scandali per corruzione a Roma, c'è la possibilità che la città
possa cadere nella mani del movimento populista 5 stelle.
E' qui che le questioni in gioco nelle discussioni dell'Italia con l'EU diventano più confuse. Viste dal punto di
vista del governo italiano, gli interessi elettorali di Renzi e quelli dell'EU sono identici. Le alternative alla sua
coalizione di centro destra sono o l'M5S euroscettico a intermittenza o un governo conservatore - guidato
questa volta non dal partito di centro destra di Berlusconi Forza Italia, ma dalla virulentemente euroscettica
Lega Nord e dal suo leader populista Matteo Salvini. I sondaggi mostrano che a mala pena la metà della
popolazione è ormai a favore della moneta unica. In un articokla di questa setimana sul Guardian, un giornale
britannico, Matteo Renzi ha sostenuto che l'austerità EU alimenta la crescita dei suoi rivali populisti. Secondo
queste tesi, il self-interest consiglia le autorità di Berlino e di Bruxelles di fare tutto il possibile per aiutare
Renzi. Questa è l'opinione anche del predecessore di Renzi, Mario Monti. Ma laddove l'urbano Mr. Monti, ex
commissario europeo, ha optato per la silenziosa persuasione (parlando con dolcezza alla cancelliera tedesca
Merkel), allo spavaldo Mr. Renzi nulla piace di più di una zuffa.
Financial Times 21 gennaio 2016
“Davos discute sulla ascesa delle smart machines.
E' stata previsto che la "quarta rivoluzione industriale" avrà effetti enormi sulla vita e sul lavoro
quotidiani”
L'intelligenza artificiale spronerà la crescita economica e creerà nuova ricchezza. Macchine che "pensano"
come gli umani aiuteranno a risolvere problemi enormi, dalla cura del cancro al cambiamento climatico.
Ma milioni di lavoratori umani dovranno ritirarsi perchè i robots renderanno ridondanti le loro mansioni attuali.
Questi i messaggi contrastanti che sono giunti dai tecnologi leader del mondo durante il World Economic
Forum di Davos di questa settimana, dove i leaders politici e del business si interrogano su come rispondere
nel modo migliore all'ascesa delle smart machines.
Sebastian Thrun, l'inventore della self-driving car di Google e professore onorario alla Delft University of
Technology, in Olanda, ha detto che £quasi tutte le industrie non si stanno muovendo abbastanza
rapidamente" per adattare i loro business a questo cambiamento.
Ha sostenuto che le self-driving cars avrebbero reso esuberanti milioni di autisti di taxi e che aerei che volano
unicamente con l'auto-pilota avrebbe eliminato il bisogno di migliaia di piloti umani.
Uno dei temi centrali della conferenza di quest'anno è "la quarta rivoluzione industriale", con riferimento a
come si prevede che le scoperte tecnologiche trasformeranno l'industria in tutto il mondo. I delegati hanno
sostenuto che gli avanzamenti nella robotica e nell'intelligenza artificiale hanno effetti di trasformazione che
nei secoli precedenti hanno avuto la forza vapore, l'elettricità e l'onnipresenza del computer.
"le macchine con intelligenza artificiale possono esaminare una Tac al cervello meglio della maggior parte dei
radiologi, ma possono anche fare saldature meglio di qualsiasi umano" ha detto Illah Nourbakhsh, professore
di robotica alla Carnegie Mellon University, l'istituzione che ha unito le forze con il taxi app group Uber per
costruire macchine senza autista. "Tutto ciò colpisce il lavoro sia dei white che dei blue collars. nessuno è
intrinsecamente sicuro".
Ma il professor Thrun è stato ottimista sul fatto che i ruoli ridondanti sarebbero stati presto sostituiti.
"Con l'avvento delle nuove tecnologie, abbiamo sempre creato nuovi lavori" ha detto. "non so quali saranno
questi lavori, ma sono fiducioso che li troveremo".
Non tutti ne sono convinti. Secondo uno studio pubblicato questa settimana da WEF, l'aumento
dell'automazione e dell'intelligenza artificiale nella forza lavoro porterà alla perdita di 7.1 milioni di posti di
lavoro nei prossimi 5 anni nelle 15 economie leader mentre aiuteranno a creare nello stesso periodo solo 2
milioni di nuovi posti di lavoro. In tutte le industrie, i gruppi dirigenti sono preoccupati sull'effetto dello
spostamento dei posti di lavoro.
Peter Brabeck-Letmathe, presidente della Nestlè, ha detto che alcuni paesi sarebbero diventati instabili se il
business non avesse sostituito i posti di lavoro presi dalle macchine.
"Le altre rivoluzioni industriali sono costate la testa a molte persone" ha detto. "Non sono sicuro che avremo il
tempo perchè i wanderful markets risolvano tutti questi problemi".
Satya Natella, chief executive di Microsoft ha detto: " Questa sfida dello spostamento è reale, ma sento che la
giusta enfasi è sugli skills, piuttosto che preoccuparci troppo del lavoro che sarà perso. Dovremo spendere il
denaro per istruire le persone non solo i bambini ma anche persone a metà carriera, in modo che possano
trovare altri lavori". Per l'adattamento dei lavoratori, il prof. Thrun ha sostenuto che il modo in cui le persone
affrontano le loro vite professionali richiederà dei cambiamenti.
Pioniere della robotica è anche il fondatore di Udacity, una start up di Silicon Valley che iscrive professionisti
con alte remunerazioni in corsi on line di sei mesi, riformandoli al fine di cambiare lavoro. A causa della
crescente automazione, ha previsto che per i lavoratori diventerà normale cambiare lavoro ogni pochi anni.
"Negli US nel 2012, numeri del Dipartimento di statistica del lavoro dimostravano che la tenuta media di un
lavoro era di 4.6 anni e stava ulteriormente riducendosi." ha detto.
Erik Brynjolfsson, professore del MIT e coautore della "Second machine Age" ha detto: Ci stiamo spostando
verso un mondo in cui ci sarà molta più richezza e molto meno lavoro". Questo non sarebbe male e dovremmo
vergognarsi se invece si trasformasse in una cosa cattiva".
Financial Times 26 gennaio 2016
Luciano Floridi* “Gli umani non hanno nulla da temere dalle macchine intelligenti”
*Luciano Floridi (prof. di filosofia e etica dell'informazione all'Università di Oxford)
Elon Musk, fondatore di SpaceX e Tesla Motors crede che l'intelligenza artificiale è "potenzialmente più
pericolosa della atomiche". "La più grande minaccia esistenziale" all'umanità, egli pensa, è un super-machine
intelligente simile a Terminator che un giorno dominerà l'umanità. Per fortuna, Musk sbaglia.
Molte macchine possono fare cose strabilianti, spesso meglio degli umani. Per esempio, il Deep Blue
computer della IBM ha giocato e battuto il Gran maestro Garry Gasparov a scacchi nel 1997. Nel 2011 un altra
macchina IBM, Watson, ha vinto una puntata del quiz show televisivo Jeopardy, battendo due giocatori umani,
uno dei quali aveva vinto 74 volte di seguito. Il cielo, sembra, sia il limite.
Ma Deep Blue e Watson sono versioni della "macchina di Turing", un modello matematico dovuto a Alan
Turing che pone dei limiti a quello che può fare un computer. Una Turing machine non ha comprensione nè
coscienza nè intuito - in breve niente che possa essere riconosciuto come vita mentale. Manca
dell'intelligenza persino di un topo.
Coloro che credono nell'avvento dell'AI (intelligenza artificiale) non sono d'accordo. Stephen Hawking ha
sostenuto che "lo sviluppo della piena intelligenza artificiale potrebbe portare alla fine della razza umana". Ha
ragione - ma lo stesso vale per l'apparizione dei quattro cavalieri dell'Apocalisse.
Ray Kurzweil, inventore americano e futurista, ha previsto che entro il 20145 lo sviluppo delle tecnologie del
computer raggiungeranno un punto in cui l'AI supererà la possibilità degli umani di comprenderla e
controllarla. Scenari come quelli di Kurzweil sono estrapolazioni dalla legge di Moore, secondo cui il numero
dei transitors nei computers si raddoppia ogni 2 anni, portando una crescente potenza a un costo sempre più
basso.
Tuttavia, Gordon Moore, da cui ha preso nome la legge, ha egli stesso riconosciuto che la sua
generalizzazione sta diventando inaffidabile perchè c'è un limite fisico a quanti transistors si possono infilare
inn un circuito integrato.
In ogni caso, la legge di Moore è una misura della potenza del computer e non dell'intelligenza. Il mio robot
aspirapolvere,pulirà il pavimento rapidamente e a buon mercato e sempre meglio, ma non potrà mai prenotare
una vacanza per se stesso con la mia carta di credito.
Negli anni '50, Turing propose il test seguente. Si immagini un giudice umano che fa domande scritte a due
interlocutori in un'altra stanza. Uno è un essere umano, l'altro una macchina. Se per il 70% del tempo il
giudice non è in grado di dire la differenza tra il risultato della macchina e quello dell'uomo, allora si può dire
che la macchina abbia superato il test.
Turing pensava che i computers avrebbero superato il test entro il 2000. Aveva sbagliato. Eric Schmidt. l'ex
chief executive di Google crede che il test di Turing sarà superato nel 2018. Fino ad ora non è stato fatto
alcun progresso. I programmi del computer ancora cercano di imbrogliare i giudici usando trucchi sviluppati
negli anni '60. Per esempio nell'edizione 2015 del Lobner Prize, una competizione annuale sul test di Turing,
un giudice ha chiesto: "la macchina non è potuto entrare nello spazio del parcheggio perchè troppo piccolo.
Che cosa è troppo piccolo?" Il software che ha vinto il premio di consolazione dell'anno ha risposto: "Non sono
un'enciclopedia ambulante. Lo sai".
Le ansie per le macchine super-intelligenti sono pertanto scientificamente ingiustificate. le "smart
technologies" esistenti non sono un passo verso la piena sbocciatura dell'AI, proprio come l'arrampicarsi sulla
cima di un albero non significa fare un passo verso la luna, ma solo la fine del viaggio. Queste applicazioni
possono certamente superarci in astuzia, in performance e sostituirci nel portare aventi un numero crescente
di compiti. Questo, tuttavia, non perchè si confrontano intelligentemente col mondo, ma perchè stiamo
rendendo il mondo sempre più amichevole nei loro confronti.
Si prendano i robots industriali. Non li liberiamo nel mondo per costruire auto; noi costruiamo intorno ad essi
ambienti artificiali che assicurano il loro successo. Lo stresso è vero per i milioni di smart artefacts che presto
comunicheranno tra di loro nel cosiddetto internet delle cose.
Nessuna versione AI di Godzilla ci renderà schiavi, così dovremmo smettere di preoccuparci della
fantascienza e cominciare a concentrarci sulla sfide vere che AI pone. Alla fine, il problema sono gli umani e
non le smart machines e rimarrà così per il futuro prevedibile.
La nostra priorità deve essere evitare di fare errori dolorosi e costosi nel disegnare e usare le nostre
tecnologie. C'è il rischio serio di usarle male a detrimento sia delle specie che del pianeta.
Winston Churchill una volta disse: "Noi diamo forma ai nostri edifici; dopo di che loro danno forma a noi". Lo
stesso si applica alle smart technologies nella "infosfera".
Social Europe Journal
Thomas Fricke* “Giusti incentivi per un futuro low carbon”
*Thomas Fricke, chief economist e membro del leadership team dell'European Climate Foundation di Berlino
L'accordo sul clima raggiunto a Parigi dai leaders del mondo il mese scorso è stato largamente celebrato per
avere definito l'ambizioso obiettivo di limitare l'aumento della temperatura globale a meno di 2 gradi
centigradi rispetto ai livelli pre-industriali. Ma l'accordo è solo un passo, sebbene importante. I policymakers
devono ora risolvere come arrivare a questo obiettivo – impresa non facile, soprattutto in considerazione del
fatto che, al contrario della saggezza convenzionale, non si può contare su costi crescenti delle fonti
energetiche comuni per il necessario cambiamento ver4so un futuro low carbon.
A prima vista, la logica degli incentivi economici negativi sembra efficace. Se, diciamo, guidare una macchina
ad alto consumo di gas diventa più costoso, presumibilmente è meno probabile il suo utilizzo. Ma l'impatto del
cambiamento dei prezzi del carburante è parziale e spostato nel tempo. Mentre, nel lungo periodo, chi guida
può acquistare una macchina energeticamente più efficiente, nel più breve periodo e più probabile che riduca
altri generi di consumo per p0areggiare l'aumento del costo. Quando si affronta un problema urgente come il
cambiamento climatico, la celebre frase di Keynes “nel lungo periodo saremo tutti morti”, calza perfettamente.
Inoltre anche se i consumatori rispondessero con efficienza, i prezzi dei carburanti fossili sono largamente
dettati da mercati pesantemente finanziarizzati che tendono a essere estremamente volatili. Questa forte
riduzione del prezzo del petrolio negli ultimi 18 mesi è un esempio emblematico. Non solo i prezzi del petrolio
sono, di per sé, riusciti a determinare una riduzione dei consumi; hanno anche boicottato gli incentivi a
sviluppare fonti energetiche alternative. Investire ad esempio nell'energia solare può essere sembrato
conveniente quando il costo di un barile di petrolio costava $100, ma è diventato molto meno attraente quando
il prezzo è sceso sotto i $50.
Presumibilmente i policymakers potrebbero aumentare le tasse per riequilibrare tali contrazioni dei prezzi. Ma
tali escursioni, talvolta (come adesso) potrebbero essere enormi e l'adozione di politiche erratiche che
riflettono la volatilità del mercato non è mai una buona idea.
Il carbon pricing potrebbe avere un analogo destino. Nell'Unione Europea i prezzi del carbone sono bassi da
diversi anni e per ora sembra che gli operatori economici stiano seguendo il gregge nel ritenere che
rimarranno così. Ma non c'è alcuna garanzia che il libero scambio delle emissioni non funzionerà come gli altri
mercati finanziari, producendo forti fluttuazioni nei prezzi del CO2. Se tali aspettative dovessero cambiare, il
gregge potrebbe voltarsi e correre nella direzione opposta, causando la crescita dei prezzi del CO2.
Ma un altro problema dell'approccio alla riduzione del cambiamento climatico basato sui prezzi è che non
riesce a tenere conto della possibilità che i mercati creino incentivi perversi. Quando il costo dell'energia
convenzionale cresce, nuovi fornitori vedono un'opportunità; per questo, prima del giugno 2014, quando i
prezzi del petrolio erano alti, gli investitori hanno messo risorse nello sviluppo dello shale gas e shale oil negli
Stati Uniti. L'offerta aggiuntiva, tuttavia, alla fine causa una riduzione dei prezzi, riducendo altresì l'incentivo a
investire nelle fonti energetiche alternative o nell'efficienza energetica. Questa è una normale reazione del
mercato, ma non fa avanzare la lotta contro il cambiamento climatico che richiederebbe costi costantemente
crescenti.
La ragione finale per la quale gli incentivi negativi da soli sono inadeguati a mitigare il cambiamento climatico
è forse la più irrazionale: dopo alcuni anni di aumento delle tasse, il pubblico è robustamente contrario a
qualsiasi policy che possa aumentare i prezzi energetici a prescindere dal livello alto o basso dei prezzi stessi.
Le persone si sono così convinte che, in tal modo, i costi energetici, malgrado il recente collasso del prezzo
del petrolio, possano “esplodere” che qualsiasi nuovo progetto implicante anche solo lievi incrementi dei prezzi
è attualmente eccessivamente difficile da avviare – malgrado il fatto che i prezzi energetici, nel complesso,
sono ancora più bassi di quanto lo fossero 5 anni fa.
L'implicazione è chiara. Quando i policymakers si metteranno al lavoro per applicare l'accordo di Parigi,
dovrebbero non basarsi molto sull'aumento dei costi energetici per portare avanti il loro obiettivo. Una strategia
che assuma che il mercato punirà quelli che non investono in un futuro low-carbon, non è realistica.
E' possibile un approccio migliore: premiare direttamente chi investe in un futuro low-carbon, sia innalzando
l'efficienza energetica che sviluppando fonti energetiche pulite. Per esempio, i governi potrebbero realizzare
schemi di ammortamento accelerato per l'investimento in business low-carbon; offrire sussidi per investimenti
in edifici energy-efficient; e creare politiche che favoriscano l'innovazione industriale volta a ridurre le
emissioni e a migliorare la competitività. Tutto ciò renderebbe l'energia fossile meno attraente sia per gli
investitori che per i consumatori.
Mentre un approccio basato su tali incentivi positivi sarebbe nel breve periodo più costoso degli aumenti delle
tasse, i benefici di lungo termine non sono esagerati. In un momento di forti resistenze all'aumento dei costi
energetici, questo può essere tra i più efficaci meccanismi per portare avanti gli obiettivi di Parigi.